sabato 28 febbraio 2009

SANGUE ARABO, RAZZISMO, INTOLLERANZA RELIGIOSA

«(…) i miei non accettano che io sposi un uomo non arabo, questo è il fatto... a loro non importa se lui è o meno musulmano, cioè per loro è scontato che lui si converta, loro non lo accettano a priori proprio perchè non ha sangue arabo».



Ma a un certo punto la stessa ragazza dice: « (...) io voglio che lui vada sulla retta via...credo che lui abbia il giusto cuore per farlo...e io non posso pensare che lui finisca nelle fiamme io lo devo salvare...almeno ci devo provare, ma ho paura di sbagliare... ». qui (Fonte: "Unpoliticallycorrect")


A proposito di razzismo e soprattutto di intolleranza religiosa, questo è un articolo di qualche giorno fa:


Gli arabi contro Di Caprio per la «sionista» Rafaeli. Il blog di Al Arabiya: «Chi cambia religione va all'inferno. Chi passa al nemico anche peggio». L'attore si sarebbe convertito all'ebraismo per amore della top model. (Fonte: "Corsera", 24/2).



Eccone alcuni stralci:

"L'amore cambia tutto, direbbe il poeta, e per amore (dice la stampa araba) Leonardo Di Caprio sarebbe pronto a cambiar fede. A sposare Bar Refaeli, top model israeliana che non si sa mai bene se è ancora sua fidanzata. E già che c'è, «per espresso desiderio del futuro suocero», a convertirsi all'ebraismo. La chiacchiera finisce nel tg di Al-Arabiya e diventa quasi una notizia. Uno scandalo: ma chi, il Di Caprio che vota Barack Hussein Obama, che rimproverava gli sceneggiatori «antiarabi» di Hollywood, che recita con le attrici iraniane? (caro Leo, le iraniane non sono arabe!) Vero o falso, tanto basta: il blog del network s'intasa d'insulti, invettive, vaderetro. 114 messaggi, e solo perché la direzione censura i più duri".

Tra i commenti anche questo, di una ragazza: «Non ci perdiamo molto, habibi, diventa quel che vuoi: congratulazioni per la tua religione e per la tua puttanella ebrea» (un'ex ammiratrice)

Per la cronaca Bar Rafaeli , la"puttanella ebrea" di Di Caprio (neanche "israeliana": proprio "ebrea", eh!) sul numero del 4.10-'07 di "Yedioth Ahronot" aveva dichiarato: "Non mi pento di avere evitato la leva" (si è sposata per questo!). "Perché mai morire per il proprio paese? Non è meglio vivere a New York? Perché dei diciottenni devono sacrificare le loro vite? E’ stupido che si debba morire per poter restare in Israele". Giusto per avere un' idea di quale "sporca sionista" si tratti ... . Leggi tutto ...

"LE MIE NOZZE DA INCUBO TRA INSULTI E BUGIE"

Luisa 44 anni, è un’infermiera professionale e vive a Roma. La sua storia è cominciata con un sorriso ed è finita tra le lacrime. Per colpa di un matrimonio misto. «Ora mi trovo sposata con un egiziano bigamo, con una figlia illegittima su certificato di famiglia e una convivente che ha ottenuto, grazie a me, il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare».

Ma com’è possibile questa situazione?

«Grazie ad una burocrazia cieca e alla mancanza di tutela delle donne italiane che sposano i musulmani».

Com’è cominciata la vostra storia?

«Con una vacanza Sharm-El-Sheikh. Ho incontrato Essam e mi sono innamorata. Per un anno e mezzo ho fatto avanti e indietro dall’Egitto. Poi ci siamo sposati al Cairo e dopo le nozze ci siamo trasferiti a Roma».

Com’è stata la convivenza?

«All’inizio tranquilla, io lo conoscevo come un musulmano moderato. A volte beveva anche vino e birra».

Poi?

«Ha cominciato a frequentare gli egiziani della città e certe moschee abusive, in garage o capannoni. Seguiva il ramadan in modo ossessivo».

In che senso?

«Se lo sfioravo anche con una mano lui si arrabbiava moltissimo e si andava a fare un’altra doccia, il prosciutto non potevo metterlo vicino ai suoi cibi nel frigorifero. Diceva che ero impura, che dovevo convertirmi all’Islam, che non dovevo vestirmi all’occidentale perché si vedevano le curve».

E lei ha ceduto?

«No, ma lui si allontanava sempre più da me. E i contrasti aumentavano. Diceva che lo avrei portato all’inferno, che se avessimo avuti dei figli maschi sarebbero dovuto diventare musulmani e se avessimo avuto una femmina doveva arrivare illibata al matrimonio altrimenti mi avrebbe sgozzata».

Una quotidianità invivibile?

«Esattamente. A tal punto che lui se n’è andato per due mesi in Egitto e quando è tornato si è trasferito da amici. Mi veniva a trovare ogni tanto e mi ha chiamata solo quando è scaduto il suo permesso di soggiorno. Con la mia presenza ha ottenuto la carta di soggiorno e poi è sparito».

Ma lei non si è sentita usata?

«Io lo amavo e speravo di recuperare il nostro matrimonio».

Invece?

«Dopo un mese mi ha chiamato per dirmi che si era risposato in Egitto, aveva avuto una bambina. Ora è in Italia con la figlia illegittima e la sua nuova moglie che ha ottenuto il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare».

Ma lei ha denunciato la bigamia?

«Certo e ho cercato di bloccare la procedura alla Prefettura di Roma per la sua cittadinanza. Ma non c'è stato nulla da fare. Ora ho chiesto la separazione, ma attualmente sono registrata nello stato di famiglia assieme a lui e sua figlia. Inoltre sono stata ufficialmente ripudiata con il rito talaq in Egitto».

Come si sente?

«Amareggiata. Le ultime parole che ha pronunciato sono state: ti ho fregato per bene». (Fonte: "Il Giornale, 27/2)
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venerdì 27 febbraio 2009

SBAI: IMMIGRATI NON INTEGRATI. COSI' ESPLODONO 8 COPPIE SU 10

MILANO - "Le prime a farsi avanti sono state le sorelle di Hina: donne marocchine, egiziane, algerine, tutte con una storia di violenza domestica da denunciare. Le ultime, sempre di più, sono sono le "sorelle di Elisabetta e Antonella" (Elisabetta Leder, sgozzata a Treviso assieme alla figlia Arianna dal compagno marocchino reoconfesso e Antonella presumo sia la madre del bambino di 9 anni accoltellato a San Donato Milanese dal padre egiziano... .): donne italiane, sposate con uomini marocchini, egiziani, algerini. Chiamano il nostro numero verde , "Mai più sola", a volte solo per chiedere un consiglio, ma soprattutto per denunciare le stesse storie di violenza domestica". Souad Sbai è nata in Marocco 48 anni fa. Oggi è deputata del Pdl ed è presidente dell'Associazione Acmid-Donna.


Perchè tante telefonate di italiane a un centralino nato per dare ascolto alle donne musulmane immigrate?


E' la domanda che poniamo anche noi. E loro rispondono: "Voi potete capire, sapete quello che succede dentro la mia casa".

E cosa succede nelle loro case?

Succede che sotto il peso del fallimento del processo di integrazione le famiglie nate da matrimoni misti esplodono.

Un esempio?

Una storia: l'altro giorno una donna ci ha chiamate per chiederci come può impedire che la figlioletta venga portata dal marito in Egitto e sottoposta a infibulazione. Per ora, come risposta alle sue proteste ha ricevuto solo botte.

Una seconda?

Un'altra donna ci ha telefonato per sapere come può smettere di mantenere il marito disoccupato e il figlio di lui (avuto dalla seconda moglie sposata di nascosto nel Paese d'origine) inserito sul suo stato di famiglia. Ci sono poi storie di donne segregate, picchiate, private dei propri figli. Storie con un unico comune denominatore".

I loro mariti?

I loro uomini, arrivati in Italia negli Anni '90, con la seconda ondata migratoria, in piena avanzata di un certo estremismo. Uomini senza cultura, senza sensibilità, che non sono italiani, perchè non siamo stati capaci di integrarli, non abbiamo voluto investire nella loro integrazione, ma non sono più nemmeno marocchini o egiziani, perchè i loro Paesi d'origine hanno camminato più velocemente delle loro teste.

In che senso?

Nel senso che hanno sorelle o cugine che non portano più il velo, nelle loro case hanno mogli che continuano a essere considerate niente.

Ma non si può generalizzare.

Certo. Questi uomini sono schegge impazzite. Ci sono coppie miste, e ne conosco tante, che funzionano meglio di quelle italiane. Ragioniamo però sulla base dei numeri: ogni anno si celebrano sempre più matrimoni misti. Dopo tre anni, quattro, l' 80% di questi fallisce.

Otto su dieci. Il motivo?

Non uno, ma due. Primo: i matrimoni d'interesse, in continua crescita, usati per ottenere velocemente la cittadinanza italiana, si mostrano per quello che sono. Secondo: anche le unioni nate per amore, con la convivenza e l'arrivo del primo figlio, scoppiano. Quasi sempre quando lo straniero è lui, le donne si integrano di più".

Uno scontro di culture?

Innanzitutto di religione: quando la donna si annulla, a volte accettando addirittura di vivere sotto un burqa (che danno per tutte!) ogni cosa fila liscia. Ma quando cerca di imporre la sua cultura, la sua identità iniziano i problemi. Che esplodono, come detto, con l'arrivo dei figli: la scelta della religione, della scuola, a volte del Paese in cui farli crescere, tutto diventa una bomba ad orologeria.

Bombe che in alcuni casi esplodono, e uccidono.

Perchè il messaggio che arriva a queste persone, a volte ancora prima di arrivare in Italia, è che qui possono permettersi tutto. Serve una consulta dell'immigrazione, come in Francia. Una legge che preveda la revoca della cittadinanza anche per chi dichiara il falso. Ci sono state tante Hina, adesso ci si scandalizza per Elisabetta e la sua bambina, o per il piccolo di San Donato. Le loro storie non sono le prime e non saranno le ultime se non si investe sull'integrazione. (Fonte: "Corsera")

E ancora Souad Sbai: «Ci sono tanti matrimoni che sono fatti per interesse e per ottenere la cittadinanza e negli ultimi anni la situazione è peggiorata. Molti immigrati pensano di poter fare quello che vogliono in Italia, anche essere poligami e potersi sposare con le italiane per ottenere in poco tempo la cittadinanza. Non hanno l’obbligo di imparare la lingua, la Costituzione, la parità di diritti. E queste ingiustizie verso le donne italiane che sposano gli stranieri vanno eliminate» (Unpoliticallycorrect")

E dal "Corsera" di ieri: Sharia in Pakistan, un favore ai terroristi . (grazie a Stefano per le ultime due segnalazioni).
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"DOPO LA NOTTE" di Alessandra Boga (Edizioni "Il filo")

In copertina: Francesco Floriddia da Siracusa, Donne che guardano da lontano.

Il nome di Leila significa Notte e così si abituano a chiamarla i suoi amici italiani e non solo. La famiglia della ragazza, legata a tradizioni patriarcali e a una visione radicale dell’islam, le impedisce di inserirsi completamente in quell’Italia dove lei vorrebbe soltanto vivere le gioie e le inquietudini della sua età come una qualunque adolescente. Inoltre i genitori le hanno già combinato il matrimonio con un connazionale che non ha mai visto. L’unico conforto è la cugina Reem, che vive una storia clandestina con Andrea, un ragazzo italiano e cattolico. Ma le due ragazze, unite dall’affetto e dalla disperazione, lottano invano contro un muro di freddezza e cinismo. Anche le sorelle di Notte, sposatesi per amore, non comprendono la sua angoscia. Una di loro, Rajàa, aprirà gli occhi accettando fino alle estreme conseguenze la sfida della libertà, ma solo dopo che il marito le impone la presenza di Siham, una seconda moglie. Inizialmente ignare dell’esistenza l’una dell’altra e vinta la reciproca ostilità, le due giovani donne diventeranno amiche e alleate.

21/02/2009 Il Cittadino - Edizione Valle del Seveso .
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giovedì 26 febbraio 2009

"GLI ISLAMICI NON ACCETTANO CHE I BAMBINI VENGANO AFFIDATI ALLE MADRI"

Ha massacrato il figlio di dieci anni con quattro col­tellate al petto e una alla gola poi si è ucciso, trafig­gendosi lo stomaco con quella stessa lama. Una tragedia familiare an­nunciata, e premeditata, che si è consumata sotto gli occhi degli assistenti socia­li della Asl di San Donato. L’assassino, M.H.M, egizia­no di 53 anni, operatore turistico, separato dalla moglie italiana 4 anni fa, non sopportava più il fatto di poter vedere il figlio solo una volta ogni 15 giorni, durante i cosiddetti “collo­qui protetti”. «Tu sei solo mio, sei mio figlio. Non possono tenerti lontano da me», avrebbe detto l’uomo al bimbo pri­ma di avventarsi contro di lui. (…) Sono ancora sconvolti, e increduli, gli assistenti so­ciali della Asl di San Dona­to. «Sapevamo che c’erano rapporti turbolenti con la madre del piccolo ma mai avremmo immaginato una reazione del genere», dico­no. «I musulmani e lui stesso ­confermano altri operatori - hanno spesso problemi ad accettare che i propri figli vengano affidati alle ma­dri: nel mondo islamico, dove la donna viene consi­derata un essere “inferio­re”, questo non è ammissi­bile. Ecco perché a volte hanno reazioni sproposita­te». qui
Nota: secondo la Sharia, la donna ha diritto all'affidamento dei figli per un determinato periodo di tempo (che varia da Paese a Paese) solo se professa la religione islamica e se non si risposa. E’ bene che le italiane lo sappiano prima di sposare un musulmano.

Bambino ucciso dal padre, la madre: «Minacciava di portarlo in Egitto» .

Madre e figlia sgozzate, fermato marocchino .

«Matrimonio misto e educazione dei figli»

Mi chiamo Giorgia e sono cristiana praticante. Il mio ragazzo è musulmano Tijâniyya. Entrambi siamo credenti e praticanti, e ci stiamo interrogando sulle seguenti questioni:

1) è possibile il matrimonio? Io so che il cattolicesimo ammette i matrimoni cristiani con rito misto. Esso consiste in un rito in cui la parte cristiana presta giuramente sacramentale di fronte a Dio, mentre all'altra parte viene chiesto di garantire al coniuge la libertà di culto e di accettare l'impegno della parte cristiana di crescere, per quanto possibile, i propri figli secondo i principi del cristianesimo e di battezzarli. Come si regola l'Islam? Ho letto molto materiale a riguardo, e se, da una parte il musulmano dovrebbe poter sposare le donne delle genti del Libro, dall'altra ho letto che questo è possibile solo in contesto islamico (per es, se noi vivessimo in un paese islamico). E' vero?

2) la seconda domanda è relativa all'educazione dei figli. Come ci si può regolare? Ho letto che un musulmano non può accettare che i suoi figli siano cresciuti al di fuori dell'Islam. Ma questo è in aperto contrasto con quanto viene richiesto a me come cattolica (e quanto dovrei impegnarmi a fare durante la celebrazione del rito del matrimonio con rito misto). Questo è un punto molto doloroso per me e per lui, perchè amiamo le nostre rispettive religioni, e vorremmo avere dei figli. qui, qui e qui . (Fonte: "Unpoliticallycorrect")
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mercoledì 25 febbraio 2009

PERCHE' LE NORVEGESI ABORTISCONO IN SVEZIA SE IL FETO E' FEMMINA?


Sissel Rogne, la direttrice dell'organizzazione medica statale norvegese Bioteknologinemnda, dichiara che la maggior parte dei feti norvegesi che sono stati abortiti in Svezia sono femmine.
Come spiegare questo mistero? La Norvegia e la Svezia sono tuttavia tutte e due dei paesi dove l'aborto è autorizzato. Perché dei norvegesi andrebbero in Svezia per farsi abortire quando esse aspettano una femmina, e resterebbero in Norvegia per l'aborto di un maschio? La risposta di Bioteknologinemnda è semplice: perché queste norvegesi in realtà sono delle immigrate (comprendere: delle musulmane). L'ostetrica Sara Kahsay dichiara che queste pazienti sono soprattutto d'origine pakistana, e che sente spesso i loro genitori maschili - marito, zio, fratello - dichiarare apertamente che vogliono soltanto un maschio. Il fatto è che l'aborto può essere compiuto fino alla 1a settimana in Norvegia, e fino alla 18a in Svezia. Il sesso del feto è rivelato ai genitori norvegesi soltanto al termine di queste dodici settimane. Se la risposta suona agli orecchi maomettani come una catastrofe (cioè che si tratta di una ragazza…), resta soltanto da attraversare la frontiera per sbarazzarsene…! (Fonte: "Scettico", dal giornale danese Kristeligt Dagblad e da quello norvegese Vårt Land)

Vorrei comunque precisare che se il nascituro è femmina non è detto che suoni come una catastrofe solo agli "orecchi maomettani", ma per esempio può esserlo anche per quelli indiani non-musulmani. In Gran Bretagna so di almeno una coppia di indiani che ha fatto richiesta di abortire perchè la donna aspettava una bambina.
E per la cronaca, nel Trevigiano: Sgozza madre e figlia (Fonte: Libero News). Attualmente l'uomo è ricercato.
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FRANCIA, SURESNES: UN SALONE DI COIFFURE SPECIALE PER DONNE VELATE

Sala riservata alla donna velata. Queste parole iscritte sull'opuscolo pubblicitario di un salone di coiffure di Suresnes, il Marrakech, che ha reso perplesso più d'uno. Dal sindacato dei parrucchieri alle associazioni di zona passando per il sindaco, "non si è mai vista una cosa del genere". "Mai sentito parlare di un salone che propone tale servizio". Ripreso dall'estate scorsa da un proprietario che tiene a tacere il suo nome, il Marrakech esiste sempre sotto l'insegna My Hair Lady. Installato sotto una residenza dell'ufficio comunale HLM, accoglie allo stesso tempo uomini e donne per tagli e brushing a 18 €, lisciaggio a 38 €, meche, cure della barba, ecc. e per "la donna velata che non vuole che gli uomini la vedano" come ha esposto, titubante ed impacciato, il proprietario del negozio, "un angolo" permette di sfuggire agli sguardi maschili.

"È la legge dell'offerta e della domanda".

Quattro poltrone di parrucchiere sono installate in questo "angolo", che si estende quasi sulla metà del salone. Basta tirare una tenda per isolare la parte che protegge "l'intimità della donna musulmana". "Ma se altre donne vogliono essere tranquille, si possono mettere là e tirare la tenda. Non è una sala speciale", sostiene il commerciante. È tuttavia ciò che è chiaramente indicato sul documento pubblicitario. "Ma è il vecchio proprietario che ha fatto questo". Solo che sono i numeri di telefono dell'attuale che appaiono sulla pubblicità. In occasione della firma del nuovo affitto, "non è mai stata fatta menzione della sala riservata alle donne", si stupisce il sindaco, che ha scoperto ieri l'esistenza di questo salone molto particolare. "Il parrucchiere non ha l'obbligo di indicare questo tipo di cose quando si iscrive alla camera dei lavori", precisa Daniel Goupillat, presidente della catena dei coiffure-estetica alla camera consolare Hauts-de-Seine. (Fonte: "Scettico" da Le Parisien", 22/2)

E sul "solito" "Scettico" :-) :

1) convertite italiane all'islam attaccano un convertito perchè ha idee più liberali link .

2) 18 donne lasciate morire in una prigione iraniana: link .

3) E un' OTTIMA notizia: il coraggio di Nojoud, sposa-bambina yemenita ha spronato molte altre a denunciare la stessa sorte in numerosi Paesi islamici: oltre allo stesso Yemen, in Arabia Saudita, Egitto, Afghanistan, Pakistan ed altri ancora: link .
Al Consiglio nazionale delle imprese di coiffure (CNEC), il principale sindacato di parrucchieri, s'indigna. "È molto sorprendente. Mentre si parla d'integrazione e dopo tutto questo dibattito sulla laicità, mi stupisco, commenta il suo segretario generale, Michèle Duval. Ma dopo tutto, ciascuno può proporre il concetto che vuole" (...). Ciò che sembra credere Abdel Ghani, presidente del CIS (coordinamento islam e società), che non vede "alcun significato particolare" in quest'iniziativa del commerciante di Suresnes: "È la legge dell'offerta e la domanda".
All'associazione Zy'va di Nanterre, la più importantw delle associazioni di zona, ci si mostra differentemente più critici "Noi, i francesi d'origine straniera, lottiamo contro le discriminazioni ed allo stesso tempo ci discriminiamo da soli", si irrita Hafid Ramouni, il presidente de Zy'va. C'è attualmente una moda degli spazi riservati alle pratiche religiose, come le piscine dove solo le donne possono andare ad alcune ore.Questo mi sciocca ed é il risultato di comportamenti asociali in un paese laico". Leggi tutto ...

martedì 24 febbraio 2009

ARABIA SAUDITA: SCOPERTA LA PRIMA FABBRICA DI ALCOLICI GESTITA DA DONNE

Due donne africane in manette di 35 e 45 anni in manette, complice un tassista asiatico.

Oltre all'ennesima scoperta di una fabbrica di alcolici, questa volta i gestori erano addirittura di sesso femminile. Due donne africane, delle quali però non è stata rivelata la nazionalità e un tassista asiatico, cliente e complice. Durante un bliz che la polizia religiosa saudita ha compiuto ieri nella città di Dammam, è stata scoperta una fabbrica di alcolici, illegale nel Paese.
Le giovani imprenditrici - atipiche in un Paese come l'Arabia Saudita - e il tassista, sono state immediatamente arrestate. Un portavoce ‘dell'Ente per la promozione della virtù e il divieto del vizio' ha reso nota la notizia. La polizia era alla ricerca della fabbrica da almeno una settimana. In particolare, avevano suscitato un certo sospetto gli strani movimenti attorno a una vecchia abitazione della zona, dalla quale troppo frequentemente uscivano ed entravano donne straniere cariche di liquidi. E' la prima fabbrica di alcolici in Arabia Saudita a cessare l'attivita per quest'anno, ma è la prima in assoluto gestita da donne, per di più straniere.
Nessuna indiscrezione trapela sulla sorte degli arrestati. (Fonte: "Peace Reporter", 20/2)

E ancora in Arabia agenti decapitati per stupro .
Sono state trovate nell'abitazione oltre 600 bottiglie di alcolici pronte da vendere e diverse damigiane di vino. Il ‘vizioso' tassista - essendo infatti un cliente abituale - aiutava anche le donne nel trasporto delle bottiglie. La sorte dei tre arrestati per la fabbricazione dell'alcool non è ancora stata decisa. L'Arabia Saudita impone però il divieto di fabbricazione, di consumo, di vendita e d'importazione d'alcool e di tutti i suoi derivati. Inoltre il potere giudiziario, al quale risponde l'Ente per la promozione della virtù e il divieto del vizio, appartiene al Consiglio supremo di giustizia, che non ha mai accettato alcuna interferenza da parte degli organismi di giustizia internazionali. La teocrazia saudita, il cui capo dall'agosto 2005 è il re e primo ministro Abdallah bin Abd al-Aziz Al Saud, basa ufficialmente il proprio diritto interno sulla legge coranica, la sharia e non prevede nessun tipo di elezioni né di partiti politici. La popolazione afro-asiatica nel Paese rappresenta attualmente circa il 10 percento dei più di 28 milioni di abitanti sauditi. Nigeriani, yemeniti, pakistani, afghani, somali, maliani, sudanesi sono tra le principali popolazioni migranti nel Paese. Il trattamento riservato al 10 percento degli stranieri presenti nel territorio assomiglia a quello che si nota anche nei dei Paesi occidentali: le minoranze vengono continuamente sottoposte ai lavori più umili e degradanti - oltre che i meno redditizi - comprendendo spesso abusi fisici e sessuali, il mancato pagamento dei salari, la soppressione dei passaporti o la restrizione alla circolazione. (anche nei Paesi occidentali? Non è un filo esagerato?!)
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INDIA. MULLAH MUSULMANI: INACCETTABILE CHE CI SI CONVERTA ALL' ISLAM PER RISPOSARSI

I religiosi intervengono dopo che il chief minister dello Stato di Haryana aveva annunciato la sua conversione per sposarsi una seconda volta. Il fenomeno è diffuso. Il passaggio all’islam permette di sfuggire a complicazioni legali.


New Delhi (AsiaNews/Agenzie) - Chi si converte all’islam per risposarsi compie un atto “non islamico”, “inaccettabile” e “contro la ragione”. A dichiararlo è Maulana Wahiduddin Khan, mullah indiano che interviene nella polemica sulle conversioni all’islam di chi vuole risposarsi, ma evitare complicazioni legali.
Il fenomeno ha preso piede da tempo in India ma è diventato argomento di interesse pubblico quando il 17 dicembre scorso Chander Mohan, vice ministro capo dello stato dell’Haryana e membro del Congress Party (Cp), ha annunciato il suo secondo matrimonio con l’alta funzionaria Anuradha Bali e la conversione di entrambi all’islam.
La relazione tra Chand e Fiza - come la stampa indiana ha ribattezzato i due - ha suscitato molto scalpore sino a spingere il vice presidente del distretto di Panchkula, in cui si trova la capitale dell’Haryana, ad intimare al Mohan di non farsi vedere nella regione per aver dato scandalo e gettato discredito sul Cp e le istituzioni.
Nel condannare le ragioni strumentali della conversione di Chand e Fazi, il mullah Khan ha affermato che la scelta di una religione “può essere compiuta solo dopo una profonda riflessione e discussione”. (Fonte: "Asia News", 19/2)
Secondo lo studioso musulmano, per prevenire questo tipo di conversioni è necessario educare le persone al valore dell’istituzione del matrimonio e “a non prenderlo come fosse un gioco”. Critiche sulla vicenda Chand-Fazi e sulle conversioni facili a scopo matrimoniale sono giunte da diversi studiosi musulmani. Tra questi anche la guida della comunità islamica di Delhi, il mufti Muqarram Ahmad che ha condannato il fatto dichiarando che l’islam”non può essere usato per nascondere motivazioni personali. Dello stesso tenore il giudizio di Qari Usman, noto studioso islamico del seminario a Deoband nell’Uttar Pradesh. Anche lui come il mullah Khan afferma: “Abbracciare l’islam con l’intenzione di avere una seconda moglie è non-islamico, sbagliato e ingiustificabile”.
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lunedì 23 febbraio 2009

E NELLA TV AFGHANA ARRIVA IL CONCORSO PER MODELLE

Svolta. Tra aspiranti indossatrici in jeans e maglione (mentre questa partecipante indossa un bellissimo abito tradizionale afghano, ndr). Ma il governo di Kabul vuole chiudere lo show.

A viso scoperto, in jeans e maglione, con l'unico vezzo di un cappellino o una sciarpa colorata. Sfilano così, sul tappeto rosso di una passerella che sembra improvvisata, dieci ragazze afghane con il sogno di diventare modelle. Venerdì sera a Kabul, tra le proteste del governo, viene registrata la puntata numero uno di "Afghan Model", concorso televisivo per aspiranti indossatrici ispirato ai reality in voga in tutto il mondo. Il primo, nell'Afghanistan post talebani.

"Mostreremo le bellezze nascoste delle nostre giovani" annuncia il presentatore Arash Shenasa, 24 anni, studente di medicina. E' sua l'idea dello spettacolo, in onda dal prossimo venerdì una volta alla settimana, per un totale di dieci appuntamenti. "Le ragazze possono vestirsi come vogliono" spiega al telefono dalla capitale afghana, Najibullah Kabuli, parlamentare indipendente e proprietario di Emrooz tv, l'emittente privata che trasmetterà lo show: "Niente più burqa. Oltre agli abiti locali, sono ammesse maglie, gonne e pantaloni secondo la moda europea, asiatica o americana.", aggiunge. Precisando però che il corpo "deve restare coperto".
La vincitrice e il vincitore - lo show prevede anche una sfida tra uomini - saranno premiati con un viaggio all'estero e un contratto per girare spot televisivi. Un' opportunità che ha fatto gola a molti: "Oltre 3 mila tra ragazzi e ragazze hanno chiesto di partecipare", racconta Kabuli. E mentre parla, aggiungendo dettagli su dettagli perchè il progetto sia davvero compreso, continua a ripetere che il primo obiettivo è "espandere la democrazia in Afghanistan". (Fonte: "Corsera", 22/2)
Su di lui, e sulla sua tv, pendono le minacce del governo, "il ministro dell'Informazione ha protestato per lo show e vuole chiudere l'emittente" riferisce Kabuli. Nata 9 mesi fa, Emrooz trasmette video musicali, film e telenovele straniere senza censurare nulla. "Compreso il corpo delle donne" dice il proprietario: "Siamo stati i primi a mandare in onda le immagini delle cantanti". In Afghanistan, però - dove la tv era proibita durante il regime talebano (1996-2001) e ora ne possiede una l'80% degli abitanti della città -, la legge prescrive di mantenersi "entro l'inquadramento dell'islam". Un regolamento vago, che ha lasciato negli ultimi anni un notevole margine di controllo alle autorità statali, non di rado sotto la pressione di gruppi religiosi integralisti. Secondo Human Rights Watch (Report 2009), nonostante "il fiorire di un settore dei media indipendente sia stato considerato in passato uno dei rari successi del governo post talebano", la libertà dei mezzi di comunicazione appare oggi tra le più gravi emergenze del Paese.
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MALIKA AYANE E KARIMA AMMAR A SANREMO 2009

Per chi non avesse seguito Sanremo, due partecipanti, nella sezione "Nuove Proposte", erano ragazze italo-arabe: Malika Ayane (di cui ho parlato in altri post ed è pù conosciuta) e Karima Ammar, in arte Karima.

Quest'ultima, di madre italiana e padre algerino, con la sua splendida voce ha presentato "Come in ogni ora", canzone difficile, poco orecchiabile, ma senza dubbio di grande atmosfera, anche grazie al magistrale accompagnamento di Bacharach al piano: una ballata pop e racconta l'amore di una donna per un uomo sposato. Karima è un'altra rivelazione del programma di TV "Amici" (ha partecipato all'edizione di "Amici" 2006). (...) Di certo il talento non le manca e la sua passione per la musica è iniziata molto presto. Karima Ammar (classe 1985) ha vinto il concorso nazionale Ecofestival del 1999.
Nel 2003 Karima ha cercato di entrare alla scuola di "Amici" (il programma Tv di Maria De Filippi) ma è stata eliminata all'ultima scrematura. Nel 2006 Karima è finalmente riuscita ad entrare nella scuola di "Amici" rimanendo fino alla finalissima e classificandosi terza. Ad "Amici" Karima si è distinta per le sue capacità vocali e per la sua voce potente.
Karima frequenta inoltre il Conservatorio di Cuneo, indirizzo afro-americano. La sua passione è la musica black, jazz e gospel, viste anche le sue capacità vocali.



La canzone di Malika invece s'intitolava "Come foglie" (testo e musica di Giuliano Sangiorgi dei Negramaro) ed è prodotto da Ferdinando Arnò. Con lei sulla scena, nella serata dei duetti, Gino Paoli. Malika è nata a Milano nel 1984 da padre marocchino e madre italiana. La sua formazione musicale ha inizio al Conservatorio "Giuseppe Verdi" di Milano dove dal 1995 al 2001 studia violoncello. Parallelamente fa parte dell'ensamble del Coro di Voci Bianche del Teatro alla scala in cui ha il ruolo di corista. Nel 2007 l'incontro con Caterina Caselli Sugar con la quale inizia a lavorare sul suo primo progetto discografico. E'diventata famosa per il brano "Felling better" che è stato una delle grandi hit della scorsa estate. A settembre è uscito il suo primo album omonimo "Malika Ayane", ricco di collaborazioni importanti della musica italiana e internazionale, tra cui spicca una canzone di Paolo Conte. Ecco della sua video di "Come foglie".

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sabato 21 febbraio 2009

CONVERTITE: "NADIA, EX FEMMINISTA, EX COMUNISTA"

Nadia ha 40 anni. È un’insegnante d’italiano, ex femminista, ex comunista. Ha incontrato l’islam attraverso Yassin, un giovane algerino immigrato in Italia cinque anni fa. Lui le ha parlato della sua terra, della sua religione, le ha prospettato un universo ordinato, piuttosto semplice, organizzato per scale di valori e ruoli ben determinati, dove la figura femminile e maschile ha una connotazione, uno spazio e dei compiti ben precisi. Un’identità, insomma, riconoscibile sia all’interno della famiglia, sia nella società (islamica, s’intende).
Nessun dubbio, dunque, nessuna confusione, niente più crisi esistenziali. Neanche quando lei, abituata per decenni a rivendicare i propri diritti di donna libera, se li è visti negare o restringere all’ambito delle mura domestiche e delle poche attività religiose. Foulard beige e un lungo soprabito celeste la proteggono dagli sguardi maschili, che potrebbero ferirla nella sua dignità più profonda. «In questo modo - afferma con severa dolcezza - la donna è tutelata e non rischia di essere ridotta ad oggetto sessuale». L’esperienza di Nadia non è singola: altre donne, anche molto giovani, sono attratte dall’islam. Confusione nei ruoli tra maschile e femminile, identità sessuali traballanti, vuoto ideologico e spirituale, profonde insicurezze personali e caratteriali, trovano per loro una risposta e una risoluzione. Per alcune, l’adesione all’islam è anche una sorta di reazione allo sfruttamento per fini commerciali che l’Occidente attua nei confronti dell’immagine femminile attraverso l’ambiguo e discutibile richiamo sessuale. (A. Lano) qui (Fonte: "Unpoliticallycorrect") Leggi tutto ...

TV AFGHANA E CENSURA


La censura è un rompicapo per la TV afghana. Laila Rastagar passa i suoi giorni a nascondere idoli indù ed i corpi di altre donne sul suo schermo del PC. La giovane afghana, che porta il velo, si preoccupa di eliminare le serie televisive indiane e coreane- tutti gli elementi suscettibili di urtare la sensibilità dei telespettatori del suo paese.

Con il suo mouse, appana una una "clavicola", una "rotula" o una statua di Buddha. A 22 anni, Laila fa parte del gruppo che lavora per Tolo TV, la rete televisiva più popolare d' Afghanistan, per applicare la censura e trovare il buon equilibrio dei programmi in questo centro dell'islam radicale, dei valori tradizionali e dell'occidente. Ma la linea da seguire è spesso appannata anche essa. Dalla caduta dei talebani nel 2001, la televisione si è sviluppata in Afghanistan. Undici reti private ed una rete di Stato emettono oggi a Kabul. Più dell'80% degli abitanti possiedono televisori in città e più del 20% nelle zone rurali, secondo Asia Foundation. Ma in questi ultimi anni, le autorità si sono dedicate maggiormente al contenuto dei programmi teletrasmessi, che riflettono un desiderio crescente di controllare la cultura afgana su fondo dell'aggravarsi della violenza estremista. Alcune reti sono diventate più conservatrici, ed altre più "contestatarie". Il limite tra ciò che è accettabile o non, può essere difficile da definire in questo paese musulmano in cui i burka obbligatori sono venuti a sostituire sotto il regime dei talebani, le mini-gonne che portavano gli studenti negli anni 1970. Oggi, la società tenta di situarsi in questo spazio intermedio. A Tolo TV, rete creata nel 2004 da afghani cresciuti in Australia, la direzione elimina tutto ciò che giudica scioccante: ginocchia, decolté, nuca, schiena, ventri rivelati da sari indiani, ma anche adolescenti ballando insieme in una discoteca o baci sulla guancia… I riferimenti a religioni diverse dall'islam passano anche al setaccio. Con il 60% di quote di mercato, Tolo TV svolge un ruolo chiave nella definizione della cultura contemporanea afghana. (Fonte: "Scettico", da 20 minutes)

So di almeno 2 video-giornaliste di Tolo TV uccise anni fa dai Talebani. Una era conduttrice di una trasmissione stile MTV. Ah, dietro l' "appannatura"-burqa ci sarebbe una foto di Marilyn, eh... .
Laila Rastagar si occupa di rendere queste soppressioni invisibili, e fa appello in ultimo ricorso ai quadrati pixelizzati. Poiché, dice, "attirano più l'attenzione su ciò che manca". Un collega si dedica alla serie americana "24 ore Crono", altre ai clip video dove, a volte, la metà dello schermo deve essere riempito di quadrati sfocati. Oltre alle notizie ed agli intrattenimenti prodotti su scala locale, la rete propone "un soap opera" indiane e coreane, che contano in numero dei programmi più popolari, e dei clip video di stars regionali. Gli Afghani guardano molto anche le serie americane del tipo "24 ore Chrono". Quanto ai casi di censura che avrebbero potuto riguardare programmi afghani proposti da Tolo TV, Abir Abdullahi, uno dei critici della rete da quattro anni, non ne vede "Purtroppo!", nascondendo un ampio sorriso dietro il velo. "Le afghane portano troppi abiti per questo". Ma incidenti hanno avuto luogo. In primavera, il ministero dell'informazione ha rimprovero Tolo TV per avere mostrato afghani, donne ed uomini, che ballano insieme in un'emissione. Abir osserva inoltre una pressione governativa crescente da due anni. Il governo ha tentato di proibire in aprile molte pubblicazioni periodiche indiane poiché non rappresentavano la cultura afghana. Se la maggior parte delle reti si è piegata alle sue ingiunzioni, Tolo TV ha rifiutato ed avanzato che il ministero non aveva il diritto di proibire programmi nella loro totalità. L'affare è andato dinanzi ai tribunali ed il contenzioso non è regolato.
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venerdì 20 febbraio 2009

NOI FEMMINISTE DI ALLAH


Si chiamano murshidat, sono le prime donne imam. Le abbiamo incontrate in Marocco. Dove hanno un doppio ruolo: arginare il fondamentalismo islamico e le seduzioni delle mode occidentali. Ma anche una missione: leggere nel Corano quel che non piace ai maschi.

L’idea delle murshidàt, le "femministe di Allah" - un semplice colpo di genio - non poteva nascere che in Marocco. E dalla mente illuminata del giovane re Muhammad VI, fin troppo consapevole dei guai terribili che può correre una nazione islamica minacciata su un fronte dallo tsunami del fondamentalismo religioso, e sul lato opposto dalla marea lenta e inesorabile del laicismo filo-occidentale. L’attentato del 16 maggio 2003 a Casablanca, con le sue 45 vittime, aveva fatto scattare a Rabat l’allarme rosso. E il massacro di Madrid, l’11 marzo del 2004, aveva confermato l’estrema pericolosità delle centrali terroristiche marocchine. Muhammad VI era salito al trono da poco, nel 1999. Suo padre, il religiosissimo Hassan II, aveva fatto edificare proprio a Casablanca la più grande moschea del mondo. Il Marocco non poteva rinnegare le sue profonde radici islamiche, né perdersi in un bagno di sangue di stile algerino, combattendo gli estremisti in nome di valori liberali che non sono i suoi. Occorreva modernizzare il Paese salvando l’ islam.
La risposta è duplice: in primo luogo, perché la condizione della donna è il cuore di tutte le questioni intorno alle quali si sta giocando il destino del mondo islamico; in secondo luogo, perché proprio in Marocco le donne hanno dimostrato negli ultimi decenni un’eccezionale forza di progresso e di liberazione dalle antiche tradizioni di sottomissione al potere degli uomini, e in ogni campo: dall’università alle imprese, dai palazzi della politica al giornalismo e a tutte le professioni. Scrittrici e attiviste femministe di tendenza laica come Fatima Mernissi, Hinde Taarij e Jamila Hassoune hanno scosso dalle fondamenta le ataviche certezze dei maschi musulmani, ricordando loro, oltre tutto, che l'islam delle origini non era affatto malato di paura e dispezzo per le donne come vorrebbero far credere i vari talebani, jihadisti e fanatici del burqa e della segregazione delle mogli e delle figlie tra le mura di casa. Sul fronte opposto la fondamentalista Nadia Yassine (figlia dello sceicco Abd as-Salam Yassine e capofila del forte movimento "Giustizia e Carità") ha dato filo da torcere al governo propugnando una via ultra-tradizionalista alla "liberazione" delle donne.

A partire dall'alto le murshidàt Fatima Zakir, Fatima Feza, Asmirì Ilham e Nadia Hajji.

Si attribuisce a Muhammad il detto: "Tre cose io amo in modo speciale: le donne, i profumi e la preghiera". Così lo descrive il teologo medievale al-Ghazi: "Era il più umile degli uomini. Si ricuciva da sè i sandali e si rappezzava gli abiti, prestava aiuto per le faccende domestiche alle sue donne e tagliava la carne con loro". (Fonte: "IO DONNA", 14/2)


E da "Scettico": link, link e link.
Così, nel 2006, due anni dopo aver promulgato il nuovo Codice dei Diritti personali che finalmente ha dato alle donne marocchine la completa parità giuridica (oddio, QUASI COMPLETA!), ecco che il re e i suoi consiglieri - tra i quali una donna, Zoulika Nasri - hanno la luminosa idea: creare una scuola speciale, addirittura superiore alla giamia, l'università islamica, per formare una nuova classe dirigente di donne destinate a svolgere una funzione quasi identica a quella degli imam (unica preclusione per loro, quella di pronunciare il sermone del venerdì nelle moschee). Queste donne, le murshidàt - ossia le "guide", o "consigliere" religiose - avranno la delicata missione di istruire e di assistere le altre donne, soprattutto le più povere, nei villaggi dove ancora oggi più del 50% della popolazione è analfabeta, per evitare che cadano preda delle predicazioni fondamentaliste. Nelle città invece, dove più alto è il livello di istruzione, le murshidat dovranno anche impedire alle giovani di lasciarsi sedurre dalle mode occidentali, dalla deriva agnostica che minaccia la tradizione (voglio capire come mai c'è tutta questa paura di perdere delle proprie tradizioni !!!) . La scuola delle murshidàt, unica nel mondo islamico, fu dunque istituita a Rabat nel 2006, e in quell'occasione fu l'emittente araba Al-Jazeera a diffondere nel mondo la notizia, realizzando un reportage che, fino a oggi, non ha avuto altro seguito sui mezzi di informazione occidentali. (...)
Entrare nella loro scuola non è stato facile: le allieve delle murshidàt sono destinate a diventare delle vere e proprie funzionarie governative, gratificate da un ottimo stipendio - l' equivalente di 500 euro mensili - e dunque strettamente controllate dal ministero degli Affari Islamici e da quello delle Comunicazioni. (...)
All'ingrasso della scuola, che ha sede nell'antica medìna di Rabat, ci accoglie lo sceicco Muhammad Mahfudh, il direttore, il direttore, alto, ascetico, avvolto in una giallabeya blu. Da lui apprendiamo che il corso delle murshidat dura un anno, che comprende l'insegnamento di storia, geografia, economia, informatica e ovviamente teologia coranica; e che le allieve sono una cinquantina.
Provengono da ogni angolo del Marocco, e una volta conseguito il titolo ritornano nei loro villaggi e città per calarsi anima e corpo nella realtà quotidiana delle loro comunità. Sono al tempo stesso direttrici spirituali, psicologiche e assistenti sociali e legali.
Poi Mahfudh ci presenta Asmrì Ilham, Nadia Hajji, Fatima Zakir e Fatima Feza (...).
Due di loro, Asmirì e Fatima Zakir, sono sposate e hanno figli. Hanno già tutte una laurea in Studi Islamici. L'ideale che le anima, e su cui battono e ribattono con fervore nei loro discorsi, è uno solo: stare accanto alle donne, aiutarle soprattutto a capire che la via della libertà e della realizzazione, per loro è già tutta scritta nel Corano. "Ecco un chiaro esempio" dice Fatima Zakir aprendo il Libro Sacro "qui, nella sura 33, c'è il famoso 59, detto anche il versetto del velo, che dice: "Oh Profeta, dì alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di far scendere su di sè i loro gialabib. Ebbene, da queste parole i fondamentalisti deducono che il velo deve coprire anche il volto delle donne. Noi invece, analizzando le parole nel loro contesto, comprendiamo che il velo non può essere indossato nè per costrizione, nè tantomeno per umiliare le donne nella loro dignità".
Quando poi si affrontano i temi dolorosi delle violenze sulle donne, che nell'immaginario occidentale vengono spesso associate all'idea stessa dell'islam, le murshidàt insorgono con accenti di stupore: "Usanze come la lapidazione e l'infibulazione derivano da antichi e spietati costumi tribali, e non hanno nulla a che vedere con le norme del Corano. In quanto al ripudio, al matrimonio coatto e alla poligamia, il nuovo Codice marocchino del 2004 li ha definitivamente soppressi: ora il divorzio si può fare solo in forma consensuale e davanti al giudice, le ragazze si possono sposare solo dopo i 18 anni, e la poligamia è resa di fatto impossibile"-.
Sconfitti i fondamentalisti, resta da sciogliere il nodo del femminismo laico. Sulla scia di alcuni storici arabi del Novecento di tendenza modernista, come l'egiziano Mansùr Fahmi, anche Fatima Mernissi, per esempio, ha un po' idealizzato il cosiddetto "islam medinese", quello degli ultimi anni di vita del Profeta, scaricando sulle spalle del secondo califfo succeduto a Muhammad, il misogino Omar ibn al-Khattàb, una buona parte della colpa dell'oppressione femminile radicatasi poi nella tradizione islamica. Cosa pensano di questo le murshidàt? Non rischiano di apparire un po' troppo vicine alle concezioni storiche delle femministe? Nadia Hajji liquida la questione con sottile diplomazia: "Disse il Profeta: Cercate la scienza, fosse pure in Cina. Quando Fatima Mernissi dice cose giuste perchè dovremmo discordare con lei? Ma non dimentichi che la prima fonte di quelle verità è il Corano, sia per noi come per lei". (ma non credo Fatima Mernissi abbia bisogno di una murshida o di qualcun'altro per ricordarglielo... !).
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ONORIFICENZA REALE A GHITA EL-KHAYAT, PRESIDENTESSA ONORARIA DELL' ACMID-DONNA

La 15esima edizione del SIEL (Salone Internazionale dell’Editoria e del Libro), che si terrà fino al 22 febbraio, è stata inaugurata giovedì da SAR il Principe Moulay Rachid, a Casablanca. In tale occasione viene assegnato il Premio del libro del Marocco 2008, il quale viene attribuito alle migliori opere artistiche, letterarie, poetiche, scientifiche e ai lavori di traduzione.Circa 500 esponenti provenienti da 41 paesi del mondo arabo, d’Africa, d’Europa, d’America, d’Asia partecipano a questo evento, quest’anno sottotitolato «Au Royaume du livre» («Nel regno del libro»). Riguardo la categoria delle scienze umanistiche e sociali, il premio è stato assegnato a pari merito a Mohamed Rabitat Eddine per «Marrakech au temps du règne Almohade» («Marrakech al tempo del regno degli Almohadi»), e a Mohamed Belboul per «La structure du mot dans la langue arabe, représentations et principes» («La struttura della parola nella lingua araba, rappresentazioni e princìpi»).Il premio per i migliori studi letterari e artistici è stato assegnato a Ahmed Tribak Ahmed per «Le discours soufi dans la littérature marocaine, à l’époque du Sultan Moulay Ismaïl» («Il discorso sufi nella letteratura marocchina, all’epoca del Sultano Moulay Ismail»). Quanto al premio dedicato al racconto e alla narrazione, anch’esso assegnato a pari merito, è stato dato a Mohamed Azeddine Tazi per il suo romanzo «Abniat al Faraghe» («Costruzioni del nulla») e ad Ahmed El Madini per la sua raccolta di racconti «Kharif wa qissasoun oukhra» («Un autunno e altri racconti»). Il premio della Poesia, invece, è stato attribuito a Latifa El Meskini per la sua raccolta «Hanajiroha amiae» (gosieurs aveugles), mentre il premio per la traduzione è stato assegnato nuovamente a Farid Zahi per «Assihr wa-Dine», una traduzione in lingua araba di «Magie et religion dans l’Afrique du nord» («Magia e religione nel Nord Africa») di Edmond Doutté. La Giuria del Premio del Marocco del Libro è composta da Ahmed El Yabouri (in veste di Presidente), Mohamed Darif, Abderrahim Benhada, Ahmed Bouhssen, Hassan Bahraoui e Malika El Asimi. Su ordine del re Mohammed VI, SAR il Principe Moulay Rachid ha proceduto, inoltre, alla consegna di 14 onorificenze assegnate a letterari, scrittori, autori, editori e direttori di biblioteche nazionali. Trattasi di Khnata Bennouna, Ghita El Khayat, Leila Echaouni, Souad Balafrej, Mohamed Benazzouz Hakim, Mohamed Benchakroun, Ali Afilal, Ahmed Chawki Binbine, Driss Khrouz, Charif Mohamed El Kadiri, El Hadi Al Asmer, Ahmed Essaigh, Abdelghani Belkassir et Abdelaziz Sbai. Il programma di questa manifestazione, organizzata dal Ministero della Cultura, consiste in svariate conferenze, seminari, letture poetiche, così come nella presentazione di raccolte di scrittori marocchini, pubblicate proprio dal Ministero della Cultura. Sono 298 gli intellettuali e gli scrittori, di cui 199 marocchini e 99 provenienti dal mondo arabo e straniero, che daranno vita a dibattiti e convegni vertenti tutti su tematiche artistiche e culturali. Tra questi spiccano i nomi dell’egiziano Ahmed Fouad Najm e dello scrittore francese, di origine afgana, Atiq Rahimi, vincitore del premio Goncourt 2008.Inoltre si renderà omaggio a dei nomi illustri della cultura araba e marocchina come Abdelkébir Khatibi, Abdelfattah Kilito e al poeta iracheno Saadi Youssef. Questa edizione sarà anche un’occasione per mettere in risalto delle opere di un’élite di scrittori marocchini e arabi deceduti, in particolar modo del poeta palestinese Mahmoud Darwich, del librettista marocchino Hassan Moufti, e dello scrittore Hassan.

E una chicca da MEMRI, il giornalista liberale saudita Turki al-Dakhil sostiene il permesso alle donne di guidare così come il taglio delle mani per i ladri: http://www.memritv.org/clip/en/2031.htm .
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L'EGITTO LIBERA NOUR, AVVOCATO ANTI-MUBARAK. LA GIOIA DELLA MOGLIE GAMILA

Svolta L' oppositore rilasciato dopo tre anni. «È l' effetto Obama».

Scarcerato a sorpresa. «Torno alla politica» La scheda Il leader dell' opposizione soffre di diabete. Il procuratore generale: «Lo abbiamo liberato per motivi di salute».


GERUSALEMME - Tornando a casa. Gamila Ismail (al centro nella foto appena ricevuta la notizia) ha saputo che suo marito Ayman Nour era libero solo quando l' ha chiamata il portinaio: «Venga, signora, l' avvocato Nour non ha la chiave...». Gamila è giornalista di Newsweek, capisce le notizie. S' è messa a correre per le vie di Bab al Shariya, periferia del Cairo, è salita per le scale e l' ha trovato lì, t-shirt arancione, sul pianerottolo: «Era in ginocchio. Pregava. Non ci crediamo ancora, io, i nostri due figli...». Non ci credono ancora perché non ci speravano più: Nour, l' unico politico egiziano che abbia mai sfidato il faraone Hosni Mubarak a un' elezione presidenziale, condannato a cinque anni di carcere, dopo tre è stato scarcerato. A sorpresa. «Motivi di salute», dice il procuratore generale. «Non me lo spiego, ma torno per fare politica come prima», dice il rilasciato. «È l' effetto Obama», commentano molti analisti. (...)
Perché è difficile credere che il 44enne leader di al-Ghad, il Partito del domani, 6 deputati su 454, grande popolarità fra i giovani borghesi, sia uscito dalla cella di Tora solo per i problemi agli occhi, il cuore debole, il diabete e l' insulina quotidiana. In cinquant' anni di storia egiziana, la sua sfida fu unica: «Mi hanno incarcerato perché dopo 24 anni d' oppressione e di crisi economica, ho osato oppormi a un presidente al potere dal 1981, eletto per cinque mandati e sempre senza rivali». Pochi mesi dopo le elezioni, preso il 7 per cento contro l' 89 di Mubarak, Nour si trovò incriminato per duemila firme di lista «false», privato dell' immunità parlamentare. Inutili i richiami dell' Ue e del presidente americano, George Bush. Mubarak ha sempre considerato la sfida di Nour un ostacolo al suo progetto di lasciare la presidenza al figlio, Gamal. Qualcosa è cambiato, però. Isolato, privato della corrispondenza, ad agosto l' oppositore era riuscito a far arrivare a un giornale una lettera aperta al candidato Obama, «sogno di cambiamento di molti riformatori arabi». (...) (Fonte: "Corsera", 19/2)
Grazie mille a Barbara per la foto scannerizzata... .
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giovedì 19 febbraio 2009

TURCHIA, I PANTALONI PER LE DONNE DEPUTATE

Rania di Giordania li ha sfoggiati per partecipare al World Economic Forum, durante le visite all’estero—da Londra, a Tokio, a Washington — oppure per accogliere in patria diplomatici e capi di Stato. Lalla Salma, first lady marocchina, li ha indossati per festeggiare l’indipendenza del suo Paese e per incontrare il direttore generale dell’Unesco e i sovrani di Spagna. Presto i pantaloni — portati dalle donne — potrebbero entrare con la stessa disinvoltura anche nel Parlamento turco. «Le deputate possono indossare gonne oppure giacca e pantalone in occasione dei lavori in aula e all’interno delle commissioni» è il testo di un emendamento al regolamento parlamentare reso noto dal quotidiano Hürriyet. Una bozza, per ora. Che ha però trovato d’accordo l’intero fronte politico — compreso il partito islamico moderato (sic!) Akp del premier Recep Tayyip Erdogan — e che dovrebbe perciò essere approvata senza troppa difficoltà a fine marzo, quando è previsto l’arrivo del testo in Parlamento. L’assemblea—50 donne e 500 uomini—sarà anche chiamata a votare un secondo capitolo dell’emendamento, ovvero la possibilità che la presidenza della Camera estenda il via libera al pantalone a tutti i funzionari e impiegati del Parlamento di sesso femminile. «Un’evoluzione importante » commenta Laurent Mignon, professore alla Bilkent University di Ankara. «In Turchia sono in vigore in tutto il settore pubblico regole piuttosto rigide sull’abbigliamento: abito e cravatta per gli uomini, gonna per le donne — spiega —. Negli ultimi anni, però, le impiegate statali hanno iniziato ad andare a lavorare in pantaloni e il fenomeno, che è stato tollerato e si è diffuso, non poteva non estendersi anche al regolamento parlamentare». «Un’evoluzione, non una rivoluzione » precisa quindi il docente, frutto anche delle «lotte femministe» e del dibattito in corso tra gli intellettuali «di sinistra, liberali, islamici» sul diritto o meno dello Stato di «imporre un codice di abbigliamento ». Cita la spinta dei movimenti delle donne anche Hürriyet, raccontando il tentativo (fallito) della deputata Ayseli Göksoy e di alcune colleghe, già a metà anni anni Novanta, di entrare in aula in pantaloni: «Uno sforzo insufficiente, ma non vano». (Fonte: "Corsera")

E invece in Iran... : 35 infermiere licenziate perchè mal velate , Leggi ancora... .

Niente a che fare comunque con le proteste, scoppiate un anno fa, quando il Parlamento cancellò il divieto del velo per le donne nelle università del Paese. Una riforma fortemente voluta dal premier Erdogan e poi cancellata dalla Corte costituzionale. Allora si dibatteva sulla laicità del Paese e sul pericolo che venisse violata. Lo stesso motivo per cui, la scorsa estate, il partito del premier ha rischiato di essere sospeso. «Questo emendamento non ha nulla a che vedere con la fede islamica e non è un segnale di laicità» commenta il professor Michele Bernardini dell’Orientale di Napoli. «Anche perché—aggiunge—il pantalone faceva parte del vestiario della donna turca già prima di Atatürk e ne fa ancora parte, dagli Stati del Nord Africa all’Iran alla Siria, in moltissimi Paesi islamici». Leggi tutto ...

MARIA E NON LA SHARIA !


Manifesto di campagna dell' UDC (UNIONE DEMOCRATICA DEL CENTRO) in Svizzera.

La rima lascia un po' il tempo che trova, ma il messaggio è chiaro.
Ovviamente "Maria" non è quella del post di prima! -:)

(Fonte: "Scettico", da qui).

E sempre da "Scettico", in Olanda: link .
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CONVERTITE

«Io faccio del mio meglio per "ricordare" sempre cose che sembrano scontate o non rilevanti, ma invece sottolineano "l'umanità" della nostra religione e l'ovvia volontà del Creatore di rendere felici le creature che seguono la Via anche in questa vita.
Sono narrati almeno tre diversi hadith circa la circoncisione, ma io preferisco riportare questo, poiché lo ritengo più “sicuro” (opinione strettamente personale): Da Aicha (ra): Disse il Profeta sAaws: quando un uomo siede tra le quattro parti (braccia e gambe di sua moglie) e le due parti circoncise si incontrano, allora il ghusl è obbligatorio – Sahih Muslim 349.
E nella 'Risala' di Ibn Abi Zayd al-Qayrawani, si legge: (…) per le bambine, il khifad (escissione) è raccomandabile". Con khifad però, va sottolineato con molta decisione, si intende che il 'taglio' deve essere limitato a quanto specificato (per esempio) da Ibn ‘Uthaymin in Al-Sharh al-Mumti’, 1/133-134 La circoncisione femminile viene fatta tagliando una piccolo parte di pelle che sembra la cresta di un gallo (il clitoride), sopra l’uscita dell’uretra. La Sunnah non è di tagliarla tutta, ma piuttosto una parte di essa. (…)
Il piacere femminile è da tenersi in grande considerazione e l’Islam accorda molta rilevanza alla gioia ed all’intesa fisica tra i due sposi. (…) Chi vuole, può farlo per seguire la sunnah, a cosa serve, lo abbiamo già detto: regola l'intensità del desiderio sessuale e migliora l'appagamento». Maria - qui e qui – che, sentendosi diffamata da Ida Magli, scrive: «Ma non ne prova vergogna stà gente?».



(Fonte: "Unpoliticallycorrect")

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mercoledì 18 febbraio 2009

IL CASO MUSHTAQ AMER BUTT

Francia. La denuncia di Chahrazad Belayni arriva in corte d’assise a Seine-Saint- Denis.

Prime pagine sui giornali e nei tg, per il processo che ha tenuto banco in Francia per tutta la settimana. Parte offesa Chahrazad Belayni (foto in alto a sinistra, ndr), oggi di 21 anni, che nel 2005 fu cosparsa di benzina dal suo ragazzo, Mushtaq Amer Butt, e bruciata viva perche’ non voleva sposarlo. Venerdi 13 febbraio, Mushtaq e’ stato condannato dalla corte d’Assise di Seine-Saint-Denis a venti anni di reclusione per tentato omicidio.“Volevo solo andare a lavorare", ha raccontato singhiozzando ai giudici Chahrazad, che porta evidenti i segni delle ustioni su tutto il corpo. In lacrime anche il suo aggressore, descritto dai testimoni come "figlio unico maschio super-coccolato" da genitori e sorelle. Il caso ha sollevato un'ampia eco nell'opinione pubblica. Intervistata su France 3, Chahrazad si e' appellata alle donne, " ho lottato per questo processo, e continuero' a lottare contro la violenza sulle donne. Io non ho piu' un futuro , ma voglio che il mio dramma serva da esempio per le altre ragazze. Nessuna denuncia quello che succede in casa, se io l’avessi denunciato prima non sarei arrivata a questo punto…”. Ni Putes Ni Soumises le conferisce la vicepresidenza onoraria del'associazione... . Nella foto in basso Sihem Habchi, vice-presidentessa di Ni Putes Ni Soumises, che è stata a fianco a Chaharazad per tutto il processo.

Si e’ concluso con una pesante condanna, il processo ( seguitissimo dall'opinione publica francese) contro Mushtaq Amer Butt, 28 anni, pakistano naturalizzato nel 2004, che il 13 novembre del 2005 getto’ a tradimento una tanica di benzina addosso alla sua ragazza, Chahrazad Belayni, 17 anni al’epoca, e poi le diede fuoco. “Non ho piu’ un futuro, ha dichiarato la giovane all’uscita della sentenza, venerdi 13 febbraio, intervenendo nel corso della trasmissione “Comme un vendredi” su France 3, “ma la mia tragedia serva almeno da esempio
alle altre ragazze". “Continuero' a lottare contro la violenza
sulle donne - ha aggiunto, riprendendo le dichiarazioni fatte durante il processo - le donne non denunciano quello che avviene in famiglia, io stessa non l’ho mai fatto, ed e’ stato un errore. Se l‘avessi denunciato prima, non sarei arrivata a questo punto…”. Chiamata a deporre dai giudici della corte d’assise di Seine-Saint-Denis martedi 10 febbraio, la ragazza aveva raccontato singhiozzando i dettagli dell’aggressione subita. Il confronto con Mushtaq, atteso dai media, pero’ non c’e' stato: dopo la testimonianza, Chahrazad, i capelli sul viso per tentare di nascondere le cicatrici delle ustioni, non ha avuto la forza di ascoltare le parole del suo aggressore ed e’ uscita piangendo dall’aula. Ai giornalisti e alla gente comune che l’assediava, chiedendole che cosa si aspettasse dalla giustizia, ha risposto , singhiozzando ," mi aspetto che lui sia dichiarato colpevole e condannato ad una pena severa, che sia punito per un tentato omicidio commesso in modo atroce. Servirebbe da segnale per la lotta contro la violenza fatta alle donne”. (Fonte: "Women in the city")
Da parte sua, Mushtaq Amer Butt non ha mai alzato la testa durante tutta la testimonianza di Chahrazad, tanto meno quando e' stato ricostruito lo scenario del tentato omicidio.Sul tavolo delle prove, un bidone per la benzina di cinque litri. fatti risalgono al 13 novembre del 2005 quando Mushtaq Amer Butt, che non accetta che Chahrazad tronchi la relazione tra loro e si rifiuti di sposarlo, la rovescia addesso una tanica di benzina, dandole fuoco, mentre lei sta andando a piedi al lavoro nel comune di Neuilly-sur-Marne. Mushtaq era poi scappato in Pakistan, costituendosi alla polizia del Paese un anno dopo, nel novembre 2006.“Mi e’ venuto incontro correndo, con il bidone in mano, ha raccontato Chahrazad ai giudici tra i singhiozzi, e mi ha lanciato addosso la benzina. Poi ha acceso un fiammifero, e tutto il mio corpo ha preso fuoco all’istante… Io volevo solo andare a lavorare...”. Ricoverata in ospedale in pericolo di vita, il corpo ustionato al 60%, Chahrazad e’ stata tenuta per settimane in coma artificiale. Operata diverse volte, soffre conseguenze psicologiche e fisiche molto serie. Alla fine del 2006, ha tentato il suicidio. “Non ce la faccio, e’ troppo doloroso”, aveva dichiarato.
Chiamato dai giudici a rievocare la sua vita e la relazione d’amore con Chahrazad, Mushtaq Amer Butt e’ a sua volta scoppiato a piangere. Ha detto, tra le lacrime, che la benzina l’aveva comprata per se’, per uccidersi " ai suoi piedi", e ha chiesto perdono alla ragazza che pero’ era gia’ uscita dall’aula. Descritto dai testimoni come " figlio unico super-coccolato" da genitori e sorelle, in Francia con la famiglia dall’eta’ di 14 anni, Mushtaq aveva incontrato Chahrazad nel giugno del 2004 nella boutique dove lei lavorava, facendo il suo stage per il diploma di segretaria. Dopo il fidanzamento, ha raccontato la ragazza, il giovane pero' era via via cambiato, diventando sempre piu' “cattivo, violento. Ha cominciato a picchiarmi e a minacciarmi di morte se non lasciavo il lavoro e lo sposavo”. Il caso, che ha sollevato un'ampia eco nel'opinione pubblica, e' un ulteriore segnalatore del drammatico disagio delle seconde e terze generazioni di immigrati arabi e magrebini, i maschi soprattutto, stretti tra opposti modelli culturali che covano conflitti latenti, pronti ad esplodere quando vengono rimessi in discussione i fondamenti tradizionali dei ruoli. Abbandonati a se stessi nei grandi quartieri dormitorio della capitale e delle altre citta' francesi meta di immigrazione, in assenza di vere politiche culturali d'integrazione e di una seria educazione al rispetto di genere, ragazze e ragazzi possono contare solo su stessi. Ma il processo di Seine-Saint-Denis ha dimostrato che le ragazze hanno una marcia di liberta' in piu'. Per la presidente dall’associazione Ni putes Ni soumises, Sihem Habchi, rimasta a fianco di Chahrazad per tutte le udienze," e' stato un processo esemplare, con una sentenza altrettanto esemplare. Chahrazad e' il simbolo della violenza di oggi contro tutte le donne”. L'associazione le ha conferito la vicepresidenza onoraria.
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AASIYA AVEVA INCORAGGIATO IL MARITO AD APRIRE L'EMITTENTE CONTRO GLI STEREOTIPI SUI MUSULMANI

In uno degli ultimi post, che ancora potete vedere in questa pagina, ho riportato la notizia USA: IL DIRETTORE DI UNA RETE TELEVISIVA MUSULMANA DECAPITA SUA MOGLIE .


Il "Corriere" di oggi dice che lui era sì il direttore e proprietario della TV Bridges, creata nel 2004 apposta per migliorare l'immagine negativa nei confronti dei musulmani dopo l' 11 settembre, ma era stata proprio sua moglie ad incoraggiarlo, Aasiya Zubair Hassan, la 37enne di origine pachistana che l'uomo ha confessato di aver decapitato dopo che lei, il 6 gennaio scorso, aveva osato presentare istanza di divorzio. Spiega la legale della vittima, Beth Di Pirro: "Aasiya sapeva di rischiare chiedendogli il divorzio, ma ha deciso di procedere comunque perchè era una donna coraggiosa e per assicurare un futuro ai figli di 4 e 6 anni". Un'amica della coppia, Samira Khatib, racconta che i due "oltre ad essere marito e moglie erano partner in tutto": anche in affari e insieme avevano creato questa TV dal nome emblematico: "Ponti". E' proprio Samira Khatib a riferire che "era stata lei ad incoraggiarlo ad aprire la Bridges TV, la prima tv via cavo in inglese destinata ai musulmani negli Stati Uniti". "Ogni giorno siamo bombardati da storie di musulmani estremisti, terroristi e violenti", aveva detto l'uomo nel lanciare la rete: "Nessuno parla delle innumerevoli storie di tolleranza, progresso, diversità ed eccellenza islamiche che Bridges TV spera di raccontare".
Ma più volte la polizia era dovuta intervenire in casa della coppia per le violenze che Aasiya subiva dal marito e aveva diffidato l'uomo dall'avvicinarsi a lei. Inoltre sono stati scoperti legami tra Hassan e Al-Manar, la tv ufficiale di Hezbollah.
E giovedì il ritrovamemento del corpo della donna, proprio nella sede della Tv che avrebbe dovuto migliorare l'immagine dei musulmani... . Il marito, che si è costituito, è in attesa di processo per omicidio di secondo grado e il "Corsera" spiega che si tratta di "un crimine per cui, grazie all'attenuante passionale, rischia l'ergastolo e non il patibolo".

Non credo di essere retorica se dico che Aasiya ha pagato con la vita per ciò in cui credeva e che la TV "Ponti" avrebbe dovuto dimostrare.
Intervista ad Abul Kasem, ex musulmano che spiega che dopotutto Muzammil Hassan, il marito-assassino di Aasiya, ha dopotutto mostrato "il vero islam", con quello che lui definisce un delitto d'onore: Moderate Beheading .
Abul Kasem è autore di un centinaio di articoli e di molti libri sull'islam, incluso "Women in Islam". Ha dato il suo contributo a libri come "Leaving Islam – Apostates Speak Out as well as to Beyond Jihad: Critical Views From Inside Islam. Il suo ultimo contributo è al libro Why We Left Islam (WND Books). Grazie a Bibi per la segnalazione.
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IRAN: S. VALENTINO NEL PAESE DEI MULLAH. IL GIORNO DELLA PROTESTA

Ieri è stata la festa di S.Valentino, il giorno dedicato agli innamorati. Se in occidente questa ricorrenza è ormai diventata una cosa normale, così non è in paesi come l'Iran dove moltissimi matrimoni vengono decisi dalle famiglie quando ancora le bambine sono piccolissime se non nella pancia. Niente amore quindi. Ma le cose quest'anno sono andate diversamente. Le rigide regole imposte dai Mullah, dicono che una donna non sposata non può prendere la mano del proprio amato in quanto solo dopo il matrimonio si può avere un “contatto fisico”. Ma quest'anno la cosa è andata diversamente e durante la giornata di ieri, seguendo un silenzioso tam tam, molte coppie di giovani innamorati sono andate in giro per Teheran mano nella mano sorprendendo la polizia morale. Già da diversi anni la festa di S.Valentino è diventata in Iran il “giorno della protesta”, quel giorno cioè in cui le ragazze “promesse” spesso a uomini che nemmeno conoscono, dimostrano il loro “vero amore” verso i ragazzi scelti da loro. (Fonte: "Secondo Protocollo", 15/2)

E a Dubai, che sembra così libera, proiettata verso la modernità: divieto di un libro con un personaggio gay, una donna britannica condannata alla prigione per adulterio perchè il marito vuole sottrarle i suoi due bambini naturalmente la tennista israeliana a cui viene negato di giocare: link.
Per questo motivo le autorità hanno espressamente vietato di nominare le parole “valentine” e “love”, adducendo come scusa che non sono parole della tradizione iraniana. Ieri però è andata diversamente e oltre a molte coppie mano nella mano a Teheran si sono visti molti cartelli con scritte le parole vietate. Una sfida alle autorità, quella portata dai giovani iraniani, che al momento non ha visto atti repressivi da parte della polizia morale ma che nei prossimi giorni, quando il sipario sarà calato, potrebbe portare nefaste conseguenze per quei giovani che l'hanno messa in pratica. Infatti la terribile polizia dei Mullah ha provveduto a fotografare tutti senza tralasciare nessuno, comprese quelle coppie che, sempre mano nella mano, entravano nei pochi negozi “di lusso” presenti nella capitale iraniana per comprarsi un regalo come dimostrazione di amore. Per noi la festa di S.Valentino è ormai diventato quasi un giorno come un altro, con poco valore morale, in Iran il 14 febbraio è il giorno dell'amore e quindi della protesta, perché l'amore nel Paese dei Mullah è un reato grave.
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martedì 17 febbraio 2009

TURCHIA: 39% DELLE DONNE SUBISCE VIOLENZA


Più di una donna su tre in Turchia è vittima di violenze coniugali ma pochissime denunciano i fatti alle autorità, secondo un'indagine ufficiale pubblicata giovedì.

il 39% delle donne turche subisce violenze fisiche da parte dei mariti o dai loro compagni, rivela quest'indagine svolta durante l'estate 2008 su 13.000 donne dai 15 ai 59 anni, attraverso 51 province turche, dalla Direzione dello statuto della donna (KSGM), un organismo ufficiale. il 15% delle donne è costituito da vittime di abusi sessuali, secondo l'indagine pubblicata nel sito Internet del KSGM. Soltanto il 4% delle donne picchiate sporge una denuncia alla polizia e l'1% sono integrate in case protette. La Turchia, un paese laico la cui popolazione è in grande maggioranza musulmana, ha moltiplicato le riforme a favore delle donne per rafforzare le sue possibilità di aderire un giorno all'Unione europea. Ma sul campo e nelle mentalità, rimane molto da fare per ridurre le discriminazioni di cui sono vittime le donne, secondo le organizzazioni femministe. (Fonte: "Scettico", da Le Figaro)

Ricordo comunque che, anche qui in Italia, ancora troppe sono le donne che non denunciano di aver subito violenza: cosa che mi sembra impossibile in un Paese libero!

A proposito, come non parlare anche dell' emergenza stupri (A Guidonia, Roma, Bologna, Milano...) ? La quota di stranieri colpevoli di questi abominevoli reati in Italia è passata negli ultimi 20 anni, dal 9 al 40%, stranieri che nei loro Paesi sono condannati all'ergastolo. Gli ultimi dati dell'Istat sulle violenze, relativi al 2007, segnalano che un milione e 400 mila donne italiane (il 6,6% delle donne con età fra 16-70 anni) hanno subito una violenza fisica e sessuale prima dei 16 anni. Eh, lo so: siamo razzisti, a denunciare questi fatti!!!
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lunedì 16 febbraio 2009

"CRIMINE D'ONORE": OOPS, PARDON, ERA ANCORA VERGINE

AMMAN: Un giovane giordano è stato accusato d'omicidio premeditato per avere ucciso sua sorella mentre dormiva.

Trovava il suo "comportamento sospetto", ha detto ieri un funzionario di giustizia. il giovane uomo di 21 anni ha pugnalato sua sorella di 24 anni, 10 volte in varie parti del corpo con un coltello da cucina, mentre dormiva martedì sera, a causa di ciò che percepiva come " un comportamento sospetto " di sua sorella. Questo crimine è avvenuto a Sahab, al sud della capitale, Amman.
Tre giorni fa, il sospettato non identificato, che ha ammesso l'omicidio di sua sorella, ha sentito uomini parlare di lei, che era un' avvocato stagista, ed ha allora deciso di ucciderla , secondo la fonte, che non ha fatto ulteriori precisazioni.
"Dice che si rammarica dell'assassinio di sua sorella, in particolare dopo esami che provano che era ancora vergine", ha riportato il funzionario di polizia.
Ha aggiunto che il sospetto "sarà sottoposto ad un esame psicologico per determinare il suo stato mentale". (Fonte: ancora "Scettico", Gulf Times )

"Sospettato" mica tanto, visto che ha confessato... .
E anche in Germania... link. Con la notevole differenza che qui è più facile che un colpevole di "delitto d'onore" sconti davvero la pena.
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USA: IL DIRETTORE DI UNA RETE TELEVISIVA MUSULMANA DECAPITA SUA MOGLIE

Muzzammil "Mo" HASSAN (foto), uno dei fondatori e direttore della rete televisiva musulmana Bridges TV, con base a Buffalo nello stato di New York, aveva partecipato alla creazione della rete nel 2004 il cui obiettivo dichiarato era di mostrare i musulmani sotto un migliore aspetto. Hassan ha oggi confessato alla polizia l'omicidio di sua moglie che ha decapitato nei locali della rete, nel pomeriggio del 13 febbraio.
La vittima è stata identificata come Aasiya Z.
Hassan, (foto) ed aveva 37 anni. Aveva depositato ed ottenuto il mese scorso da parte del giudice, un'ordinanza di protezione contro suo marito. "… È la peggiore forma di violenza che possa esistere, bisogna capire che l'atto di decapitazione è spesso strettamente associato all'islam e “ai crimini d'onore„ ha dichiarato Franck A. della polizia di NY Sedita III. La dissimulazione intenzionale deii mass media, degli affari “di crimini d'onore„ o di decapitazioni, generalmente strettamente legate alle pratiche fondamentaliste islamiche, non fa eccezione nel caso presente. Il Sig. Hassan e la rete ponte TV di Buffalo è stata al centro di un'indagine della Northeast Intelligence Network, che aveva scoperto legami tra Hassan e la rete dell' Hezbollah Al-Manar. Il Sig. Hassan aveva rifiutato di commentare le accuse. (Fonte: "Scettico", da Northest Intelligence Network )

E sempre in USA un convertito all'islam è stato condannato a 7 ergastoli per aver torturato per decenni le sue 3 mogli e i suoi 19 figli: link. Leggi tutto ...