mercoledì 30 giugno 2010

"ULTIME DA UN CERTO ISLAM: SE LAVORI SEI MORTA", di Souad Sbai

In realtà è purtroppo un classico... .

E’ a via di Torrenova, Tor Bella Monaca, periferia di Roma, che ci porta la scia della violenza di mariti e padri pronti ad annientare le donne della propria famiglia, perché considerate disonorate, ribelli, autonome, con la voglia di cercare di migliorare la propria condizione e quella della propria famiglia. Proprio ciò che dovrebbe costituire motivo di difesa strenua da parte delle femministe – il tentativo di emanciparsi tramite il lavoro – non provoca altro se non una coltre di silenzio.
Le agenzie ci hanno informato sull’ennesima cronaca di un tentato omicidio annunciato che sarebbe andato a buon fine se la figlia del cinquantenne egiziano, cui non andava che le donne della sua famiglia lavorassero, non fosse riuscita a sottrarsi al padre e a chiamare la polizia, mentre l’uomo si era gettato sulla moglie cercando di ammazzarla. La donna ha raccontato che entrambe erano quotidianamente oggetto di minacce e maltrattamenti: sarebbe toccato solo a lui, padrone e capo famiglia, lavorare e prendere le decisioni a casa.
Le donne sarebbero state uccise e “l’onta” sarebbe stata lavata. Così come ci testimoniano le altre migliaia di casi che ACMID Donna si trova a gestire: solo nel 2009, le telefonate ricevute sono state 5478. Si tratta di storie che raccontano di donne i cui diritti vengono continuamente derisi e oltraggiati: donne violate e abusate, trasformate in fantasmi, recluse a casa, dietro le sbarre dell’omertà, della paura e dell’indifferenza. Donne sole. Abbandonate da chi è pronto ad erigere bandiere in nome dei principi per i quali esse combattono mettendoci la pelle.
C’è la storia di Aisha, 19 anni, picchiata a sangue dal marito; quella di Samira, minacciata dal marito che vorrebbe portarle via la figlia di 3 anni. E infine ci sono le storie di donne già private dei propri bambini da mariti che sono scappati dall’Italia portandoli con sé, per punirle. Tra queste c’è Luisa, donna italiana sposata con un egiziano che l’ha sottoposta al matrimonio poligamico inserendo nel loro stato di famiglia la seconda moglie con i relativi figli.
Questo qualcuno dei numerosi episodi che si consumano lì dove regna l’ignoranza e il totale sprezzo dei diritti umani, lì dove alla donna non viene riconosciuta la dignità della propria esistenza. Spesso subiscono il matrimonio poligamico nonostante dal Marocco arrivino notizie confortanti: dall’approvazione della Moudawana tali matrimoni sono regrediti al numero irrisorio di 986 l’anno rispetto ai 62.000 all’anno contati prima della riforma del codice di famiglia.
E, se alcune “acute” femministe italiane hanno erroneamente e/o ideologicamente confuso la sacrosanta battaglia per l’affermazione dei diritti delle donne, del principio secondo il quale ogni vita è sacra e inviolabile, con una lotta a guardia e ladri, dove chi si impegna e si batte quotidianamente viene apostrofato in modo sprezzante come “carabiniere”, la realtà dei fatti, ancora una volta, ci da malauguratamente ragione.
Ragione di credere che esiste una condizione di segregazione delle donne all’interno delle comunità arabo-musulmane, e che di questo scempio sia necessario parlare. Ragione nel richiamare costantemente l’attenzione dei media e delle istituzioni contro un vero e proprio femminicidio ammantato di un sordido velo di omertà e di ipocrisia. Ragione nell’affermare con convinzione che è necessario agire con politiche di repressione e di integrazione reale e onesta all’interno dei ghetti comunitari. Ragione quando parliamo dell’improcrastinabilità di istruire e portare fuori di casa queste donne che a malapena sono in grado di parlare, che sono tenute all’oscuro dei loro diritti e dei loro doveri e cui molto spesso vengono sequestrati i documenti di soggiorno che il marito si occupa di conservare.
E’ terrorismo fisico e psicologico quello avanzato su queste vittime e chiedo che, come forma di terrorismo di genere, venga stigmatizzato e rigidamente sanzionato, fino ad arrivare alla revoca della cittadinanza a tutti quegli uomini, spesso e volentieri poligamici, che non attribuirebbero alla donna alcuno statuto, così come ho proposto alla Camera dei Deputati.
Mi chiedo allora: è questo il multiculturalismo che stiamo prospettando e mettendo in campo in Italia? E’ questo il lassismo sociale e antropologico che intendiamo ancora abbracciare? E’ questo quel furioso relativismo nichilista che, anziché operare per una vera integrazione, incoraggia l’isolamento e l’incomprensione attraverso un silenzio complice? Non possiamo più tollerare questo stato di abbandono in cui versano le tante donne immigrate. E non siamo disposti ad ascoltare prediche, rimbrotti, frecciate, da chi emana i suoi editti dai salotti buoni ma non è disposta a sporcarsi le mani. Da chi non capisce, non riesce a comprendere che supportare queste donne significa aiutare tutte le donne. E che per farlo non è necessario fare le ronde, ma basterebbe soltanto scrivere, denunciare, analizzare, fare fronte comune.
Un obiettivo purtroppo ancora oggi sacrificato in nome di partiti politici, correnti di pensiero, atteggiamenti e antipatie ad personam. Mentre intanto le donne continuano a morire. (Fonte: Souad Sbai , 29/6)
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IBI GIURA SULLA COSTITUZIONE E DIVENTA CITTADINA ITALIANA A TUTTI GLI EFFETTI: "QUESTO ERA IL SOGNO DI MIO PADRE"


Lo era già da tempo, con il cuore. Ma da ieri mattina, giorno del primo anniversario della strage di Viareggio, Ibi Ayad, l’unica superstite della famiglia marocchina distrutta dall’esplosione del 29 giugno 2009, è diventata ufficialmente cittadina italiana, giurando sulla Costituzione nella sala consiliare del Comune di Viareggio gremita di giornalisti della carta stampata e tv. Presenti alla cerimonia, conclusasi con l’inno nazionale, oltre al sindaco di Viareggio Luca Lunardini, tutta la giunta e i consiglieri,la senatrice del PD Manuela Granaiola, l’onorevole del PdL Deborah Bergamini, il dirigente del Commissariato di Polizia Leopoldo Laricchia e i comandanti dei Vigili del Fuoco e Polizia Minicipale Michele Iuffrida e Vincenzo Strippoli. “Mio padre è morto proprio mentre stava cercando di salvare dal fuoco i documenti necessari per chiedere la cittadinanza – ha ricordato Ibi, provata dal dolore e commossa. A parte la sorellina Iman, che era nata in Italia, ottenere la cittadinanza per tutto il resto della famiglia era il sogno del babbo di Ibi, “che si sentiva viareggino”. “Oggi sono particolarmente scossa, un anno fa ho perso tutta la mia famiglia, e il dolore è ancora forte – sono state la parole della giovane ragazza simbolo di quella tragedia immane come il piccolo Lorenzo Piagentini – ma sono contenta della cittadinanza, i miei genitori la desideravano molto, e io l’ho presa anche per loro”. (Fonte: http://www.laetitiatassinari.wordpress.com/ , 29/6)
Il giuramento di Ibi di ieri mattina è stata la prima cerimonia della lunga giornata di Viareggio: “E’ un giorno particolare, pieno di ricordi – sono state le parole del Pesidente del Consiglio Comunale Paolo Spadaccini -, e Ibi, che per un anno ha condiviso il dolore di tutta Viareggio, ormai è una di noi”. L’assise cittadina, tra l’altro, ha anche intrapreso una iniziativa umanitaria nei confronti di una cittadina del Marocco che oltre ad un gemellaggio tra i due consigli comunali dei bambini e delle bambine, prevede la escavazione di un pozzo che porterà acqua potabile a circa 20 famiglie e il dono di un’ambulanza. “La ricorrenza di oggi è piena di dolore e di emotività – ha aggiunto il sindaco -, ma anche si speranza. Ibi ha vissuto un dolore che non ha paragone, un lutto enorme e la cittadinanza italiana è il nostro modo per starle ancora più vicini”.
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venerdì 25 giugno 2010

SOMALIA: RAGAZZA ABBRACCIA IL CRISTIANESIMO, GENITORI LA INCATENANO AD UN ALBERO

Mogadiscio, 17 giu. (Adnkronos/Aki) - Incatenata a un albero di giorno e segregata in una piccola stanza buia di notte. E' la sorte toccata in Somalia a una ragazza di 17 anni, Nurta Mohamed Farah, che alcuni mesi fa ha deciso di rinunciare alla sua fede islamica per abbracciare il cristianesimo. A denunciare le drammatiche condizioni di vita della ragazza sono stati alcuni esponenti della comunita' cristiana del villaggio di Barhder, nella regione meridionale di Gedo, dove il fatto ha avuto luogo.

E ancora: Pakistan: donne e ragazze Cristiane denunciano abusi sessuali; capo-villaggio Musulmano espelle 250 famiglie Cristiane http://www.italian.faithfreedom.org/comment.php?t=2051 .

E poi: «Spari di vernice sulle cecene senza velo» http://www.corriere.it/esteri/10_giugno_21/cecenia-aggredite-donne-senza-velo_b7867fb2-7d18-11df-b32f-00144f02aabe.shtml .
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HO SCELTO IL CINEMA E HO LASCIATO L'IRAN PER UNA VITA SENZA VELI


GOLSHIFTEH FARAHANI E' LA PROTAGONISTA DI ABOUT ELLY, PREMIATO A BERLINO E USCITO IN ITALIA. E SARA' NEL CAST DEL PROSSIMO FILM DI MARJANE SATRAPI, CON CHIARA MASTROIANNI E ISABELLA ROSSELLINI.


Una dichiarazione fra tutte "Ve lo assicuro, i giovani iraniani si divertono come i giovani di tutto il mondo".
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martedì 22 giugno 2010

BRIDGET JONES IN RIVA AL NILO

Ghada Abdel Aal ( a destra) con Hend Sabri,
fra le attrici più note del Nordafrica, protagonista
della serie tv Voglio sposarmi ! tratta dal
libro di Ghada.

Il suo libro sulle single del Cairo è stato una vera rivoluzione. Ora diventa una fiction che sarà trasmessa in tutto il mondo arabo durante il Ramadan. A passeggio per la capitale d'Egitto con Ghada Abdel Aal e le sue amiche, parlando di uomini. E del coraggio di non sposarsi.

La scrittrice Ghada Abdel Aal non ama l’etichetta di “Bridget Jones del mondo arabo”, ma al primo incontro pare proprio di trovarsi di fronte alla pasticciona creatura di Helen Fielding in versione velata. Arriva all’appuntamento con due ore di ritardo, due chiacchiere, un sussulto: “Il mio computer! L’ho dimenticato nel taxi!”. Si precipita in strada nello sconclusionato inseguimento di un’auto già ingoiata dal traffico micidiale di downtown, un groviglio roboante che chi non è mai stato al Cairo non tenti nemmeno di immaginare. Mezz’ora e Ghada riappare, ansimante e depressa: “C’era tutto il mio lavoro, là dentro! Il nuovo libro, la sceneggiatura della fiction… Dovrò riscriverli interamente! E il computer era di mio fratello…”. Inutile stupirsi che non abbia fatto copia di nulla: che Bridget Jones sarebbe? Ricapitoliamo: siamo al Cairo per conoscere lei, il fenomeno editoriale (presto anche televisivo) Ghada Abdel Aal, e farci guidare dentro al suo mondo di single trentenni che nella middle class islamica e tradizionalista d’Egitto non si divertono esattamente come le protagoniste di Sex and the City né possono permettersi di essere sedotte e abbandonate come Bridget Jones. Ghada, 31 anni e farmacista, ha riassunto le sue peripezie e quelle delle amiche nel personaggio di Bride, protagonista di un blog di culto (wanna-b-a-bride.blogspot.com, in arabo purtroppo) e del bestseller Che il velo sia da sposa! (pubblicato in tutto il mondo, in Italia dalla casa editrice Epoché), dove con garbo e irresistibile sarcasmo sdogana il gran tabù delle ragazze egiziane: il desiderio di maritarsi con il vero amore, senza accontentarsi di goffi pretendenti presentati da amici e parenti che nel libro compongono un’esilarante galleria di tipi umani. Il medico abbigliato di mille colori che, nel salotto della papabile moglie, chiede di guardare la partita in tivù; il poliziotto che millanta passeggiate romantiche e poi la porta a un posto di blocco, inseguimento di malavitosi incluso; il corteggiatore di classe incontrato sull’autobus che alla fine le sfila il portafoglio. Ne compaiono molti altri nella fiction Voglio sposarmi! che sarà trasmessa durante il Ramadan d’agosto, in Egitto e sui maggiori canali tv del mondo arabo. “Pensa, è stata Hend Sabri in persona (fra le più note attrici del Nordafrica, ndr) a telefonare per la parte di Bride” gongola Ghada mentre assistiamo a un ciak della serie in uno studio vicino alle Piramidi di Giza. Eppure, in barba al successo, ai quasi 5000 amici guadagnati su Facebook e ai suoi gruppi di fans, la ragazza con l’hijab e la battuta pronta continua a non battere chiodo: “Ora è più difficile trovare marito” ride. “Ho criticato la società scrivendo che è ingiusta verso le donne: qui, se hai 30 anni e non sei sposata significa che sei difettosa. Gli uomini non mi si avvicinano per paura di ritrovarsi nel mio prossimo libro...”.

Una scena del film, girata allo studio Misr al Cairo

Tanti aspetti di questa società di formalismi li ascoltiamo passeggiando con Ghada e le sue amiche Enas, Shaima e Rania nel parco Al Azhar del venerdì di festa, sulla Corniche lungo il Nilo, per i negozietti meno turistici del labirintico suq di Khan El Khalili, e pranzando al Felfela sulla Talaat Harb, la via dello shopping, quella dove c'è anche il palazzo Yacoubian del libro bestseller di Alaa Al-Aswany.Vorremmo esplorare i luoghi del Cairo dove ci s’incontra e innamora, ma loro spiegano che le ragazze per bene non escono la sera se non accompagnate da padre o fratello (e sai che divertimento), non frequentano i locali alla moda come il Cairo Jazz Club, fumoso e pieno d’alcol e stranieri, o il più chic Bodega a Zamalek, dove vanno gli amanti furtivi dell’upper class. Qualche coppia si nasconde all’ombra del palazzone governativo in piazza Al Jahrer, cuore di downtown, invece loro, trentenni costrette a mantenere una buona reputazione, siedono al French Café sulla terrazza del parco bevendo cappuccini e frappè al cioccolato, in una Sex and the City in salsa velata e castissima.“Da noi non esiste l’opzione boyfriend” spiega Ghada. “Il fidanzato è solo il futuro marito: lo incontri a casa dei tuoi, con la porta della stanza aperta, oppure fuori ma con qualcuno di famiglia. Al terzo appuntamento già parli di chi acquisterà la lavatrice e chi il materasso. E se chiedi di vederlo altre volte per conoscerlo meglio, lui ti risponde: perché mai? Io ho una casa, un lavoro, non basta?”. Shaimaa, 28 anni, è una specie di kamikaze: ha rotto tre fidanzamenti con ragazzi arroganti e taccagni, che avevano subito messo in chiaro che lei, dopo il matrimonio, avrebbe detto addio al suo lavoro di graphic designer. Anche Rania, che è alta, bella, laureata all’Università americana e professionista di marketing, ha detto basta alla processione di pretendenti: “Uno peggio dell’altro” sorride. “Anche quelli laureati non tollerano che tu abbia una personalità e desideri una carriera. Così ho deciso che resterò sola, e da noi significa zitella, a casa dei genitori e ignara del sesso: qui una single non può avere delle relazioni o vivere per conto suo, sarebbe esclusa dalla società”.

Il sesso, a proposito. Nel libro di Ghada è il grande assente, ed è stato anche il suo pudore socialmente corretto a fargli vendere tanto in Egitto: “Le ragazze, qui, si sposano per essere indipendenti dalla famiglia, avere una bella festa di matrimonio e dei figli; gli uomini, solo per fare sesso gratis!” dice Ghada. “Le egiziane si trasformano da ragazze a madri, ed è tutto. Io non istigo rivoluzioni, solo vorrei che le donne credessero di più nel loro diritto di scegliere. Le femministe egiziane fanno l’errore di attaccare la religione, e così allontanano la classe media che è la maggioranza della popolazione: i loro discorsi vengono pubblicati su Facebook solo per riderne”. Le quattro amiche raccontano poi di quanto siano diffuse le molestie sessuali sugli autobus, per strada, sul lavoro, e alla fine gli uomini egiziani ne escono grotteschi e arrapati: “Ti parlano e dopo mezz’ora ti hanno già immaginata nuda” esclama Rania. “Sono arroganti: escono con te e sembra ti facciano un favore, perché saranno loro a sceglierti come moglie e tu devi solo startene nel tuo salotto ad aspettare che qualcuno ti voglia…”.Ma perché, allora, ripetere come un mantra “voglio sposarmi”? “Che domande!” salta su Ghada. “Fa comodo qualcuno che cambi la bombola del gas e ammazzi gli scarafaggi in casa”. Proprio un bel pasticcio, Bridget Jones. (Fonte: http://www.emanuelazuccala.blogspot.com/ , 29/5, da "IO DONNA")

Sempre dall'Egitto, è di poco tempo fa la notizia che gli egiziani che sposano israeliane rischiano la perdita della cittadinanza: http://www.adnkronos.com/IGN/News/Esteri/Mo-egiziani-che-sposano-israeliane-rischiano-perdita-cittadinanza_497734625.html .

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domenica 20 giugno 2010

"E' MORTA MA IL REGIME HA PAURA DI LEI". LA MAMMA DI NEDA SVELATA DA UN FILM




Un documentario racconta la famiglia della ragazza uccisa a Teheran dai miliziani iraniani.

«Neda è morta ma il regime ha ancora paura di lei». La madre di Neda Agha-Soltan parla nel documentario ’For Nedà, che andrà in onda lunedì su Hbo negli Stati Uniti, in coincidenza con l’anniversario delle manifestazioni seguite alla contestata rielezione di Mahmud Ahmadinejad il 12 giugno 2009. «Più il governo tenta di impedire di ricordare Neda, più la sua storia si diffonde».
È per questo che Saeed Kamali Dehghan, giornalista iraniano del Guardian, è tornato a Teheran, per incontrare la famiglia di Neda che dopo la sua morte si era chiusa nel silenzio, e per raccontare la storia della ragazza uccisa a Teheran il 20 giugno scorso durante una manifestazione. Il video “rubato” che ne ritrae l’agonia, il suo volto insanguinato, ha fatto il giro del mondo grazie a Internet e Neda (che in persiano vuol dire “Voce”) è diventata il simbolo del dissenso, di quella voce che si è levata all’unisono dalle strade di Teheran, soffocata nel sangue ma non messa a tacere. «Dopo quel video l’Iran non sarà più lo stesso. Dopo quel video il mondo non guarderà più all’Iran nello stesso modo», dice Arash Hejazi il medico che ha tentato di soccorrere Neda, poi costretto a lasciare il Paese.
Durante quest’anno la madre, Hajar Rostami, ha pubblicato foto e ha risposto a qualche domanda via mail, ma la famiglia non ha mai voluto incontrare i giornalisti. Quando però ha deciso di aprire le porte della sua casa nell’est di Teheran, di far entrare le telecamere, è stato un fiume in piena, con racconti e immagini che ricostruiscono la storia di Neda, ma attraverso i quali il film, diretto dal regista britannico Antony Thomas e coprodotto dallo stesso Dehghan con Hbo (anticipato online), diventa anche un intenso viaggio in quei drammatici giorni di un anno fa in Iran. Non senza qualche reazione da parte delle autorità di Teheran: la versione in persiano del documentario è stata trasmessa i primi di giugno dal canale satellitare Voice of America Persian Tv, ma - stando a testimoni - la sua visione è stata boicottata con interferenze nelle trasmissioni e interruzioni dell’energia elettrica.
«Fin da bambina è stata una ribelle - racconta la madre di Neda - da piccolissima ha protestato perchè non voleva portare il velo, e l’ha avuta vinta». Ma era anche una ragazza come molte altre in Iran. Da un anno la sua stanza è rimasta intatta: il poster di Mark Knopfler dei Dire Straights, i libri preferiti che teneva in bella mostra, anche quelli vietati: da Siddharta a Cime tempestose, il romanzo che amava più di tutti. Era molto legata al fratello Mohammed, di 23 anni, Con cui usciva, condivideva amicizie e andava alle feste, naturalmente “segrete”. Mohammed non si taglia i capelli da un anno: «La mattina del giorno in cui fu uccisa ci incontrammo e i miei capelli erano un pò lunghi, lei mi disse che le piacevano in quel modo. Dalla sua morte non li ho più tagliati».
Come tante in Iran è anche la sua famiglia, sua madre una casalinga distante dalla politica. «Non sono una politica, sono una madre iraniana molto comune, ma dalla morte di Neda non posso fare a meno di informarmi, non posso rimanere indifferente davanti a quanto accade nel mio Paese». Soprattutto non si lascia intimidire, anche dai tentativi della autorità di sminuire e “riscrivere” la storia della morte di Neda (fu attribuita anche alla Cia, o a giornalisti della Bbc): «Neda è stata uccisa, è morta, ma loro ne hanno ancora paura. La sua memoria diventa più vivida ogni giorno». (Fonte: http://www.lastampa.it/ )

Iran: NON SI VOLA SENZA VELO, 71 DONNE BLOCCATE AL CHECK - IN http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/201006articoli/56051girata.asp . Leggi tutto ...

venerdì 18 giugno 2010

ANCORA VIOLENZE LEGATE AL VELO

UCCISE FIGLIA, ERGASTOLO A PACHISTANO. CANADA, LA RAGAZZA NON PORTAVA IL VELO


http://www.tgcom.mediaset.it/mondo/articoli/articolo484241.shtml .

"L'IMAM MI HA FATTO PICCHIARE PERCHE' LE MIE FIGLIE NON PORTANO IL VELO"

La vittima del pestaggio, a destra

http://iltirreno.gelocal.it/versilia/cronaca/2010/06/18/news/l-imam-mi-ha-fatto-picchiare-perche-le-mie-figlie-non-portano-il-velo-2096387 Leggi tutto ...

mercoledì 16 giugno 2010

SOUAD SBAI: VI RACCONTO LA RABBIA DEI MAROCCHINI CONTRO IL PADRE DI SANAA

“L’ergastolo non è sufficiente”. Sono state queste le prime parole di Massimo De Biasio alla lettura della sentenza del Gup di Pordenone che ieri ha condannato al carcere a vita il padre di Sanaa Dafani per l’assassinio della figlia, decapitata il 15 settembre 2009 ad Azzano Decimo, Pordenone. L’immigrato marocchino era accusato di omicidio volontario aggravato da vincoli di parentela e di lesioni gravi ai danni di Massimo, il fidanzato di Sanaa, che in ogni modo tentò di opporsi a quell’esecuzione. Un assassinio compiuto con un grosso coltello da cucina che l’uomo, El Kataoui Dafani, aveva acquistato poco prima del delitto. Motivo: punire la figlia per il suo stile di vita “troppo occidentale” e per la colpa di amare un ragazzo italiano.
Tra le parti civili, oltre a De Biasio, la Provincia di Pordenone e la Regione Friuli Venezia Giulia, c’era anche l’Associazione delle donne marocchine in Italia.
“Questa sentenza dimostra a quegli immigrati che credono ancora che nel nostro Paese si possa fare tutto che così non è – spiega a Panorama.it la presidente, e parlamentare del Pdl, Souad Sbaiun atteggiamento che prova il fallimento del processo d’integrazione della prima generazione”.

Lei crede che questa sentenza possa davvero servire a frenare gli atti di violenza sulle donne musulmane da parte dei loro familiari?

Serve ma è una goccia nel mare. Ancora di più servirebbe liberare queste donne dall’analfabetismo e dalla segregazione. A Pordenone, durante il processo, guardandomi intorno mi è preso un colpo: non c’era una donna musulmana in giro. Eppure c’è una comunità molto importante di maghrebini. Ma le donne non escono, non lavorano, non partecipano a nessuna attività della vita sociale. Sono terrorizzate

Ci si accorge di loro solo quando vengono ammazzate…

Il problema è proprio questo e ce l’ho, in particolare, con quelle italiane che si svegliano solo quando le cose sono grosse, che si sentono ancora femministe e si offendono se le rimprovero questa indifferenza. Nessuno chiede loro di fare le carabiniere, come hanno scritto, semplicemente vorrei che non smettessero di fare le battaglie raccontando come stanno davvero le cose.

Cosa pensa delle parole del fidanzato di Sanaa che dopo la sentenza ha detto che l’ergastolo non è sufficiente?

Io lo capisco. L’ho incontrato e ho visto un ragazzo distrutto dentro. Io avrei detto la stessa cosa. E’ stato massacrato anche lui con delle coltellate. Ancora non riesce ad uscire da questo dramma

In Marocco cosa pensa la gente di questa storia?

In Marocco e in tutto il mondo, la gente pensa le stesse cose che ha detto Massimo. Già a settembre, quando avvenne il fatto, i marocchini rimasero scandalizzati. E’ normale che qualsiasi essere umano provi questo sentimento di fronte a una ragazza decapitata, massacrata, solo perché vuole vivere all’occidentale con il suo ragazzo, come d’altra parte vivono i suoi coetanei in Marocco.

Cosa dicono esattamente del padre di Sanaa?

Dicono: datecelo a noi

SOUAD SBAI, "COMBATTO IL SILENZIO ASSORDANTE SULL'INTEGRALISMO":

http://www.ladiscussione.com/archivio/n133_160610.pdf .
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lunedì 14 giugno 2010

DELITTO DI SANAA, ERGASTOLO AL PADRE

Sgozzò figlia per fidanzato italiano

E' stato condannato all'ergastolo El Kataoui Dafani, che il 15 settembre 2009 uccise ad Azzano Decimo (Pordenone) la figlia Sanaa, di 18 anni. L'immigrato marocchino era accusato di omicidio volontario aggravato da vincoli di parentela e di lesioni gravi (anzichè tentato omicidio, ndr) ai danni del fidanzato italiano di Sanaa, Massimo de Biasio, che aveva tentato di difendere la ragazza. Sanaa venne sgozzata dal padre con un grosso coltello da cucina.
''L'ergastolo non è sufficiente''. Queste le prime parole di Massimo De Biasio, fidanzato di Sanaa Dafani, dopo la sentenza del Gup di Pordenone. Circa il risarcimento danni, il giudice ha riconosciuto la cifra simbolica di un euro per la Provincia di Pordenone, la Regione Friuli Venezia Giulia e l'Associazione delle donne marocchine in Italia, mentre ha stabilito in 50 mila euro la provvisionale in favore di De Biasio, rimettendo a un'eventuale causa civile la cifra da erogare in favore del Ministero delle Pari Opportunità. Per la presidente dell'Associazione donne marocchine, on. Souad Sbai ''la sentenza di oggi ha dato un po' di vita a tutte quelle donne che vivono l'inferno in questo Paese, finalmente ha dato loro una speranza''. Il legale dell'imputato, Leone Bellio, ha annunciato ricorso in appello considerando la sentenza troppo dura rispetto al reato commesso e alla circostanza di aver scelto il rito abbreviato, che dà diritto allo sconto di un terzo della pena (che coraggio ... ) (Fonte: http://www.tgcom.mediaset.it/ )

In merito vedi Souad Sbai .

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DELITTO SANAA, IL PADRE A PROCESSO: "PERCHE' LE FEMMINISTE NON CI SONO?"


Via all'udienza per la 18enne marocchina accoltellata perchèamava un giovane italiano.

PORDENONE Udienza del processo con rito abbreviato oggi presso il Tribunale di Pordenone per l’omicidio di Sanaa Dafani. La giovane di origine marocchina di 18 anni accoltellata a morte alla gola il 15 settembre 2009 in un boschetto a Montereale Valcellina, in provincia di Pordenone . Accusato della morte della giovane il padre il padre di 45 anni, El Katawi Dafani, che lavorava come cuoco in un ristorante della città. L’uomo non condivideva la relazione della figlia con Massimo De Biasio, di 31 anni, un giovane del luogo con il quale Sanaa era di recente andata a convivere. Il ragazzo è stato a sua volta ferito alle mani e all’addome dalla furia di El Katawi, «Per la prima volta - spiega all’ADNKRONOS Souad Sbai parlamentare del Pdl e presidente di Acmid Donna, associazione donne marocchina in Italia oggi a Pordenone per la nuova udienza del processo - siamo parte civile in un processo. Non avrei mai voluto essere qui per una vicenda così dolorosa. Qui a Pordenone all’interno della comunità marocchina c’è un clima teso, molto teso, sembra essere molto controllata, un controllo che mi angoscia. Una situazione che definirei asfissiante». «Essere qui oggi - sottolinea Souad Sbai - è importante e bisogna andare fino in fondo. In questo processo non deve essere riconosciuta nessuna attenuante ma il massimo e la certezza della pena. È morta una ragazza che voleva solo integrarsi, che voleva vivere in questo Paese». Sbai lancia un appello alla comunità marocchina e anche italiana: «Reagite all’arroganza di certi personaggi che fanno da capi e che vogliono controllare la comunità, che la deviano verso un integralismo violento, lontano da quella che è l’integrazione». «C’è un controllo sulla madre di Sanaa - spiegano i legali delll’associazione donne marocchine in Italia Loredana Gemelli e Gerardo Milani - che è patologico, nonostante sia parte lesa aspetta fuori dall’aula senza mai entrare. Emblematico è il fatto che il fidanzato di Sanaa si sia avvuicinato e lei abbia risposto che ha avuto ordine di non parlare con lui. Noi a questo punto ci chiediamo da chi ha avuto quest’ordine?». (Fonte: http://www.lastampa.it/ )
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domenica 13 giugno 2010

FINIRA', PRIMA O POI?

MILANO, PICCHIA MOGLIE PERCHE' NON INDOSSA VELO: PRESO MAROCCHINO. INCINTA, PRESA A BOTTE E COLPI DI FERRO DA STIRO DAVANTI AI FIGLI

Milano, 11 giu. (Apcom) – Un cittadino di origine marocchina è stato arrestato dai carabinieri per aver picchiato a mani nude e con un ferro da stiro la moglie incinta di sei mesi davanti ai due figli perché si rifiutava di indossare il velo islamico. L’episodio è avvenuto nella serata di domenica scorsa in uno stabile di via dei Tigli a Melegnano, nell’hinterland Sud di Milano. La vittima è una donna 32enne anche lei di origine marocchina, che ora si trova ricoverata all’ospedale di Vizzolo Predabissi (Milano) con una prognosi di 20 giorni.
I bambini, di 6 e 9 anni, terrorizzati, sono corsi dal vicino di casa dicendogli “il papà sta cercando di uccidere la mamma”, e il vicino ha chiamato immediatamente il 112. Secondo quanto riferiscono i carabinieri, quando dopo pochi minuti, i militari di Melegnano sono entrati nell’abitazione l’uomo ha cercato di nascondere il ferro da stiro.
L’uomo, E.K.A. di 41 anni, con precedenti per guida in stato di ebbrezza e uso di documenti falsi, è stato arrestato per lesioni personali aggravate e maltrattamenti in famiglia. Botte, con il solito, triste, corollario di offese e minacce, che avevano già portato al ricovero in ospedale nel maggio scorso della donna. La donna, che subiva da tempo le violenze del marito, non lo aveva mai voluto denunciare.
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venerdì 11 giugno 2010

MATRIMONI MISTI, SBAI (PDL): "LA CAMERA APPROVA L'ABOLIZIONE DELL'OBBLIGO DELLA CONVERSIONE DEL CITTADINO ITALIANO CHE SPOSA UNA DONNA STRANIERA"

“Per l’Italia e per gli stranieri oggi è una giornata storica! Finalmente alla Camera dei Deputati le norme che regolano il matrimonio tra un cittadino italiano e una straniera sono state semplificate di modo che l’unione matrimoniale italiana non sia più piegata a leggi estere che spesso sono lesive del principio di uguaglianza tra uomo e donna costituzionalmente garantito, nonché del principio della libertà di matrimonio e di quella di confessione”. Questo il commento dell’On. Souad Sbai, parlamentare del PdL, che assieme all’On. Manlio Contento, si è fatta promotrice di un emendamento che modifica l’art 116 del codice civile.
La questione sarebbe legata alle conversioni religiose dei cittadini italiani spesso necessarie per sposare una donna straniera (musulmana !), norma che verrebbe richiesta solo alla futura sposa, ponendo de facto una discriminazione di genere imposta dalle leggi del Paese di provenienza della donna e nettamente in contrasto con i principi della Costituzione italiana.
“Da oggi, in caso di rifiuto del nulla osta, o decorsi i termini di 90 giorni, l’ufficiale di stato civile è tenuto a verificare che le leggi del Paese di provenienza di un coniuge non entrino in contrasto con l’Ordine Pubblico Italiano, come previsto dal diritto internazionale privato secondo cui, in tal caso la legge straniera non può essere applicata”, ha chiarito la parlamentare. (Fonte: Souad Sbai , 9/6)
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martedì 8 giugno 2010

SALUTE, DONNE ISLAMICHE DAL MEDICO? SOLO SE DA' IL CONSENSO IL LORO IMAM

L’idea choc è promossa dal coordinatore sanitario degli immigrati in Toscana, ma la pratica è già diffusa da anni.

Se a Firenze vuoi fare prevenzione tra le donne musulmane, devi passare dalla moschea. È il coordinatore sanitario degli immigrati in Toscana a promuovere questa dinamica; spiegando che, senza il placet dei leader religiosi, non si riesce a portare le donne islamiche negli ospedali. Dunque, anziché avvicinare le donne al sistema sanitario italiano, alla gratuità di alcuni suoi servizi fondamentali, come la prevenzione dalle malattie che colpiscono in modo particolare le anziane, agevolare il confronto con altre donne italiane, in autonomia e senza distinzioni religiose, favorendo l’integrazione, meglio riconoscere legittimità agli imam e accrescere il loro potere di veto. «È molto importante coinvolgere i capi e i leader delle comunità, perché senza di loro non puoi muovere niente», spiega Omar Abdulcadir, che spesso raggiunge la moschea per cercare di avere dalla sua parte i capi religiosi, come lui stesso li definisce. Ma c’è di più: Omar Abdulcadir, che dirige anche il Centro regionale per la prevenzione e cura delle complicanze legate alle mutilazioni genitali femminili, ammette di aver ceduto alla moschea di Firenze una parte dei finanziamenti ottenuti dalla Regione Toscana. Quei soldi sarebbero dovuti servire alla struttura sanitaria per fare prevenzione tra le donne immigrate, indagare la presenza di carcinomi o patologie individuabili soltanto con un esame medico. Una parte di quel finanziamento è finito invece nelle casse di guide spirituali e associazioni islamiche, a cui il medico somalo Omar Abdulcadir ha «commissionato» una sorta di promozione del servizio di prevenzione: «Io vi do i soldi che ci ha dato la Regione, voi mi fate questo servizio nella moschea», ha sintetizzato in un seminario di formazione a porte chiuse a cui Il Giornale è riuscito a prendere parte. «Certe figure possono influenzare», dice alla platea il medico di origine somala. Dunque ben venga l’autorità degli imam di decidere se e quando una donna musulmana può recarsi in ospedale per una visita di controllo. Stando alla testimonianza di Abdulcadir, questa sembra essere una prassi diffusa in Toscana, tanto che lui stesso suggerisce agli operatori sanitari intervenuti al seminario sulla “Salute Interculturale”, che si è tenuto a Teramo questa settimana, di assumerla come un valido modello per poter svolgere il lavoro di medico che incontra sul suo sentiero una comunità di immigrati: «Attingere a queste fonti è una nostra responsabilità – dice – perché molti problemi possiamo risolverli senza usare il manganello». Abdulcadir è lo stesso medico che nel 2004 propose la possibilità di praticare, previa l’applicazione di pomata anestetica, una puntura di spillo sul clitoride delle ragazze africane che vivono in Toscana per far uscire qualche goccia di sangue. Ad uno ad uno aveva convinto i «rappresentanti» delle immigrate africane ad accettare la sunna rituale in nome di una «identità culturale» a suo dire «molto importante per vivere in sintonia»; limitando forse il danno provocato dall’infibulazione – in Italia vietata per legge – ma di fatto riconoscendo un’usanza tribale contro cui le istituzioni nazionali si sono battute per anni, continuando a promuovere il superamento di questa pratica anche nei Paesi africani. Vedi l’impegno di Emma Bonino, che del tema si occupa dal ’99 e ha contribuito alla firma del Protocollo di Maputo, il documento che si prefigge l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili entro il 2020. A suo tempo, Bonino definì il tentativo di Abdulcadir un «frutto dell’ignoranza», spiegando che sarebbe «come parlare di pena di morte discutendo se sia meglio la ghigliottina o l’iniezione letale». A distanza di anni, il medico somalo non sembra aver cambiato approccio e il fatto che promuova i gestori dei centri islamici o delle moschee al rango di capi comunità, riconoscendogli il ruolo di leader quando la maggior parte degli immigrati musulmani non è neppure praticante, dovrebbe far riflettere. Soprattutto perché le sue teorie continuano ad essere proposte nei seminari «di formazione» promossi dalle Asl. E non si capisce in che modo un’affermazione quale: «Nelle società poligamiche ci sono meno disturbi a livello di menopausa e sterilità», possa aiutare gli operatori sanitari che partecipano ad incontri sulla mediazione culturale in ambito sanitario a migliorare il proprio lavoro in Italia. (Fonte: http://www.ilgiornale.it/ , 30/5)

«Così la nostra comunità fa dieci passi indietro», intervista a Bouchaib Gamal, Presidente del Movimento dei Musulmani Moderati in Italia. Leggi tutto ...

CUNEO, RAGAZZA MAROCCHINA PICCHIATA DALLE COMPAGNE: ERA USCITA CON UN ITALIANO

Ad aggredirla, dopo l'uscita da scuola, quattro studentesse italiane tra i 15 e i 17 anni, tutte di Alba. Sono state denunciate ai tribunale di minori per minacce e lesioni.

Cuneo, 8 giugno 2010 - Hanno aggredito a calci e pugni una compagna di scuola marocchina per punirla di essere uscita insieme a un ragazzo italiano: quattro studentesse italiane tra i 15 e i 17 anni sono state denunciate per minacce e lesioni personali dai carabinieri della Stazione di Alba (Cn).
L’aggressione si è verificata dopo l’uscita da scuola, intorno alle 13,30. Tutte le regazze frequentano un istituto professionale di Alba. La vittima si era recata alla stazione per prendere il treno per casa (è residente a Bra), quando le quattro compagne di scuola l’hanno aggredita, prima con insulti e minacce e poi passando alle mani.
La ‘colpa' della ragazza marocchina, a loro avviso, era quella di essere uscita sabato pomeriggio insieme a un ragazzo italiano loro amico, fatto che ha scatenato la loro gelosia e ha originato la spediszione punitiva. Alcuni pendolari presenti sul posto hanno segnalato ai carabinieri quanto stava accadendo.
La ragazza picchiata è stata trasportata all’ospedale San Lazzaro dove è stata emessa una prognosi di 5 giorni: i medici le hanno riscontrato contusioni alle gambe, distorsione del collo e varie escoriazioni e graffi a braccia e labbra. I militari intanto hanno rintracciato le quattro ragazze responsabili dell’aggressione, denunciate ai tribunale dei minori di Torino.
Non si esclude che le le giovani denunciate, tutte di Alba, siano responsabili di altre aggressioni a coetanee. (http://www.quotidianonet.ilsole24ore.com )

Ticinonews - Islam: Egitto; alta corte,no definitivo a esami col niqab .

ADUC - Immigrazione - Notizia - SPAGNA - Il comune di LLeida vieterà burqa e niqab negli uffici pubb .


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domenica 6 giugno 2010

LIBANO: SPOPOLA LA CANZONE MASCHILISTA, DONNE IN PIAZZA PER PROTESTARE

PER ISKANDAR ALLE RAGAZZE BASTA REGNARE NEL CUORE DEL LORO UOMO E STARE AI FORNELLI.

Beirut, 6 maggio 2010 – «Il tuo mestiere è stare nel mio cuore, è sufficiente che tu sia la presidentessa della Repubblica del mio cuore». È questo il testo della canzone che l’artista Mohammed Iskandar ha dedicato a sua moglie e che nelle ultime settimane ha scalato le classifiche dei brani più trasmessi alla radio in Libano. Ma se ‘Repubblica del mio cuore” ha conquistato l’apprezzamento degli uomini, non è piaciuta affatto all’altra metà della popolazione libanese e soprattutto agli ambienti femministi, scatenando un’ondata di proteste. A Beirut le donne sono scese in piazza munite di striscioni con slogan del tipo ‘Giornalista, medico, avvocato. La donna non è solo tua moglie”. Il titolare di un negozio di dischi a Hamraa Street, nel centro di Beirut, ha spiegato all’agenzia tedesca Dpa che sono i tassisti i principali acquirenti dell’album di Iskandar.
Le poche donne che ne hanno fatto richiesta, avrebbero spiegato di essere spinte dalla curiosità per questo cantante, che invita le signore a «tornare in cucina». La protesta non si è limitata al Paese dei Cedri. Un’organizzazione femminista siriana ha rivolto un appello nei giorni scorsi «a tutte le donne e a quegli uomini che hanno un rapporto normale con la propria mascolinità a inviare messaggi di protesta alle emittenti radiofoniche siriane che trasmettono questa canzone». «Non riesco a credere che qualcuno canti una canzone simile nella nostra epoca. Penso che tutte le donne nel mondo arabo dovrebbero sporgere denuncia contro di lui», ha dichiarato Randa Atiyeh, artista libanese di 47 anni. «Vi prego, qualcuno informi questo individuo che non viviamo più nel Medioevo», ha detto la studentessa Lara Daw, di 20 anni. Solo le donne giordane sembrano non condividere questo sentimento di indignazione per la canzone. Nel regno hashemita, che ha una società notoriamente più conservatrice, il tormentone è piaciuto agli ascoltatori di entrambi i sessi, tant’è che molte donne lo hanno scelto come suoneria per il cellulare. Il cantante Muhammad Iskandar sembra avvezzo alle provocazioni. Già in passato una sua canzone aveva suscitato un grande dibattito. «Sono io che ti proteggo, sono io che ti guardo… Non provare a rispondere al telefono se io non sono al tuo fianco», recitava il testo. (Aki)

Il testo della nuova canzone, invece, inizia con "ragazze, lasciate perdere l’università e il lavoro / la vostra occupazione è di amarmi / non avrete tempo per altre attività / siate il presidente della repubblica del mio cuore".
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KABUL SOTTO IL BURQA. I DESIDERI SVELATI DELLE DONNE

Articolo:

http://www.zeroviolenzadonne.it/rassegna/pdfs/7754990183fcc4a33eb9a0b736237f63.pdf Leggi tutto ...

giovedì 3 giugno 2010

IRAN, UOMINI COL CHADOR PER SOSTENERE MAJID

Una campagna mondiale per chiedere la liberazione di un leader studentesco iraniano: centinaia di uomini in abiti femminili. Majid Tavakoli (1986) è un leader studentesco iraniano arrestato il 7 dicembre 2009 dopo aver tenuto un discorso contro il regime all'università di Teheran dava...nti a 1500 persone. Fonti indipendenti riportano che sia stato picchiato e torturato. Ora si trova in isolamento e ha iniziato lo sciopero della fame. Dopo l'arresto il regime aveva fatto circolare foto dei Majid vestito da donna con l'obbiettivo di screditarlo. E' stata lanciata una campagna di mobilitazione mondiale per la liberazione di Majid riprendendo proprio questo episodio. I protagonisti della campagna sono uomini, iraniani e non, vestiti da donna e col chador con lo slogan 'I'm Majid'.

http://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Ftv.repubblica.it%2Fmondo%2Firan-uomini-col-chador-per-sostenere-majid%2F47994%3Fvideo&h=4eae9 .
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