venerdì 30 gennaio 2009
EMIRATI ARABI, MINACCE ALLA POETESSA IN TV: "PECCATRICE"
giovedì 29 gennaio 2009
IRAQ, 4000 DONNE CANDIDATE PER DIMENTICARE SADDAM
Grande partecipazione popolare, meno violenza del solito, la gestione del voto affidata agli iracheni. Sono alcuni dei primati delle elezioni che si terranno a Baghdad sabato prossimo. Con un dato significativo: la massiccia presenza femminile tra i candidati. In un Paese dove una donna che fa politica rischia ancora la vita.
Le file davanti ai seggi scortati dai militari, le dita colorate di viola a suggellare il voto: era il 2005, e la popolazione irachena sperimentava le prime elezioni democratiche dalla caduta del regime di Saddam Hussein. Questa settimana si replica: sabato saranno chiamati alle urne circa 15 milioni di iracheni, mentre la fase iniziale delle operazioni di voto – per militari, poliziotti, detenuti e disabili – è già partita. I candidati per la costituzione dei consigli provinciali sono 14.431: di questi, 3.921 sono donne che hanno sfidato minacce e intimidazioni. Gli sciiti del sud, intanto, si trovano di fronte a un bivio: recarsi alle urne o intraprendere il pellegrinaggio alla città santa di Kerbala?
Il gran giorno delle elezioni è fissato per sabato 31 gennaio: dalle 7 del mattino alle 5 del pomeriggio, milioni di iracheni saranno chiamati alle urne per eleggere i consigli di 14 delle 18 province irachene. Gli aventi diritto potranno esprimere le proprie preferenze in 7000 seggi, secondo un sistema definito "a lista aperta": diversamente da quanto accaduto nel 2005, questa volta i cittadini – oltre a votare la lista favorita – potranno anche esprimere una preferenza sui singoli candidati. Per vigilare saranno messi in campo circa 60.000 osservatori, tutti locali: le elezioni provinciali di sabato, infatti, saranno anche le prime interamente gestite dagli iracheni per mezzo della Commissione elettorale indipendente (IHEC, istituita nel maggio 2007). Ieri, intanto, hanno iniziato a votare alcune categorie speciali di elettori (per un totale di 614.998 aventi diritto): si tratta disabili, detenuti con pene lievi, militari e mezzo milione di agenti di polizia che sabato saranno chiamati a vigilare fuori e dentro i seggi.
L'attesa da parte della popolazione è alta. I muri delle città sono tappezzati di manifesti, i candidati si sono fatti pubblicità anche attraverso gli sms e la campagna elettorale – che termina ufficialmente oggi – è stata tranquilla: a differenza di quanto temevano i militari iracheni e statunitensi, infatti, nelle ultime settimane non si è registrato un aumento delle violenze. Il più chiaro segnale di entusiasmo in vista delle consultazioni, però, è rappresentato dal numero dei partiti e dei candidati: si sono registrati 427 "entità politiche", di cui 161 individui e 266 partiti. Il totale dei candidati – sintomo di forte adesione da parte della popolazione alla ricostruzione politica dell'Iraq – è di 14.431: di questi, quasi 4000 sono donne.
Tra i tanti primati di queste elezioni – grande partecipazione popolare, freno delle violenze, gestione completamente irachena – quello delle 3.921 donne è senza dubbio il più sorprendente. Per una donna, candidarsi pubblicamente in Iraq significa infatti mettere a repentaglio la propria vita, scontrandosi con intimidazioni e minacce da parte dei gruppi più radicali. La televisione saudita al Arabiya ha intervistato Ramana Malallah (lista "Congresso Nazionale Iracheno") a Kerbala: "Sui manifesti elettorali non ci sono immagini delle candidate" denuncia la donna, "perchè gli uomini – che qui hanno il potere – lo hanno impedito".
Spostandosi a Diwaniyeh (180 km a sud di Bagdad), la storia non cambia: l'insegnante Hna'a Khadim (lista "Insegnanti Iracheni") ha denunciato "la sistematica rimozione dei poster delle candidate donne" al Commissariato per le elezioni. "Questi atti succedono solo con noi donne" commenta Maha al Buderi (lista "Civili"): la spiegazione, conclude Ban al Samarrai (candidata per la lista dell'ex premier Ayad al Allawi), è che "la gente è molto conservatrice e per rispetto alla sensibilità dominante ho fatto a meno di pubblicare una mia immagine".
Le elezioni provinciali, comunque, non saranno un banco di prova solo per le donne. Il primo a mettersi in gioco – anche in vista delle elezioni nazionali – è lo stesso premier Nuri al-Maliki: la sua speranza è quella di rafforzarsi politicamente, strappando province attualmente controllate dai rivali. Considerato inizialmente un leader debole, Maliki sembra essersi riabilitato con l'annuncio del ritiro statunitense ed in seguito alla repressione delle milizie politiche e religiose. Sabato dovrà però fare i conti con il suo maggior avversario sciita, quel Consiglio sapremo islamico iracheno che controlla gran parte delle province del sud. La sfida di Maliki è quella di convincere gli iracheni della propria forza e autorità, garantendo però l'espressione e la tutela delle diversità regionali e provinciali.
Al centro dell'attenzione ci sarà infine la sicurezza: dopo una campagna elettorale relativamente tranquilla, i militari dovranno fisicamente proteggere gli iracheni in fila ai seggi. Per gli americani – che hanno iniziato il ritiro dei 140.000 militari presenti sul territorio – si tratta di un test importante in vista del passaggio di consegne alle forze dell'ordine nazionali, addestrate nel corso degli ultimi anni. Tra le province più a rischio c'è quella di Diyala, che il "New York Times" descrive come "un microcosmo del Paese: sciiti e sunniti, curdi e arabi, agricoltori e professori". Secondo Ibrahim Bachilan, attualmente a capo del consiglio provinciale di Diyala, "circa il 30% della provincia è sotto il controllo di al-Qaeda". Senza contare la difficilissima convivenza tra le diverse anime della popolazione, chiamata alle urne per esprimere democraticamente la propria volontà.
Nelle elezioni irachene, infine, non poteva mancare il fattore religioso. A questo proposito, migliaia di sciiti del sud si trovano di fronte alla scelta tra le urne e il pellegrinaggio alla città santa di Kerbala: portare a termine la manifestazione religiosa, infatti, renderebbe impossibile raggiungere i seggi entro i termini stabiliti. Secondo Mohammed Ali, un pellegrino intervistato dalla Reuters, "Kerbala è più importante delle elezioni, e comunque non ho visto nessun candidato che mi ispiri fiducia. Non ho ancora un lavoro dopo le ultime elezioni". Il pellegrinaggio – evento molto importante per gli sciiti – segna i 40 giorni di lutto per la morte di Imam Hussein, nipote del profeta Maometto ucciso in battaglia nel VII secolo. Non mancano comunque i fedeli che non rinunceranno alle elezioni: Mohammed Ibrahim, un altro pellegrino, spiega che "cammineremo finché potremo, poi torneremo in dietro"; sulla stessa linea Riyad Ali: "Vale la pena tornare indietro, così potremo cambiare lo stato delle cose in Iraq".
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BELLEZZA IN GUERRA, di David Lachapelle
mercoledì 28 gennaio 2009
IRAN: SCANDALO PER UNA PARTITA DI CALCIO MISTA
Una partita rosa/azzurra terminata con un 7-0. Non sono due squadre italiane a dare scalpore con questo match improvvisato ma un gruppo di ragazzi e ragazze iraniane che hanno giocato insieme a calcio in un centro sportivo di Teheran. Un fatto che non ha precedenti dalla rivoluzione islamica del 1979 che ha provveduto ad introdurre una rigida segregazione dei sessi, soprattutto in campo sportivo. Da 30 anni dunque, maschi e femmine non corrono dietro alla palla nello stesso campo. La notizia è stata immediatamente diffusa oggi dal quotidiano riformista 'Etemad', che riporta anche le minacce di punizioni e le condanne inflitte dalle Autorità. Il club di calcio della capitale iraniana, l'Enqelab, che appartiene all'omonima squadra di calcio che è ai vertici del campionato, ha riunito il suo comitato disciplinare e ha squalificato tre suoi responsabili per aver autorizzato la squadra giovanile femminile a giocare con la controparte maschile: un anno di sospensione è stato inflitto al direttore tecnico Mohammad Khorramgah e multe salate sono state stabilite per gli allenatori delle due squadre. "Ragazzi e ragazze sono rimasti a contatto solo 13 minuti quando i maschi hanno fatto irruzione nell'impianto coperto dove si stavano allenando le femmine" si è difeso Khorramgah sostenendo che non era affatto una partita organizzata. Ma alcuni testimoni citati dal quotidiano 'Etemad' hanno affermato che tra le due squadre si è svolta una vera e propria partita, terminata col suddetto punteggio a vantaggio dei maschietti. E si ipotizza che il fatto che il direttore tecnico e gli altri tecnici del club abbiano accettato senza protestare le misure disciplinari stia a significare che si vuole chiudere la vicenda senza altri gravosi provvedimenti delle autorità statali. (Fonte: "Arabi Democratici Liberali", foto da "Liberali per Israele")
E a proposito ancora del velo, di convertite e partite di calcio leggete qui e un pallone...un hijab.
L'Organizzazione statale per lo sport, che dipende dal Governo, ha infatti fatto sapere che reagirà "molto severamente". In base alla legge islamica, infatti, quando praticano discipline sportive in cui le donne non possono rispettare la regola secondo cui dovrebbero rimanere sempre coperte da capo a piedi quando sono in presenza di uomini non della famiglia, devono comunque rimanere nascoste alla vista dei maschi. Non considerando inoltre il fatto che nella Repubblica islamica vige anche il divieto per le donne di entrare allo stadio, nonostante il presidente Ahmadinejad, grande appassionato di calcio, qualche anno fa tentò di abrogare questa proibizione ma ebbe le mani legate dagli esponenti religiosi più tradizionalisti. Quel che resta è un gruppo di ragazzi e ragazze che nel 2009 ha avuto voglia di sfidarsi in un gioco che da sempre coinvolge e unisce due terzi del pianeta. O forse quei maschietti e quelle femminucce sono troppo giovani, troppo appassionati, troppo liberi per capire l'assurdità di una segregazione forzata, di un divieto così irrazionale, di una punizione così severa solamente per aver voluto condividere '13 minuti' di sana e umana 'competizione di geni'.
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PAKISTAN: 14 ANNI, VIOLENTATA DA 6 UOMINI PERCHE' CRISTIANA
VI RICORDATE DI NOJOUD, LA PRIMA SPOSA-BAMBINA A CHIEDERE IL DIVORZIO?
Chi non ricorda l'incredibile storia dell''anno scorso di Nojoud, piccola yemenita sposata di forza a 8 anni da suo padre, ad un uomo di 32 anni che la batteva e la stuprava?
Un giorno si rese da sola al tribunale di Sanaà per chiedere il divorzio, qui.
All'età di 10 anni, Nojoud otteneva il suo divorzio grazie all'aiuto di un avvocato, qui.
Ieri Nojoud era a Parigi, era invitata dal telegiornale delle 20:00 di TF1 per raccontare la sua storia.
Passiamo rapidamente sulla codardia del giornalista che non osa dire che è l'islam, di cui il profeta ha sposato Aisha che aveva 6 anni, e che promuove il matrimonio delle ragazzine video.
Il giornalista dice: "… sposate alla più giovane età, secondo tradizioni tribali ancestrali che durano".
Poi ancora le precauzioni della presentatrice del giornale che dice: "… il matrimonio delle giovani donne in altri paesi del mondo…" senza osare dire altri paesi musulmani?
O "… subire violenze sessuali…" per non pronunciare la parola stupro ed ancora meno quello di pedofilia? (Fonte: "Scettico")
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QUANDO IL CHADOR SERVE PER RUBARE
Una donna di 30 anni, italiana, sposata con un marocchino e convertitasi alla religione musulmana, aveva infatti escogitato un sistema originale per poter svaligiare i negozi senza essere disturbata. Si recava, infatti, nei centri commerciali con figlio minorenne e con grande maestria s'infilava sotto il tradizionale abito nero prodotti tecnologici, dal navigatore satellitare al palmare di ultima generazione. Non senza prima aver tagliato con un coltello a serramanico il sigillo antitaccheggio così da poter uscire senza far scattare l'allarme. (…) Giustificazione? Lei è senza lavoro, il marito in cassa integrazione. Furto per necessità. (Fonte: "Unpoliticallycorrect", da "Il Giornale")
Is it permissible to steal from the kuffaar?
The Muslim who regards the kaafirs’ wealth as permissible, whether he is in a Muslim country or in a kaafir country, is doing the kaafirs a great favour and helping them to distort the image of Islam and Muslims; he is thereby helping those who are launching attacks against Islam.
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SADIA COME HINA: "MI SONO SPOSATA PER AMORE, ORA RISCHIAMO LA VITA"
martedì 27 gennaio 2009
AVVISO AI NAVIGANTI...
Carissimi, come vedete, il mio blog parla di un argomento delicato, ma NON INTENDO negare i fatti, i soprusi e le discriminazioni che troppo spesso subiscono le donne arabe, le musulmane, le ex musulmane o coloro che hanno compagni di vita musulmani. Non intendo negare neppure i fatti storici. A coloro ai quali la cosa non vada, consiglio vivamente di fare armi e bagagli, non fosse altro che per evitare di essere accecati dall'odio per i non-musulmani e l'Occidente, ancor più di quello che sono... .
Sollecito gli altri a riflettere sulla differenza che c'è tra una critica costruttiva all'islam, a Maometto, ai musulmani e l'insulto degli stessi. Già c'è chi non sopporta che vengano criticati... non mettetemi nelle condizioni di doverli pure "proteggere" dagli insulti (cancellare commenti offensivi) !!! Grazie.
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GIORNATA DELLA MEMORIA - LE "GIUSTE DELL' ISLAM"
Grazie a una mostra itinerante intitolata "I Giusti dell'islam", promossa dal PIME di Milano, sono emerse le storie di 70 persone di religione musulmana, praticamente tutte dell'area dei Balcani, che salvarono degli ebrei dalle persecuzioni nazi-fasciste e che per questo vengono annoverate tra i "Giusti fra le Nazioni". Tra loro alcune donne, anche se purtroppo sono riuscita soltanto a trovare queste due, storie, per il resto un elenco di nomi sul sito dello "Yad Vashem"... .Aishe Kadiu, musulmana albanese, che con il marito Besim ospitò due ebrei greci, i fratelli Jakov e Sandra Batino, il cui padre era stato già internato in un campo di concentramento italiano. Un'altra famiglia aveva nascosto i loro genitori. Quando i tedeschi andarono casa per casa in cerca di ebrei da deportare, Besim portò Jakov e Sandra in un remoto villaggio e la sua famiglia provvide alle loro necessità fino alla liberazione, dopo la quale partirono per Israele. Merushe, la figlia di Aishe e Besim (foto), è stata invitata nel 1992 per ricevere il premio "Giusti fra le Nazioni" in memoria dei genitori e per un periodo è stata a capo dell'Associazione per l'Amicizia Israeliano-Albanese. Aishe e Besim agirono secondo il besa ("mantenere la promessa"), un codice d'onore che regola la fede islamica nell'interpretazione albanese e implica il prendersi cura della vita di una persona o di una famiglia. Solo una famiglia ebrea in Albania non riuscì a sottrarsi alla deportazione.
Lime Balla (foto), anche lei musulmana albanese, con il marito Destan salvò la vita ai Lazar, tre fratelli ebrei (venuti al loro villaggio con altri 14 "durante il periodo di Ramadan"). Nonostante fossero poveri, i coniugi Balla li ospitarono per quindici mesi, non facendo loro mancare nulla, finchè un loro nipote partigiano non aiutò i tre fratelli a scappare. Quarantacinque anni dopo, nel 1990, due di loro si misero in contatto con loro da Israele e due anni dopo Lime e Destan diventarono "Giusti fra le Nazioni".
Talmud:"Chi salva una vita, salva il mondo intero".
Corano "Per questa ragione abbiamo intimato ai figli di Israele: Chi ammazzerà un uomo innocente dell'altrui sangue e che mai non aveva commesso delitti sulla terra, sarà considerato come se avesse ammazzato tutti gli uomini, e chi salverà anche un solo uomo sarà considerato come uno che avrà salvato la vita a tutta
l'umanità" (Sura V).
Sito dello Yad Vashem: http://wwww.yadvashem.org .
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lunedì 26 gennaio 2009
LA STORIA DI MUHAMMAD E ZAINAB A FUMETTI, di Ayesha Ahmed
Secondo quanto scritto negli hadith e nel Corano. Sebbene il comportamento del profeta possa sembrare immorale, i musulmani non vedono niente di male in tali atti perchè essi erano compiuti dal profeta stesso. (Fonte: "Faith Freedom".org)
E sempre su "Faith Freedom"... 72 Virgins in Heaven .
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SHILAN DEVE ANDARE AD UNA FESTA...
Stavo postando un pezzo su questa e altre bambine curde, come lei "invitate alla festa", ma non ce la faccio ad andare avanti, anche se abbiamo parlato più volte di ... mutilazioni genitali: link.
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sabato 24 gennaio 2009
DIVORZIO ALLA SAUDITA
Riad, gli esperti (uomini) dicono che è colpa della "perdita di valori religiosi e dei problemi economici" se i divorzi in Arabia Saudita sono drammaticamente aumentati nel 2008.
Ben 25.000 rispetto ai 19.000 dell'anno prima. Pari a un terzo dei matrimoni. Ma c'è un'altra spiegazione, meno evidente e ben più grave: le separazioni, quasi sempre (se non sempre) volute solo dal marito in base alla Sharia applicata nel Regno nella forma più restrittiva, sono "colpa" del maggior livello di istruzione delle saudite. "Con il boom petrolifero degli anni Settanta le donne hanno avuto accesso gratuito all'istruzione e al mondo del lavoro, ma le tradizioni tribali e il maschilismo non sono cambiati", dice la femminista Thuraya Arrayad. "Gli uomini, semplicemente, non sanno più come trattare le loro mogli più colte e indipendenti. E le lasciano." (Fonte: "IO DONNA")
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giovedì 22 gennaio 2009
LA DONNA SVELATA
L'antropologa Ruba Salih (foto in basso, ndr), nel suo nuovo libro, ci rivela le donne musulmane.
L'antropologa italo-palestinese alle prese con uno degli studi più innovativi e completi sulla condizione della donna musulmana nelle librerie italiane: Musulmane rivelate, appena uscito per Carocci. L'analisi del rapporto tra islam, donna e modernità: un'occasione per conoscere le origini di questo ‘nodo mediorientale' e di analizzare le prospettive presenti e future.
Medio Oriente e questione femminile. È una delle tematiche all'ordine del giorno nella vita culturale anche del nostro paese: il rapporto tra la donna e l'islam. Eppure gli studi sul tema che possiamo leggere in lingua italiana sono ben pochi: il più delle volte si tratta di traduzioni di saggi ormai storici e "capitali" (come il celeberrimo Oltre il velo, di Leila Ahmed), altre volte la tematica femminile è affrontata in studi più generali sull'area mediorientale tout court. Ecco, pertanto, un primo grande merito da ascrivere a questo lavoro dell'antropologa Ruba Salih (docente all'Università di Bologna e Senior Lecturer in Gender and Middle East Studies presso l'Institute of Arab and Islamic Studies dell'Università di Exeter, UK): il merito di avere portato alle stampe un libro agevole e adatto alla divulgazione più lata, ma allo stesso tempo completo e strutturato su numerose fonti storiche, bibliografiche e raccolte in prima persona. Da un lato, infatti, c'è la ricerca storica: la condizione della donna nell'area geografica mediorientale prima dell'avvento della religione musulmana, le diverse letture del messaggio delle sacre scritture coraniche e delle tradizioni della vita del profeta Maometto in chiave femminista (con il racconto di alcuni hadith, i detti e fatti della vita di Maometto che contribuirono alla formazione della sharia come legge islamica). Dall'altro Salih ci conduce attraverso un vero e proprio viaggio nella formazione dello Stato nazionale ed al ruolo che le donne rivestirono dalla Turchia, all'Iran, al Marocco. Infine ci viene offerta un'"incursione" nel mondo femminile afgano e si getta luce sulle narrazioni delle donne musulmane in Italia.
Dall'epoca d'oro all'avvento dello Stato nazionale. Molti studiosi e studiose hanno definito "epoca d'oro", l'età del profeta Maometto (570-632), in cui le donne furono attive in molti campi della vita pubblica. Le donne assistevano i loro uomini sul campo di battaglia, mentre i primi erano intenti ad espandere il dominio arabo nell'area mediorientale. Le donne presenziavano alle attività religiose insieme al Profeta e trasmettevano hadith. All'ultima moglie di Maometto, Aisha, sono attribuiti più di duemila racconti tradizionali. Fu l'Impero Abaside (750-1258) a condurre ad una netta trasformazione dei ruoli di genere. La verginità femminile assumeva un'importanza assoluta, laddove la prima moglie di Maometto, Khadija, era già stata sposata prima delle nozze col Profeta; si affermava in via definitiva la pratica del velo; si sovrapponevano tradizioni precedenti dei luoghi conquistati ai costumi tipici degli arabi. Proprio tradizioni come il velo, che oggi sono considerate come parte della tradizione islamica, supportate secondo l'islam ortodosso dal Corano e altre fonti, sono in realtà pratiche che l'islam ha fatto sue successivamente all'epoca di Maometto. In effetti la conquista araba si accompagnò all'assimilazione delle diverse culture, consuetudini ed istituzioni sociali di tutte le aree mediorientali, in particolare per quel che concerne le relazioni di genere. Salih ci offre anche uno spaccato sul dibattito moderno riguardante l'interpretazione delle sacre scritture coraniche riguardo al ruolo della donna. Per esempio, secondo la ricordata studiosa Leila Ahmed, il Corano e molti passaggi degli hadith enunciano l'identica posizione davanti a Dio di uomini e donne, ed i medesimi obblighi morali che gli individui detengono indipendentemente dal sesso. (Fonte: "Peace Reporter")
Ma intanto ancora brutte notizie: link e link. E la motivazione potrebbe essere legata a ciò che dice, ancora una volta, Wafa Sultan in quest'intervista: http://www.memritv.org/clip/en/1993.htm. Guardatevi anche questo video, va: http://www.memritv.org/clip/en/1994.htm.
Iran, Palestina... e Italia. Una delle parti più interessanti del volume si sofferma sul rapporto tra omosocialità ed eterosocialità nella costruzione della nazione iraniana. Ai primi del Novecento in Iran si assiste ad un dilemma duplice: da un lato l'uomo si domanda se radersi la barba oppure no per assomigliare all'europeo, dall'altro le gerarchie statali e religiose riflettono sulla pratica del velo sul capo della donna. Afferma Salih, ricostruendo uno studio di Afsaneh Najmabadi: "Svelare le donne diviene un mezzo attraverso cui indurre la modernità e sradicare l'omoeroticità, attraverso comportamenti eterosociali ed eterosessuali". Salih si sofferma ampiamente anche sul ruolo della donna nella costruzione del discorso nazionale palestinese, dalle origini della nakbah del 1948 ai giorni nostri (è analizzato anche il coinvolgimento femminile nelle fila del partito politico di Hamas). In Palestina la donna diviene protagonista nello spazio pubblico e culturale: già la prima Intifada viene descritta "come un movimento di femminilizzazione della società e della lotta palestinese e la presenza e il ruolo della donna [...] sarà centrale nella sua iconografia". Il libro si conclude con le ricerche condotte dalla stessa autrice tra le donne musulmane in Italia, che, al di là delle provenienze geografiche, esprimono un comune desiderio di coniugare la propria fede religiosa con la modernità di un paese laico e moderno. La donna musulmana ha in mente nuove prospettive, mentre le nostre società sono ancora alle prese con le insidie alla laicità, alla tolleranza, alla libertà. (però queste insidie ci sono e rischiano di danneggiare non solo noi, ma anche le donne immigrate, incluse le arabe e musulmane!)
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L'IRA DELLA GUERRIERA IN BURQA: QUELLA DONNA SEXY NON SONO IO
Cinema. Militante islamica contro attrice di Bollywood.
Se potesse, si straccerebbe le vesti. Ma non può: Asiya Andrabi crede nell’inviolabilità del burqa e si mostra sempre a capo coperto. Certo per lei, leader di un gruppo islamico femminile del Kashmir (Le Figlie della Nazione), sposata a un militante separatista con due figli, si tratta di una beffa mica da poco: girano un film sulla sua storia e chi hanno scelto per la parte? Bipasha Basu, la «donna più sexy dell’Asia». Un’attrice che alle costrizioni del burqa preferisce la visibilità (non solo) dell’ombelico. Un po’ bisogna capirla. La guerrigliera più famosa (e morigerata) dell’India non vuole farsi impersonare dall’attrice più conturbante: «Per qualcuno sarà anche affascinante, ma per me è una donna indegna, il simbolo dell’immoralità di Bollywood. Io sono religiosa, credo nei valori dell’Islam, nel purdah (la regola che proibisce alle femmine di mostrarsi ai maschi, ndr). Lei invece si mostra in giro quasi sempre seminuda». Andrabi accusa la produzione di averla gabbata: le avevano promesso di farle leggere il copione e invece niente. Il regista Raul Dholakia, che sta finendo di girare «Lamhaa» in Kashmir, scende dalle nuvole e all’India Times nega che il film parli di Asiya. Quanto a Bipasha, la 34enne sex-symbol fidanzata con l’attore e modello John Abrahm, non vede l’ora di passare ad altro. «Il cinema è la mia vita, ma non voglio rischiare la vita per un film», ha detto sul set a Srinagar. Nessuna minaccia personale. Però il clima non è dei migliori. Problemi di sicurezza, tensione. Le riprese in Kashmir, la regione a maggioranza musulmana da anni teatro di una guerra cruenta tra esercito e separatisti appoggiati dal Pakistan, sono state piuttosto movimentate. Prima la rivolta dei fruttivendoli di Srinagar, che contestavano la scena in cui alcune armi venivano nascoste in una cassa di mele. Poi gli studenti di Anantnag, che si sono opposti duramente all’utilizzo della loro scuola come location. Niente di grave, ma tanto è bastato per far fuggire la troupe. Il suo ritorno, in questi giorni, ha coinciso con la furia della militante separatista in burqa. Asiya divenne famosa negli anni ’80 battendosi contro la pornografia e la «mercificazione» del corpo femminile fatta dal cinema. Adesso la nemesi: proprio lei che stracciava le locandine di Bollywood si vede incarnata dalla sex-symbol «seminuda». Per bloccare il film si è rivolta al tribunale. Difficile che un giudice le dia (sbagliando) ragione. Improbabile un faccia a faccia con Bipasha. Facile sorridere di questa storia: ma come l’avremmo presa dalle nostre parti se per interpretare — mettiamo — Giovanna d’Arco il regista avesse scelto Pamela Anderson? (Fonte: "Corsera", 21/1)
martedì 20 gennaio 2009
IL DIRITTO DELLE DONNE AL DIVORZIO NELL'ISLAM
CONVERTITE
La pena prevista per gli adulteri (maschi o femmine è indifferente) dipende se l'adultero è sposato o no. Se chi commette l'adulterio è celibe o nubile viene punito con 80 colpi di frusta, se chi commette adulterio è sposato\a viene punito\a con la lapidazione. Durante la lapidazione cioè la morte causata tramite il lancio di sassi contro il condannato, il reo deve essere slegato perchè come detto più volte dal nostro amato Profeta saaws, se si riesce a fuggire si ha salva la vita. Per essere puniti bisogna essere NECESSARIAMENTE o dei rei confessi oppure c'è bisogno che quattro uomini (o otto donne, oppure due donne per ogni testimone uomo mancante) possano testimoniare di aver visto i due o uno dei due compiere l'atto, cioè devono trovarli a letto nudi insieme. (...) se applicata con senno e logica la sharia è la legge perfetta. (…) Non si ama più il proprio compagno? C'è il divorzio. Nel caso maschile, si desidera un'altra donna? C'è la poligamia. Se puoi permettertelo economicamente puoi sposare un'altra donna (…) Ecco perchè dico che la sharia è la legge perfetta: se applicata come nell'esempio del nostro amato Profeta e come il Dio ci ha comandato non esiste legge più perfetta perchè è una legge divina e non è paragonabile ad una legge umana. Maria
A Maria - la convertita italiana che scriveva: “A chi ritiene la lapidazione una sofferenza, ricordo che dura 15 min al massimo. La jehenna è per sempre… decisamente non c'è differenza” - dedico questo video. (Fonte: "Unpoliticallycorrect")
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HAMAS UFFICIALMENTE INVITATO ALLA CERIMONIA D'INVESTITURA DI OBAMA
WASHINGTON - uno dei teologi musulmani scelto per prendere la parola mercoledì in occasione della preghiera inaugurale della cerimonia d'investitura del nuovo Presidente eletto, Barack Obama, non è altro che il capo di un gruppo denunciato dai procuratori federali per i suoi legami con terroristi.
Ingrid Mattson, presidente della società islamica dell'America settentrionale, sarà una dei tanti capi religiosi (rappresentando tutte le confessioni) che dovranno prendere la parola in occasione della preghiera nella cattedrale nazionale di Washington. Mattson era anche stata l'ospite d'onore al pranzo del dipartimento di Stato ed aveva incontrato alti responsabili del pentagono durante l'amministrazione Bush. Ha anche preso la parola per la preghiera alla convenzione nazionale democratica a Denver. Ma da allora, nel 2007, e recentemente, nel luglio scorso, i procuratori federali a Dallas hanno depositato dei documenti che legano la società islamica basata a Plainfield nell' Indiana con il gruppo Hamas, che gli Stati Uniti considerano come un'organizzazione terroristica.
Né Mattson, né la sua organizzazione direttamente sono stati tuttavia accusati. Ma i procuratori hanno scritto che c'erano numerose prove e documenti che li legano strettamente con il gruppo Hamas e con altri gruppi radicali.
Linda Douglass, una portavoce per il Comitato inaugurale di Obama, non desidera commentare sull'argomento né dire se il comitato ne fosse al corrente. "Ha una reputazione eccellente nella Comunità religiosa", ha dichiarato sabato sera Linda Douglass.
L'esistenza di questi documenti in possesso del tribunale è stata segnalata per la prima volta dalla rivista Politico. (Fonte: "Scettico", da Yahoo News e Jihad Watch)
E di Mary Ingrid Mattson avevamo parlato mesi fa perchè è stata presente in Vaticano per un incontro sul dialogo interreligioso... .
E guardate questa foto link.
Aggiornamento:
Mattson ha anche fatto l' avvocato del Wahhabismo, corrente islamica estremista e violenta dell'islam, qualificandolo di "corrente riformatrice che è nata 200 anni fa per eliminare dalla società islamica dalle pratiche culturali e dell'interpretazione rigida che ha acquisito nei secoli". Mattson suggerisce dunque che il wahhabismo sia una riforma nell'ambito dell'islam, che osa anche un'analogia con "la riforma protestante in Europa„ e che afferma che "i teologi sauditi che sono wahhabiti hanno denunciato il terrorismo e denunciano in particolare gli attentati dell'11 settembre", ma si è astenuta di citare che numerosi elementi provano che alti rappresentanti Sauditi hanno continuato a sostenere e finanziare il terrorismo e il Jihad internazionale.
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lunedì 19 gennaio 2009
SHIRIN EBADI: DURA CONDANNA DEL PARLAMENTO EUROPEO ALL'IRAN
Sono servite le pressioni sul Parlamento Europeo fatte dalle organizzazioni per la difesa dei Diritti Umani (tra le quali Secondo Protocollo) affinché si pronunciasse con estrema decisione sulla situazione venutasi a creare in Iran in merito a Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace e direttrice del Circolo dei difensori dei Diritti Umani, una situazione che ci ha fatto temere per la sua incolumità.
Con una risoluzione emessa il 15 gennaio 2009 il Parlamento Europeo condanna fermamente le persecuzioni e le minacce perpetrate dal regime dei Mullah ai danni di Shirin Ebadi e, come chiesto di recente da una coalizione di organizzazioni per la difesa dei Diritti Umani tra le quali Secondo Protocollo, esprime una grave preoccupazione per l'intensificarsi delle repressioni ai danni dei difensori dei Diritti Umani in Iran.
Molto indicativo il passaggio della risoluzione dove si sostiene che la chiusura del Circolo dei difensori dei Diritti Umani “non è solo un attacco a Shirin Ebadi e ai difensori dei Diritti Umani in Iran, ma è un attacco a tutta la comunità internazionale dei Diritti Umani di cui Shirin Ebadi è leader e un influente membro”.
La risoluzione prosegue denunciando che ci sono prove che le autorità iraniane hanno intensificato le persecuzioni contro Shirin Ebadi in seguito ai suoi contatti con funzionari delle Nazioni Unite e più in particolare con funzionari dell'Alto Commissariato per i Diritti Umani, ai quali Shirin Ebadi ha consegnato il 2 ottobre 2008 un dettagliato rapporto sulla situazione dei Diritti Umani in Iran.
deputati chiedono con forza all'Iran di porre fine alle persecuzioni e alle minacce ai danni di Shirin Ebadi, di autorizzare la riapertura del Circolo dei difensori dei Diritti Umani e di consentire alle organizzazioni per la difesa dei Diritti Umani di poter operare liberamente. Il Parlamento Europeo ribadisce infine la propria preoccupazione per quanto riguarda la persecuzione e l'incarcerazione di cittadini che si dedicano alla difesa dei diritti umani e in particolare contro la pena di morte e che per questo vengono accusati dai Mullah di fare “attività contro la sicurezza nazionale”. In particolare si fa riferimento al caso di Mohammad Sadiq Kaboudvand, un prigioniero di coscienza la cui situazione di salute si è ulteriormente aggravata a causa delle durissime condizioni di detenzione alle quali e sottoposto. (Fonte: "Secondo Protocollo")
E ancora sui Talebani pachistani e le studentesse... : Swat: Talebani fanno esplodere cinque scuole. Minacce di morte per le studentesse.
ll Parlamento Europeo non fa riferimento, in questo caso, alle torture alle quali è stato sottoposto Mohammad Sadiq Kaboudvand, lo diciamo noi giusto per non far dimenticare che non è la semplice detenzione a portare a queste condizioni estreme i detenuti per reati di coscienza che, lo ricordiamo, sono in gran parte donne le quali vengono incarcerate anche per il solo fatto di non vestirsi appropriatamente e che in carcere subiscono ogni genere di affronto (vedi il video sulle persecuzioni alle donne iraniane sul loro modo di vestire).
Questo primo importante passo del Parlamento Europeo deve essere comunque solo l'inizio di un irrigidimento delle posizioni europee nei riguardi del regime dei Mullah. Ancora c'è molta strada da fare per uscire dalla connivenza con il regime iraniano di molti Stati europei, primi tra tutti Gran Bretagna e Grecia, una connivenza troppo spesso dettata da interessi commerciali che nulla hanno a che fare con il supremo rispetto dei Diritti Umani, interessi che negli anni scorsi hanno portato a nascondere gli atti più deplorevoli che uno Stato democratico può commettere, come le deportazioni di dissidenti iraniani spesso tenute nascoste e il rimpatrio coatto di studenti iraniani fuggiti dalle persecuzioni alle quali erano soggetti.
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LA MOGLIE DI AHMADINEJAD
domenica 18 gennaio 2009
INDAGINE SULL' EVOLUZIONE DELLA DONNA IN MAROCCO. TRA PREGIUDIZI E TRADIZIONI
L’emancipazione tramite la scuola.
SANREMO: MOLTE DONNE ARABE AL CORSO DI ALFABETIZZAZIONE
Con la consegna degli attestati di frequenza, rilasciati presso il British Institute dal presidente del R.C.Sanremo per l’anno 2007/08, Nicola Cavaliere e dal collegio delle docenti dirette da Elisabetta Pannelli, si è conclusa con lusinghieri risultati la prima edizione del “Corso di Alfabetizzazione in Italiano riservato alle Donne di Lingua Araba”.
Il corso, che ha preso le mosse nel marzo 2007 con la presentazione in conferenza stampa , ha abbracciato, lungo i nove mesi di durata, ottanta ore di lezioni la cui didattica ,pensata e sviluppata in funzione del grado di apprendimento delle corsiste e delle loro esigenze anche pratiche . Infatti l’assidua frequenza delle venti allieve che hanno ottenuto l’attestato ha comportato anche una serie di esperienze didattiche fuori aula con visite guidate ai mercati ortofrutticoli e di abbigliamento per l’apprendimento dei termini specifici e la docenza esterna gratuitamente prestata da funzionari della Pubblica Amministrazione, della A.S.L: locale , della Scuola e, nella ricorrenza del sessantesimo anniversario della “Costituzione Italiana” un cenno introduttivo ai diritti ed ai doveri correlati alla cittadinanza. Questa prima positiva esperienza non poteva trovare più logica conclusione che quella di riunire allieve , docenti e dirigenti del Rotary Club Sanremo nella convivialità di un pasto preparato dalle allieve che, davanti ad un ottimo piatto di “Cous-cous” hanno festeggiato questo loro importante passo verso l’integrazione reale , che (ho aggiunto io "che", ndr) sia preservatrice dei valori fondamentali della propria cultura ma anche capace di formare, con gli strumenti della conoscenza, cittadine consapevoli ed in grado di apprezzare la civiltà del Paese che ospita loro e le loro famiglie. (Fonte: "Arabiyya")
E poi leggetevi Pakistan, chiudono le scuole private dopo bando talebano contro l'educazione femminile.
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sabato 17 gennaio 2009
QUALE LEZIONE!
C’è un blog, che frequento di tanto in tanto, tenuto da una ragazza saudita. Ci sono andata anche in questi giorni, e naturalmente vi ho trovato riferimenti a ciò che sta avvenendo a Gaza. Ho trovato immenso dolore per i fratelli di Gaza. Ho trovato l’invito a pregare per i fratelli di Gaza. Ho trovato la sollecitazione a donare sangue per i fratelli di Gaza. Ho trovato l’auspicio che tutto finisca al più presto. Ci sono anche cose che non ho trovato, in questo blog: non ho trovato odio, neanche mezza parola. Non ho trovato accuse, neanche mezza parola. Non ho trovato desiderio o propositi di vendetta, neanche mezza parola. Quale straordinaria lezione per i filo terroristi nostrani, capaci solo di urlare slogan di odio e bruciare bandiere e invocare morte e auspicare forni e seminare disinformazione a piene mani! Quale straordinaria lezione di dignità! (Fonte: "Il blog di Barbara" e "Women in the City" per la foto delle donne,)
NOSTRE SIGNORE DI ALLAH
Italiane, musulmane e giovanissime, oggi saranno in piazza (dietro agli uomini) a pregare per Hamas.
Quando, dopo gli scontri poltici e culturali seguiti alla strage dell’11 settembre, le loro vite sono state messe sotto la lente dei mass-media, erano quasi tutti adolescenti. Immigrati di seconda generazione, nati o cresciuti in Italia. Incastrati dentro categorie sociologiche, definiti un “ponte fra due culture”, una “generazione sospesa fra due mondi”. Erano più che altro smarriti. Ancora indecisi se ribellarsi o meno agli adulti che cercavano di controllare la loro crescita, cercando di inglobarli nelle associazioni dell’islam militante, soffocando ogni loro richiesta di autonomia. O al contrario assecondare il percorso di secolarizzazione intrapreso dai genitori troppo impegnati nella battaglia per la sopravvivenza per riuscire a dedicarsi alla cura dell’anima e ai segni della via indicata da Maometto. Un enigma, avevamo osservato al Foglio, raccontando le loro vite sospese al confine di una doppia identità marcata da rovelli interiori, tabù sociali, prescrizioni religiose. Poi abbiamo perso le loro tracce, tornate oggi visibili, con la guerra nella Striscia di Gaza, quando le piazze italiane ed europee si sono riempite di giovani musulmani feriti e furiosi. E così ci si interroga nuovamente sulle esistenze dei musulmani di seconda, alcuni di terza generazione.
Soprattutto se donne, giovani donne, che hanno vissuto spesso appartate, protette dal velo e dalle loro comunità di appartenenza. Cresciute di colpo, dopo l’11 settembre, che le ha obbligate a fare i conti con la propria identità. Le risposte univoche si trovano raramente, ma nel nostro breve viaggio è emerso che davanti alle immagini della guerra hanno avuto quasi tutte una reazione compatta, che non dipende sempre dalla religione. Forse perché quel ponte fra le due culture si è logorato e l’integrazione non è stata favorita, sostenuta, dalla società italiana. Oppure perché semplicemente sono cresciute e hanno preso posizione. Ed è infatti quasi paradossale la testimonianza di Heba Bayoumi, egiziana di Reggio Emilia che ha sposato un italiano contro il parere dei suoi genitori, che le dicevano “Vai contro la volontà di Allah”. Heba, che quando ha partecipato al concorso di bellezza Miss Mamma nell’autunno scorso ha suscitato le ire di un imam locale, sognava di entrare nella casa del Grande fratello, ma è stata esclusa e la sua protesta è finita sul sito Web d’informazione minareti.it diretto da Khalid Chaouki. “Mi hanno detto che è stato per via dei miei bambini, che non potevo star troppo lontana dai miei figli, ma poi hanno ammesso che la mia figura di musulmana troppo moderna, avrebbe potuto creare polemiche”. Così moderna e integrata da prendere le difese di Hamas. “Ho iniziato a studiare la storia del conflitto arabo-israeliano e sono arrivata alla conclusione che in Palestina si sta commettendo un genocidio”, ci ha detto. “E’ arrivato il momento di scegliere: soffro per miei fratelli, per la Palestina, sono araba e ne vado orgogliosa”. La sua storia assomiglia a quella di tante altre sue coetanee che magari non si spingono a tifare per Hamas, almeno non pubblicamente ma sono frustrate, segnate dalla diffidenza subita e ricambiata, dalla mancata integrazione e ora stanno rivedendo lo stereotipo, sbandierato troppo a lungo, del musulmano moderato. Anche se sarebbe eccessivo dire che una volta cresciuti i giovani che si autodefiniscono con l’acronimo G2 hanno preso una posizione di scontro con il mondo in cui sono nati, vissuti, è ovvio che fra gli effetti collaterali della guerra a Gaza, c’è anche il consolidamento di posizioni estreme, monolitiche. “Ecco perché bisogna spegnere il fuoco, ci si deve comportare da pompieri”, osserva Sumaya Abdel Qader italo-palestinese, 30 anni, due figlie, un curriculum da buona musulmana, una laurea in Biologia, e un’altra in arrivo, in Lingue straniere. E’ autrice di un romanzo di successo “Porto il velo, adoro i Queen” (Sonzogno), ma lei avrebbe preferito un titolo provocatorio, “Veline”, per sottolineare le sue riserve su un modello femminile occiddentale. Anche lei ormai è cresciuta, ha lasciato alle spalle l’esperienza associativa dei Giovani musulmani e oggi prende posizione. “Sì, io prendo posizione” ci ha detto lei che è scesa in piazza a manifestare contro la guerra. In questo momento sono con i palestinesi, da non confondere con Hamas però. Sono con un popolo straziato e ingiustamente martoriato. Critico Israele, ma questo non significa essere antisemita o anti Israele”. Su Facebook ha aggiornato così il suo stato: “Sumaya ricorda il passato, vive il presente e lavora per il domani” perché bisogna ricordare per poi perdonare e non buttare via tutto il lavoro fatto, il dialogo fra culture fra religioni, ci racconta lei che ha amici e parenti nella Striscia di Gaza e, guardandosi indietro, ricorda con disagio l’incomprensione dei suoi compagni di scuola verso i precetti della sua fede. Qualcosa però è successo se molte musulmane ci hanno anche raccontato che chi si ribella alle tradizioni, in cerca di libertà occidentali, spesso non trova l’equilibrio e supera un confine invisibile che le porta verso l’emarginazione. Oppure scelgono di essere musulmane, arabe, più che italiane.
Tante parteciperanno alla manifestazione, domani. Con sfumature diverse. Imane, 24 anni non porta il velo, e ci sarà “perché abbiamo passato più tempo a dare ragione o torto agli uni o agli altri, dimenticando il valore della vita umana”, dice. Noura, un anno di più, indossa il velo ma anche i jeans e ci sarà, per dare la sua solidarietà “al popolo palestinese che sta morendo, non ad Hamas”. Sagidah (accento sulla prima ‘a’) è più giovane, vent’anni appena compiuti e, se le si chiede della sua identità, spiega che il suo sangue è palestinese, i suoi genitori vengono da Gerusalemme “e io voglio la pace, non guerre”. Tante di queste ragazze (romane, italiane, musulmane e anche molto arabe) frequentano l’associazione dei Giovani musulmani italiani. Si ritrovano per convegni, gite o celebrazioni religiose. Uno dei loro luoghi di richiamo è la moschea Al-Huda di Centocelle, dove si organizzano corsi di italiano, di cultura araba, e dove si prega cinque volte al giorno tutti i giorni, affluenza maggiore nel fine settimana, (alla moschea bella ed enorme, dietro i Parioli, si va solo per le feste).
Domani il centro Al-Huda (“Significa tutto ciò che è bene”, spiega una donna che frequenta la moschea) si prevede semivuoto: tantissimi andranno a manifestare. Anche tante musulmane, che non si erano viste chine in preghiera davanti alle piazze di Milano o Bologna, dopo le manifestazioni di due settimane fa. Perché? “Forse hanno preferito evitare di chinarsi lì, sotto gli occhi di fotografi e telecamere”, spiega Noura, responsabile a Roma dei Giovani musulmani italiani (GMI). “Fare i movimenti della preghiera può essere provocante, per una donna. Infatti noi ragazze dobbiamo pregare dietro di loro”. Niente di programmato, quindi, in quell’occupazione di suolo pubblico davanti a cattedrali e stazioni; non un gesto di sfida né una mancanza di rispetto verso un’altra religione (cattolica). “La terra è di Dio, Dio ha detto: ‘Pregate dove capita’. Poi si invita il fedele alla preghiera collettiva, si vede che si sono trovati lì e hanno pregato”. Questo è successo secondo Zaynab, nata in Marocco ventuno anni fa, tre sorelle e due fratelli, futuro immaginato in ambito sociale, “con bambini, donne, magari anche palestinesi”. Ammette di non sapere esattamente come sia iniziata la guerra, ma “alla fine muoiono bambini: sono sempre i miei fratelli”, osserva. Se le capitasse, pregherebbe davanti a una chiesa cattolica e anche dentro, “è un luogo sacro”. Sulla sua identità si dice confusa, e – come altre – racconta di aver riscoperto l’islam da adulta. “Prima non pregavo, uscivo con altri ragazzi arabi non praticanti, che fumavano. Ero fuori strada”. Ora prega, anche se non in moschea, si sente italiana e musulmana ed esclude che il suo sposo (quando lo avrà) possa un giorno vivere con altre tre donne, come è concesso dalla sua religione. “Mio marito starà solo con me”.
Sagidah diversamente da Zaynab frequenta la moschea, quella di Centocelle, che è uno scantinato ridipinto di blu. Con piantine e vasi ai lati (su uno piccolo, ideogrammi cinesi). Due strisce di tappeto all’esterno segnano il luogo in cui togliersi le scarpe, e una porticina a destra dove c’è entrata delle donne”, indica un foglio bianco sotto la cancellata di stelle e ghirigori in ferro (l’unica cosa che può sembrare vagamente araba e magari nemmeno lo è). Il quartiere è nella periferia sud di Roma, palazzoni ingentiliti solo dal nome delle vie: “Delle Azalee”, “Platani”, “Frassini”. “Esteticamente non è bella – dice Imane, studentessa di economia alla Sapienza, in Italia da quando aveva tredici anni. “In Italia mancano luoghi di culto che potrebbero svolgere anche una funzione culturale”. Marocchina di nascita Imane prega in camera sua, “anche se non sono ancora arrivata a farlo cinque volte al giorno”. Partecipa ai convegni sulla teologia islamica (organizzati su minareti.it, portale del mondo arabo italiano). Dice che forse la cultura del Marocco non le “appartiene più”, condanna chi ha bruciato le bandiere di Israele, definisce “criticabile il momento e la situazione delle preghiera dopo una manifestazione politica. Meglio farla assieme ai nostri amici ebrei e cristiani e pregare per gli innocenti”. Impegnata sullo studio della finanza islamica, si sente “integrata a livello umano, non in quello burocratico, visto che per avere il visto ci vuole un anno e mezzo e dopo due mesi che ce l’hai scade”. Andrà alla manifestazione, anche perché “se le persone si sono affidate a Hamas, sono all’ultima spiaggia”. Ha le idee chiarissime: separare sempre religione e politica, e bravi i suoi amici dei Giovani musulmani che hanno cercato di impedire ai manifestanti di Milano di bruciare la bandiera di Israele. E’ teologicamente all’avanguardia, se sostiene che alcuni precetti della sua religione andrebbero contestualizzati. “Purtroppo, non solo in Italia ma nel mondo l’idea di proporre una nuova ermeneutica del Corano non è la posizione prevalente”. Sagidah ha idee più confuse, come altre italiane appena ventenni. “Sono palestinese e poi italiana. Mia madre mi corregge, dice che sono prima italiana e poi palestinese, perché sono nata qui”. Va a pregare in moschea il sabato, gli altri giorni è in università (studia lettere e filosofia). Vive la guerra come una catastrofe umanitaria, ammette che Hamas ha lanciato i razzi ma “isolare la popolazione palestinese era già un altro modo di farle guerra”. Mischia religione e politica in un garbuglio di idee già sentito. “Il popolo palestinese ha da sempre lottato per la sua terra, senza arrendersi mai. Dio è vicino a loro”. La si potrebbe classificare come una musulmana quasi intransigente.
“Queste definizioni non hanno senso: c’è un unico islam, quello nato millequattrocento anni fa”, è l’opinione di Noura, nata a Casablanca ma italiana da dodici anni. E’ sposata con un ragazzo somalo e si trasferirà presto in Kenya, dove lui ora lavora, a mettere a frutto i suoi studi in Economia della cooperazione. Secondo lei le diversità di pratica religiosa che si vedono in Arabia o Pakistan, Iran o Indonesia, dipendono da “gente che strumentalizza la religione. L’islam dice che ‘non c’è costrizione’, nessuno può giudicarti, non sei obbligata a portare il velo, ognuno è libero di praticare o no, e nel modo in cui crede”. Accetterebbe la poligamia di suo? Accetterebbe che fosse lui a decidere, perché ‘…tuttavia gli uomini sono un gradino più in alto (della donna, ndr)’ (Corano II, 228)? “Per fortuna mio marito è cresciuto in Italia come me, è praticante per sua scelta, e non è lui che comanda. In Italia, almeno, non succede. Forse nei paesi arabi. E’ un problema di cultura, più che di religione”. (Fonte: "Il Foglio", da "Liberali per Israele")
E di Heba Bayoumi, la "Miss Mamma", avevamo parlato anche noi... . Leggi tutto ...
venerdì 16 gennaio 2009
NOA E MIRA INSIEME, IN UN CANTO PER LA PACE
Le artiste ebrea e araba vogliono esibirsi in un Festival a Mosca.