Maryam Rajavi, la donna che guida la resistenza contro il regime islamista di Khomeini e Ahmadinejad con il velo islamico in testa. (e senza stringere la mano agli uomini! ndr)
Maryam Rajavi da 15 anni è la guida del Consiglio nazionale della resistenza iraniana (Cnri), la coalizione di forze democratiche che mira a rovesciare il regime di Teheran. Quante volte hanno attentato alla sua vita nemmeno lei lo ricorda più. Se glielo chiedi si mette a ridere. «Nel 1996 – racconta a Tempi – la polizia belga scoprì un cannone mortaio da 320 millimetri nascosto in un cargo iraniano. Era destinato a un’azione terroristica contro la mia residenza a Auvers-sur-Oise». La lady di ferro col velo, la cui popolarità fa tremare la dittatura i-slamista iraniana, vive nei pressi di Parigi. Da 26 anni non vede la sua patria. Ma ogni giorno dall’Iran le arrivano notizie che raccontano di «bambine mandate nel Golfo a prostituirsi, studenti torturati in prigione, minorenni impiccati in piazza. La nostra lotta è fatta di dolori profondi, ma anche di grandi gioie. Come quella di vedere una nuova generazione di uomini che praticano l’uguaglianza tra i sessi». «La signora Rajavi – interviene un attivista del Cnri presente all’intervista – ha realizzato un’autentica rivoluzione culturale: se il regime propaganda la misoginia, per sconfiggerlo dobbiamo fare l’opposto: dare potere alle donne». «Senza l’appoggio dei nostri uomini – ironizza la guida della resistenza – ci saremmo trasformate semplicemente in un movimento femminista».
Maryam si “arruola” contro la monarchia negli anni Settanta. Diventa rapidamente una dirigente del movimento degli studenti e inizia a militare tra i Mujaheddin del popolo iraniano (Pmoi). Una delle due sorelle, Nargues, viene uccisa dalla polizia segreta dello scià. Durante il regno del terrore khomeinista, l’altra sorella, Massumè, viene arrestata e uccisa sotto tortura; era incinta di otto mesi. Anche il marito, Mahmud Izadkhak, subisce la stessa fine. I pasdaran prendono d’assalto più volte la casa di Maryam, che decide di fuggire a Parigi. Qui inizia la carriera nell’ala politica del movimento. Nel 1989 teorizza la necessità di far emergere la componente femminile come determinante per il cambiamento della società iraniana. Nel 1993 il Cnri la elegge presidente della Repubblica per il periodo di transizione dopo il rovesciamento dei mullah.
Ingegnere, 55 anni, Maryam Rajavi non trova nulla di strano nel combattere il fondamentalismo con il velo in testa: «È democrazia. Chi crede nel vero islam si impegna a rispettare il diritto alla libertà religiosa. Indosso il velo, ma darei la vita per garantire la libertà alle donne. Quando la rivoluzione khomeinista ha imposto il chador, noi dei Mujaheddin, che già portavamo il velo, siamo scese in piazza a protestare». Il Pmoi rappresenta la componente maggiore all’interno del Cnri, che è una sorta di Parlamento in esilio; si propone come governo di tran-sizione dopo il regime, con il compito di organizzare elezioni libere entro sei mesi dalla caduta dei mullah. Alla volontà di sterminio manifestata da Khomeini, negli anni Ottanta, l’organizzazione risponde con le armi, dicendosi disposta ad abbandonarle in cambio di libertà di parola e attività. Costretti all’esilio, i Mujaheddin del popolo fanno della città di Ashraf, in Iraq, la loro base. Su pressione di Teheran, nel 1997, gli Stati Uniti iscrivono il Pmoi tra le organizzazioni terroristiche straniere, una specie di “gesto di buona volontà” verso il governo iraniano. Poi, per tutti gli anni Novanta, il regime islamico ha richiesto, ossessivamente, a ogni incontro diplomatico con i partner europei di “bloccare” i Mujaheddin del popolo. Finché nel 2002 anche l’Unione Europea segue la scelta di Washington. Dal 2001, però, il Pmoi ha rinunciato alla lotta armata. Ora è impegnato in una campagna mondiale per la propria riabilitazione. E qualche vittoria l’ha ottenuta. A fine ottobre la Corte europea ha deciso per la sua rimozione dalla black list. Francia, Belgio e Italia stanno facendo lo stesso. (Fonte: "Liberali per Israele", Tempi.it)
Da sette anni i Mujaheddin del popolo danno battaglia solo nelle piazze con volantini, siti internet, canali satellitari. Sfidando la censura e il carcere. L’obiettivo è la “terza via”: «No alla guerra, no al dialogo con i mullah, sì al riconoscimento internazionale della resistenza iraniana, unica alternativa alla teocrazia». Nel Parlamento italiano la causa ha trovato sostegno bipartisan. E la Rajavi apprezza la maggiore fermezza verso Teheran del governo Berlusconi, rispetto al precedente. «Nella comunità internazionale l’Italia potrebbe farsi pioniere di una nuova politica, che abbandoni l’accondiscendenza verso i mullah». Anni di dialogo e incentivi alla dittatura religiosa sul dossier nucleare non hanno avuto risultati significativi e il regime corre velocemente verso la possibilità di realizzare ordigni atomici. Perfino l’Agenzia internazionale per l’energia atomica nella sua ultima relazione ammette di non poter garantire che Teheran non persegua, in segreto, programmi nucleari militari.
L’illusione dei “moderati”
La Rajavi ha visitato l’Italia l’ultima volta il 22 ottobre, su invito di Alleanza nazionale. L’occasione è stata la consegna dell’appello firmato da 164 senatori di destra e di sinistra per rimuovere il nome dell’organizzazione dei Mujaheddin del popolo iraniano dalla lista europea del terrorismo internazionale. Nell’Iran libero che sogna Maryam c’è un sistema multipartitico ed elezioni trasparenti. Non c’è pena di morte. Vige la separazione tra Stato e religione. E non c’è posto per armi nucleari. La donna denuncia «l’abbaglio» dell’Occidente, che crede esistano moderati in seno al regime. Per spiegarlo usa un proverbio iraniano: «“Il cane giallo è fratello dello sciacallo”. Si trattava solo di miraggi, un’altra faccia della stessa medaglia. Il frutto naturale dei cosiddetti governi moderati di Rafsanjani e Khatami è stata, infatti, l’ascesa di Ahmadinejad e dei pasdaran a ogni livello del potere». Questa sorta di esercito parallelo ideologico controlla la politica e l’economia, il Parlamento, le tv, la radio. Anche il capo delle forze armate tradizionali è un pasdaran. Fu per ordine del “moderato” Khatami – ricorda Maryam – che nell’estate del 1999 vennero insanguinate le pacifiche manifestazioni degli studenti a Teheran. Oggi in Iran, nonostante l’abbondanza di petrolio, c’è solo miseria. L’80 per cento della popolazione vive sulla soglia della povertà e l’inflazione del paese è la quinta al mondo. «Il malcontento e le proteste aumentano». L’ultimo sciopero dei commercianti dei bazar contro la nuova Iva a ottobre «è il segnale di una volontà di cambiamento. Il regime è sempre più isolato anche sul piano interno e per tenersi in vita aumenta la repressione, esporta il terrorismo in Iraq, Libano, Palestina, spinge verso l’atomica e invoca la distruzione di Israele». La presidente del Cnri è convinta: «Se la situazione va avanti così e non si adotta una politica ferma e un embargo totale verso la dittatura religiosa, tutto è possibile e la guerra potrebbe essere alle porte».
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domenica 30 novembre 2008
IRAN: IL CHADOR PIU' ODIATO DAI MULLAH
ARABIA SAUDITA, MAGLIETTA "DRIVERS" E TORTA CON UN'AUTOMOBILE: LA PROTESTA DELLE GUIDATRICI SAUDITE
Manifestano le donne che vogliono guidare la macchina, nell’unico Paese al mondo dove ciò è vietato. Secondo loro, la questione ha influenza sul riconoscimento dei diritti di libertà. (soltanto "secondo loro"?)
Riyadh (AsiaNews) - Una maglietta con la scritta “drivers”, una torta con sopra un’automobile, una foto di gruppo: si è svolta così, quest’anno, la manifestazione di una cinquantina di donne saudite che hanno commemorato la protesta che il 6 novembre 1990 vide un gruppo di 47 guidatrici in un convoglio che per una mezz’ora girò intorno a Riyadh. Poi furono fermate dalla polizia, perché l’Arabia Saudita resta l’unico Paese al mondo dove alle donne è vietato guidare, anche se quest’estate funzionari di governo hanno sostenuto che si sta studiando la possibilità di un decreto che, entro la fine dell’anno, abolisca il divieto.
La reazione delle autorità fu dura. A tutte le guidatrici ed ai loro mariti (che hanno il ruolo del “guardiano” che ogni donna deve avere) furono vietati per un anno i viaggi all’estero, quelle che erano dipendenti pubbliche furono licenziate, ma, come ricorda Fawzia al Bakr, una professoressa che fu una delle guidatrici, in una intervista a NPR “dovunque lavorassimo eravamo etichettate ‘guidatrici’ e non c’era possibilità di fare carriera, per quanto brava tu fossi”. (Fonte: "AsiaNews")
E ricordiamo anche la protesta dell'attivista saudita Waheja Al-Huwaider all'ultima "Festa della Donna": http://www.memritv.org/clip/en/1712.htm
“Penso – dice una imprenditrice, Aisha al Mana – che fu una cosa meritevole perché avevamo sollevato e dato coscienza di un problema delle donne in Arabia Saudita”. “Per un anno – aggiunge – siamo state tormentate, perché pensavano che avessimo compiuto qualcosa che non è accettabile dalla società”.
Poi le acque si sono calmate e, due anni dopo la manifestazione, le licenziate furono riassunte. Ma la questione, come spiega la professoressa al Bakr, è più complessa di quanto appare. “Se guidi, significa che puoi andare in pubblico, hai accesso alle istituzioni, me se se sei totalmente impossibilitata a muoverti senza avere un uomo che guida per te, sei completamente paralizzata”.
Ora, “a livello pratico re Abdullah sta lavorando in modo discreto per dare sostegno alle donne. Ma, purtroppo, quelle delle donne alla guida è ancora un grosso grattacapo ed il re ha problemi piuù importanti”.
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PRIGIONIERE NEL DESERTO
Candice, è stata costretta a rasarsi per questioni d'igiene. Le è stato sottratto tutto. E' riuscita a nascondere soltanto un cellulare, con il quale comunica con l'esterno e ha ogni tanto possibilità di collegarsi a Internet.
Candice Ahnine e sua figlia Aya, di quasi sette anni, nata da una unione con un principe saudita, sono prigioniere a Riad in un palazzo della famiglia reale. Resoconto di una storia incredibile e drammatica.
Le relazioni diplomatiche tra la Francia e l' Arabia Saudita potrebbero nei i prossimi giorni farsi molto tese. La ragione? Un doppio sequestro. Quello di Candice Ahnine, giovane donna di Hyéres (Francia) di 31 anni, e di sua figlia Aya, che soffierà molto presto le sue 7 candeline, in una prigione dorata.
La vicenda, passata stranamente inosservata, è stata tuttavia rivelata a fine ottobre su Internet.Più precisamente sul canale Facebook. Candice, su una fotografia con sua figlia, ha lanciato un SOS in cui scrive: "Mia figlia è sequestrata ed io rinchiusa a Riad, in un palazzo. (...) Pietà. Aiutateci".
Precisione importante: il palazzo in questione apparterrebbe alla famiglia del principe Sattam Al Saoud, il padre della piccola Aya… . (Fonte: "Scettico")
Da questo drammatico appello, la situazione di queste due "prigioniere nel deserto", non è ovviamente migliorata. Da quanto dice la madre di Candice - Muriel Mallier, ex moglie di Gèrars Ahnine - "mia figlia e mia nipote sono separate. Possono appena vedersi. La piccola, che non vive con il suo papà, ma con la madre di quest'ultimo, è completamente terrorizzata".
Tutto era cominciato come una favola. Undici anni fa, all'età di 20 anni, la giovane Candice Ahnine conosce Sattam Al Saoud, uno dei 4.000 principi sauditi, durante un soggiorno in Inghilterra. Nonostante la differenza di religione - Candice è ebrea, Sattam è musulmano - i due giovani si amano. Da questo amore, nasce la piccola Aya il 27 novembre 2001.
Questa nascita non rimette nulla in questione. Almeno inizialmente. Il principe saudita continua a fare andata e ritorno tra il regno wahhabita e la Francia.
Nel corso dei suoi soggiorni ripetuti a Hyères, "il principe ha anche fatto shabbat con noi varie volte", afferma Muriel Mallier. Una rivelazione dal profumo di scandalo!
Ma un giorno Sattam Al Saoud esprime il desiderio - tutto sommato legittimo - di vedere sua figlia allevata secondo le leggi del Corano. Nel settembre 2005, Candice ed Aya partono dunque per stabilirsi a Beirut. Nell'estate 2006, in Libano scoppia per l'ennesima volta la guerra e Candice si trasferisce in Arabia Saudita. Contro il parere della madre che ha brutti presentimenti.
Per Candice ed Aya, rapidamente separate l' un dall'altra, l'incubo comincia. Il principe saudita non ha più nulla di affascinante. Secondo un verbale registrato 6 novembre 2007 dalla polizia di Cannes, Candice, che ha potuto fuggire e rientrare in Francia, afferma: "Laggiù sono stata separata da mia figlia e maltrattata, cioè drogata, battuta, e violentata…".
Inspiegabilmente tuttavia Candice e Aya ripartono per l'Arabia Saudita. Un ritorno verso l'inferno se si tiene conto di un'ultima e-mail datata 12 novembre 2008. "Aya ed io siamo francesi e vogliamo rientrare in Francia. Siamo trattenute contro il nostro volere ed ogni giorno è un inferno!".
Disperata, Muriel Mallier non sà più a chi rivolgersi. Dopo aver chiesto aiuto al grande Rabbino di Francia che l'ha ricevuta martedì 4 novembre. E la visita fatta a Sébastien Mariani, mediatore di giustizia. "La mia azione è molto limitata. Sono intervenuta presso il ministero degli esteri per assicurarmi che si occupano del mio dossier".
Il ministero d' Orsay è stato effettivamente avvertito. "Il fatto ci è stato segnalato. Siamo in contatto con la famiglia in Francia e la nostra ambasciata in Arabia Saudita è in contatto con Candice Ahnine", conferma Nicolas de Lacoste, incaricato al Ministero francese, ma lo stesso ammette: "la situazione è complicato", visibilmente poco interessato a parlare "di una questione privata", Nicolas de Lacoste lascia lo stesso intendere che, "nonostante il suo nome, Sattam Al Saoud non è legato alla famiglia regnante".
Al Consolato d' Arabia Saudita a Parigi, si mostrano ancora meno eloquenti. "Non abbiamo mai sentito parlare di questa storia. Ad ogni modo, qualsiasi domanda d' informazione deve essere presentata per iscritto e attraverso un avvocato", dichiara un collaboratore del sig. Barri, il responsabile dei cittadini sauditi.
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UN GIORNALISTA TURCO DI 76 ANNI, ACCUSATO DI STUPRO SU MINORENNE, DIFENDE IL MATRIMONIO DELLE RAGAZZINE
Huseyin Uzmez giornalista-cronista del giornale antisemita turco "Vakit", è accusato di stupro su una ragazzina di 14 anni. Lui nega avere avuto rapporti sessuali con un' adolescente di 14 anni, ma difende in compenso, il diritto degli uomini di sposare ragazze della stessa età. Quest'uomo che afferma di non poter uscire di casa sua senza diventare immediatamente l'oggetto di proposte sessuali da parte di giovani donne turche, ha ricevuto appoggio, comprensione ed incoraggiamento da parte del suo giornale e dei suoi colleghi. Secondo lui, il problema è che i Turchi hanno impulsi sessuali eccezionalmente forti e praticamente incontrollabili. È ciò che aveva dichiarato dopo il suo arresto
per avere stuprato la quattordicenne.
Uzmez si dichiara non colpevole delle accuse di sevizie sessuali su minore, formulate contro lui. Dalla sua liberazione sotto cauzione il 28 ottobre, Uzmez ha pubblicamente difeso la legge islamica che permette agli uomini di sposarsi con una donna sotto l'età legale che è di 16 anni nel paese. "Una ragazza che raggiunge l'età della pubertà, cioè con le mestruazioni, è nell'età buona, secondo le nostre convinzioni" ha dichiarato alla televisione nazionale il giorno in cui è uscito di prigione. “E se è nell' età buona, può sposarsi".
Uzmez deve presentarsi dinanzi alla corte il 16 dicembre. Il rapporto medico che aveva permesso la sua incarcerazione è stato dichiarato invalido. Indipendentemente dall'inizio del processo a suo carico, la questione ha determinato la separazione tra i turchi che sono a favore della legge islamica e coloro che sostengono il sistema laico realizzato da Mustafa Kemal Ataturk negli anni 1920. L'autorità religiosa dello Stato, a cui sono sottoposti gli imam delle 80000 moschee in Turchia, si oppone al matrimonio dei bambini, anche se la pratica rimane diffusa. il 39% delle donne sposate nella provincia meridionale di Sanliurfa aveva 16 anni o meno il giorno del loro matrimonio, secondo la fondazione Social-Démocrate basata a Istambul, che è in campagna contro questa pratica.
(Fonte: "Scettico")
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sabato 29 novembre 2008
COMPAGNE DI VELO
A Baghdad, le ragazze sciite e sunnite studiano di nuovo insieme. Iodonna è entrata in classe a vedere chi sono e come sfidano la paura. Di uscire da scuola e morire in un attentato.
Compito in classe alla scuola femminile Um Al Mumineem di Baghdad. Per la prima volta dallo scoppio della guerra civile, quest’anno la composizione è mista: tre quarti delle ragazze sono sunnite, un quarto sciite. Le ragazze con il velo bianco o colorato sono sunnite, quelle con il velo nero sciite.
Interrogazione in classe. Ogni giorno le lezioni si svolgono in due turni distinti, dalle 8 del mattino alle 5 di pomeriggio
L’ingresso della scuola Um Al Mumineem con i muri di protezione antiterrorismo e due guardiani sunniti della milizia "Consigli del Risveglio".
Prima della guerra le ragazze non velate erano il 50 per cento, oggi non superano il 4 per cento.
La scuola si trova nel quartiere di Dora, che fino al 2006 è stata una delle roccaforti di Al Qaeda a Bagdad. Oggi si continuano a temere attentati, ma la situazione è molto più tranquilla.
Al centro della foto (con il velo marrone) Jinan Abdul Jabbar, preside della scuola Um Al Mumineem. Prima di lei la scuola era diretta da Wafa Ghazi, preside sciita uccisa da terroristi sunniti il 10 ottobre 2006.
Lezione di arabo alla scuola Um Al Mumineem. Prima dei bombardamenti del 2003 l’Istituto ospitava oltre 900 studentesse, nel 2006 erano 290, oggi sono 420. Nell’ultimo anno la situazione della sicurezza di Bagdad è decisamente migliorata. Per questo alla scuola Um Al Mumineem sono presenti anche figlie di profughi rientrati dal nord, se non addirittura dalla Siria o dalla Giordania.
Questa scuola è sia primaria sia secondaria. Come in molti istituti iracheni, anche qui le infrastrutture sono estremamente precarie: l’elettricità, per esempio, funziona a singhiozzo per tre o quattro ore al giorno.
Altri dati sulla situazione delle scuole e degli studenti in Iraq:
- Secondo un rapporto dell’Unicef, in tutto l’Iraq sono state restaurate in modo effettivo solo mille scuole su 13.500.
- In tutto l’Iraq i giovani stanno tornando in masssa a frequentare le lezioni: nell’anno scolastico 2008-2009 risultano iscritti oltre sette milioni di studenti.
SCIENZA ADDIO, VINCE LA RELIGIONE
Ahllam Rashid, 44 anni, 44 anni, docente di storia alla scuola femminile di Dora, crede fermamente in un antico detto arabo: "In Egitto scrivono libri, in Libano li pubblicano, ma è in Iraq che vengono letti". E proprio per questo denuncia con forza "lo stato di decadenza e ignoranza in cui è scivolata la scuola irachena".
Causa terrorismo, povertà e paura, "il pensare scientifico è stato sostituito da superstizione e fondamentalismo religioso", afferma. "Ormai nelle famiglie conta più conoscere i riti del Ramadan che non sapere leggere un libro", insiste. E se la prende con "i politici che, asserragliati dietro le mura sicure della Zona Verde, protetti dagli americani, pensano più ai viaggi all'estero e ai loro salari, che non allo stato delle nostre scuole".
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UOMO ACCECA UNA DONNA CON L'ACIDO, CONDANNATO A SUBIRE LA STESSA PENA
IRAN, 28 NOV - È la legge del taglione, prevista dalla sharia e applicata in Iran, in base alla quale un tribunale ha condannato un uomo di 27 anni ad essere accecato: con l’acido. Così come lui aveva accecato una donna che diceva di amare. Secondo quanto riferiscono oggi i giornali iraniani, fra cui il «Kargozaran», il 27enne Majid ha confessato di aver accecato nel 2004 Ameneh Bahrami, per dissuadere chiunque altro dallo sposarla. Ameneh ha chiesto al tribunale di condannare Majid all’accecamento per impedire che simili atti siano compiuti su altre donne. Il tribunale ha aderito, ma l’uomo può comunque presentare appello.
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VIOLENZA SULLE DONNE, AFGHANISTAN: SITUAZIONE PEGGIORATA
ANSA) - ROMA, 25 NOV - Dopo gli ''anni di buio'' del regime talebano, dal 2001 la condizione delle donne in Afghanistan era migliorata, soprattutto per il diritto all'educazione, ma e' nuovamente ''peggiorata dal punto di vista della sicurezza nelle strade, nelle scuole, negli uffici pubblici, nelle universita''. Lo ha evidenziato Nasima Rahmani, responsabile per i diritti delle donne nel Paese per l'ong Action Aid, ad un incontro promosso da Acmid-Donna al Centro culturale Averroe'. Nata e cresciuta nella provincia di Kabul, la trentacinquenne Nasima ha vissuto la quasi totalita' della sua esistenza in Afghanistan, lavorando anche come consulente legale per le vittime di violenza. ''La violenza e' ancora estremamente radicata in Afghanistan - ha rilevato - e colpisce in modo particolare i minori, spesso utilizzati come merce di scambio tra le famiglie''. ''Anch'io potrei essere uccisa in qualunque momento - ha aggiunto - Stiamo promuovendo grazie ad Action Aid circoli in tutto l'Afghanistan dove le donne possano incontrarsi e dialogare al sicuro e accedere all'alfabetizzazione''. L'educazione infatti, visto che ''solo il 15-18% delle donne e' alfabetizzato'', e' una delle necessita' prioritarie per le donne afgane, come l'accesso alle strutture sanitarie.
( Fonte: "Arabyya")
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venerdì 28 novembre 2008
"IL GIARDINO DEI LIMONI"
Regia: Eran Riklis
Sceneggiatura: Eran Riklis, Suha Arraf
Attori: Hiam Abbass (Nella foto. Tra gli altri film "La sposa siriana", "Paradise Now" e "Munich"), Doron Tavory, Ali Suliman, Rona Lipaz-Michael, Tarik Copty, Amos Lavie, Amnon Wolf, Smadar Yaaron, Ayelet Robinson, Danny Leshman, Liron Baranes, Loai Nofi, Hili Yalon
Fotografia: Rainer Klausmann
Montaggio: Tova Ascher
Musiche: Habib Shehadeh Hanna
Produzione: Eran Riklis Productions, Heimatfilm, Mact Productions, Riva Filmproduktion
Distribuzione: Terodora Film
Paese: Germania, Francia, Israele 2008
Uscita Cinema: 12/12/2008
Genere: Drammatico
Durata: 106 Min
Formato: Colore 35 MM (1:1.85)
Sito Italiano
Trama del film:
Salma Zidane vive in Cisgiordania, ha 45 anni ed è rimasta sola da quando suo marito è morto e i suoi figli se ne sono andati. Quando il Ministro della difesa israeliano si trasferisce in una casa vicina a quella di Salma, la donna ingaggia una battaglia legale con gli avvocati del Ministro che, per motivi di sicurezza, vogliono abbattere i secolari alberi di limoni che sono nel suo giardino. Ma Salma non lotterà da sola. Infatti, oltre al supporto del suo avvocato - un trentenne divorziato con cui nasce un profondo sentimento amoroso - Salma troverà inaspettatamente anche quello della moglie del Ministro che, stanca della sua vita solitaria per gli impegni del marito, prende a cuore il caso della sua vicina di casa palestinese.
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CON IL BURQA IN TRIBUNALE. PER IL GIP SI PUO' FARE
E a proposito di velo... .
In Inghilterra hanno già i tribunali shariatici, noi in Italia invece abbiamo giudici nostrani che si piegano al “codice” della sharia.Altrimenti non si spiega com’è possibile che ignorino le nostre leggi, per assolvere chi obbedisce alla legge di Allah.
Monia Mzoughi 37 anni, tunisina, moglie dell’imam della moschea di Cremona, balzato all’onore delle cronache per essere un componente della cellula islamica che progettava di sbriciolare il Duomo e far saltare la metropolitana di Milano, si è recata ad assistere al processo del marito, completamente coperta dal niqab. La polizia l’aveva denunciata. Ieri, in quello stesso Tribunale è stata assolta perchè il fatto non sussiste (...). Il pm Cinzia Piccioni aveva chiesto una pena di 15 giorni di carcere e un’ammenda di 800 euro sottolineando che quel 21 settembre 2005 non era un mattino come un altro e che c’era allarme intorno al Palagiustizia, "Le norme in materia di ordine pubblico sono inderogabili" ha detto il pubblico ministero durante la requisitoria- non c’era alcun giustificato motivo religioso o culturale perché l’imputata vestisse il burqa”. (...)
Intanto il bravo maritino condannato a 7 anni per terrorismo internazionale, è libero e si trova al centro di permanenza di via Corelli, a Milano. (tratto da "Orpheus")
La donna si era tolta il niqab "in occasione" del processo: era chiaramente costretta a portarlo.
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ITALIA: PAESE UE CON MAGGIOR NUMERO DI INFIBULAZIONI
A CHE PUNTO E' LA CONCRETA APPLICAZIONE DELLA MOUDAWANA NEL PAESE MUSULMANO PIU' SENSIBILE AI DIRITTI DELLE DONNE
LA GIORNATA DELLA DONNA E' UN ANACRONISMO
Cinque anni dopo il discorso del re, del 10 ottobre 2008, che presentava come effettiva la riforma del diritto di famiglia, la Moudwana, ecco l’intevista a due avvocatesse impegnate nella causa femminista marocchina per fare il punto sulla situazione.
Fadéla Sebti (nella foto, ndr) avvocato accreditata nel Foro di Casablanca, è una teorica del diritto delle donne marocchine. A lei si deve il primo approccio giuridico dell'evoluzione di questi diritti attraverso la sua guida ai diritti e agli obblighi, “Vivere musulmana in Marocco” (L.G.D.J. Parigi, 1986). Militante, ha anche permesso l'introduzione del contratto di matrimonio. Anche autrice del romanzo “io, Mirella, quando ero Yasmina” (il fennec, 1995).
Zahia Amoumou avvocato accreditata nel Foro di Casablanca, consulente per la Lega Democratica per i diritti donne (LDDF) nonch’ per la Fondazione nazionale per la solidarietà con le donne in emergenza (Insaf), e membro dell'Associazione democratica delle donne del Marocco (ADFM). Mediatrice per i litigi familiari, quest’avvocatessa di prima linea lavora oggi sulle problematiche delle donne marocchine immigrate all'estero.
Dopo quasi cinque anni dall’applicazione, quali sono i principali successi e gli inadempimenti della nuova Moudawana?
Z.A: Il matrimonio dei minorenni resta un grande interrogativo. Nei villaggi, i giudici concedono ancora troppo facilmente l'autorizzazione al matrimonio a ragazze di 13 o 14 anni. Si sarebbero voluto proibire totalmente il matrimonio dei minorenni, o comunque penalizzare i genitori che vi ricorrevano. E questo perché, molto spesso, il giudice vede messo dinanzi al fatto compiuto. Quando un padre fa un ricatto, presentandosi con la figlia già sposata con la “fatiha” o addirittura già incinta, il giudice non può che accettare la richiesta di matrimonio nel superiore interesse del bambino. Passano in secondo piano i diritti della ragazza, in particolare quello all’istruzione. Questo margine di manovra accollato al magistrato è troppo grande.
F.S: Appena quattro anni fa, una donna non poteva divorziare senza il consenso del coniuge. E, quando avveniva, era dopo lunghi anni di cause. Ma poteva essere ripudiata nel segreto di un retrobottega. Ormai, l'uguaglianza è un fatto di diritto. Solo la giustizia può risolvere i divorzi, e la solennità dell'aspetto giudiziario è un approccio che valorizza lo status di cittadino. La rapidità delle procedure (sei mesi al massimo) è certamente un punto a favore del nuovo codice della famiglia.
Il numero di divorzi è del resto aumentato in questi ultimi anni. Come interpretare quest'evoluzione?
F.S: L'entrata in vigore del nuovo codice della famiglia ha portato alla luce il disagio latente nell'ambito della coppia. Viveva una situazione paradossale: tradizionale quanto alla suddivisione dei compiti e delle responsabilità, moderna quanto al concorso materiale di ciascuno dei coniugi ai carichi familiari. Questa situazione esplosiva ha generato una nuova generazione di donne marocchine, poco propense a vivere soltanto un aspetto della loro vita. Capaci di coniugare l’uguaglianza per la loro vita professionale e la loro vita maritale. Sicure di esse, del loro valore intrinseco e del loro potere economico, sono meno disposte che le loro antenate a sopportare gli inconvenienti del matrimonio.
In quanto avvocatesse, osservate un'evoluzione dei comportamenti delle coppie in tematiche contemplate nel codice della famiglia?
Z.A: Genitori o fratelli sono favorevoli, almeno quando si tratta della figlia, della sorella o della madre. Ma quando parliamo della moglie, allora è diverso. Si osserva un vero sdoppiamento della personalità. Lo scorso febbraio, a Casablanca, un giudice ha considerato il lavoro domestico come un contributo della donna. Il magistrato gli ha dunque assegnato un'indennità: mentre il marito lavorava fuori, lei ha vegliato sui beni della casa e sui i bambini. Ha contribuito alla loro istruzione. Il dispositivo parla “di sforzo„ effettuato dalla donna, sforzo che ha permesso all'uomo di lavorare ed aumentare il suo patrimonio. È un lavoro condiviso. L'articolo è vago, ma il giudice saputo interpretare positivamente la situazione lavorando attorno alla parola “sforzo”. Questo giudice, che è anziano, ha dato prova di una grande audacia.
Quali sanzioni sono previste verso i giudici che non applicano correttamente la Moudawana?
F.S: Nessuna. Spetta al querelante respinto fare appello e, eventualmente, rifarsi in cassazione. (Fonte: "Kritikon")
Quattro anni dopo la sua promulgazione, il nuovo codice della famiglia è oggi una realtà nelle campagne?
F.S: Il problema non deve essere posto in questi termini. La questione non è di sapere se la riforma del diritto della famiglia ha ricevuto un eco nelle campagne. La riforma è lì. E se in campagna essa non ha ancora preso il volo non è un problema. Resta il fatto che, quando le ragazze ed i ragazzi istruito avranno notizia di questi diritti, li faranno propri. Li integreranno, generazione dopo generazione, nei loro comportamenti sociali.
Secondo voi, il lavoro di sensibilizzazione a questo nuovo testo ha stato sufficiente?
F.S: No. Ma non si può sempre accusare questa o quella istituzione. Il principio fondamentale è la legge non ammette ignoranza. Mi farete certamente notare l’alto tasso di analfabetismo. Ma questa è la vita. Occorre tempo.
Z.A: Lo sforzo di sensibilizzazione non è stato sufficiente. Coloro che non avevano stipulato un atto di matrimonio disponevano di cinque anni per regolarizzare la loro situazione, fino a febbraio 2009. Ma molti di essi non sanno nulla dell’incombenza. Lo Stato deve informarli, fare DVD anche in lingue dialettali, ad esempio, come fanno talune associazioni. Detto ciò, è bene ricordare che molte donne di livello socioeconomico medio non conoscono i loro diritti, mentre invece donne dei sobborghi più degradati, sono in tribunale, da attendere che sia aperto il loro fascicolo. Ognuna racconta la propria storia: una cugina o una vicina che hanno divorziato e sono riuscite a difendersi. L’ottenimento di diritti prima inesistenti. Si acculturano da sole. La donna non è più chiusa in uno spazio delimitato. Sa che esiste una legge che la difende, che penalizza ad esempio la violenza coniugale (articolo 404 del codice penale). Prima, si diceva che “non vale la pena di fare causa, tanto non cambierà nulla”.
Dopo il grande combattimento della Moudawana, dove ne è aujourd' oggi il movimento femminista?
Z.A: Ora, si chiede un vero tribunale della famiglia, come ne esiste per il commercio e l'amministrazione. Il suddetto tribunale della famiglia al Habous ne non è uno, ma appena una sezione del tribunale civile. Come nuovo combattimento, resta tutto uno lavoro sul diritto penale, per lottare contro tutto ciò che è discriminando tra i sessi nella legge.
F.S: Il movimento femminista si è un po'soffiato sul piano delle rivendicazioni. È normale. Dopo venti anni di combattimento, che sono arrivati all'attuale codice della famiglia, un'altra generazione si è realizzata. Non ha le stesse rivendicazioni, né le stesse preoccupazioni.
Il ministero della giustizia ha redatto, per la prima volta dall’entrata in vigore del codice della famiglia, un bilancio per l’anno 2007. Reso pubblico nel febbraio scorso, è stato criticato da molte associazioni femministe, che gli rimproverano di aver omesso una valutazione rigorosa dell’effettiva applicazione del nuovo testo.
• Quasi 300.000 i matrimoni celebrati con la nuova legge, con un aumento del 9% rispetto al 2006 (mentre nel 2004, primo anno dell'applicazione, si era rilevato un ribasso del 10%).
• Il numero di divorzi è aumentato del 14% tra il 2006 ed il 2007, le donne due volte più numerose degli uomini nel richiederli (più di 26.000 contro meno di 14.000).
• La poligamia arretra: coinvolge soltanto lo 0,3% dei matrimoni contratti, e fa seguito ad un precedente contrazione del 3,6% registrata dal 2005 al 2006.
• Il matrimonio dei minorenni rappresenta ancora un'unione su dieci. Nel 2007, l’85% delle domande sono state accettate. Secondo l'indagine della lega democratica dei diritti della donna (LDDF) nel 2006, la regione di Marrakech ha il record del paese: 1200 accettate su 2000 depositate.
• La prova DNA di paternità, per provare la figliolanza al di fuori del matrimonio, si applica molto difficilmente: il test è costoso (3000 DH), a carico della donna e resta sottoposta alla discrezione del padre supposto.
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ACCOLADE, LA PRIMA ROCK BAND "IN ROSA" DEL REGNO SAUDITA
Per sfuggire alle rigide norme islamiche le ragazze provano in luoghi nascosti e distribuiscono la musica sul web. Per la leader del gruppo “suonare è una sfida”, ma il sogno nel cassetto è tenere un vero concerto aperto al pubblico a Dubai. “Per mostrare a tutti quello che siamo capaci di fare”.
Una sfida aperta che non intende sfociare nella provocazione aperta, per non incappare nelle ire della polizia saudita; da qui le prove in luoghi nascosti e i timori di repressione da parte dei fondamentalisti. A questi si aggiunge l’auto-censura sui testi e sui titoli delle canzoni: Dina rivela di aver voluto scrivere una canzone ispirata dal dipinto “L’ultima cena” di Leonardo da Vinci. Una scelta che è stata poi lasciata cadere perché giudicata “troppo controversa”, visto che non sono ammessi simboli religiosi cristiani e i casi di conversione dall’islam sono punibili con la morte in base alla legge sull’apostasia.
LA GIORNATA MONDIALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE VISTA DAGLI ARABI
Roma, 25 nov. (Apcom) - In tutto il mondo si celebra oggi la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne: anche nel mondo arabo si moltiplicano le iniziative contro i soprusi e le aggressioni a milioni di donne, in una società come quella islamica, restia a condannare gli atti di violenza fisica del coniuge maschio contro la moglie. (…)
A ricordare le immane difficoltà delle donne arabe a rivendicare un diritto fondamentale, ci pensa la tv saudita al Arabiya che riporta gli strali dei fondamentalisti islamici: su tutti quello del presidente dell'Associazione degli Ulema algerini, lo Sheikh Abdul Rahman Sheiban, che "irritato" per le iniziative che si moltiplicano nel suo Paese afferma alla tv araba: "i promotori non sono mica più misericordiosi del padreterno che nel Corano ha ordinato di picchiare la donna dissociata al fine di educarla".
Ma Sheiban, che è anche un ex ministro degli Affari Religiosi nel suo Paese, oltre alle argomentazioni di fede, è preoccupato dall'immagine negativa che emerge della sua religione: "è politicamente scorretto perché deforma l'immagine dell'Islam che viene tacciato di violenza e aggressività, ma non c'è alcun dubbio che dal un punto di vista della Shariya islamica la questione è chiara: picchiare la donna e' una sanzione simbolica, come per farle capire che se un uomo arriva a usare le mano è perchè lei si sta avvicinando agli animali". E se non basta a chi si ostina a difendere la donna ricorda: "ma alle donne piace essere picchiate". (Fonte: Unpoliticallycorrect")
Ed ecco un esempio di "educazione" che alcuni vogliono dare alle bambine egiziane: permalink
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LONDRA VARA UNA LEGGE PER COMBATTERE I MATRIMONI FORZATI
giovedì 27 novembre 2008
IRAN, DONNA IMPICCATA PER OMICIDIO: UCCISE IL MARITO CHE STUPRAVA LA FIGLIA
L'ORGANIZZAZIONE HRW: CON Ahmadinejad, quadruplicato IL NUMERO DELLE ESECUZIONI.
La donna ha fatto a pezzi il «coniuge temporaneo».
Dieci le condanne a morte eseguite all'alba nel carcere di Ewin.
TEHERAN - Non si ferma il boia in Iran. All'alba nel carcere di Ewin, a Teheran, sono state impiccate dieci persone tutte accusate di omicidio. Ne ha dato notizia l'agenzia Fars.
«UOMO TAGLIATO A PICCOLI PEZZI» - «Dieci persone sono state impiccate per omicidio questa mattina nella prigione di Evin», ha riferito il magistrato incaricato dell'applicazione delle pene. Il giudice ha aggiunto che fra le persone giustiziate vi era una donna condannata a morte per «aver ucciso suo marito e aver tagliato il corpo in piccoli pezzi» (sempre che sia vero che l'abbia fatto a pezzi: l'articolo sul "Corriere" cartaceo era in dubbio, ndr).
Secondo alcune associazioni di difesa dei diritti umani la donna, Fatemeh Pajouh - che aveva contratto con l'uomo un "matrimonio provvisorio" - aveva ucciso il marito poichè l'uomo aveva violentato la figlia di 14 anni. Il "matrimonio provvisorio", autorizzato dall'islam sciita, è un contratto limitato nel tempo tra un uomo e una donna, le cui condizioni sono fissate dalle due parti. (Fonte: "Corsera")
La figlia, che oggi è adulta, ha cercato invano di salvare la madre.
Guardate anche questo video... : http://www.memritv.org/clip/en/1925.htm.
ESECUZIONI QUADRUPLICATE CON AHMADINEJAD - Dopo il trionfo della Rivoluzione Iraniana, nel 1979, il «regime dei mullah» ha definito oltre cento reati punibili con la pena di morte, tra cui l'omicidio, il traffico di droga, lo spionaggio, ma anche l'omosessualità, l'adulterio e la blasfemia contro l'Islam. Di recente il Parlamento iraniano ha approvato una legge che aggiunge alla lista anche il delitto di «alterare l'opinione pubblica», una misura che è stata duramente criticata dai gruppi a difesa dei diritti umani a causa della sua ambiguità. Lo scorso mese di settembre, l'organizzazione Human Rights Watch (HRW) ha detto che la tutela dei diritti umani in Iran è peggiorata con il governo di Mahmoud Ahmadinejad, al potere dal 2005. Secondo HRW, durante il mandato di Ahmadinejad, il numero delle condanne a morte «è quadruplicato». Con le ultime esecuzioni, il numero delle sentenze capitali eseguite quest'anno è almeno a quota 216 (fonte AFP). Secondo Amnesty International, nel 2007 l'Iran ha avuto il macabro primato di aver eseguito il maggior numero di esecuzioni capitali dopo la Cina (almeno 317).
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mercoledì 26 novembre 2008
ROMEO E GIULIETTA TRA EBREI E MUSULMANI
"Abbiamo pensato di usare una piece che ha valori e principi universali e che tratta di matrimoni combinati, guerre tra famiglie, amore a prima vista, vita di adolescenti per esprimerci in una maniera diversa da quella in cui i media occidentali ci rappresentano" ha spiegato Tarek Knorn, cosceneggiatore e attore nel film. In questa versione modernizzata, che segue fedelmente il testo shakespeariano, i palestinesi Romeo (Abdul-Majeed Tahboub) e Giulietta (Deema Totah), appartenenti a famiglie rivali, si incontrano a una festa che celebra il pellegrinaggio alla Mecca. L'elemento del conflitto israeliano-palestinese, trattato solo marginalmente nel film dei ragazzi, è centrale invece in David and Fatima dell'egiziano-canadese Alain Zaloum, che comprende nel cast in ruoli di contorno, Martin Landau (nella parte di un rabbino anticonvenzionale) e Tony Curtis. La pellicola (che ha debuttato a Los Angeles a settembre), ambientata a Gerusalemme, ma girata quasi interamente negli Stati Uniti (più qualche scena in Israele) con interpreti statunitensi, ha vinto il Mondavi Award per la pace e la comprensione culturale. La storia è quella di David (Cameron Van Hoy) israeliano idealista impegnato nel servizio di leva, che nella città santa incontra e si innamora di una ragazza palestinese, Fatima (Danielle Pollack). Come prevedibile, la loro relazione incontra l'ostilità feroce delle rispettive famiglie. "Sono nato in Medioriente e ho una moglie israeliana, quindi penso di capire le ragioni e le tensioni tra le due parti - ha detto Zaloum -. Il fatto di essere di religione cristiana forse mi ha dato più obiettività nel raccontare questa storia" (vedi official web site).
TRINIDAD E TOBAGO: UNA DONNA IN BURQA PUO' SEDERE COME GIURATO?
SICUREZZA AL FEMMINILE
La polizia palestinese arruola donne per migliorare la sua immagine.
Da qualche tempo per le strade della città di Hebron, in Cisgiordania, la polizia palestinese arruola anche delle donne, che vengono impiegate per perquisire i sospetti di sesso femminile, e per migliorare l'immagine del corpo. Da ormai due anni, da quando Hamas ha preso il controllo della Striscia di Gaza, il governo di Fatah che controlla la Cisgiordania è impegnato in quotidiane operazioni di polizia, per arrestare presunti terroristi, ma anche esponenti di Hamas, tra cui diversi deputati. Le perquisizioni casa per casa fino a due anni fa erano una prerogativa quasi esclusiva dell'esercito israeliano, ma oggi l'onere è stato in gran parte trasferito alla polizia palestinese, controllata dal presidente Abu Mazen. I nuovi corpi della polizia palestinese, che sono equipaggiati con armi di fabricazione statunitense, sono entrati in servizio in diverse città della Cisgiordania, con lo scopo di catturare i nemici di Israele e nel contempo consolidare il potere di al Fatah.
Le perquisizioni casa per casa fino a due anni fa erano una prerogativa quasi esclusiva dell'esercito israeliano, ma oggi l'onere è stato in gran parte trasferito alla polizia palestinese, controllata dal presidente Abu Mazen. I nuovi corpi della polizia palestinese, che sono equipaggiati con armi di fabricazione statunitense, sono entrati in servizio in diverse città della Cisgiordania, con lo scopo di catturare i nemici di Israele e nel contempo consolidare il potere di al Fatah.
La decisione di includere esponenti femminili nella polizia, e in particolare nei corpi incaricati delle perquisizioni domestiche, viene presentata come un'operazione per conquistare i cuori e le menti dei palestinesi. Le perquisizioni avvengono spesso di notte o nelle prime ore del giorno, normalmente accade che soldati irrompano in una casa e perquisiscano gli uomini, mentre le donne vengono rispettosamente messe da parte.
Ora a Hebron, invece, accade che le agenti donne prendono parte alle operazioni e si occupano delle femmine, prendendole da parte e perquisendole in modo da non offendere il loro pudore.
Secondo alcuni agenti di polizia, citati da Christian Science Monitor, in passato accadeva che le donne, contando sulla composizione maschile delle squadre di agenti, nascondessero armi sotto le vesti con la certezza di non essere perquisite.
Basterà questo tocco di rosa a far dimenticare ai palestinesi che stanno subendo dalla propia polizia lo stesso trattamento riservato loro dai soldati israeliani (sic)? Basterà arrestare i sospetti con “delicatezza” per far dimenticare le torture che i detenuti palestinesi subiscono, oltre che nelle carceri israeliane (nelle carceri israeliane? Ma dove? Ma quando?), anche in quelle dell'Anp? (Fonte: "Peace Reporter", 21/11)
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martedì 25 novembre 2008
ISLAMABAD, AL PARLAMENTO UNA LEGGE PER DARE "UGUALI" DIRITTI ALLE DONNE
Oggi nel diritto di famiglia sono molto maggiori i diritti del marito. Il Consiglio per l’ideologia islamica propone innovazioni per consentire alla moglie di chiedere il divorzio e preservare le sue proprietà. Ma ambienti estremisti lo accusano di “creare confusione”.
Anche Hanif Jalandhry, segretario generale dell’Alleanza delle organizzazioni delle scuole islamiche, accusa il Cii di “avere superato le sue competenze costituzionali, con la proposta di riforme non-islamiche nella legge”. Maulana Sami-ul-Haq, presidente del Jamiat Ulema-i-Islam-Sami, dice che il Consiglio “semina confusione tra la gente, con interpretazioni sbagliate della sharia”.
PAKISTAN: UNA BAMBINA DI 7 ANNI SPOSATA AD UN ADOLESCENTE DI 15 ANNI PER ORDINE DELLA JIRGA


lunedì 24 novembre 2008
TARIQ RAMADAN SMASCHERATO DALLA TURCO TEDESCA NECLA KELEK
Nel contesto italiano, nei giorni scorsi si elevata solitaria la voce di Magdi Cristiano Allam nella critica alle iniziative di Tariq Ramadan e di chi con lui si dice promotore di un “islam europeo”. Ma per fortuna Allam in Europa non è solo.
Della turco-tedesca Necla Kelek, il cui impegno in difesa delle donne musulmane è stato riconosciuto di recente con l’assegnazione del Premio “Donne-Europa-Germania”, in Italia si sa poco o nulla. Quando nel 2005 uscì in Germania il suo libro La sposa straniera, la denuncia di donne musulmane costrette a matrimoni combinati e “importate” come spose provocò violente proteste da parte di musulmani, di turchi e di loro amici politici. La Kelek venne accusata di ingigantire singoli casi. Donne d’origine turca impegnate in politica dichiararono pubblicamente d’essersi sposate per amore, con l’intento evidente di dimostrare che i matrimoni coatti non avevano nulla a che fare con la loro cultura e con l’islam.
E’ un fatto però che in Germania ogni anno migliaia di donne e uomini musulmani contraggano matrimonio dietro costrizione. “Le case che ospitano donne maltrattate e i consultori sono pieni”, ha scritto di recente la Kelek sulla “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, perché le ragazze temono di essere portate durante le vacanze nei paesi d’origine dei loro genitori per essere lì maritate.” Ed è utile ricordare anche che la comunità islamica tedesca ha a che fare non solo con i matrimoni coatti, ma anche con i cosiddetti omicidi d’onore, con la violenza all’interno della coppia.
Pur giudicando positiva l’ammissione implicita di “un problema proprio della società islamica”, la sociologa l’ha stigmatizzata come “un tentativo di catturare quelle giovani musulmane finalmente cresciute nella loro autocoscienza e di consigliarle secondo un punto di vista musulmano, evitando così che possano recarsi nei consultori statali, oppure possano cercare rifugio nelle case per donne maltrattate e dunque che possano allontanarsi da Allah” (così dall “FAZ” del 29 luglio scorso).
LA FEDE DI AMAL
IL MINISTRO DEGLI AFFARI RELIGIOSI EGIZIANO: "IL NIQAB NON E' UN OBBLIGO"
Gli islamisti, generalmente affiliati ai fratelli musulmani e generosamente finanziati dalla lega islamica mondiale che ha base operativa alla Mecca, sanno oramai ben utilizzare strumenti psicologici, giuridici e mediatici che fanno riferimento al concetto di tolleranza.Quanto basta per introdurre nella altre culture, non solo occidentali, ma anche del Maghreb musulmano, compromessi che, secondo i termini di Mohamed Pascal Hilout, sono immorali. Le nostre elite sono riuscite a deviare il senso “dei diritti umani”, diventati oramai “un diritto alla disumanizzazione” nel nome della tradizione e dell’identità.Ed i moventi politici o economici, che spesso accompagnano queste sfide, non hanno mai mancato di generare gli utili idioti tanto ricercati dai “fratelli musulmani” e dagli attivisti “saudito-salafiti”.
domenica 23 novembre 2008
LA STORIA DI NASREEN: COSTRETTA A FUGGIRE, MA DECISA A NON TACERE
La scrittrice Taslima Nasreen, molto attiva sul fronte della difesa dei diritti delle donne, è stata costretta ancora una volta a lasciare l'India per le minacce dei fondamentalisti islamici. Una vita in costante pericolo, come quella di tanti altri personaggi, musulmani e non, perseguitati nel mondo islamico per la loro lotta contro la sharia.