giovedì 31 luglio 2008

SRI LANKA, MENO DOMESTICHE IN MEDIO ORIENTE: TROPPI ABUSI SULLE DONNE

Lo Sri Lanka ridurrà il numero delle domestiche che lavorano in Medio Oriente a causa dell'aumento di denunce di abusi dei datori di lavoratori sulle donne. "Vogliamo diminuire il numero delle donne collaboratrici domestiche principalmente per i continui reclami che abbiamo ricevuto dalle lavoratrici in Medio Oriente" ha detto il presidente dell'ufficio per l'occupazione straniera dello Sri Lanka.
L'Arabia Saudita, il Qatar, gli Emirati Arabi e il Kuwait hanno assunto oltre 700mila domestiche dello Sri Lanka, che si sono lamentate per aver subito abusi. L'ufficio per l'occupazione straniera ha fatto sapere di aver ricevuto 3.400 denunce, metà di queste prima del 2008, per aver interrotto il contratto o per esser pagate male o per non esser state pagate; 577 reclami riguardano lo stipendio, ma 479 denunce sono per abusi sessuali o violenze fisiche. (Fonte:"Peace Reporter")
"Vogliamo scoraggiare le lavoratrici donne a partire per il Medio Oriente e favorire invece i lavoratori uomini. Inoltre vogliamo cambiare il paese di destinazione, non Medio Oriente, ma Unione Europea, Australia, Corea del Sud e Giappone", ha aggiunto il presidente dell'ufficio per l'occupazione straniera.
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PERICOLO NOOR, LA SOAP EMANCIPATA

I predicatori musulmani più conservatori gridano allo scandalo. Si sentono minacciati da un programma tv. E' la soap opera Noor, che mette in video le vicende di una giovane stilista di moda musulmana, ambiziosa e emancipata, e quelle di suo marito Mohannad. A far paura ai fondamentalsti sono i valori di parità, diritti, amore e indipendenza femminile che emergono dal serial.
Come già capitato altre volte in paesi in cui le libertà civili non vengono sempre rispettati, una soap opera porta una ventata di cambiamento. Questa volta è toccato a Noor, serial turco da esportazione diventato un fenomeno mediatico e sociale in tutto il Mediorente, dove viene trasmesso dal canale satellitare saudita Mbc. Protagonisti di questa soap sono Noor e suo marito Mohanned, interpretati dagli attori Songul Oden e Kivanc Tatlitung. La vera star è il giovane Tatlitung, ex giocatore di basket dagli occhi azzurri e vincitore nel 2002 del premio "miglior modello del mondo". E' lui a tenere incollate agli schermi le donne arabe da quattro mesi, da quando la serie va in onda. In Arabia Saudita, l'unico paese dove si monitora lo share, ogni giorno la guardano 4 milioni di persone su 28 milioni di abitanti. (Fonte: "Liberali per Israele")
Un fenomeno che inizia ad avere le prime ricadute sociali: negli ospedali dell'area mediorientale si registra un aumento di bambini chiamati Noor e Mohanned. La lussuosa villa a Istanbul dove è stata girata la soap è diventata una meta turistica per gli arabi. Sul quotidiano Al Riad, una vignetta di recente è stata pubblicata una vignetta in cui un uomo bruttino entra dal chirurgo plastico con una foto di Kivanc Tatlitug. A Ramallah i negozi di vestiti vendono magliette con le foto dei protagonisti. Proprio la rapida e straordinaria diffusione della soap, considerata troppo aperta e non in linea con i principi della dottrina islamica, ha messo in allarme i rappresentanti religiosi.Noor e Mohanned, infatti, sono insieme per un matrimonio combinato, ma sono amanti innamorati e moderni. Osservano il digiuno nel mese di Ramadan, ma Mohanned ha un figlio da una compagna precedente e sostiene la moglie nel suo percorso verso l'indipendenza. Inoltre, sulla loro tavola non manca mai un bicchiere di vino.
Ma a preoccupare di più sono le allusioni sessuali e l'aborto compiuto da una cugina in una puntata. Qualche scena è stata censurata, ma non è sufficiente. "Questa serie tv contrasta con la nostra religione, i nostri valori e le nostre tradizioni" tuona Hamed Bitawi, parlamentare del movimento estremista palestinese Hamas e predicatore a Nablus, in Cisgiordania. Intanto le fan non fanno mistero di ispirarsi alla serie. "Ho detto a mio marito 'impara da Mohanned, come la tratta, come la ama'" dice Heba Hamden e giura che Noor le ha dato l'idea di uscire di casa e cercare un lavoro. L'ultima puntata della serie verrà trasmessa il 30 agosto, prima dell'inizio del Ramadan.
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mercoledì 30 luglio 2008

OLIMPIADI: IL CIO DICE SI' ALL'IRAQ. DANA CE L' HA FATTA

Ok all'ultimo momento da parte del Comitato olimpico internazionale

LOSANNA - L'Iraq potrà partecipare ai Giochi Olimpici di Pechino. Ad annunciarlo è stato il Comitato internazionale olimpico, che ha rimosso il divieto promulgato nei giorni scorsi. Bagdad dovrebbe inviare in Cina una squadra di due atleti (il discobolo Haidar Nasir e la velocista Dana Hussein), mentre altri cinque hanno perso la possibilità di disputare le ultime qualificazioni proprio per il ritardo della decisione del Cio che aveva posto lo stop per un problema delle libere elezioni del Comitato olimpico iracheno. Il Cio aveva infatti decretato l’esclusione dell’Iraq a causa delle continue interferenze politiche di Bagdad, che a maggio aveva sciolto l`organismo, assumendo il controllo diretto dello sport nazionale. (Fonte: "Corsera") Leggi tutto ...

DUBAI: UCCISA E SFIGURATA TAMIM, POPSTAR LIBANESE AMMIRATRICE DI HARIRI

Scrisse una canzone, «Lovers», dedicata all'ex premier assassinato.

La cantante, sparita da 8 mesi, è stata pugnalata. Il volto asportato con un taglierino

DUBAI - Un vero e proprio giallo, che sta scuotendo il mondo arabo. Sfigurata in viso e pugnalata in diverse parti del corpo: così è stata ritrovata senza vita nel suo appartamento a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, Suzanne Tamim (31 anni), cantante pop libanese, da anni lontana dai palcoscenici del suo Paese.
Lo riferisce il portale di notizie libanese «Al-Nashra». Secondo il sito internet, la Tamim è stata ritrovata morta lunedì scorso dopo che «per mesi aveva fatto perdere le sue tracce a familiari e conoscenti». «Il suo corpo - prosegue il portale - è stato pugnalato in diversi punti e il suo viso è stato sfigurato con un taglierino prima della sua morte». (Fonte: "Corsera.it")
LA FUGA - Residente «in segreto» da otto mesi a Dubai, dopo aver vissuto per anni al Cairo, la Tamim si era sposata due volte ma aveva divorziato da entrambi i mariti. La pop-star aveva raggiunto la sua notorietà nel 1996, quando vinse il concorso canoro nazionale Studio al-Fann (Artistic Studio). Il suo ultimo album risale al 2002, mentre è di due anni fa la sua canzone «Lovers», composta in occasione del primo anniversario dell'uccisione, in un attentato a Beirut, dell'ex premier libanese Rafiq Hariri.
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MARINA RIPA DI MEANA PRESA A CEFFONI IN TUNISIA

Marina Ripa di Meana aggredita su una spiaggia tunisina per essersi avvicinata a un gruppo di donne velate con un costume "troppo provocante".

Aggirarsi da sola su una spiaggia tunisina con un costume apparentemente provocante e avvicinare un gruppo di donne velate può non essere un'idea saggia. Lo ha scoperto a suo danno Marina Ripa di Meana , aggredita a schiaffi e spintoni dai tutt'altro che progressisti compagni delle suddette signore.
È accaduto su una spiaggia vicino alla località di Kelibia, dove la vivace (quasi) nobildonna era in vacanza e intenta a fare una passeggiata. «Stavo passeggiando su una bellissima spiaggia vicino a Kelibia, a un centinaio di chilometri da Tunisi - ha detto all'Ansa -, dove mi ero recata per qualche giorno di relax con un gruppo di amici. Avendo una camminata abbastanza sostenuta ho lasciato parecchio indietro la mia compagnia. Ad un certo punto incuriosita da un gruppo di donne sedute sulla spiaggia completamente vestite e con il velo mi sono avvicinata loro per scambiare due chiacchiere».
Un'iniziativa per nulla gradita da cinque uomini i quali, forse ingannati da un costume intero ma color carne, quindi forse interpretato come più provocante di quanto fosse in realtà, «sono spuntati all'improvviso dall'acqua e senza motivo mi hanno spintonata, aggredita, schiaffeggiata e riempita di insulti. Quindici minuti da incubo! Fin quando non sono arrivati i miei amici a soccorrermi».
Un brutto spavento reso ancora più amaro, per la disinibita Marina (che poche settimane fa aveva posato ancora una volta senza veli a 66 anni), dall'assenza di reazione da parte delle donne: nessuna ha «mosso un dito o tentato, anche solo a parole, di difendermi. Sono rimaste impassibili, girando il volto dall'altra parte».
(Fonte: "Libero News")

Tengo a precisare che, com'è facile intuire, ho la massima disistima per la Ripa di Meana, effettivamente volgare e provocatrice, ma certi comportamenti mi danno l'orticaria ancora più di lei (il che è tutto dire!!!).
Cose che succedono, verrebbe da dirle, in un Paese musulmano. Dal quale comunque la Ripa di Meana è voluta partire subito, con un giorno di anticipo e senza sporgere immediata denuncia: «Lo farò una volta a Roma tramite mio marito», ha spiegato.


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VUOL VEDERE SUO MARITO, IL PAPA' LA RINCHIUDE

Il matrimonio era avvenuto in segreto in Egitto, non formalizzato.

Un'egiziana 22enne è stata sequestrata in un magazzino dal padre perché voleva andare a vivere con il ragazzo che amava

MILANO - Una giovane egiziana è stata sequestrata per 15 giorni in un magazzino dal padre, che non voleva che vedesse l'uomo che aveva sposato segretamente in Egitto, almeno prima della formalizzazione del matrimonio in Italia. È accaduto nel milanese, dove il genitore è stato prima arrestato dai carabinieri con l'accusa di sequestro di persona aggravato, poi scarcerato dopo che la ragazza, impietosita, ha ritrattato la denuncia.
MATRIMONIO INFORMALE - La ragazza, 22 anni, voleva andare a vivere con il marito, di qualche anno più grande, che aveva sposato in Egitto informalmente, cioè davanti a un testimone ma senza che il matrimonio fosse registrato e quindi effettivamente riconoscibile per legge, almeno in Italia. Un rapporto osteggiato dai genitori di lei. (Fonte: "Il Corriere")
LA TELEFONATA - L'8 luglio scorso i carabinieri di Rozzano hanno ricevuto una telefonata dal marito della ragazza: «La tengono segregata in un magazzino a Corsico - diceva disperato -, dovete andare a liberarla». Arrivati sul posto, in un capannone, i militari hanno effettivamente trovato la ragazza nel deposito chiuso a chiave. Era stata lei, con il cellulare, a chiedere al marito di chiamare i carabinieri. «Sono qui dentro da 15 giorni - ha raccontato. - Mio padre mi tiene sequestrata». Alla fine la giovane è stata liberata quando i carabinieri sono andati a prelevare il padre con le chiavi.

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martedì 29 luglio 2008

BRESCIA: ASS. ACMID-DONNA, MAROCCHINA LIBERATA DOPO MESI DI SEGREGAZIONE

Brescia, 29 lug. - (Adnkronos) - Grazie all'intervento del numero verde antiviolenza per le immigrate ''Mai piu' Sola'', realizzato dall'Associazione Acmid-Donna Onlus attraverso il contributo della Fondazione Nando Peretti, le Forze dell'Ordine hanno potuto liberare una donna marocchina residente a Brescia che da tempo subiva maltrattamenti e violenze da parte del marito, anch'egli di nazionalita' marocchina.
Come fa sapere in una nota Acmid-Donna Onlus, da mesi la donna viveva segregata in casa e chiusa a chiave in un'unica stanza e grazie alla denuncia e all'insistenza del padre che vive in Marocco e alla sensibilita' della comunita' di Brescia, la donna e' stata finalmente liberata. ''Ringraziamo le Forze dell'Ordine per la tempestivita' con cui sono intervenute'', commenta Acmid-Donna Onlus.
(Zlo/Ct/Adnkronos)
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DONNE KAMIKAZE

BAGDAD - Tre donne kamikaze si sono fatte esplodere tra la folla di una processione sciita a Bagdad e hanno ucciso almeno 32 persone ferendone altre 102. Tra i feriti anche donne e bambini.


LA RETE DI AL-QAEDA. LE STRAGI DELLE DONNE KAMIKAZE: 57 MORTI

L'immaginetta di Loula Abboud è in bianco e nero, lo sfondo rosso e sulla sinistra la «falce e martello».Loula, 19 anni, era una libanese, di religione cristiano-ortodossa, membro del Partito nazionale pro-siriano. E' stata lei, con la sua compagna Sana'a Mehaidi, a indicare la via del martirio a dozzine di donne facendosi saltare contro un convoglio israeliano in Libano. Era il 1985.Da allora molte altre le hanno imitate. E non solo in Medio Oriente o in regione popolate da musulmani, come la Cecenia o la Palestina. Le kamikaze sono diventato fabbriche di morte nello Sri Lanka e in Kurdistan. Oggi sono la principale arma di distruzione di massa in Iraq. Dal 2003 a oggi sono state quasi una cinquantina e altre 122 — sostengono le autorità forse esagerando — non sono riuscite a portare a termine l'azione. Il Pentagono segue con preoccupazione il ricorso alle kamikaze, qualche volta in coppia con un minore. A inquietarli la tendenza: nel 2007 erano state «appena» otto, quest'anno sono triplicate. Un fenomeno che ha sollecitato studi e rapporti. Anche se l'ideologo qaedista Ayman Al Zawahiri ha affermato che le donne devono preoccuparsi di combattenti e figli, i leader locali non hanno avuto dubbi a usarle con la benedizione di imam compiacenti. I militanti ripetono quanto hanno visto fare dai loro fratelli di lotta. Dopo l'11 settembre le mujahidaat diventano una firma per gli attacchi. Le «vedove nere» cecene escono alla scoperto con l'assalto al teatro di Mosca, fanno saltare aerei e si lanciano in una gara con le palestinesi. (Fonte: "Corsera") È il 27 gennaio 2002 quando l'infermiera Wafa Idris, che allevava piccioni e si occupava degli handicappati, entra in un negozio di Gerusalemme, chiede il prezzo di un paio di scarpe e un momento dopo aziona una carica esplosiva tra la folla. E, di nuovo, sono stati i gruppi cosiddetti laici ad accettare le donne mentre Hamas e la Jihad hanno atteso a lungo ritenendo che non fosse ammesso il loro impiego. Nel 2003, è l'uzbeka Dilnova Holmuradova ad agire a Tashkent. Viene da una buona famiglia, parla cinque lingue ma diventa una «sorella benedetta » massacrando 47 persone su ordine di un gruppuscolo islamista. Il modello fa scuola e con la crisi in Iraq le kamikaze entrano in forze nel conflitto. Le prime due si uccidono a un posto di blocco nei primi giorni dell'invasione con Saddam ancora al potere: non erano straniere ma irachene. E lo sono quelle che seguono. Come Wenza Mutlaq, 30 anni, con il fratello attentatore suicida e il marito caduto in battaglia, immolatasi il 22 giugno. O la madre che ha avuto cinque figli uccisi nei combattimenti. Per la studiosa Farhana Ali sono le «quattro R» (in inglese) a trasformare una madre di famiglia in assassina: 1) La vendetta ( revenge) per la perdita di un familiare. 2) Dimostrare ( reassurance) che la donna è in grado di imitare l'uomo. 3) Reclutare ( recruit) altre simpatizzanti e dare l'esempio. 4) Ottenere il rispetto e la considerazione sociale ( respect) della comunità. L'età media oscilla tra i 15 e i 35 anni, provengono da aree povere, in alcuni casi erano le spose dei volontari jihadisti stranieri poi diventati «martiri». A queste spiegazioni se ne aggiunge una fondamentale: le donne hanno più possibilità di aggirare i controlli e arrivare sul bersaglio. Per fermarle a Bagdad hanno formato l'unità le «Figlie del-l'Iraq », altre donne che perquisiscono ed eseguono l'ultimo controllo. Uno scudo umano contro le bombe che camminano.
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BOTTE E VESSAZIONI, SEDICENNE TOLTA AI GENITORI. ORIGINARIA DEL BANGLADESH, ERA OBBLIGATA A VESTIRSI DA MASCHIO

MILANO - Una ragazza di 16 anni, originaria del Bangladesh, è stata tolta ai genitori e affidata a una comunità protetta dopo che aveva raccontato a una professoressa, in una serie di email, le vessazioni cui era soggetta in famiglia. La ragazza, primogenita di quattro figli, tra l'altro era costretta dai genitori a vestirsi come un maschio e a portare capelli corti; se si ribellava, la minacciavano di rimandarla in Bangladesh per farle sposare un uomo molto più vecchio di lei.
TENTATO SUICIDIO - Un insieme di vessazioni, durate anni e unite anche alle percosse con una bacchetta di legno, che hanno portato la sfortunata ragazza a tentare per due volte il suicidio. Un mese fa lo sfogo via email con la professoressa, che ha portato alla denuncia dei genitori, ora indagati dalla Procura di Milano per maltrattamenti in famiglia e lesioni. Le email sono agli atti dell'inchiesta del pm Isidoro Palma. (Fonte: "Corsera.it")
BICCHIERE ROTTO - Sembra che tra i motivi per cui i genitori la maltrattavano ci fosse anche il fatto che la figlia, primogenita, fosse l'unica femmina tra i quattro figli della coppia, che si è trasferita in Italia una decina di anni fa. Secondo quanto denunciato, i genitori la costringevano, tra l'altro, a tagliarsi i capelli come un ragazzo e a indossare abiti maschili. L'ultimo episodio di violenza sarebbe avvenuto dopo che la ragazza era tornata a casa in ritardo da un corso extrascolastico: la madre l'avrebbe picchiata con un bicchiere che le si sarebbe rotto sul braccio, ferendola. Tra gli altri metodi «educativi» c'era anche una specie di frustino di legno. Il padre della ragazza è titolare a Milano di un phone center e lavora anche come addetto alle pulizie, mentre la madre fa lavori saltuari.

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REGNO UNITO, SIMBOLI RELIGIOSI: A LONDRA RAGAZZA VINCE CAUSA CONTRO LA SCUOLA CHE L'AVEVA ESPULSA

La Suprema Corte di Londra sancisce il diritto di indossare simboli religiosi. Sarika Watkins-Singh, 14 anni, ha vinto la battaglia legale contro la sua scuola che l’aveva espulsa visto il rifiuto di togliere il braccialetto simbolo della religione sikh:

“Sono davvero contenta di sapere che mai più nessuno dovrà affrontare quel che io e la mia famiglia abbiamo affrontato e che nessuno sarà stigmatizzato perchè indossa il “kara”. Non sarei riuscita ad affrontare tutto ciò senza l’appoggio delle organizzazioni e di tante persone, a partire da mia madre e mio padre. Infine voglio dire solo che sono fiera di essere gallese e di essere una sikh del Punjab”, regione fra l’India e il Pakistan. (Fonte: Euronews)
La Corte ha ritenuto discriminatoria la scelta fatta dall’Istituto femminile Aberdare, nel Sud del Galles, che aveva agito sulla base del regolamento che vieta alle alunne d’indossare gioelli, orologi esclusi.
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lunedì 28 luglio 2008

MARYAM RAJAVI: DATECI FIDUCIA, ABBATTEREMO IL REGIME DEGLI AYATOLLAH

Oggi l’incontro con il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, con l’invito a parlare in autunno al Consiglio comunale della capitale, ma anche nei giorni scorsi l’agenda è stata fitta di impegni e contatti importanti.
Il capo in esilio, è stata ricevuta a Roma e ha rivolto un appello al Parlamento.

Mentre Teheran annuncia trenta esecuzioni capitali e il presidente Ahmadinejad viene incoronato «Eroe nazionale del nucleare» da un gruppo di saggi dei Guardiani della rivoluzione, le milizie volontarie fedelissime agli ayatollah, a Roma si sta concludendo la prima visita italiana di Maryam Rajavi, presidente del Consiglio nazionale della Resistenza iraniana ed esponente dell’opposizione in esilio, laica e riformista al regime iraniano.
Oggi l’incontro con il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, con l’invito a parlare in autunno al Consiglio comunale della capitale, ma anche nei giorni scorsi l’agenda è stata fitta di impegni e contatti importanti. L’obiettivo è innanzitutto ottenere il definitivo sdoganamento del Pmoi, l’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo in Iran, di cui la Rajavi fa parte, messa sulla lista nera delle organizzazioni terroriistiche da Unione Europea e Stati Uniti nel 2001. Ha cominciato, a fine giugno, il Regno Unito, ritirando il Pmoi dalla lista delle organizzazione terroristiche, all’indomani di un voto del Parlamento. All’inizio del mese, in Francia, la richiesta ha ottenuto l’appoggio di 290 parlamentari francesi di tutti i partiti - sui 577 dell’Assemblea nazionale.

Signora Rajavi ha ottenuto qualche promessa di impegno da parte del Parlamento italiano?

Per ora non ho ricevuto alcuna promessa formale, ma sono fiduciosa perché a Montecitorio ho ricevuto un documento firmato da decine di deputati di tutti i partiti in cui si esprime sostegno alla causa del cambiamento democratico in Iran. Penso che sia importante il fatto che il Parlamento si esprima con voce forte e univoca su questo tema e, e che l’opinione pubblica italiana lo appoggi. Stiamo aspettando:speriamo innanzitutto di venire rimossi dalla lista dei terroristi, come è già accaduto in Gran Bretagna. E auspichiamo che sia anche l’Italia a prendere l’iniziativa per inoltrare questa richiesta all’Europa. Ho molto apprezzato il rifiuto del vostro governo e del Papa a incontrare Ahmadinejad durante la sua visita in Italia in occasinoe del vertice Fao, a giugno, è un segnale importante. (Fonte: "La Stampa")
Giudica seria la minaccia nucleare iraniana?

E’ una vera e grave minaccia che alcuni stanno cercando di ignorare in nome dei rapporti economici. Nel 2002 siamo stati i primi a denunciare questa situazione. Ma la politica atthale non porta a nulla. i negoziati occidentali con l’Iran sono serviti solo a prolungare una situazione inaccettabile che ha permesso agli ayatollah di guadagnare tempo. Qualunque forma di negoziato con l’Iran è inutile: la comunità internazionale deve prendere decisioni molto serie.

E cioè la guerra?

Trovo furoviante l’alternativa sanzioni oppure guerra. C’è una terza via ed è il cambiamento democratico da parte della popolazione e della resistenza iraniana. Non è vero che il popolo iraniano vuole gli ayatollah, il sostegno al regime è debole. E’ una dittatura così fragile, così in contrasto con la comunità internazionale che basterebbe poco a farla crollare.

Che cosa, esattamente?

Bisogna rispondere agli ayatollah con l’unico linguaggio che capiscono. Stop agli affari, stop alla vendita di armi, massima pressione sul regime. E sostegno all’opposizione interna, che è forte e pronta. I governi occidentali ignorano lo stato esplosivo della società iraniana. Il popolo e la resistenza iraniani chiedono all’Occidente di fermare la politica di appeasement nei confronti dei loro assassini. Una politica che ha trascinato il mondo verso un rischio di guerra e per questo abbiamo scelto una terza via: no all’appeasement, no alla guerra, si al cambiamento democratico per mano del popolo iraniano e della sua giusta resistenza.

Lei pensa che Ahmadinejad intenda usare le armi nucleari di cui sta cercando di dotarsi, o è solo una minaccia che agista per acquisire potere e autorevolezza di fronte al mondo islamico?

Ha promesso la cancellazione dello stato di Israele, non credo sia uno scherzo, si rischia la terza guerra mondaile. Ma c’è un pericolo ancora più grave: se il governo totalitario ed estremiata dell’Iran avesse la bomba atomica potrebbe usarla come mezzo per imporre il fondamentalismo nel mondo.

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domenica 27 luglio 2008

FATIMA, RAPITA E RITROVATA DOPO 4 ANNI, RIABBRACCIA LA MADRE

In cella il padre: la nascondeva in Belgio sotto falso nome L' uomo, marocchino, era scappato con la figlia l' 8 settembre 2004. Ha vissuto a Trento, in Marocco e poi ad Anversa


MILANO - «Mi porti nel mare "caldo"?», ha chiesto Fatima alla mamma ritrovata. «Non ti preoccupare, piccola mia, ti porto a quello di casa tua in Sicilia», ha risposto Maria, la donna che ha ricominciato a respirare sabato scorso, quattro anni dopo che la sua bambina le era stata sottratta dal padre. Quarantasette mesi di apnea, senza sapere dove fosse la figlia: starà bene? si ricorderà di me? mi penserà qualche volta? Fatima è stata rapita dal papà marocchino Ali Benjrhad a cinque anni. Era l' 8 settembre 2004. Il Tribunale per i minorenni avrebbe tolto all' uomo la patria potestà per maltrattamenti in famiglia. Di fronte a questa eventualità, Benjrhad ha perso la testa: nel week end pattuito con il giudice per vedere la figlia, sparisce. Prima due mesi a Trento, a casa di parenti, poi due anni in Marocco e infine ad Anversa, in Belgio, dove lavorerà come operaio in fabbrica. Documenti regolari, senza cambiare identità. Non la sua, almeno. Il passaporto di Fatima, invece, sarà contraffatto: la data di nascita rimane uguale, ma l' anno passa dal 1999 al 2000, e il nome diventa Sara. La polizia belga ha arrestato l' uomo il 15 luglio per documenti falsi e sottrazione di minore. «Quando mi hanno telefonato a casa per dirmi che Fatima era stata rintracciata sono rimasta pietrificata. Dopo quattro anni di speranze e di incertezze, se ti arriva una notizia così resti di ghiaccio. Non ci ho creduto finché non l' ho rivista con i miei occhi e ci siamo abbracciate», racconta mamma Maria Fiorentino, un fascio di nervi di 36 anni. Il «riconoscimento» della madre da parte della bambina, avvenuto in Belgio una settimana fa, è stato il momento più delicato, ma indispensabile. «Senza, non avremmo potuto procedere al riaffidamento», spiega il vicequestore di Trento, Roberto Giacomelli, il capo della squadra mobile che ha coordinato le ricerche con il servizio interforze Sirene e la collaborazione dell' ufficio minori del ministero di Grazia e giustizia. Fatima ora parla arabo e francese, non più l' italiano, ma lo capisce. «La nostra impressione è che abbia subito dei maltrattamenti dal padre. Però ha assorbito la cultura dei Paesi arabi, certi atteggiamenti per lei sono normali - prosegue Giacomelli -. Per esempio Sara non capisce perché suo padre sia in carcere. Si vede che sta bene ed è felice di aver riabbracciato la madre, però si fa tante domande. Gli assistenti sociali aiuteranno lei e la signora Maria in questa nuova fase, è una condizione che abbiamo voluto sia noi che i belgi». Ieri mamma e figlia hanno preso un treno per Roma, scortate dagli agenti. Tappa a casa di parenti e poi via di corsa in Sicilia. Dove il mare è caldo. (Fonte: "Corsera", 26/7/2008)
L' odissea La patria potestà Fatima nasce nel 1999 a Palermo da mamma Maria Fiorentino e papà Alì Benjrhad, marocchino. La coppia si sfalda, il Tribunale per i minorenni di Palermo decide di togliere la patria potestà a Benjrhad per i maltrattamenti in famiglia e autorizza il padre a vedere la figlia ogni quindici giorni Il sequestro L' 8 settembre del 2000 anziché riportare Fatima alla madre, come pattuito, Benjrhad scappa a Trento, a casa di parenti, dove resterà per due mesi. Poi padre e figlia si rifugeranno in Marocco per due anni e infine andranno a vivere ad Anversa, in Belgio. Qui l' uomo trova un lavoro regolare in fabbrica, e falsifica il passaporto di Fatima: lascia uguale la data di nascita, però cambia l' anno (anziché il 1999 scriverà 2000) e il nome, diventato Sara L' arresto Un anno fa la polizia di Trento verifica con i colleghi belgi la presenza di Benjrhad ad Anversa. Il 15 luglio scorso l' uomo viene arrestato per i documenti falsi della figlia (il Tribunale per i minorenni di Palermo lo aveva già condannato in contumacia per sottrazione di minore).
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DATING ONLINE PER I MUSULMANI E IL MARITO SI CERCA SUL WEB

Fidanzamenti "vecchio stile", ossia scopo matrimonio, stipulati via Web. E' questa la tendenza che coinvolge tantissimi ragazzi musulmani in tutto il mondo. Se trovare un parner è difficile anche per le iperdinamiche ragazze newyorchesi - tanto che, secondo un recente studio, negli Usa la metà delle coppie nate nel 2007 ha avuto origine grazie a internet - pensate alle difficoltà che adolescenti e donne musulmane possono incontrare nel conoscere un partner e trovare un marito rispettando le regole della loro religione.
Il sito. La soluzione si cerca nella Rete. Ed ecco il sito Singlemuslim, un portale di incontri che ha qualcosa di diverso dagli altri, in puro stile occidentale. "Il nostro sito ha trovato un punto di equilibrio tra l'alternativa islamica 'corretta' e i metodi tradizionali di reti familiari e matrimoni combinati" spiaga Adeem Younis, fondatore della pagina web, in un'intervista al quotidiano spagnolo El Pais. (Fonte: "La Repubblica", 25/7)
La novità. L'idea del portale è una sorpresa per chiunque sia abituato alla libertà del mondo internettiano: le ragazze musulmane iscritte a Singlemuslim non chattano con sconosciuti a loro piacimento: genitori, zii, cugini e fratelli possono accedere alle conversazioni "private" di figlie, sorelle, cugine. Lo scopo di questi incontri virtuali, infatti, nella quasi totalità dei casi è il matrimonio. E una possibile, futura unione va valutata con molta, molta attenzione. La rosa dei candidati. Piuttosto che soggiacere a una unione combinata imposta dalle famiglie, le ragazze trovano, nella tecnologia, una possibilità in più di incontrare, e avere qualche chance di scegliere, il loro principe azzurro. Un ulteriore pregio del trovare il fidanzato online, infatti, è anche che aumentano esponenzialmente i possibili candidati. Sul sito si legge: "Se stai cercando una single musulmana, inglese, americana o pachistana, islamica o araba, Single Muslim è il modo migliore per incontrare altri musulmani". Altri siti del genere offrono pure la possibilità di fare ricerche nel database degli iscritti in base alla corrente della religione islamica professata dal navigatore.
Gli annunci. Quelli pubblicati su Singlemuslim sono estremamente sintetici. Come quello di Fattim, 32 anni e una foto diversa dal solito: ha il capo coperto, ma in testa porta un paio di occhiali da sole alla moda. "Leale, obbediente, onesta e diligente sorella dell'Islam è quello che sono. Mi piacciono tutti i tipi di libri e canzoni islamiche". Fattim alla sezione "cosa cerco" ha scritto solo due righe, stringate, ma molto chiare: "Vorrei incontrare un fratello dell'Islam carino onesto e in salute".
Regali virtuali. Sia le ragazze che i ragazzi iscritti hanno la possibilità di inviare fiori virtuali a una nuova conoscenza. Si possono scegliere i possibili pretendenti sulle fotogallery e si può chattare in diretta. Fattim potrebbe andare d'accordo con Moslem23, che si definisce "un ragazzo carino, praticante, sono divertente e il resto te lo racconterò quando ci vedremo!". Lui cerca una ragazza praticante e "che sia bella sia dentro che fuori".
Il libro. Del resto che qualcosa è cambiato, anche per le ragazze musulmane, si era capito con la pubblicazione nel 2007 di Ragazze di Riad, il libro della 24enne Rajaa Alseanea, che racconta la vita sentimentale e non di quattro studentesse universitarie single. "Spero che si capisca che per queste donne inizia ad aprirsi a poco a poco un cammino non nel senso occidentale, che prende il buono dei valori e della cultura della loro religione, permettendo allo stesso tempo di apportare qualche cambiamento", ha scritto la giovane Rajaa nell'introduzione del libro. Che, comunque, in Arabia Saudita fu vietato.
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venerdì 25 luglio 2008

AFGHANISTAN E DIRITTI UMANI. SAYED RISCHIA LA PENA DI MORTE, L'ITALIA DEVE INTERVENIRE, di Souad Sbai

21 Luglio 2008 Nord dell’Afghanistan, ottobre 2007. Sayed Parwez Kambakhsh, studente dell’Università di Balhk, collaboratore di alcuni giornali locali, viene arrestato con l’accusa di oltraggio all’Islam. Dopo la condanna a morte in primo grado per empietà, il ventiquattrenne ha ribadito alla corte d’appello la sua innocenza e ha rivelato di aver subito delle torture volte a rendere una falsa confessione. Il capo d’accusa: aver sostenuto la parità delle donne. A sei anni dalla cacciata dei talebani questo è il paradosso in Afghanistan: nonostante siano tutelate dalla nuova Costituzione varata nel 2004, le donne - e chi le difende - versano in un clima di paura e di intimidazione. Molte di loro cominciano a discutere di matrimoni forzati, lapidazioni e stupri compiuti durante il regime talebano e alcune associazioni di diritti umani hanno iniziato a documentare le atrocità. Oggi l’inflazione, la disoccupazione e la corruzione rappresentano le questioni più urgenti da affrontare. Il dilagare dell’impunità, inoltre, sta alimentando un clima di sfiducia tra la popolazione, mentre il sistema giudiziario appare sempre più condizionato da forze conservatrici e fondamentaliste. Se finalmente, a partire dal 2002 avevano aperto i battenti per la prima volta quotidiani, siti internet ed emittenti radiotelevisive, i reporter afghani hanno dovuto fronteggiare le minacce per le critiche che hanno mosso ai leader del nuovo governo, ai signori della guerra e ai rappresentanti religiosi. Questi ultimi hanno cominciato ad avvalersi di un vero e proprio sistema di intelligence per stanare la stampa sovversiva. Ad oggi i talebani controllano ancora alcuni territori a Sud e nel 2007 hanno organizzato circa 140 attacchi suicidi. Essi sostengono di aver guadagnato nuovamente una certa influenza in alcune aree del paese con l’appoggio dei contadini bisognosi di un potere forte e di maggiore sicurezza pubblica. La rimonta dei talebani non è dovuta a una recrudescenza delle ideologie, ma alla debolezza del governo centrale, schiacciato dai trafficanti di droga, dalla massa di disoccupati e dalle lotte tribali. Il ritorno di un nuovo regime è uno spettro da scongiurare. La loro dittatura umiliava la donna attraverso la proibizione del lavoro, l'esclusione da qualsiasi forma di istruzione e l’imposizione del burqa, secondo la legge della sharia.
La repubblica afghana ha bisogno di migliorare le sue relazioni internazionali, ma finora il debole ed inesperto governo non ha saputo fronteggiare alcuni stati di crisi e la situazione sta gradualmente peggiorando. Gli ambigui leader afghani, compreso Karzai, cominciano a prendere le distanze dagli osservatori occidentali che suggeriscono invece cambiamenti e criticano gli amministratori locali e i poliziotti corrotti. Le speranze della popolazione, germogliate in più un quarto di secolo di guerra, in principio erano illimitate. Il loro paese, ad oggi tra i più poveri, resta il primo produttore di papaveri da oppio. Circa tre quarti della popolazione è ancora analfabeta e la capitale ha accesso all’energia elettrica soltanto per alcune ore. E’ pur vero che a più di sei anni dalla fine del regime talebano l’Afghanistan ha vissuto dei cambiamenti rilevanti. Sei milioni di bambini sono andati a scuola per la prima volta, chilometri di strade sono stati costruiti, ma la condizione della donna resta immutata, laddove non è peggiorata. Sfortunatamente però, la risalita di questo paese appare più difficile ora rispetto a sette anni fa. L’Italia non può restare a guardare. Il nostro governo, sulla base delle responsabilità che esercita per il ritorno alla democrazia in Afghanistan, può scongiurare attraverso un’azione diplomatica la pena di morte richiesta per il giovane Sayed, reo di combattere per la difesa dei diritti umani e per l'emancipazione delle donne.

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"L' ITALIA ALLE PRESE CON LA POLIGAMIA", di Tracy Wilkinson del "Los Angeles Times"

A poca distanza dal Vaticano Najat Hadi prese casa con il marito, la sua seconda moglie e i vari figli, una casa infelice insieme a una donna piena d’odio, più giovane di dieci anni e a un marito crudele che le ha lasciato una terribile cicatrice sul collo. Alla fine – racconta Hadi – il marito egiziano, che lavorava come pizzaiolo a Roma, la picchiò così tanto da spingerla a lasciarlo. Ma ha mantenuto i suoi figli. Migliaia di matrimoni poligami come quello della signora Hadi sono sorti in tutta Italia come sottoprodotto di una veloce e massiccia immigrazione di musulmani in questo paese cattolico. Nonostante l'evidente scontro tra culture, le autorità italiane chiudono un occhio, lasciando le donne in una condizione di oscurità semiclandestina, prive di diritti e senza nemmeno intervenire quando le cose vanno male come nel caso di Najat Hadi.

"E’ assurdo che in un paese civile come l'Italia, tutto ciò sia così poco conosciuto", ha affermato Souad Sbai, parlamentare di origine marocchina, divenuta paladina delle donne immigrate e musulmane.
L'Italia è una delle tante nazioni europee a dover fronteggiare la questione della poligamia. In Gran Bretagna e in Spagna, in cui si sono insediate numerose comunità musulmane, le autorità favoriscono il riconoscimento del matrimonio poligamo per garantire alle mogli l'accesso alla previdenza, l'assistenza medica e altri benefici.
Ma Sbai, che ha vissuto 27 dei suoi 47 anni in Italia, ritiene che questi comportamenti equivoci, che cercano di non urtare la sensibilità culturale, siano controproducenti quando le tradizioni che sfociano nell’illegalità vengono tollerate.
La legge ammette solo il matrimonio tra un solo uomo e una sola donna.
Sbai stima che in Italia ci siano 14.000 famiglie poligame, altre fonti invece danno un numero ancora più elevato. Molti approfittano del cosiddetto matrimonio orfi, una unione meno formale celebrata da un imam, che non ha però lo stesso status giuridico sociale di un matrimonio regolare.
Souad Sbai è convinta che i poligami in Italia stiano praticando una forma più fondamentalista ed illegale di matrimonio poligamico. Sentendosi minacciati dalla cultura occidentale che li circonda, spesso imprigionano le loro mogli e le obbligano ad una vita di solitudine completamente dipendente dal marito. (Fonte: ACMID-DONNA, 18/7)
"Sono tenute in una sorta di ghetto", ha detto la Sbai.
Quando la Sbai ha recentemente creato un numero verde per le donne immigrate musulmane, è stata inondata di migliaia di chiamate nei primi tre mesi. Con stupore, è entrata in contatto con una comunità nascosta di comunità di donne disperate che chiedevano informazioni senza istruzione, intrappolate in famiglie poligame e violente, isolate e solitarie.
La signora Hadi, marocchina, aveva subito percosse e umiliazioni, perché sentiva che non aveva nessuno dalla sua parte. Ha affermato di aver conosciuto e sposato il marito nel 1987 in Italia, dove era in visita per le vacanze. I due si sposano con rito religioso in una moschea locale e poi con un matrimonio legale nell'ambasciata egiziana a Roma. Nei dieci anni successivi ha dato vita a quattro figli.
Un giorno nel 2000, Hadi tornando da una vacanza in Egitto, dove aveva portato i bambini a trascorrere del tempo con la famiglia del marito trova nel suo appartamento di Roma una nuova donna. Il marito si era sposato di nuovo e lei non ne sapeva nulla.
“Sono tornata e l’ho trovata a casa mia, ha detto.
“Volevo sapere perché”. Ma dove potevo andare con quattro figli? " ha detto Hadi. Così cercò di ospitare l’altra donna, un’egiziana che Hadi ricorda piena di odio.
“Per i bambini ho cercato di accettarla – continua Hadi – Ma non era una donna intelligente”.
Le percosse del marito sono peggiorate, la signora Hadi è finita ripetutamente in ospedale. Il marito le ha anche procurato una cicatrice sul petto.
Poi, circa un anno e mezzo fa, ha iniziato a prendersela con i bambini. Grazie alla Sbai e ad altre donne marocchine, ha presentato una denuncia penale contro di lui. Ma lui è ha preso i due figli più piccoli ed è fuggito in Egitto. Hadi non è riuscita di riaverne la custodia.
Sbai, la donna politica, ricorda la poligamia durante la sua infanzia in Marocco. Almeno ufficialmente, il marito non poteva sposare più di una donna di cui non riuscisse adeguatamente e giustamente a prendersi cura. Qui in Italia, dice, la poligamia è spesso distorta. Le viene in mente l’esperienza dell’immigrato: regressione e isolamento, anziché integrazione.
Delle centinaia di donne ascoltate da Sbai, la maggior parte sono marocchini e analfabeti, con percentuale più elevata rispetto al Marocco. Questo tende a isolarle, una condizione aggravata dalla diffidenza verso le autorità italiane e dalla paura dell’ignoto.
Kalisa, 50, ha raggiunto il marito marocchino in Italia nel 2001.Quando è arrivata a Roma, lui aveva sposato una seconda moglie.
Kalisa rimase sconvolta. Viveva con il marito, l’altra moglie e i due figli della donna in una camera di un appartamento, dove era costretta a dormire sul pavimento e ascoltare il marito e la giovane donna mentre facevano sesso. Il marito la trattata il malo modo, vantandosi della seconda moglie come con un trofeo e costringendo Kalisa a sbrigare i lavori domestici e ad aver cura dei bambini. La costrinse a lavorare in una casa italiana e a consegnargli i suoi guadagni.
Quando la corda si spezzò e lei lo minacciò di andarsene, lui la rinchiuse in casa per 10 giorni. Finalmente la sue grida spinsero un vicino di casa italiano a chiamare la polizia, e Kalisa potè uscire. Al centro di Souad Sbai Kalisa ha imparato a scrivere il suo nome per la prima volta. “Sono stata sua moglie per così tanto tempo – racconta Kalisa - poi ne divenni la schiava”.
Zora, una marocchina che ha vissuto in Italia per 27 anni, conobbe e sposò un egiziano a Roma nel 1989. Nonostante avesse giurato di essere celibe, venne fuori che aveva un’altra moglie in Egitto. Zora (che ha chiesto di non pubblicare il suo cognome) ha appreso del matrimonio quando il figlio nato da tale unione si presentò nel suo appartamento di Roma.
"Ero senza parole", ha detto Zora, che ha 52 anni ma ne dimostra 35.
Zora ha cominciato a sospettare che il figlio di suo marito molestasse suo figlio, che all’epoca aveva 6 anni. Il ragazzo era coperto di lividi e terrorizzato all’idea di rimanere da solo con il fratellastro. Lei, a sua volta, aveva paura di rivelare qualcosa al marito. Quando Zora si fu accertata che dell’abuso che si stava consumando, la rabbia soverchiò la paura. Prese suo figlio e fuggì.
Souad Sbai aiuta le donne come Zora ad ottenere o mantenere il lavoro e ad conoscere le basi della legge italiana. Zora, per esempio, sta cercando di ottenere che il figlio non abbia più il cognome del padre per impedire che il padre lo porti via dal paese. Le donne ricevono un’istruzione elementare e hanno inoltre accesso a un supporto psicologico, nonostante molte di loro all’inizio fossero riluttanti a parlare.
"Ancora non abbiamo raggiunto la piena integrazione - afferma la psicologa, Lucia Basile - dopo quello che hanno passato, dobbiamo insegnare loro che hanno dignità e che esse esistono."
Hadi, ha preso a cuore questa causa. Si batte per il ritorno dei suoi figli, lavora nell’ufficio di Souad Sbai, rispondendo al numero di emergenza e tendendo la mano alle Marocchine alle altre donne immigrate per informarle sui loro diritti e sulle opportunità.
Afferma Hadi: "E’ sempre la donna a pagare il prezzo".
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DONNA KAMIKAZE SI FA ESPLODERE A BAQUBA

Tra i feriti anche donne e bambini (ndr. ho messo io la nota).

BAGDAD - Almeno otto guardie armate sunnite, alleate con le forze armate degli Stati Uniti, sono rimaste uccise in un attacco kamikaze compiuto da una donna a Baquba, capoluogo della provincia irachena di Diyala. Lo ha annunciato la polizia irachena, che ha aggiunto che altri ventiquattro sono stati feriti. (Fonte: "Corsera")
POSTO DI BLOCCO L’attentatrice suicida si è fatta saltare in aria in un posto di blocco controllato da guardie sunnite alleate con gli Usa. L’esplosione, ha indicato un funzionario di polizia, è avvenuta alle 20.30 locali vicino a un checkpoint del cosiddetto Consiglio per il risveglio nel centro di Baquba, città a nordest di Bagdad.
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POLIZIA RITROVA IN BELGIO BIMBA RAPITA DAL PAPA' MAROCCHINO ALLA MAMMA ITALIANA

Il sequestro 4 anni fa: la bambina aveva una nuova identità. L'uomo è stato arrestato.

TRENTO - Una fuga durata 4 anni. In cui alla piccola rapita era stata creata una nuova identità. Una bambina che era stata sottratta quattro anni fa dal padre marocchino alla madre italiana è stata recuperata in Belgio grazie a un'operazione della polizia. L'uomo è stato arrestato. (Fonte:"Corsera)
L'OPERAZIONE - La complessa operazione di ricerca e recupero, durata quasi un anno, ha visto impegnata la squadra mobile di Trento congiuntamente alla direzione centrale della polizia criminale e con la collaborazione dell'ufficio minori del ministero di grazia e giustizia. Gli inquirenti hanno accertato che il padre, con false generalità, aveva creato una nuova identità alla bambina, vivendo tranquillamente in Belgio. All'operazione della polizia italiana ha collaborato anche quella belga che ha arrestato il padre marocchino.

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giovedì 24 luglio 2008

NOI DONNE NEL MONDO ISLAMICO

La prima cosa da ricordare quando si parla di donne musulmane, ho imparato, è che la donna «musulmana» è un'astrazione. Esistono le donne turche, quelle marocchine, le egiziane e le saudite, le donne del Sudan, con problemi molto diversi. E la loro condizione è dettata non tanto dalla religione in astratto, ma dalla struttura politica del Paese al quale appartengono, più o meno influenzata dalla religione.
La seconda cosa che ho imparato, mi sembra, occupandomi - tra l'altro- della condizione e del ruolo della donna in questa parte di mondo, è che la realtà femminile è una forza straordinaria, ed è davvero il «ventre molle» dell'estremismo come è stato giustamente detto, una forza di razionalità, di saggezza e di sviluppo. E non è un caso che molte donne musulmane si siano mobilitate in passato per la liberazione di ostaggi innocenti, e lo stiano facendo adesso anche per l'italiana Giuliana Sgrena. Sei anni fa a Siviglia, all'epoca del primo forum con donne islamiche, organizzato da «Non c'è pace senza giustizia», le differenze nazionali sono emerse nette. In Turchia e Tunisia, che hanno avuto un Ataturk e un Bourghiba, e una separazione fra religione e Stato, tutto o quasi il capitolo dei diritti personali (divorzio, custodia dei figli, aborto eccetera) è risolto. Resta, in Tunisia, il problema dell'eredità, che viene per la donna ridotta. Il Marocco con la riforma di due anni fa ha lasciato una zona grigia "solo" per la poligamia. Questa è la pattuglia di punta seguita a ruota dalla Giordania. Sul fronte opposto abbiamo l'Arabia Saudita, dove la donna non ha diritti civili e addirittura non può avere la patente di guida, il Kuwait dove possono guidare l'auto ma non votare perché il Parlamento ha respinto una proposta dello sceicco in tal senso, per non ricordare, nella seconda metà degli anni '90, l'Afghanistan dei talebani. In mezzo, tutti quei Paesi dove la shaaria non è l'unica fonte del diritto, ma una delle fonti, e che chiamiamo «moderati». Con notevoli problemi, come le diffuse mutilazioni ai genitali femminili contro cui si sono ribellate pochi giorni fa a Gibuti le delegate alla Conferenza sull'eliminazione di questa pratica violenta, zittendo ulema e ministri del culto, e ottenendo una vittoria che ci ripaga ampiamente di tutto il lavoro fatto per affermare elementari diritti della persona.
Da alcuni anni, e non saprei dire se dal drammatico 2001 o prima, l'universo delle donne nei paesi musulmani, ciascuno con le sue caratteristiche, è in movimento. Non le abbiamo viste votare in Afghanistan perché eravamo distratti, ma finalmente le abbiamo viste votare, coraggiosamente votare, in Iraq. Si è creato recentemente l'Arab International Women forum guidato da Haifa al Kyriani che si occupa dei diritti economi e delle donne arabe imprenditrici. Abbiamo, in Egitto, Mushira Khattab, che si batte contro le mutilazioni. Ma in Giordania persino l'appoggio coraggioso della regina Rania non è stato sufficiente ad abolire la tolleranza giuridica del «crimine d'onore». In Yemen dove le donne hanno diritti elettorali attivi e passivi dal 93, c'è un gran movimento per le «quote» in Parlamento, ma in Sudan o in alcune parti della Nigeria si può essere lapidate per adulterio». La Conferenza di Gibuti ha dimostrato che una volta organizzate, una volta non lasciate più sole, queste donne straordinarie hanno una forza travolgente, e non le ferma più nessuno. Sono loro il soft power che può spingere questi Paesi ad aperture democratiche e di svilupporilanciando una cultura carica di storia e di valori. A parte i discorsi della domenica, quelli che non costano niente e riempiono il tempo libero, il mondo politico dovrebbe porre molta attenzione e molte energie in questo settore, smetterla di considerare l'impegno radicale in questo campo come una bizzarria utopistica e sostenere queste donne del mondo musulmano, incominciando a capire per prima cosa le varie realtà culturali e nazionali in cui si muovono e in cui lavorano per un futuro più rispettoso dei diritti di tutti.

.....A me è piaciuto molto questo articolo, spero anche vuoi buona lettura...... .

(Fonte: http://www.emmabonino.it/ )

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IL RAZZISMO CONTINUA A CRESCERE

Il razzismo oggi

di Davide Racco

Da secoli l’uomo è rovinato da uno dei sentimenti più stupidi,
negativi e controproducenti che esistano: il razzismo.
Sentendo questa parola ci viene subito in mente un ometto coi
baffi, mentre fa un comizio di fronte a migliaia di tedeschi di
pura razza ariana (sembra una razza bovina ) al 100%, oppure
un lager con centinaia di esseri umani ormai brutalizzati,
mentre vengono uccisi con il gas letale.
Il razzismo, però, nella maggior parte dei casi non è evidente
ed esagerato come in questi esempi, anzi, è uno dei sentimenti
più nascosti che abbiamo dentro di noi, tanto che spesso non
ce ne accorgiamo neanche.
Secondo me il razzismo è solo la generalizzazione di un difetto
personale di qualcuno ad una categoria cui noi pensiamo
appartenga, senza provare a riflettere su quelle che potrebbero
esserne le cause.
Faccio un esempio: capita che se
vediamo una persona africana mentre
ruba un motorino, colleghiamo
immediatamente l’idea di “ladro” all’idea di
“persona africana di colore”.
In questo ragionamento ci sono tanti
gravissimi errori.
Tanto per cominciare, non è vero che gli
africani sono tutti uguali: dal Marocchino
al Ghanese c’è un bel po’ di differenza,
sia fisicamente che culturalmente!
Gli stili di vita, le mentalità, sappiamo
benissimo che cambiano da una regione
all’altra: come possono, allora, essere
uguali da un paese all’altro?
Perciò unificare tutte le persone sotto
categorie così ampie non ha
assolutamente senso; lo stesso vale per
tante altre “classi” di persone spesso
utilizzate per designare una categoria di
persone: extra comunitari, marocchini, “vù cumprà”...
Quest’ultimo termine in particolare per me è assolutamente
idiota: ammesso che quello di venditore ambulante sia un
lavoro tanto poco qualificato, credo che chiunque, nella
situazione in cui si trovano certi immigrati, senza lavoro, senza
amicizie, senza parenti, si accontenterebbe di un lavoro simile.
Un altro gravissimo errore è quello di pensare di conoscere
qualcuno unicamente dalle apparenze, rifugiandosi nei
pregiudizi (che non sono altro se non una forma di razzismo).
Infatti quando si accetta un pregiudizio si ritiene giusto
omologare tutte le persone ad un modello di
vita migliore degli altri, secondo il proprio
punto di vista.
Ognuno di noi ha una personalità molto
complessa, che si può conoscere solo
vivendo insieme a quella persona,
parlandole e discutendo con lei.
Capita che persone vissute insieme per
anni decidano di separarsi perché non si
erano conosciuti del tutto. Quindi come si
può pensar di conoscere una persona
unicamente per averla vista una volta?
Ma anche conoscendo una persona nel
profondo del suo carattere, è giusto
pretendere di giudicarla?
Secondo me no, innanzitutto perché un
giudizio non porta nulla di utile. Si può
discutere di un difetto che può essere
corretto, o di un comportamento da abolire,
ma un giudizio globale su quella persona,
oltre che obiettivamente impossibile,
servirebbe unicamente a creare dei dissidi e
dei rancori.
E poi, nel tentare inutilmente di dare un
giudizio siamo necessariamente fuorviati da
nostri modi di pensare; non è detto che quello che penso io
sia sempre corretto: non bisogna mai considerare se stessi
un punto di riferimento per gli altri. Pensando in questo modo
si tende ad un’omologazione di tutti gli esseri umani.
Il bello del mondo, infatti, è proprio la varietà di culture e
mentalità che vi possiamo trovare.
Il nostro obiettivo dev’essere quello di unire gli aspetti positivi
che ci sono in ogni modo di vedere la vita, cercando di
giungere a diventare ciò che si vuole essere, liberandosi da
pregiudizi.
Questo secolo non è stato l’unico che ha visto compiersi
gravi misfatti nel nome della razza, o della credenza religiosa
o politica. Fin dai tempi dell’Impero Romano i cristiani
venivano massacrati a migliaia negli anfiteatri, e anche nel
medioevo di questi esempi non sono mancati; basta pensare
alla cacciata degli Ebrei dalla Spagna.
Nel 1492 venne scoperta l’America, e nel ‘500 iniziò la tratta
dei neri, e lo sterminio degli indios americani.
L’800 fu il grande secolo del colonialismo, durante il quale il
razzismo fu indotto da parte dei Governi nella popolazione
europea, per giustificare le conquiste coloniali.
Nel XX secolo ci sono state tutte le
tragedie causate da nazisti, fascisti, e poi
nella seconda metà del ’900 sono
scoppiate tutte le guerre civili fratricide in
Africa fra etnie diverse, come in Ruanda, in
Liberia, e la guerra infinita in Israele, dove
da decenni palestinesi ed israeliani si
combattono sanguinosamente.
Anche i recenti attentati di terrorismo
islamico non rappresentano altro che l’odio
che cova nei paesi arabi contro gli
Americani.
Quindi il razzismo, sebbene non sia in
nessun caso giustificabile, può avere delle
cause comprensibili.
Queste non devono servire a giustificare il
razzismo, ma aiutare a comprendere gli
errori commessi nel passato, e tentare di
riallacciare un rapporto solidale di
collaborazione tra i popoli.
Il razzismo però può anche essere qualcosa che noi non
sentiamo nemmeno, ma che in realtà coviamo, o qualcosa
che noi riteniamo normale.
In fondo quello di diffidare dello straniero è un sentimento
innato: fin da bambini si vuole sempre essere al centro
dell’attenzione, sia all’asilo che in famiglia; non si accetta che
il compagno di scuola o il fratello sia coccolato tanto quanto
lo siamo noi. Però, crescendo normalmente, si dovrebbe
maturare, e capire che tutti siamo uguali, e dunque tutti
abbiamo diritto alle stesse cose.
Invece spesso questo sentimento di diffidenza
permane e si aggrava nel razzismo, che, ripeto,
può esistere sotto tantissime forme, compresi i
pregiudizi, di cui nessuno, almeno in piccola
parte, può ritenersi esente.
Secondo me questo fenomeno è dovuto ad una
scarsa attenzione ed educazione in questo
senso.
I mezzi d’informazione,a mio parere, spesso
sono indifferenti a questo problema; non
prendono posizioni contrarie o favorevoli:
semplicemente ne parlano pochissimo, se non
per nulla.

La nostra "piccola" biblioteca

  • "Vendute!", Zana Muhsen (Ed. Mondadori, 1992)
  • "Sognando Palestina", di Randa Ghazy (Fabbri Editori, 2001). N.B. La giovanissima scrittrice dedica il suo libro a Mohammed Al-Dura, ragazzino palestinese divenuto un simbolo della seconda Intifada come vittima innocente dell'esercito israeliano, uccisa durante uno scontro a fuoco con i palestinesi. In realtà è stato dimostrato che, sempre che quei colpi siano stati sparati davvero, avrebbero potuto provenire soltanto dalla parte palestinese, vista la sua posizione e quella di Tzahal al momento dello scontro. Tutt'ora non si sa se Mohamed sia vivo o morto e che fine abbia fatto.
  • "Ti salverò", Zana Muhsen (Ed. Mondadori, 2000)
  • L'Infedele. La storia vera di una donna italiana nel cuore dell' Islam", di Stefania Atzori (Rizzoli, prima edizione ottobre 2001)
  • "Quando abbiamo smesso di pensare? Un' islamica di fronte ai problemi dell' Islam", di Irshad Manji (Ugo Guanda Editore, 2003)
  • "L'amore ucciso. Un delitto d'onore nella Giordania di oggi", di Norma Khouri (Mondadori, 2003)
  • "Io, Safiya", di Safiya Hussaini Tungar Tudu con Raffaele Masto (Sperling&Kupfer Editori, 2003)
  • "L' islam è compatibile con la democrazia?" (Editori Laterza, 2004)
  • "La crisi dell' islam. Le radici dell'odio verso l'Occidente", di Bernard Lewis (Mondadori, 2004)
  • "La cultura del sangue. Fatwa, donne, tabù e poteri", di Amin Zaoui (Bollati Boringheri Editore, 2004)
  • "Afghanistan, dove Dio viene solo per piangere", di Siba Shakib (di cui quest'anno è uscito "La bambina che non esisteva") (PIEMME, 2004)
  • "Il velo strappato. La mia vita nel clan dei Bin Laden", di Carmen Bin Laden (PIEMME, 2004)
  • "Giù i veli!", di Chadortt Djavann (Lindau, 2004)
  • "Leggere Lolita a Teheran", di Azar Nafisi (Adelphi, 2004)
  • "Se questa è vita. Dalla Palestina in tempo di occupazione", di Suad Amiry (Giacomo Feltrinelli Editore, 2005)
  • "Bruciata viva. Vittima della legge degli uomini", di Suad (PIEMME, 2005)
  • "La terrazza proibita. Vita nell' harem", di Fatema Mernissi (Giunti Editore, 2005)
  • "Non sottomessa. Contro la segregazione nella società islamica", di Ayaan Hirsi Ali (Einaudi, 2005)
  • "Sfigurata. La coraggiosa testimonianza della giornalista televisiva saudita massacrata dal marito", di Rania Al-Baz (Sonzogno Editore, 2005)
  • "Murata viva. Prigioniera della legge degli uomini", di Leila (PIEMME, 2005)
  • "Il volto cancellato", di Fakhra Younas con Elena Doni (Arnoldo Mondadori Editore, 2005)
  • "Chador. Nel cuore diviso dell' Iran", di Lilli Gruber (Rizzoli, 2005)
  • "Lettera a mia figlia che vuole portare il velo", di Leila Djitli (Edizioni PIEMME, 2005)
  • "La mandorla", di Nedjma, (Einaudi, 2005)
  • "Parola di Donna, Corpo di Donna. Antologia di scrittrici arabe contemporanee", a cura di Valentina Colombo (Piccola Biblioteca Oscar Mondadori, 2005)
  • "Romeo e Giulietta a Baghdad", di Ehda'a Blackwell (Mondadori, gennaio 2006)
  • "Una donna tra due mondi. La mia vita all'ombra di Saddam Hussein", di Zainab Salbi (Edizione Corbaccio, 2006)
  • "La donna negata. Dall'infibulazione alla liberazione", di Daniela Santanchè (Marsilio Editori, 2006)
  • "Disonorata. Dalla legge degli uomini", di Mukhtar Mai (Cairo Editore, 2006)
  • "L'attentatrice", di Yasmina Khadra (Arnoldo Mondadori Editore, 2006)
  • "Infedele", di Ayaan Hirsi Ali (Rizzoli, 2007)
  • "Basta! Musulmani contro l'estremismo islamico", a cura di Valentina Colombo (Piccola Biblioteca Oscar Mondadori,2007)
  • "Mille splendidi soli", di Khaled Hosseini (autore de "Il cacciatore di aquiloni") (PIEMME, 2007)
  • "La ragazza di Baghdad", di Michelle Nouri (Rizzoli, 2007)
  • "Non ho peccato abbastanza. Antologia di poetesse arabe contemporanee", a cura di Valentina Colombo (Piccola Biblioteca Oscar Mondadori, 2007)
  • "Ragazze di Riad", di Rajaa Al- Sanea (Arnoldo Mondadori Editore, 2008)
  • "Il prezzo del velo. La guerra dell'Islam contro le donne", di Giuliana Sgrena (Editore Feltrinelli, 2008)
  • "Dopo la notte", Alessandra Boga (Ed. "Il Filo", 2009)
  • "Islam. Istruzioni per l'uso", Valentina Colombo (Ed. Oscar Mondadori, 2009)

"Mille e Una Donna" al cinema

  • "Viaggio a Kandahar" (Safar e Ghandehar), regia di Mohsen Makhmalbaf (Dramm. 2001)
  • "Rachida", regia di Yamina Bachir-Chouik (Dramm. 2002)
  • "Osama", regia di Siddiq Barmak (Dramm. 2003)
  • "Submission", cortometraggio per la regia di Theo Van Gogh, sceneggiatura Ayaan Hirsi Ali/Theo Van Gogh (Ducumentario, 2004)
  • "La sposa siriana" (Hacala Hasurit), regia di Eran Riklis (Dramm. 2004)
  • "La sposa turca", regia di Fatih Akin (Dramm. 2004)
  • "Un bacio appassionato" (Ae Fond Kiss), regia di Ken Loach (Dramm. 2004)
  • "Il mercante di pietre", regia di Renzo Martinelli (2005)
  • "Dunia/Kiss me not on the eyes", di Jocelyne Saab (2005)
  • "La masseria delle allodole", dei fratelli Taviani (Dramm. 2007)
  • "Caramel", regia di Nadine Labaki (Comm. 2007)
  • "Persepolis", regia di Marjanne Satrapi (Animazione, 2007)
  • "Cous cous", regia di Abdel Kechiche (Dramm. 2008)