Problema: le saudite (e i loro mariti) amano la biancheria sexy, ma alle donne è vietato lavorare. Risultato nei negozi devono scegliere culotte e baby-doll sotto gli occhi di un uomo. Una docente universitaria, grazie a Facebook, ha scatenato una battaglia: sconfiggere l'ipocrisia.
Tanga sottilissimi, baby-doll trasparenti, camicie da notte con piume e reggiseni rosso fuoco, slip al sapore di cioccolato (commestibili).
Che la biancheria preferita dalle donne arabe, anche da quelle velatissime e coperte di nero del Golfo, sia super-sexy e quasi al limite dell'indecente (oltre a quello del kitch) è un fatto noto a ogni visitatore di vecchi suq o moderni shopping center, dal Marocco alla Siria. Un'apparente contraddizione che viene periodicamente scoperta dai media occidentali, forse ignari che l'islam non è affatto sessuofobo, sempre che il sesso sia lecito, ovvero tra i coniugi. Che nel Paese in cui le donne non possono nemmeno stare in una stanza o in auto con maschi estranei, i loro indumenti più intimi siano venduti quasi unicamente da commessi uomini è, però, meno conosciuto (ne avevo già parlato su "Mille e Una Donna"). In Arabia Saudita i turisti non ci vanno. E di fronte a battaglie più serie (come il diritto di famiglia) o ormai celebri (come la guida), questa sembra una questione minore. Ma non la pensano così centinaia, migliaia di saudite, impegnate da alcuni giorni nella campagna di boicottaggio "Fuori i venditori maschi dai negozi di lingerie". Per una questione di pudore, di rispetto, di posti di lavoro. E (anche) per opporsi a una vera contraddizione: difendere la decenza delle ormai tantissime lavoratrici, relegandole in uffici ed edifici divisi da quelli degli uomini, non ha più senso; ma se si difende questa scelta, inshallah ancora per poco, che sia almeno coerente.
"Costringerci a discutere di trasparenze e taglie, colori, modelli e capi così privati con uomini mai visti prima, chiedere loro consigli è un'assurdità perfino maggiore che impedirci ruoli pubblici come lavorare in un negozio" dice Reem Asaad (foto), leader del movimento, professoressa di finanza all'Università femminile di Gedda. Che aggiunge: "Abbiamo lanciato la nostra campagna su Facebook e su altri siti internet, che oggi sono il medoto più rapido ed efficiente per far conoscere una causa e manifestare il proprio parere: già 1.500 hanno firmato in rete e si sono impegnate al boicottaggio, tantissime altre certo seguiranno". Reem precisa che "la battaglia, a differenza di altre, non è sul piano legale perchè già dal 2006 in Arabia è stata approvata una legge che vieta agli uomini di lavorare nei negozi di biancheria femminile. Ma quasi nessuno la rispetta perchè i proprietari di negozi e gran parte della società seguono l'establishment religioso più conservatore, la tradizione impera, come sempre. E quindi dobbiamo sensibilizzare la gente e convincere sempre più donne a muoversi. Quando il danno finanziario si farà sentire grazie al nostro boicottaggio, vedrete che le cose cambieranno". (Fonte: "IO DONNA")
Per chi può, quindi, shopping nei Paesi visitati per vacanza o lavoro (magari al seguito del marito), dal Libano all'Egitto, da Londra a Parigi. dove (tra l'altro) i camerini non sono "illegali" con in Arabia Saudita: nel Regno si è infatti costrette a portarsi a casa ogni capo, per restituirlo poi se non va bene. Qualcuna compra su internet, dove i siti non mancano e la privacy è garantita. ma l'obiettivo è avere negozi per donne con donne. Secondo Reem il Paese è pronto per questo cambiamento, anche il vicino Qatar sta compiendo proprio in questi giorni il passaggio dai commessi alle commesse: "E se qualcuno ci dice che non ci sono ragazze con l'esperienza o le capacità necessarie, ebbene non è affatto vero" sostiene la professoressa di finanza diventata attivista.
Già qualcuna lavora all'ultimo piano del super chic shopping center Al Mamlaka, proprietà del principe Al-Walid Bin Talal in centro a Riyad, riservato esclusivamente alla clientela femminile. Altre sono assunte nelle prime boutique gestite tutte da donne, capostipite delle quali fu Dunya (Mondo), creata ben 11 anni fa da una pioniera. E presto ci saranno sul mercato decine di venditrici con curriculum ineccepibili, visto che Suhair Al Quaraishi, rettrice dell'Università dove lavora anche Reem Asaad, ha deciso di unirsi alla causa e ha appena aperto un corso ad hoc. Duecento ragazze sono già iscritte.
La battaglia della lingerie è partita alla grande: oltre ai media stranieri che l'hanno ripresa con un misto di curiosità e incredulità, quelli locali iniziano finalmente a parlarne. Anche perchè il momento è propizio ai cambiamenti in Arabia. Il vecchio e saggio Re Abdullah, che vanta un livello di popolarità (vero) da fare invidia a qualsiasi leader occidentale, ha da poco annunciato profonde riforme. Ha nominato Nora Al-Fayez viceministro con responsabilità per l'insegnamento femminile, prima donna della storia nel governo saudita. Ha rimosso il capo della terribile e retrograda polizia religiosa, sostituendolo con uno moderato. Ha cambiato altri uomini chiave nella gerarchia religiosa e politica del Regno, privilegiando personalità più giovani ma soprattutto più aperte e riformatrici. Ma il cammino rimane ancora lungo per le saudite. E passa pure per mille piccole conquiste. Come quella, appunto, di farsi consigliare su un tanga o baby-doll da una commessa, una di loro.
Tanga sottilissimi, baby-doll trasparenti, camicie da notte con piume e reggiseni rosso fuoco, slip al sapore di cioccolato (commestibili).
Che la biancheria preferita dalle donne arabe, anche da quelle velatissime e coperte di nero del Golfo, sia super-sexy e quasi al limite dell'indecente (oltre a quello del kitch) è un fatto noto a ogni visitatore di vecchi suq o moderni shopping center, dal Marocco alla Siria. Un'apparente contraddizione che viene periodicamente scoperta dai media occidentali, forse ignari che l'islam non è affatto sessuofobo, sempre che il sesso sia lecito, ovvero tra i coniugi. Che nel Paese in cui le donne non possono nemmeno stare in una stanza o in auto con maschi estranei, i loro indumenti più intimi siano venduti quasi unicamente da commessi uomini è, però, meno conosciuto (ne avevo già parlato su "Mille e Una Donna"). In Arabia Saudita i turisti non ci vanno. E di fronte a battaglie più serie (come il diritto di famiglia) o ormai celebri (come la guida), questa sembra una questione minore. Ma non la pensano così centinaia, migliaia di saudite, impegnate da alcuni giorni nella campagna di boicottaggio "Fuori i venditori maschi dai negozi di lingerie". Per una questione di pudore, di rispetto, di posti di lavoro. E (anche) per opporsi a una vera contraddizione: difendere la decenza delle ormai tantissime lavoratrici, relegandole in uffici ed edifici divisi da quelli degli uomini, non ha più senso; ma se si difende questa scelta, inshallah ancora per poco, che sia almeno coerente.
"Costringerci a discutere di trasparenze e taglie, colori, modelli e capi così privati con uomini mai visti prima, chiedere loro consigli è un'assurdità perfino maggiore che impedirci ruoli pubblici come lavorare in un negozio" dice Reem Asaad (foto), leader del movimento, professoressa di finanza all'Università femminile di Gedda. Che aggiunge: "Abbiamo lanciato la nostra campagna su Facebook e su altri siti internet, che oggi sono il medoto più rapido ed efficiente per far conoscere una causa e manifestare il proprio parere: già 1.500 hanno firmato in rete e si sono impegnate al boicottaggio, tantissime altre certo seguiranno". Reem precisa che "la battaglia, a differenza di altre, non è sul piano legale perchè già dal 2006 in Arabia è stata approvata una legge che vieta agli uomini di lavorare nei negozi di biancheria femminile. Ma quasi nessuno la rispetta perchè i proprietari di negozi e gran parte della società seguono l'establishment religioso più conservatore, la tradizione impera, come sempre. E quindi dobbiamo sensibilizzare la gente e convincere sempre più donne a muoversi. Quando il danno finanziario si farà sentire grazie al nostro boicottaggio, vedrete che le cose cambieranno". (Fonte: "IO DONNA")
Per chi può, quindi, shopping nei Paesi visitati per vacanza o lavoro (magari al seguito del marito), dal Libano all'Egitto, da Londra a Parigi. dove (tra l'altro) i camerini non sono "illegali" con in Arabia Saudita: nel Regno si è infatti costrette a portarsi a casa ogni capo, per restituirlo poi se non va bene. Qualcuna compra su internet, dove i siti non mancano e la privacy è garantita. ma l'obiettivo è avere negozi per donne con donne. Secondo Reem il Paese è pronto per questo cambiamento, anche il vicino Qatar sta compiendo proprio in questi giorni il passaggio dai commessi alle commesse: "E se qualcuno ci dice che non ci sono ragazze con l'esperienza o le capacità necessarie, ebbene non è affatto vero" sostiene la professoressa di finanza diventata attivista.
Già qualcuna lavora all'ultimo piano del super chic shopping center Al Mamlaka, proprietà del principe Al-Walid Bin Talal in centro a Riyad, riservato esclusivamente alla clientela femminile. Altre sono assunte nelle prime boutique gestite tutte da donne, capostipite delle quali fu Dunya (Mondo), creata ben 11 anni fa da una pioniera. E presto ci saranno sul mercato decine di venditrici con curriculum ineccepibili, visto che Suhair Al Quaraishi, rettrice dell'Università dove lavora anche Reem Asaad, ha deciso di unirsi alla causa e ha appena aperto un corso ad hoc. Duecento ragazze sono già iscritte.
La battaglia della lingerie è partita alla grande: oltre ai media stranieri che l'hanno ripresa con un misto di curiosità e incredulità, quelli locali iniziano finalmente a parlarne. Anche perchè il momento è propizio ai cambiamenti in Arabia. Il vecchio e saggio Re Abdullah, che vanta un livello di popolarità (vero) da fare invidia a qualsiasi leader occidentale, ha da poco annunciato profonde riforme. Ha nominato Nora Al-Fayez viceministro con responsabilità per l'insegnamento femminile, prima donna della storia nel governo saudita. Ha rimosso il capo della terribile e retrograda polizia religiosa, sostituendolo con uno moderato. Ha cambiato altri uomini chiave nella gerarchia religiosa e politica del Regno, privilegiando personalità più giovani ma soprattutto più aperte e riformatrici. Ma il cammino rimane ancora lungo per le saudite. E passa pure per mille piccole conquiste. Come quella, appunto, di farsi consigliare su un tanga o baby-doll da una commessa, una di loro.
15 commenti:
Ciao ciao :-)
Buona Pasqua,,, in ritardo. Hai mica sentito di quella povera ragazza azera che viveva a San Pietroburgo, fatta uccidere dal padre perche' portava la minigonna all'università?
http://www.voceditalia.it/articolo.asp?id=31182&titolo=Mette%20la%20minigonna%20e%20il%20padre%20la%20fa%20uccidere%20da%20tre%20sicari
Io in minigonna sto MALISSIMO ma me la metterei solo per segno di protesta :-(
Anyway, un link a un video che forse e' propaganda. Ma anche no.
http://www.youtube.com/watch?v=_dDNf4Qybqo
Queen Rania YouTube Channel:
"Send me your stereotypes"
http://www.youtube.com/watch?v=TFf897bUW2Y
Speriamo che queste donne riescano a smuovere il muro dell' oppressione ... Ciao. Grandmere
Per quel che meritano quei porci di loro mariti musulmani, le arabe dovrebbero idossare solo cinture di castità
Ciao, Close, sì, ho letto di corsa... . Farò un post, anche se hai già detto tu la notizia.
Quanto a Rania, quello è un video vecchio, che serviva di lancio al suo canale di YouTube. Comunque ho già postato altri video suoi e anzi, uno dei primissimi post del blog riguardava proprio un discorso sulle donne arabe.
Grandmere, più che dell'oppressione, queste donne stanno cercando di smuovere il muro dell'ipocrisia, del falso pudore, ma in genere queste due cose vanno a braccetto.
Pasquale: o gli uomini arabi calmare un po' i bollori... .
Quelli non si calmano neppure a castrarli.
In una società in cui le donne sono ricoperte da bare ambolanti, è ovio che gli uomini siano disturbati di testa.
L'unico modo è dunque una cintura di castità a tutte, così entro un mese gli iman scopriranno che allah vuole la minigonna obbligatoria.
pero' c'e' una cosa che non mi quadra nella notizia:
se a queste donne e' "vietato lavorare", come possono esistere delle professoresse universitarie, e addirittura delle rettrici di universita', che sono poi quelle che hanno dato il via alla campagna?
Per il semplice motivo che per evitare la promiscuità il medico che cura una donna deve essere una donna dunque deve studiare all'università e per evitare la promiscuità le classi debbono essere separate per cui le insegnanti debbono essere donne, ad esempio.
eudora
E poi non credo che, in generale, alle donne venga consentito facilmente di lavorare. Poi ci sono le eccezioni. Grazie x i video, Close: li guarderò.
Scusate, ma se il problema è che GLI UOMINI sono dei maiali degenerati congeniti, mi spiegate perché il sacrificio di portare la cintura di castità lo devono fare le donne?
Ecco... . Mi sembrava ovvio, ma comunque ottima domanda, Barbara.
Sarebbe come mettere in galera le donne, per evitare che vengano violentate, o i gioiellieri per evitare che vengano rapinati.
Sì, concordo.
Barbara, hai ragione: infatti la questione del velo si fonda su questa ipocrisia e disonestà.
eudora
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