martedì 2 dicembre 2008

TRA GLI ESULI IRANIANI IN IRAQ, LE "SORELLE" DI ASHRAF


Viaggio ad Ashraf, comunità ai margini del deserto iracheno, dove vivono gli esuli iraniani appartenenti ai Mujahidin del popolo.

Rahele è una ragazza iraniana di 28 anni. Lavora nel laboratorio di oculistica dell’ospedale di Ashraf, nel nord-est iracheno; ma il suo precedente impiego era molto diverso. «In Iran avevo studiato da interprete di inglese. Quando mi sono unita alla resistenza contro il regime dei mullah, ho raggiunto Ashraf e sono diventata cannoniera e pilota di carri armati» racconta.
«Dopo il disarmo, ciascuno di noi si è reso utile imparando un altro mestiere». Ashraf è la sede degli esuli iraniani inquadrati nell’organizzazione dei Mujahidin del popolo: dotati un tempo di brigate corazzate, sono stati neutrali nella guerra scoppiata nel 2003 e hanno ceduto tutti i loro armamenti, senza combattere, alle forze militari americane, che si sono impegnate ad assicurarne la protezione. (...)
Se il battaglione di protezione americano fosse ritirato, infatti, i suoi 3.500 rifugiati rimarrebbero alla mercé del regime di Teheran, che li considera il principale nemico.
Ad Ashraf sono arrivato con una delegazione che comprendeva il senatore Marco Perduca (Pd-Radicali), Yuliya Vassilyeva di Nessuno tocchi Caino, l’avvocato Stefano Menicacci e il vicesindaco di Cuneo Giancarlo Boselli (poiché Cuneo, medaglia d’oro al valor militare per la lotta contro il fascismo, si è definita «città sorella di Ashraf nella resistenza») Oggi il governo della città, che si estende su circa trentasei chilometri quadrati, è affidato soprattutto a donne, con decine di unità operative. A eccezione di alcuni responsabili politici, tutti indossano un’uniforme; le donne – circa la metà della popolazione – la integrano con un foulard che copre i capelli. Chi ha un ruolo di comando è riconosciuto in quanto tale, ma non ha alcun distintivo di grado. Si chiamano “fratelli” e “sorelle”; e lavorano per trasformare in orti e giardini la terra arida, per produrre container per uso civile per l’Iraq e per l’estero, per studiare sistemi per lo sfruttamento dell’energia solare e eolica. Negli ultimi anni sono stati costruiti monumenti («ogni città deve averne», dicono), piscine, una moschea dove donne e uomini possono recarsi insieme. L’atteggiamento verso il Corano è laico, rispettoso, aperto.
Tuttavia, c’è una storia di odio, di dolore e di sangue dietro questa utopia ai margini del deserto. Anche il suo nome è quello di una donna – Ashraf Rajavi – uccisa dalle guardie rivoluzionarie di Khomeini dopo avere lottato contro l’oppressione dello scià. La memoria dei caduti in combattimento e delle vittime del regime (nel solo 1998 furono giustiziati 33.400 mujahidin in poche settimane) è un elemento fondante. E il mazor – “luogo di incontro con i martiri” – continua ad accogliere i resti di quanti cadono negli attacchi terroristici che gli agenti dei mullah compiono in Iraq e in altri paesi. (Fonte: Donne Democratiche Iraniane in Italia)
Poi leggete anche qui: è un post molto lungo, ma merita permalink.
Malgrado questo, si legge serenità negli occhi dei residenti di Ashraf. Che sono certi che uno dei più violenti regimi della storia sarà sconfitto dalla sete di libertà che sentono crescere nella società iraniana. Per questo, sfidando i divieti, ogni mese qualcuno riesce a oltrepassare illegalmente il confine – a una novantina di chilometri – e a unirsi a loro.
Maryam, 27 anni, è amica e compagna di lavoro di Rahele. «Io ero soltanto cannoniera, non guidavo i carri armati» dice. Ma sua madre è stata uccisa in un’esplosione e il suo ritratto, come quello delle altre vittime del terrorismo, è nel museo del quale il padre di Maryam è responsabile.
Qui quasi ognuno, del resto, ha alle spalle tragedie personali, insieme a quella di un intero popolo. Said, 28 anni, da Teheran, ci sorprende citando un film di Pasolini, Salò, trovato nel fiorente mercato nero di dvd e videocassette della sua città: «Mostrava torture fasciste; ma in Iran c’è un reparto speciale delle carceri dove fanno di peggio» ricorda.
Molti fra i residenti di Ashraf erano stati arrestati e torturati per avere manifestato o distribuito dei volantini; o soltanto per essere parenti o amici di oppositori. Altri sono rimasti orfani dopo l’esecuzione dei loro genitori. È questo che è accaduto ai fratelli Faeze, Erfan e Ashkan: una ragazza e due ragazzi – fra i 18 e i 23 anni – dagli occhi ancora attoniti, che per anni il padre, dal carcere, aveva implorato di andare ad Ashraf. Lui, Abdolreza Rajabi, è stato ucciso il 30 ottobre.
Diverso è il caso di Behzad, 25 anni, ad Ashraf da prima della guerra: «Non mi mancava nulla di pratico nella vita privata. Ma mi mancava lo scopo nella vita. Vedere la repressione e la futilità mi faceva sentire nel vuoto.Ho conosciuto l’Ompi tramite la tv satellitare. Allora ho capito cosa dovevo fare».Sono forse milioni gli iraniani che riescono, illegalmente, a ricevere notizie dall’opposizione in esilio grazie alle antenne paraboliche. In questo modo, seguono tutte le manifestazioni per la libertà dell’Iran in ogni continente e l’evoluzione della linea politica stabilita dalla loro leader, Maryam Rajavi. Una donna che amano con dedizione profonda, e che negli ultimi anni si è espressa, oltre che per la parità uomo-donna e la separazione fra stato e religione, per l’abolizione della pena di morte. «Se vedete la sorella Rajavi, ditele che l’aspettiamo con ansia» dice Behzad.
Aggiunge Ashkan, 37 anni, sfuggito all’ondata di repressione degli universitari del 1999: «Attraverso il satellite, abbiamo imparato a considerare come fratelli tutti coloro che ci sostengono in Italia. Continuate a farlo finché l’Iran sarà libero». La maggioranza dei parlamentari italiani ha chiesto al governo di operare perché il consiglio europeo cancelli il nome dei mujahidin dalla lista europea delle organizzazioni terroristiche: un inserimento richiesto dal regime di Teheran, ma che la corte di giustizia di Lussemburgo ha più volte definito ingiustificato. Accanto a questa iniziativa, occorre ora sollecitare le forze della coalizione a mantenere fede al proprio impegno di assicurare la difesa di Ashraf, come previsto dalla IV convenzione di Ginevra, perché si eviti un nuovo caso Srebrenica.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Dev'essere stato un viaggio molto interessante.