«Molti in patria ci guardano con ostilità. E se tornano i talebani...». A San Patrignano è sbarcato il team "Roots of Peace": il loro allenatore perse la gamba su una mina.
SAN PATRIGNANO (Rimini) - La vita di Ahmad Faruad, 21 anni, è cambiata per la prima volta quando ne aveva 6. Diede un calcio a un pallone sgargiante abbandonato in un campo a Kabul. Era una mina. «Di quel momento mi ricordo soltanto il suono, un sibilo prolungato come un ihhhhh..». Quando il bimbo riprese conoscenza in ospedale otto giorni più tardi, gli avevano tagliato la gamba all'inguine. Il dolore era lancinante. Antidolorifici pochi. Ma il suo unico pensiero, questo sì dolorosissimo, fu un altro: «Da grande potrò diventare qualsiasi cosa, ma di sicuro non sarò mai un calciatore». E scoppiò a piangere a dirotto.
ALLENATORE - Oggi Ahmad Faruad con la
e di questo sport addirittura ci vive. Perché lui, questo ragazzo smilzo con un ciuffo nero e gli occhi svegli, adesso è un allenatore conosciuto: è il coach della prima squadra femminile di calcio. Praticamente un pezzetto di storia. Loro sono 14 ragazzine, età media 20 anni. Mani curatissime. Occhi truccati con il kajal. Si chiamano «Roots of peace», dal nome della grande onlus americana (un'organizzazione che si occupa di sminare campi per trasformarli in colture da frutta) grazie alla quale la squadra è nata nel 2003. Giocano in maglietta bianca, pantaloni della tuta ovviamente lunghi, la testa coperta con delle bandane abbastanza modaiole. «Nessuno ci obbliga in campo a coprire il capo, ma non vogliamo che qualcuno rompa le scatole», dice Massuda 20 anni, una delle poche che qualche volta si copre con il burka. Anche lei ha dovuto scontrarsi in famiglia per il calcio. Solo che a Massuda è andata peggio delle altre. «Andavo al campo di nascosto – racconta - ma un giorno durante una partita sono arrivate anche le telecamere di una piccola tivù locale». È stata la fine. «Gli amici di mio fratello mi hanno visto in tivù e glielo hanno detto: cosa ci faceva tua sorella in televisione? Quella sera mio padre e i miei fratelli mi hanno picchiato e mi hanno fratturato un polso. Allora ho urlato: o mi date il permesso di giocare o non mi vedrete più. Ma c'è sempre molta tensione in casa». (Fonte: "Corsera")
Grazie a Gigi per la news!
LA SVOLTA - In ogni caso, sorpresa, la squadra sta andando talmente bene (ha vinto partite e tornei) che ora è stata invitata in Italia. Così Roia, Massuda e le altre sono sbarcate a San Patrignano a Rimini nella giornata antidroga, il "Drugs Off day". Capitanate naturalmente da Faruad. «E oggi è stata anche la prima volta – racconta Roia, l'attaccante - che abbiamo giocato in un campo senza muri» . Sembra proprio una favola la storia della della squadra. «Nel 2002 ero a Kabul con mia figlia di 18 anni – ricorda Heidi Kuhn, la direttrice di «Roots of peace» – c'era una fila di 200 persone senza una gamba davanti all’ambulatorio di Alberto Cairo di Emergency. Mia figlia mi dice: mamma non possiamo fare una foto e tornare a casa come se niente fosse. Così si mette a parlare con Faruad che in quel momento era in fila con gli altri.
“Non credo: quello che vorrei con tutto il mio cuore è giocare a calcio". Detto fatto, la signora Heidi decide in un secondo: ti paghereme 20 dollari al mese. Sei assunto come allenatore».
IL TEAM - La squadra è poi nata alla spicciolata. Le prime sono state
IL TEAM - La squadra è poi nata alla spicciolata. Le prime sono state
Roia e sua sorella. Poi è arrivata Malala, 18 anni, che sogna di diventare
una campionessa. Con il passaparola sono arrivate le altre. Le famiglie hanno dato il permesso perché le ragazze vengono prelevate e riaccompagnate a casa e perché il giorno dell’allenamento hanno diritto a un pasto. «Il calcio è meraviglioso», si illuminano tutte. Ma attenzione, non sono tutte rose e fiori. Molti le guardano con ostilità. Altri pensano che siano cattive ragazze. La giovanissima Malala per un attimo smette di sorridere: «So che se tornassero i Talebani al governo, noi saremmo uccise. Prego tutti i giorni che non sia così».
2 commenti:
Che bello vedere queste ragazze in campo. Anche se alcune hanno i segni distruttori delle mine antiuomo sul corpo. Mine antiuomo costruite soprattutto in Europa, anche in Italia.
E sicuramente ha i segni delle mine antiuomo sul corpo il loro coraggioso allenatore!
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