domenica 8 febbraio 2009

LA PRIGIONE DELLE RAGAZZE AFGHANE: SCHIAVE, SPOSE FORZATE, SUICIDE


Sorride dolce Leilah, l'assassina. Arrossisce Fatemeh, l'adultera. Si nasconde Guldestan che in un paio di settimane ha perso tutto: papà, mamma, tre sorelle, l'intera rete familiare, probabilmente il futuro. Ha visto il padre uccidere la madre perché sospettava che sotto il burqa covasse il tradimento; ha visto lo zio uccidere il padre per vendicare l'onore della sorella; lei stessa è diventata assassina sparando a quello stesso zio che aveva adottato lei e le sorelle. L'uomo dormiva dopo averla stuprata. Guldestan (qui sopra, nella foto), è in prigione, le sorelline, dai 3 agli 11 anni, in orfanotrofio.
La maggior parte delle detenute del carcere minorile di Herat non sono arrivate a tanto. Sono colpevoli di aver disobbedito alla legge tribale e alla tradizione. Ragazze in fuga da matrimoni forzati con uomini che non avevano mai visto, più o meno vecchi, danarosi o poligami, comunque decisi a portarsi a casa manodopera gratuita e compagnia notturna. Sono ragazze pagate al padre-padrone 5-6 mila dollari oppure tre tappeti, otto capre e due paia di scarpe, come nel caso di Sarah. Ragazze che a 13-14 anni si sono trovate una mattina il mullah in casa che chiedeva loro se volevano fidanzarsi, il padre che le minacciava e l'aspirante sposo che le blandiva con un vestito nuovo in mano. «La famiglia prepara tutto in segreto - racconta Chiara Ciminello, cooperante per l'Ong italiana Intersos - e senza capire quel che succede le bambine si ritrovano fidanzate. A quel punto dire "no" diventa reato». Se l'adulterio viene consumato, in teoria, la condanna è ancora la lapidazione prevista dalla Sharia, ma il governo di Kabul ha imposto una moratoria. Gli ospedali funzionano abbastanza da verificare la verginità e, se non c'è stato tradimento, la condanna per la ribellione di una minorenne varia da 3 mesi a un anno di carcere. Il peggio viene dopo. Le famiglie non vogliono riaccogliere chi, con la disobbedienza, ha portato il disonore. La Ong inglese World Child lavora a Herat per aiutare proprio il reinserimento delle reprobe. Ma il problema è enorme. Lo stigma della rivolta mette queste ragazze ai margini della società. Chi non ha una rete familiare attorno non può lavorare, affittare casa, vivere sola. L'esito della ribellione per amore o libertà diventa così la prostituzione. Meglio morire. Lo pensano in tante. Così a Kabul le fidanzate a sorpresa o le giovani spose si danno fuoco al ritmo di due-tre a settimana. In tutto l'Afghanistan si calcola che le suicide siano minimo una al giorno. Herat, forse la provincia più sviluppata del Paese, non fa eccezione. Nel 2006, una (rara) Commissione governativa ha contato una media di 7 torce umane al mese. «Il nodo è che le figlie sono considerate una proprietà. Prima dalla famiglia del padre poi da quella del marito", spiega ancora Ciminello. (Fonte: "Corsera", da "Kritikon")
A Herat la situazione è particolare a causa della vicinanza all'Iran. Mentre tra i sunniti, soprattutto se pashtun, le cifre sono importanti, tra gli sciiti di influenza iraniana l'uso di pagare la moglie è quasi simbolico. A volte lo sposo firma una sorta di caparra, la shirbaha, per cui in caso di divorzio si impegna a risarcire la donna con una buona uscita che le permetta di tirare avanti.
Ma quel che manca in entrambi i gruppi è il rispetto della volontà delle ragazze. In attesa di un piano dalla nuova Casa Bianca di Barack Obama, per sopravvivere all'Afghanistan la comunità internazionale si affida alla triade «sicurezza, ricostruzione, governabilità ». L'ordine non è casuale: consistente è l'impegno militare, scarsi i soldi per la ricostruzione, insufficienti i risultati in materia di legalità. La supremazia resta alle tradizioni tribali più ancora che religiose. A Herat il riformatorio è una delle principali realizzazioni in sette anni di presenza internazionale. Costruito nel 2007 dagli ingegneri militari del Prt italiano (Provincial Recostruction Team) con 2 milioni di euro, all'80 per cento europei. E' una bella scatola con alcuni problemi, il riscaldamento per dirne una, ma le mura da sole non incidono sui rapporti sociali.«Il nostro è un impegno a lungo termine - dice il generale Paolo Serra, comandante della Nato per la Regione Occidentale afghana - I successi ci sono. Abbiamo costruito 34 scuole, convinto molti capi villaggio a far studiare anche le bambine, aumentato del 20 per cento le elettrici per le prossime presidenziali. Però le condizioni di partenza sono quelle che sono. Dubito sceglieranno da sole chi votare, piuttosto seguiranno le indicazioni dei capi clan. La strada per una democrazia come la intendiamo noi è lunga».

4 commenti:

Annamaria ha detto...

Questa è una cosa che mi spaventa tanto.Tutto ciò che è tribale (nell'accezione negativa), ancestrale, legge di clan, rispetto della tradizione. E qui la religione non c'entra. Se c'entra è una forzatura: un modo per legittimizzare abitudini, che spesso, possono anche andare in contrasto con la legge di Dio. E penso all'infibulazione in Africa.Per esempio.Anche al burqa...
Scusate l'attimo di tristezza e il poco ottimismo.

Anonimo ha detto...

Leggendo queste notizie non si può altro che essere tristi e poco ottimisti.

Anonimo ha detto...

Ma dopo tanti anni di "guerra di liberazione" siamo ancora a questo punto?
Grandmere

Anonimo ha detto...

Purtroppo sì, Grandmere. L'ho pensato anch'io.