Un gruppo di taliban ha fatto fuoco davanti a casa sua. Ferito gravemente un figlio. Dirigeva il Dipartimento per i reati sessuali nella terra del fondamentalismo religioso.
lunedì 29 settembre 2008
KANDAHAR, UCCISA LA POLIZIOTTA DELLE DONNE, SIMBOLO DEL RISCATTO FEMMINILE IN AFGHANISTAN
domenica 28 settembre 2008
ISLAM/FIGLIA PREDICATORE FA LA BALLERINA NEI BAR DI LONDRA (SUN)
Il quotidiano di Londra, riporta la reazione incredule del padre che sembra non avere notizie della figlia da diversi anni: "Se fosse vero quello che mi dite, sarei profondamente scioccato". Tuttavia, l'uomo noto per le sue posizioni contro la "perversione" degli occidentali si mette da parte e afferma "Mia figlia è sposata ed è suo marito il responsabile di Lei" e aggiunge: "non sono io a doverla perdonare, ma è il padreterno che perdona tutto, ma non che abbia cambiato fede".
© APCOM
Bakri, non sa quindi che la bionda Yasmin, è invece divorziata dal marito turco con cui viveva in Turchia. Un suo amico racconta al Sun: "se suo padre vedesse quello che fa Yasmin, gli verrebbe subito un infarto". Fth
ISLAM/FATWA SAUDITA: DONNE GUARDINO DA UN SOLO OCCHIO
Quindi è opportuno che le donne indossino un velo che non permetta d'intravedere la lascivia del trucco. Cioè, "un niqab con una sola fessura, possibilmente piccola, giusto per non inciampare quando si cammina". La controversa "fatwa" è stata pronunciata in una trasmissione dell'emittente satellitare religiosa, al Majd. L'imam ha invitato gli uomini a "fare pressione sulle proprie donne" perché adottino il niqab monocululare. E ha dato diverse motivazioni. Una delle quali di carattere economico. "La donna, per abbellire la zona intorno agli occhi, spende un sproposito", ha affermato il religioso, con un'argomentazione che fa pensare a esperienze vissute in prima persona.Ma l'argomento più forte è quello sessuale. Le donne, con quel filo di trucco che s'intravede tra le fessure del niqab, "inducono in tentazione i giovani, facendo loro salire il sangue al cervello". Non parliamo del "colmo" di quelle donne, anche sposate, che osano truccarsi sotto il velo. "A che pro lo fanno?" chiede lo sceicco, facendo intendere d'essere ben informato sugli scopi reconditi d'un comportamento così "provocatorio".Come si rimedia, allora? Facile, le donne guardino da un solo occhio e indossino niqab all'uopo realizzati. L'imam sostiene che bisognerebbe vietare "la vendita dei niqab non consoni alla Shariya islamica", i quali "hanno ben due fessure e, per giunta, sono spesso talmente grandi da fare intravedere le guance".Bisogna, continua il dotto, ritornare ai saggi discepoli del Profeta, che hanno imposto alle loro donne un velo casto "con una fessura piccola per un solo occhio". In fin dei conti cosa è peggio? "Inciampare su una pietra per la strada, oppure fare incendiare le voglie d'un giovane, guadagnandosi la dannazione eterna?" Fth/Mos
IRAN, TRA LE BAMBINE BARBIE BATTE LA SUA RIVALE ISLAMICA
''E' il segno del fallimento della politica del governo''. Sara non riesce a sfondare nei giochi e nei desidere delle piccole iraniane. A rivelarlo è il sito Tabnak. Stessa sorte anche per gli eroi che avrebberto dovuto scalzare i cartoni animati occidentali.
ARRIVA IMAN: LA MUSULMANA FORMATO MANGA
Rima è nata a Sidon, in Libano ed ha trascorso la sua infanzia in Arabia Saudita. All’età di 11 si trasferì con la famiglia a Toronto (Canada). Sposò all’età di 24 anni un giordano e si trasferì con lui in Giordania. Dopo la nascita dei figli si trasferirono a Dubai, dove Rima si occupa dei diritti delle donne nell’Islam e dei suoi libri. Le avventure di Iman sono distribuite in Giordania, Libano, Egitto, Palestina, Marocco, Siria ecc … L’Artwork è ispirato ai Manga giapponesi.
MAROCCO: NOZZE A 9 ANNI, CHIUSO SITO
(ANSA) - RABAT, 26 SETT - Le autorità marocchine hanno annunciato la chiusura del sito web del teologo Magraoui che autorizza il matrimonio delle bimbe di 9 anni. Lo ha reso noto l'agenzia di stampa Map. Contro la fatwa si è pronunciato il Consiglio superiore degli ulema del Marocco definendo Magraoui un 'agitatore e un mistificatore'. Il Consiglio, presieduto dal re, ha ricordato che 'l'età legale del matrimonio, 18 anni, è stata approvata dal Parlamento ed elaborata con la partecipazione degli ulema'. (Fonte: "Arabyya")
Recentemente re Mohammed VI ha inaugurato anche un centro antiviolenza sulle donne.
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sabato 27 settembre 2008
RWANDA: DONNE IN MAGGIORANZA NEL PARLAMENTO

OLANDA/ POLIGAMI NON AVRANNO LA CITTADINANZA
Roma, 26 set. (Apcom) - Su richiesta dei sindaci delle più grandi città olandesi (Amsterdam, Rotterdam, Utrechet, l'Aia) il governo del paese ha emanato un decreto legge che d'ora in avanti impedirà ai poligami di ottenere la cittadinanza olandese. Sino ad ora i funzionari del paesi bassi avevano normalmente regolarizzato centinaia di poligami con tutte le loro spose partendo dal principio che nei loro paesi d'origine la prativa era legale.
Il caso è partito nel mese scorso da un'inchiesta del quotidiano Ncr Handelsblad dove si dimostrava come il comune di Rotterdam riconoscesse 'de facto' la poligamia benchè questa sia proibita dalla legge olandese.
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venerdì 26 settembre 2008
AD AMSTERDAM ESISTONO 173 MATRIMONI POLIGAMICI DEBITAMENTE REGISTRATI IN COMUNE
Secondo le statistiche del comune di Amsterdam, l'Olanda riconosce la bigamia e la poligamia, con 173 residenti di Amsterdam registrati come bigami e due come trigami. La registrazione di situazioni bigami e poligami, nonostante la loro illegalità, con i municipi delle principali città, ha generato proteste in questi ultimi mesi. Ad Amsterdam la VVD (Volkspartij voor Vrijheid in Democratie, parte del popolo per la libertà e la democrazia) ha chiesto chiarificazioni ed ha ottenuto statistiche per la prima volta in Olanda. Secondo i regolamenti in vigore, la città di Amsterdam accorda la registrazione ai matrimoni poligami a condizione che siano legali nel paese d'origine. I residenti che passano l'esame d'integrazione non possono diventare cittadini olandesi finché hanno più di un coniuge. Sui 173 poligami, 31 hanno la nazionalità olandese oltre alla loro nazionalità d'origine. Avere molti coniugi non sembra essere un ostacolo al conseguimento della cittadinanza Olandese, se si tiene conto della risposta del comune di Amsterdam alle questioni del VVD. Attualmente, coloro che contraggono matrimoni multipli nel loro paese d'origine possono ottenere la nazionalità Olandese. Gli Olandesi, loro, sono vietati di matrimoni multipli, anche contratti all'estero. (Fonte: "Scettico" e foto da "Liberali per Israele")
NEL MALI LE "DONNE DEL KARITE' ", STORIA DI UNA BATTAGLIA (VINCENTE) AL FEMMINILE
«UN PICCOLO MIRACOLO» - Ad oggi nel Mali le donne raccolgono le noci a mano, ad una ad una; l’estrazione della farina e del burro avviene con sistemi rudimentali e faticosi. Il progetto punta a dar loro una formazione professionale, costruendo anche un magazzino centrale e 15 piattaforme di essiccazione, fornendo attrezzature per la lavorazione e conservazione del burro di karité: dai barili ai teli di plastica fino alla pesa e ai contenitori necessari per lo stoccaggio. Quella del karité è una storia di donne che fanno squadra, che lavorano con altre donne lottando per una migliore qualità della vita. «Il progetto è partito anche grazie alla determinazione delle donne che producono il karité - spiega Agata Romeo, responsabile Cesvi del progetto -. Le donne stesse mi hanno spiegato quale fosse la sfida: si tratta di migliorare la qualità del burro e di venderlo affinché anche le donne possano contribuire al sostentamento economico di tutta la famiglia. Donne che hanno un reddito: una specie di rivoluzione se si pensa al ruolo cui esse sono confinate nella cultura Bambara (l’etnia di maggioranza in questa parte del Mali). È una rivoluzione anche per gli uomini che consentono questa attività e che ultimamente la appoggiano esplicitamente. Quello che si sta producendo in questi villaggi è un piccolo miracolo».
MISOGINIA: SVOLTA STORICA SUL DIRITTO DI ASILO DELLE DONNE IN FUGA DALL'IRAN
Si chiamano Donya Elahi, 23 anni; Bahareh Kanaminij, 29 anni; Farah Ussefi, 23 anni; Farah Hashemi, 21 anni; Parisa Elahi, 34 anni; Mariam Karimi, 20anni; Nahal Pardhash, 23 anni. I loro nomi sono meno famosi di quello di Pegah Emambakhsh ma proprio insieme a Pegah saranno ricordati per l'evento storico che hanno scatenato, il riconoscimento del Diritto di Asilo per cause legate, tra le altre cose, alla persecuzione per motivi misogini.
Fuggite dall'Iran alcuni mesi fa e riparate in Gran Bretagna, hanno rischiato il rimpatrio forzato che nel loro caso avrebbe voluto dire una lunga carcerazione e per alcune di loro la condanna a morte in quanto accusate di reati contro la morale religiosa e contro il regime dei Mullah, in particolare Mariam Karimi e Parisa Elahi erano accusate di aver chiesto pari Diritti per le donne, un reato da pena capitale in quanto va contro la morale religiosa del regime iraniano.
Quando ci è stato segnalato il loro caso alcune ragazze iraniane erano già state deportate nel silenzio più assordante e di loro non ne sappiamo più niente. Appena saputo della possibilità che anche queste giovanissime ragazze, tra cui alcune leader della rivolta studentesca che da mesi si protrae in Iran, avrebbero potuto essere deportate ci siamo immediatamente attivati garantendo loro una adeguata assistenza legale e un rifugio sicuro, anche da eventuali ritorsioni iraniane. Abbiamo inviato un esposto all'Unione Europea contro la Gran Bretagna e contemporaneamente siamo riusciti a bloccarne l'espulsione.
A distanza di soli tre mesi alle ragazze è stato riconosciuto lo status di rifugiato ma, cosa più importante, viene per la prima volta menzionata tra le motivazioni per cui lo status di rifugiato è stato concesso, la parola misoginia. Viene infatti riconosciuto che la persecuzione misogina del regime dei Mullah è stata la causa, o una delle maggiori cause, per cui le ragazze nel loro Paese avrebbero rischiato seriamente la loro vita e per questo costrette alla fuga. (Fonte: "Secondo Protocollo")
L'evento è storico a livello europeo e a questo punto pone un problema di carattere prettamente giuridico in quanto in nessun Paese europeo, Italia compresa, esiste un reato specifico ricollegabile alla misoginia, fatto questo che denota una gravissima mancanza e al quale va posto al più presto un rimedio efficace.
Nei mesi scorsi avevamo avanzato una proposta di legge contro la misoginia inoltrandola a diversi parlamentari italiani, ma al momento la cosa non sembra aver attecchito o comunque non le è stata data quella importanza che invece meriterebbe. Dopo questo importantissimo precedente riteniamo invece che sia il caso di valutare attentamente l'introduzione di un efficace strumento legislativo contro la misoginia, più diffusa di quanto si possa pensare anche nel nostro Paese.
Nei prossimi giorni le ragazze iraniane saranno in Italia per continuare quella lotta pacifica, iniziata mesi fa, volta a garantire alle donne iraniane gli stessi Diritti di cui godono gli uomini, ma soprattutto contro il regime di Teheran, un regime che sopprime nel sangue qualsiasi richiesta di maggiore libertà e di maggiore fruizione dei Diritti Umani. Noi, come loro, siamo convinti che il regime dei Mullah si possa abbattere in maniera democratica e dal suo stesso interno, senza guerre o azioni violente, ma per fare questo è necessaria la collaborazione di tutti gli Stati democratici e dell'Unione Europea. Un primo passo è stato fatto, ora occorre proseguire su questa strada a partire dalle 54 ragazze iraniane attualmente in Grecia ospiti di associazioni umanitarie che stanno collaborando con la nostra organizzazione. Anche a loro va garantito immediatamente lo status di rifugiate così come ad alcuni studenti uomini che sono riusciti a sfuggire al cappio del boia dei Mullah. La strada è aperta, ora occorre solo percorrerla.
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giovedì 25 settembre 2008
UN'ASPIRANTE KAMIKAZE QUINDICENNE IRACHENA RACCONTA LA SUA STORIA
Anche se, in realtà, definirla "aspirante" non è molto corretto, soprattutto nei suoi confronti! Nella foto Ranya, questo è il nome della ragazzina, quando si consegna spontaneamente agli agenti per farsi disinnescare la cintura esplosiva e sotto il video del suo racconto-confessione.
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mercoledì 24 settembre 2008
"SECONDE MOGLI" E FIRST LADY. LA RIVINCITA DI HAYA E LE ALTRE
Oltre il velo: le "prime donne arabe" sono protagoniste nel sociale. Hanno mariti poligami, ma non restano nell'ombra.
A sinistra Haya di Giordania e degli Emirati Arabi Uniti, in basso
Sheikha Mozah del Qatar e nella foto piccola a destra Sheikha Sabika del Barhein.
WASHINGTON - Mozah e Haya sono, a loro modo (molto "a loro modo"! Il commento è mio), delle "rivoluzionarie", anche se i loro mariti hanno conti bancari uguali a tesori. Nel senso che provano a rompere gli schemi di un mondo maschilista che lascia poco spazio alle donne. E' un cambiamento dei piccoli passi - e per giunta controllati - ma non per questo meno apprezzabile. Mozah è la moglie - anzi una delle molte (tre) - dello sceicco, Hamad Al-Khalifa Al-Thani, l'uomo che guida il Qatar. Ed è una consorte particolare. Alternando il velo nero agli abiti occidentali, consapevole di cosa sia permesso a una donna del Golfo, si è conquistata un ruolo impensabile fino a pochi anni fa. E' lei a guidare la raccolta fondi contro la disoccupazione e a prendere la parola
davanti a una platea di uomini d'affari. Non solo first lady ma anche promotrice di un progetto per una città dell'educazione a Doha; destinata ad accogliere prestigiose università americane. Per i nostri parametri può sembrare poca cosa, ma, come sottolinea la sociologa Rima Sabbah: "Mozah ha rotto tutte le barriere culturali" affiancando il marito nell'idea di trasformare il Qatar in un punto di riferimento internazionale. Una sfida che non è passata inosservata: la rivista Forbes l'ha inserita tra le 100 donne più influenti del pianeta.Un elenco dove non sfiguererebbe un'altra protagonista di questa mini-rivoluzione rosa. E' la principessa Haya, 34 anni, figlia del re Hussein di Giordania (deceduto nel 1999) e oggi consorte dello sceicco Mohammed Rashid Al-Makhtoum degli Emirati Arabi Uniti (io aggiungerei seconda moglie!). Raramente l'hanno vista in abiti tradizionali, ha un sito Web, gira il mondo per sostenere l'idea di un cambio. Nel 2000 ha fatto parte del team giordano di equitazione alle Olimpiadi in Australia ed è alla testa della federazione internazionale. Di nuovo, il suo impegno è nel sociale, nell'attività umanitaria (Fonte: "Corriere della Sera").
Ma la vera rivincita sarebbe che i mariti lasciassero le altre mogli per loro o, meglio ancora, che "Haya e le altre" chiedessero il divorzio... però mi sembra un tantino improbabile e non solo per il conto in banca delle dolci metà!
Per gli scettici è un'emancipazione di facciata e l'impegno assomiglia a quello delle dame di carità. Ma il poco sembra tanto se paragonato a quanto avviene nella vicina Arabia Saudita, dove le donne non hanno il diritto di voto e la richiesta di prendere la patente è davvero un miraggio nel deserto. Divieti che hanno fatto nascere un movimento di protesta sotterraneo, a volte sostenuto con grande cautela da Wajeha Al Huwaider, alla quale hanno concesso di guidare nelle zone rurali, e da un paio di principesse coraggiose.Ma non tutto è nero come le lunghe tuniche che devono indossare le donne da queste parti. Il Barhein, altro stato del Golfo, ha nominato come ambasciatrice negli USA una parlamentare di religione ebraica, Hoda Nono.
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ALTRO CHE SENSUALITÀ, IL VELO È UNA GALERA
martedì 23 settembre 2008
LA TRAGICA STORIA DI SADIA
" INSOUMISE E DEVOILEE" ( LIBERA E SVELATA)
Il lavoro di Karima (che tutt'oggi è vive con la paura delle minacce di morte dei suoi parenti) belga musulmana di 32 anni, resterà in libreria. È in sostanza ciò che risulta alla decisione del tribunale delle procedure per direttissima di Verviers che ha reso la sua ordinanza martedì. Quest'azione in giudizio era stata iniziata dai genitori e sorelle dell' autrice. Auspicavano che il libro fosse ritirato dalla vendita per eliminare i passaggi che minacciavano la loro vita privata. Questo libro illustra la lotta condotta da Karima per uscire dalla dittatura familiare che le era imposta. Spiega come ha girato le spalle alla sua famiglia che l' ha picchiata ed umiliata e sposata di forza in nome dell'islam. Il tribunale ha tenuto conto del carattere di emergenza ed ha dichiarato l'azione ammissibile ma non fondata. Il giudizio rileva che il resoconto è la prova di una vita intera e non soltanto centrata sulla vita di famiglia. Non poteva di conseguenza fare astrazione dei genitori e sorelle. Il tribunale sottolinea anche che i termini utilizzati dal autore non hanno volontà di pregiudicare i diritti dei richiedenti e che non si tratta affatto di un atto accusatore diretto contro la sua famiglia. " Il libro conclude con parole di speranza e di amore" , sottolinea ancora il tribunale. "Posso perdonare, ma dimenticare, quello no, é impossibile…". (Fonte: "Scettico")
Karima, 32 anni, accarezza il suo piccolo cuore sulla collana. Senza enfasi nel tono, labbra truccate, uno sguardo franco e determinato. "libera e svelata", come il titolo del suo libro da pubblicare nelle edizioni Azimut? È ovvio. Lontano, molto lontano, dell'immagine della povera vittima che si deplora sulla sua sorte. Infanzia rubata, matrimonio forzato, sequestri, violenze familiari… Karima ha tuttavia attraversato l'impensabile. E questo libro, é la sua "terapia"; l'occasione per lei “di raccontare la sua vita, non la loro".
"A 13 anni, scrivevo già. Una pagina, poi altre, e le strappavo. Per timore di essere scoperta quando i miei genitori frugavano la mia camera." Il suo manoscritto, lo ha sottoposto a venti case d'edizione. In Belgio, in Francia ed in Svizzera. Frédéric Allard, piccolo editore indipendente, decide di sostenerla: "La forza del suo resoconto, la sua determinazione, il suo dinamismo ed il suo buon senso lo ha immediatamente sedotto."
Il libro non è uscito, ma in un fine settimana, più di 200 internauti reagiscono sul suo blog. Messaggi positivi, ma anche delle minacce e degli insulti: "Ciò che cerchi, è di uccidere tua madre e di farti uccidere" (…) "Psicopatica, ladra, prostituta (…) sporca tossicomane".
Karima si prepara a rompere un tabù: rendere pubblica la sua storia privata. A Verviers, dove risiede, il telefono arabo ha funzionato in pieno". La settimana scorsa, riceve minacce di morte per telefono dove il suo interlocutore gli dice "tu hai dimenticato ciò che è successo a Sadia?" (questa giovane pakistana assassinata da suo fratello a Lodelinsart, NDLR). Prende timore. Previene la polizia, il sindaco, e stanca di vedere che niente si muove abbastanza rapidamente, chiama la stampa .
La polizia giudiziaria federale apre un'indagine. (L'elaboratore crimine unità) osserva le reazioni sul blog e traccia gli indirizzi IP. Poco a poco, una rete di sostegno si organizza. Gli Imam, il collettivo delle donne battute "ne puttane ne sottomesse"… Karima non è più sola. Il suo libro, la cui uscita ufficiale è prevista il 15 marzo prossimo, a Verviers, non resterà lettera morta: "Voglio che si sappia perché questo non succeda più", ci dice, dal proprio piccolo appartamento verviétois. Questo venerdì, nell'ora di predica, al centro islamico di Verviers, la più grande moschea della Wallonie, l' imam ha denunciato "pratiche nocive, come i matrimoni forzati o l'imposizione del hijab", come pure "qualsiasi minaccia contro la nostra sorella, il suo editore o anche la sua famiglia". Karima "non ha timore", ma si prepara a traslocare fuori di Verviers e cambiare i suoi bambini di scuola. E suo marito veglia al suo fianco, "La lascio fare come ha sempre fatto: libera e determinata. Ma sono ansioso, soprattutto per i nostri quattro bambini."
Karima, sesta figlia di una famiglia di dieci: tre ragazze, sette ragazzi. Un padre originario di Nador (Marocco), operaio delle miniere, esiliato nel 1968. Una madre analfabeta. Infanzia ad Anversa, quindi trasloco a Verviers. La sua famiglia? Musulmani praticanti, niente di più.
Ma Karima non è flessibile ed obbediente, come la vogliono i suoi. Fin da otto anni, suo padre le impone di portare il velo. "Temeva cosa avrebbero detto alla moschea, ma lo toglievo prima di entrare a scuola". Rifiuta "di essere una donna tutto fare". Colpi di cinghia, certificato medico falso per costringerla a restare a casa, pressioni, insulti… aiutare i genitori, pulire, servire i fratelli. "Volevo vivere."
La scuola, i servizi d'aiuto alla gioventù, la polizia… ma Karima prosegue sola il suo calvario. Fino alla sistemazione in una casa d'accoglienza, per un mese, a Namur. Fino al ritorno fra i suoi ed un viaggio sistemato in Marocco.
"Dinanzi ad un notaio, mio padre ha contratto un matrimonio per procura verbale con un mio cugino." Karima rifiuta quest'amore. I colpi e le minacce riprendono. Fugge, ottiene un posto in un rifugio, prima di annullare questo matrimonio, e di ottenere il divorzio. Una prova lunga e dolorosa…
Quattro bambini, dei piccoli lavori, il suo libro… Karima vuole ora ricostruirsi una vita. Senza odio né rimproveri.
"Musulmana fedele, ma ormai libera e svelata".
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MODA, SESSO, HI TECH: LE MILLE DOMANDE DELLE ITALO-ISLAMICHE
Maria, che abita a Bologna, chiede invece dove si possono trovare negozi che vendono l'abbigliamento adatto. Dino vuole sapere se le donne possono indossare le infradito ("sì, purché il piede non sia nudo - fa sapere Talib - perché le uniche parti che una donna può tenere scoperte sono il viso e le mani"). Justroby si vuole mettere lo smalto, ma non è sicura che si possa fare ("Lo puoi fare - è la risposta - ma come ogni altro trucco e abbigliamento, non lo possono vedere gli estranei ma solo tuo marito. E comunque, lo devi togliere per le abluzioni").
NEL MESE DEL RAMADAN SCOPPIA DELLE TELENOVELE ARABE
Questo post non riguarda propriamente le donne, ma secondo me getta a modo suo una luce interessante sulle società arabe e quindi anche sulle donne.
In Arabia Saudita, una serie sulle antiche lotte tra due tribù della penisola arabica avvenute tre secoli fa ha attizzato battaglie reali tra i due clan ancora esistenti, obbligando le autorità a fermarne la messa in onda. Nel 2007, la soap su re Farouk, il monarca egiziano costretto ad abdicare nel 1952, in seguito al colpo di Stato degli «Ufficiali liberi» di Gamal Abdel Nasser, dipinto dal regime come un sovrano corrotto, grasso, donnaiolo e debosciato, nella soap saudita revisionista diventava un patriota: una sorta di sfida al rais Hosni Mubarak, erede di quegli ufficiali che misero fine alla monarchia. Le telenovele di Ramadan hanno anche creato screzi tra Paesi: nel 2003 la serie siriana in onda in Egitto, Cavallo senza cavaliere, fortemente antisemita, basava il racconto sui Protocolli dei Savi di Sion, falso zarista che sostiene l’esistenza di un complotto ebraico per controllare il mondo. Provocò le condanne d’Israele e l’indignazione dei governi occidentali. Politica e attualità giocano spesso un ruolo: nel 2006, un episodio della popolare serie satirica saudita, Tash ma Tash , che prendeva in giro i terroristi islamici, attirò le ire dei fondamentalisti e gli attori ricevettero minacce di morte. Il tema del terrorismo era centrale anche nella serie siriana al Mariqun - disertori - del 2006. Matabb, la nuova telenovela palestinese, è stata appena messa fuori onda perché considerata dai vertici politici non sufficientemente anti israeliana.
INNAMORARSI NEL WEB ISLAM
L'amore potrebbe diventare la prossima materia preziosa da esportazione del mondo arabo, ora che gli sceicchi del Golfo consapevoli che le riserve di petrolio si assottigliano, cercano di diversificare le loro economie. «L'esportazione araba che riscuote più successo non è il fondamentalismo ma il romanticismo», sostiene lo psicologo clinico Frank Tallis, occidentale cosmopolita e lungimirante, che ha insegnato all'Istituto di Psichiatria del King's College di Londra. A suo dire, per quanto Oriente e Occidente siano ugualmente ossessionati dall'amore romantico, il primo sarebbe meglio equipaggiato per soddisfare alla domanda su scala planetaria, proprio perché «gli arabi cadevano preda dell'amore seicento anni prima degli inglesi, che iniziarono a farlo solo quando lo studioso John Palsgrave introdusse l'espressione "to fall in love" nel sedicesimo secolo». E indovinate dove inciamparono, Palsgrave e gli altri studiosi britannici, per scoprire il mistero dell'amore come caduta? Ebbene, che lo crediate o meno, gli occidentali scoprirono il romanticismo leggendo in traduzione i trattati sull'amore scritti da autori arabi andalusi, tra cui Ibn Hazm, nell'undicesimo secolo. Fu questa la fonte di ispirazione per i cantori itineranti francesi del tredicesimo e quattordicesimo secolo, i famosi trovatori, troubadours, «termine verosimilmente derivato dall'arabo tarab, che significa intrattenimento musicale». (...)Se le forze dell'amore spingono musulmani e musulmane dotati di coraggio a spiccare un salto così pericoloso, gli imam, dal canto loro, hanno il compito di aiutarli a risalire la china. Nemmeno un intellettuale brillante come Ibn Hazm avrebbe mai potuto immaginare baratro più pericoloso di internet, terreno di sfida di imam moderni come Yusuf al-Qaradawi, star di Al-Jazeera, leader e ispiratore del sito IslamOnline e avveduto quanto basta per capire che il solo modo di salvare i musulmani è puntare sull'amore universale. L'unica salvezza planetaria immaginabile è la trasformazione di internet in una sorta di Arca dell'Amore, e gli arabi hanno tre elementi per guidare la navigazione. Primo: terrore del consumismo. Secondo: una vasta e sofisticata letteratura medievale sull'amore che continua a affascinare le giovani generazioni. Terzo: il petrolio, con lauti proventi da investire nel progetto.Per avere un'idea del terrore suscitato tra i genitori del mondo arabo dall'onda consumistica che ne lambisce le coste, basta guardare le copertine delle riviste da Baghdad a Casablanca: dal prestigioso periodico egiziano «Rose al-Yusuf», creato nel 1925 dalla femminista Fatema al-Yusuf, al più recente «Teens Today» con sede a Abu Dhabi. Il rischio più terrificante lo corrono le donne più giovani, come ripete costantemente «Teens Today»: «Adolescenti nella trappola di Bluetooth». (...) (Fonte: Liberali per Israele, articolo di Fatema Mernissi)
Un modo di sviluppare la responsabilità personale è trasformare l'amore consumistico, artificiale ed egocentrico, nell'amore altruistico per cui Ibn Hazm si è battuto secoli fa. Alla luce delle ansie che attraversano il mondo musulmano, si può arrivare a capire perché i trattati sull'amore, come Il collare della colomba, riscuotano tanto successo in Rete: quando sei spaventato, hai bisogno di qualcuno che ti paventi una soluzione. Ibn Hazm – arabo spagnolo vissuto in tempi difficili come i nostri, sbattuto in prigione dopo essere stato visir, quando i califfi omayyadi sovrani di Andalusia perdevano potere – giunge alla conclusione che il solo rimedio è l'amore autentico, che ti apre ai rischi dell'incontro con l'altro. La sua conclusione è anche la mia.Il consumismo disorienta i giovani perché manipola le loro emozioni, inducendoli a confondere l'amore con l'acquisto e lo sfoggio di beni di lusso. Per Ibn Hazm, invece, la tenerezza è una forza cosmica che ti trasforma in una straordinaria fonte di premurosa generosità. (...)In una religione che, a differenza del Cristianesimo, non liquida il sesso come peccato, gli imam hanno sempre avuto il compito di aiutare i credenti a controllare le emozioni: cosa che ha spinto molti di loro, tra cui Ibn Hazm, a scrivere trattati sull'amore. Né è sorprendente che l'imam al-Qaradawi chiami in suo aiuto un esercito di esperti di discipline moderne. E non crediate si limiti a psicanalisti, sociologi e medici maschi: nel suo sito web si affida in larga misura anche alle donne. I membri dei suoi team, che si occupano di "Problemi dei Giovani e Soluzioni", non esauriscono la loro funzione mettendo in Rete le risposte. Hanno denaro quanto basta (al-Qaradawi vive nel Golfo!) per pubblicare domande e risposte in manuali agili ed economici, come Internet e l'Amore o Il Matrimonio e l'Amore, accessibili a genitori e figli. Non dimentichiamo che, quando diciamo "musulmani", parliamo di milioni di giovani con il solo desiderio di innamorarsi e di sposarsi; cosa che spiega il gran numero di siti concorrenti di IslamOnline.Ciò mi riporta all'altra ragione alla base del terrore musulmano per il consumismo: come scrive lo psicanalista francese Charles Melman, «l'approccio, spesso e volentieri pseudo-commerciale, alle relazioni amorose» impedisce all'individuo di aprirsi all'altro come elemento di un gruppo, con la consapevolezza che ognuno è parte di un sistema cosmico Quando i musulmani leggono il libro di Melman, L'Homme sans gravité. Jouir à tout prix (L'uomo senza gravità: godere a ogni costo), scoprono che anche gli occidentali sono allarmati dal consumismo, e – questa è la novità! – gli imam sono avveduti quanto basta per rendersi conto che l'era del culturalismo tribale è tramontata: la sola strategia vincente per il futuro è quella che s'inserisce in un orizzonte universale. Grazie a internet, i musulmani scoprono che milioni di occidentali spaventati dal consumismo, che rifiutano perché contrario alla loro etica, condividono il loro stesso desiderio di amore universale, e lo considerano l'unica, urgente soluzione per la sopravvivenza. Non può esserci scontro di civiltà, se l'amore universale diventa l'obiettivo di una globalizzazione etica. Per chiarire questo punto, lasciatemi concludere con un esempio. Molti occidentali sono d'accordo con i musulmani nel ritenere irrazionale il rigetto della vecchiaia, che spinge molti e potenti manager di multinazionali, che dovrebbero preoccuparsi di problemi seri, a cercare di apparire eternamente giovani tramite costosi trattamenti contro la calvizie. «Dalle stime relative al 1999 emerge che gli uomini hanno speso 900 milioni di dollari in trattamenti medici contro la calvizie», spiega Peter Conrad nel suo allarmante testo The Medicalization of Society(La medicalizzazione della società). Stando alle sue fonti, «un trapianto di capelli può costare da duemila fino a più di diecimila dollari, a seconda della quantità di capelli trapiantati». Di fronte a questo consumismo malato, lo scontro di civiltà del signor Huntington scompare, per lasciare il posto a un pianeta unito nel suo rifiuto e nel desiderio di un amore cosmico, altruistico come quello di Ibn Hazm.
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lunedì 22 settembre 2008
FRANCIA, NON VUOLE CHE SPOSI UN CRISTIANO, MADRE FERISCE LA FIGLIA
MOGLI DEVOTE...
Le mogli dell'ottantaquattrenne (ultra)poligamo nigeriano Muhammadu Bello Masaba, arrestato per non aver ripudiato 82 delle sue 86 mogli (per averne solo quattro come consente la sharìa) si sono presentate alla polizia accompagnate da 20 dei 170 bambini avuti in totale dall'uomo, per chiedere la liberazione dell'amato. Lui stesso è sotto i riflettori dopo aver rivelato alla stampa di avere questa "famiglia allargata!". Lo ha spiegato Habibu Lukman, un responsabile al ministero della giustizia dello Stato nigeriano di Niger (centro): "“Sono arrivate al ministero con tre autobus ed hanno protestato con veemenza contro l'arresto e la detenzione del marito,mostrando cartelli con la scritta “siamo legalmente sposati".
Jamatu Nasr egli Islam (JNI), ha lanciato il 21 agosto una sentenza di morte contro il poligamo. Ma gli enti locali hanno deciso di concedergli un termine di due giorni per mettersi in conformità con la legge o, in caso contrario, lasciare il territorio dello Stato. Due settimane fa, il signor Masaba si era finalmente impegnato e promesso di divorziare da 82 delle sue mogli ma non ha tenuto la sua promessa. (Fonte: www.20min.ch ).
Grazie a Vituccio per la segnalazione.
Quello che scriverai al posto di questa frase apparirà dopo aver premuto "Leggi tutto ...".
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domenica 21 settembre 2008
NONIE DARWISH RACCONTA DEL SUO INDOTTRINAMENTO AL JIHAD DURANTE LA SUA INFANZIA A GAZA
Molti di voi conoscono già Nonie Darwish e la sua storia, ma ho deciso di riproporvela.
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LIBANESE GRATA A ISRAELE
Nel 1975, allo scoppio della guerra in Libano, la sua casa venne distrutta dalle formazioni islamiche libanese che si scontrarono con le milizie cristiane. “Vivevo in una cittadina a sud di nome Marjayoun al confine con Israele. Nell’esplosione io sono rimasta ferita, la mia casa è stata distrutta e mio padre è diventato cieco”. Brigitte Gabriel, giornalista e scrittrice di fama internazionale nonché fondatrice di Act for America, spiega in un’intervista al VELINO cosa l’ha spinta a scrivere “They must be stopped”, un best seller fra i più discussi contro l’islamismo. “Fui ricoverata in ospedale per due mesi, durante i quali mi domandavo. ‘Perché ci fanno questo?’. I miei genitori rispondevano: perché siamo cristiani e i musulmani ci considerano ‘infedeli’. A dieci anni capì che mi volevano morta per il semplice fatto di essere di fede cristiana e di vivere in una città cristiana”.
Quella bomba ha cambiato per sempre la sua vita. “Vissi i sette anni successivi in un rifugio senza elettricità, acqua e cibo. Siamo sopravvissuti senza sapere se avremmo visto il giorno seguente”. Da cristiana e da araba, Brigitte parla al suo popolo dell’amore verso lo stato ebraico. “Israele fu l’unico paese che comprese ciò che stava accadendo in Libano e venne in aiuto dei cristiani cercando di ridare loro la democrazia ed espellere i gruppi islamici radicali che avevano conquistato il paese. Israele fu l’unico luogo dove recarci per le cure, dal momento che il Libano ci aveva escluso in quanto associati a Israele. Yasser Arafat aiutava i gruppi terroristici usando il Libano come base da cui attaccare Israele, uccidere gli ebrei e ricacciarli in mare. Israele salvò le nostre vite”. (Fonte: Esperimento, da "Il Velino")
Un amore così forte da spingerla a seppellire i genitori in terra ebraica. “Li portai a Gerusalemme perché volevo onorarli. È quella la Terra Santa dove molti vorrebbero essere sepolti. Volevo inoltre che il mio gesto parlasse da sé e che spiegasse a coloro che non vi sono nati cosa significhi Israele: l’unico paese in Medio Oriente che rappresenta la democrazia, i diritti umani, l’illuminismo, il progresso e la civiltà”.
Quanto alle minacce che le sono arrivate da gruppi radicali, Brigitte taglia corto: “Se non parliamo adesso, quando?”. Ha un debito anche per l’America. “Sono stata così fortunata a crescere i miei figli negli Stati Uniti. L’America è il sogno diventato il mio indirizzo. Mi sveglio al mattino e ringrazio Dio. Non c’è posto simile all’America dove poter vivere, esprimere le proprie opinioni. È il paese dell’opportunità, il cielo è il suo unico limite. Il momento più bello è stato quando in tribunale ho giurato come cittadina americana”.
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sabato 20 settembre 2008
IL CORAGGIO DI DENUNCIARE
Mehwar significa baricentro, ma per le palestinesi vittime di abusi significa speranza. Ghadeer, Suzan, Lina, Inas, Amira, Feda, Bahia, Dalal, Nisreen, Noha, Rania, Habela, Marleen, Neven, Rana, Gherda. Sono le ospiti del centro antiviolenza Mehwar, di Beit Sahour, cittadina ai piedi di Betlemme. Ragazze dai 15 ai 30 anni, scuri occhi tristi e sguardi duri, accomunate da terribili storie di violenza, soprattutto da parte dei padri, ma anche da altri familiari e dai mariti. Ma queste giovani donne oggi condividono anche il fatto di aver trovato un centro, il proprio centro dentro di sé che si rafforza con la condivisione e la solidarietà; un baricentro insomma: questo del resto il significato letterale della parola Mehwar.
“Il centro è stato aperto nel febbraio dal 2007, grazie al sostegno del ministero affari sociali dell’ANP, della cooperazione italiana e del centro antiviolenza Differenza Donna di Roma” spiega Najin, una delle operatrici, “è una risorsa molto importante, poiché l’unica soluzione che l’ANP aveva per le donne abusate era la prigione”. (Fonte: articolo + 1 foto da "Peace Reporter", 4/8/2008)
Sembra assurdo, ma una donna vittima di abuso che scappa o che denuncia, normalmente non trova sostegno nella società, e l’Autorità Palestinese per ora è capace di mettere a disposizione solo i luoghi più sicuri che dispone, le prigioni appunto. Fortunatamente oggi una alternativa c’è, ed è appunto Mehwar, che finora ha ospitato 79 donne, provenienti da tutta la Cisgiordania. La maggior parte dei casi è di incesto, quindi di padri che violentano le proprio figlie, di solito quando queste hanno tra i 6 e i 12 anni, praticando preferibilmente violenza anale perché così, nella perversione del loro ragionamento e delle regole patriarcali che li sostengono, queste bambine restano vergini, quindi ancora idonee per essere immesse sul mercato dei matrimoni e smerciate al miglior offerente. E’ ciò che è successo a Dalal, una delle ospiti del centro, venduta a 12 anni in sposa ad un uomo di 50 anni, e, dopo un anno, tolta al marito dal padre che l’ha ceduta ad un altro uomo, ovviamente in cambio di una cospicua somma, con il nome della sorella. Questo secondo marito, uno spacciatore, ha violentato e picchiato Dalal per molti anni, fino a che lei ha trovato il coraggio di scappare con i suoi 4 bambini.
“Sull’esempio dei padri” prosegue Najin, anche fratelli o altri parenti abusano delle bambine, consapevoli delle protezione famigliare e sociale di cui godono: se una bambina riesce a trovare il coraggio di raccontare alla madre, o alle donne della famiglia, la violenza subita, spesso riceve l’ordine di tacere per non macchiare l’onore del clan. “Dopo i famigliari vengono i mariti” aggiunge Najin, e questo di solito accade alle ragazze dai 15 anni in su. Qui sono arrivate mogli che hanno subito violenza fisica, psicologica, economica per anni e che poi, magari anche dopo vent’anni, hanno avuto il coraggio di venire a Mehwar. Infine ci sono anche ragazze che vogliono sposare un ragazzo scelto da loro e quindi si rivolgono al centro per essere sostenute in questa scelta anti-tradizionale.
Il centro e’ un edificio formato da due blocchi uno con i servizi, l’altro con le case. I servizi offerti sono di tipo assistenziale: consulenza psicologica, medica e legale, ma anche ludica e sociale; ci sono un nido per i bambini, una palestra, aperta anche alle donne della zona, e una caffetteria che è diventata luogo di ritrovo anche per le donne che non vivono nel centro. Il secondo blocco è formato dalle casette dove vivono le ragazze: stanze da letto che variano a seconda del numero dei figli, soggiorno e tutti i confort della società moderna, dalla lavatrice a internet. Ci sono poi anche gli spazi in condivisione, poiché a Mehwar il metodo di vita è comunitario: le faccende domestiche sono svolte a rotazione da tutte le donne, che di volta in volta si occupano delle pulizie, dei pasti, del giardino, ma anche dell’organizzazione dei corsi di inglese, informatica, ceramica. Una volta a settimana c’è un momento assembleare in cui vengono discusse tematiche quali la figura del padre, l’amore, la libertà, lo studio, per lavorare assieme al cambiamento di se stesse. Se all’interno il clima è di armonia e solidarietà ben diverso è il rapporto con l’esterno che è “uno dei punti più problematici” spiega Amina, un’altra delle operatrici: “le nostre ospiti all’inizio erano viste come dei mostri, solo perché avevano lasciato la famiglia e il ruolo delle tradizioni e dei clan familiari è ancora di primaria importanza nella nostra società. Però piano piano siamo riuscite a smantellare questo pregiudizio” conclude Amina “aprendo il centro alla comunità di Beit Sahour e di Betlemme e ora tre ragazze che stanno per lasciare Mehwar stanno cercando casa assieme, fatto pressoché inimmaginabile qui. Le vite di queste donne grondano di dolore, rabbia, ma anche di speranza, come dimostra il caso di Inas, 22 anni, un corpo massiccio che cozza contro la dolcezza del viso e della voce: “dalla mia vita vorrei cancellare il ricordo della violenza di mio padre, e del bambino che mi ha fatto mettere al mondo”; Inas ha poi abbandonato questo figlio e ha iniziato a studiare medicina per potere essere utile alle donne che, come lei, hanno subito violenza.
Lina, velo di pizzo nero sul capo, esile e fredda, si ritiene fortunata “perché in questo centro ho trovato aiuto e solidarietà che mi permette oggi di affrontare il passato con forza e avere il coraggio di vivere il futuro”. Lina è una di quelle ragazze che oltre alla violenza del padre, subita dall’età di 14 anni, ha dovuto fare i conti anche con l’omertà della madre, che le ha ordinato di tacere e “questa è una delle cose più brutte della mia vita”. Nonostante tutto Lina sa ancora apprezzare i fatti positivi, come lo studio, il lavoro, e l’opportunità di potere vivere con la sorella, anch’essa ospite del centro. “Non pensavo di trovare il coraggio di denunciare” ammette la piccola Feda, dalle gambe corte corte a causa di una malattia, violentata da un suo vicino di casa. “Invece grazie a Mehwar l’ho trovato, sono andata in tribunale e sono davvero fiera di averlo fatto, vorrei che tutte le donne denunciassero e che la legge facesse finalmente giustizia”.
Giustizia: questa la domanda avanzata da queste giovani e il loro esempio e’ una lezione per tutte e tutti noi: se ancora non si possono evitare, in tutto il mondo però queste violenze si possono combattere; è ciò che sta facendo Amira, che da pochi giorni ha lasciato Mewhar per andare a vivere con i suoi quattro figli in una casa nelle vicinanze, e che in tribunale è riuscita ad ottenere la custodia dei suoi bambini, fatto non comune da queste parti, mentre sta ancora lottando per vincere anche il processo per stupro. Ogni causa vinta è un precedente per le altre donne, che le sprona a denunciare, a battersi per ottenere giustizia e, soprattutto, per iniziare una vita all’insegna dell’autodeterminazione, parola forse un poco stantia alle orecchie di noi occidentali ma che invece ha ancora, qui e non solo, un significato concreto e molto attuale. Non usa questo termine, Hadir, ma il senso è proprio quello, vale a dire la libertà di scegliere la proprio vita: “prima di venire a Mehwar avevo paura di tutti ed ero sempre sottomessa. Qui ho imparato a dire NO, e sarei capace di dirlo anche al primo ministro se mi ordinasse di fare qualche cosa che non voglio!”. Con questa forza Hadir e’ ora pronta per lasciare Mehwar e dalla situazione protetta del centro passare nuovamente alla vita nella società, sicuramente più dura ma pure più stimolante, anche in termini di sfide da vincere.
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venerdì 19 settembre 2008
DONNE ARABE DENUNCIANO IN TV LA LORO SEGREGAZIONE
Il canale satellitare Orbit rompe i tabù dell'ortodossia islamica, e manda in onda otto donne a denunciare la segregazione femminile in Arabia Saudita e chiedere maggiori diritti.
Il programma ha segnato una svolta per un paese considerato tra i più conservatori del mondo musulmano.
Le giovani donne sono andate in Tv coperte da veli colorati, al posto dell'abaya, il tipico velo nero delle saudite.
E hanno parlato di com’è difficile la vita delle ragazze musulmane in Arabia Saudita.
Suad Jaber, una pediatra, ha esordito: "Non abbiamo nessuna delle libertà fondamentali che sono invece garantite alle donne musulmane in altri Paesi; qui dobbiamo chiedere l'autorizzazione di un familiare di sesso maschile anche per ottenere un semplice documento di identità". (Fonte: sito di ACMID-DONNA)
La tradizione saudita costringe le donne a non rivolgere la parola a un uomo che non appartenga alla famiglia, a non camminare sottobraccio ad una persona di sesso opposto. Le donne inoltre non possono far politica e subiscono grosse restrizioni nel campo del lavoro. Non possono inoltre togliersi il velo in pubblico e devono restare coperte interamente da capo a piedi.
"Guidare è una necessità, non un lusso ha lamentato Samar Fatani, un'altra ospite del programma - c'è chi si indebita per dover assumere un autista e pagargli lo stipendio".
Maha Fitaihi, ha chiesto più partecipazione delle donne alla vita. "Il consiglio consultivo, la Shura, non ha nessuna rappresentante donna, neppure quando si tratta di discutere di temi come la disoccupazione femminile", ha detto.
Zein Darandari, un'impiegata di banca, ha invece sollevato il problema della disoccupazione.
"Le donne hanno bisogno di lavorare. Più attenzione dovrebbe essere data alle donne sole e divorziate per le quali è difficile sbarcare il lunario", ha affermato.
Il programma ha avuto un grande successo, e le donne sono state immediatamente invitate in altre trasmissioni.
Da quando è andato in onda il dibattito, sto ricevendo fino a 80 telefonate al giorno - ha detto Maha Fitaihi molte sono venute da donne che ci hanno accusato di non essere state più esplicite, ma ci vuole tempo".
Il dibattito non ha toccato questioni sociali di maggiore importanza come la legge sul divorzio o la violenza domestica. Tuttavia è stato considerato dal pubblico femminile un primo passo fondamentale in direzione di una maggiore libertà, anche nel campo dell'informazione.
"E' la prima volta - ha detto - che donne saudite parlano apertamente in pubblico dei loro problemi e chiedono maggiori diritti", ha dichiarato con soddisfazione Siham Fatani, docente all'università di Gedda.
Dalle pagine dell'Arab News, Abeer Mishkhas - noto editorialista del giornale "ha detto che la trasmissione riflette il nuovo impegno del governo saudita, intenzionato a cambiare l'immagine negativa del regno, soprattutto dopo gli attacchi terroristici del 12 maggio scorso a Riad.
''I media godono una maggiore libertà, possono criticare per la prima volta il governo e le sue decisioni'', ha dichiarato Mishkhas.
''I diritti dobbiamo chiederli, perché nessuno ce li darà. Speriamo che ci siano altri programmi come questo. Dobbiamo avere la possibilità di farci ascoltare", ha commentato Alia Banaja, una delle partecipanti al programma.
Le saudite sembrano sempre più decise a essere protagoniste della lotta per la loro emancipazione.
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giovedì 18 settembre 2008
"IL MIO RAMADAN IN CASERMA"
Caporale Nabila, prima musulmana nell'esercito italiano.
AOSTA, 17 SETT - Il tricolore che sventola alle sue spalle le dona fierezza. Nabila sorride, sotto il cappello degli alpini. La divisa lascia intravedere la freschezza dei diciotto anni e l’orgoglio di essere un soldato. Ultima di dieci figli, Nabila El Habachi è la prima donna musulmana arruolata nell’esercito italiano. «Ho realizzato un sogno che avevo fin da bambina - racconta - Da quando mio cugino è entrٍato a far parte dell’esercito francese anch’io ho desiderato poter servire la nazione a cui appartengo, indossando la divisa. Avevo solo tredici anni e da allora non ho più cambiato idea». La sua famiglia, originaria del Marocco, è arrivata in Italia quarant’anni fa. Dopo un periodo trascorso a Sarno, in provincia di Salerno, si è trasferita a Monzambano, un paese di cinquemila abitanti vicino a Mantova. «Mio padre lavorava
in provincia per un’azienda del posto.
E’ rimasto invalido a causa di un incidente sul lavoro. La mia è una storia positiva, di integrazione riuscita: sono nata in Italia e mi sento italiana a tutti gli effetti. I miei genitori e i miei fratelli, invece, sono nati in Marocco. Ma non hanno mai avuto problemi ad integrarsi né hanno visto limitata la loro libertà di culto. Mia madre e una delle mie sorelle indossano il velo ma a me non l’hanno mai imposto. Così ho scelto non indossarlo». Questo è il mese del Ramadan, in cui i musulmani praticanti debbono astenersi, dall’alba al tramonto, dal bere, mangiare, fumare e praticare attività sessuali. «Io sono credente e quindi anche per me questo è il mese del Ramadan - precisa - rispetto i precetti della mia religione, anche se non sono solita andare a pregare in moschea. Non mangio carne di maiale, ma nelle mense militari trovo sempre una scelta alternativa». Nabila vive e lavora ad Aosta, al centro addestramento alpino, dal 27 maggio scorso. «Sono felice di essere stata assegnata qui. Mi piace questo paesaggio di montagna e mi trovo molto bene con i colleghi. Poi, il mio sogno è sempre stato quello di entrare a far parte del corpo degli alpini e l’ho realizzato». Volontaria in ferma prefissata di un anno, tra poche settimane riceverà il grado di caporale e spera di poter proseguire la carriera nell’esercito. (Fonte: "La Stampa", ACMID-DONNA e Msn News per la foto in basso a destra)
Dopo un anno di servizio Nabila potrebbe partecipare ad una delle missioni militari in cui è attualmente impegnato l’esercito italiano. «E’ proprio quello che mi auguro. Del resto è uno dei motivi che mi ha spinto ad arruolarmi. Sarebbe un’esperienza umana e professionale impagabile». Non dovrebbe essere così difficile per una ragazza che parla correttamente la lingua araba e conosce gli usi e i costumi musulmani, due requisiti che potrebbero rivelarsi molto utili nelle missioni in Afghanistan e in Libano.
I genitori originari del Marocco assistono al giuramento della figlia alla Repubblica. E’ stato difficile comprendere la sua scelta di intraprendere la carriera militare? «No. Anzi. Ne sono felici e mi incoraggiano a proseguire. Il loro sostegno è molto importante per me».
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PROVINCIA DI ROMA SOSTIENE PROGETTO DONNE MAROCCHINE
ROMA, 16 SETT - (Adnkronos) - La Commissione delle Elette della Provincia di Roma ha incontrato un gruppo di donne della Cooperative Femminine Bouzama di Essaouira, un villaggio del Marocco affacciato sull'Oceano Atlantico. Le donne di questa cooperativa gestiscono un piccolo laboratorio che produce l'olio di Argan, ancora oggi lavorato con una tecnica artigianale di millenaria sapienza. La presidente della Commissione delle Elette, Roberta Agostini, la presidente del Consiglio Provinciale, Giuseppina Maturani e la presidente del Comitato per le Pari Opportunità, Flavia Leuci, si sono impegnate a sostenere il progetto per l'ampliamento del laboratorio di lavorazione e commercializzazione del prodotto, utilizzato sia per l'alimentazione che per la cura della persona. "Si tratta di un progetto di grande importanza - dichiara la presidente della Commissione delle Elette, Roberta Agostini - al quale vogliamo dare il nostro sostegno lavorando per costruire una rete di enti locali, insieme con il V Municipio, per uno sviluppo in grado di unire il sostegno al lavoro delle donne alla tutela dell'ambiente e della biodiversità". (Fonte: ACMID-DONNA)
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UNA DONNA SEQUESTRATA IN MAROCCO PER UN MATRIMONIO FORZATO
“Ero stata invitata da una vecchia amica d'istituto universitario, Nadia, e suo marito Rachid, per passare una settimana di vacanze con loro in Marocco. Nadia era riuscita a convincermi nonostante le mie riserve. All'inizio,é andato tutto bene. Ma, dopo tre giorni, il fratello di Rachid, Mustapha, mi ha chiesto di sposarlo. Ho rifiutato, ma non si fermava di chiedermelo,é diventato oppressante", dice Jennifer. Al termine di una settimana, Rachid annuncia che il soggiorno durerà più a lungo. È manager di artisti e gli spiega che si ritiene per firmare contratti e che non può dunque riportarla in Francia come previsto per la partenza. “Ho visto musicisti, contratti, io non mi sono insospettita immediatamente, riconosce la giovane donna. Ma le cose iniziano a rovinarsi. Questa volta, è Nadia che diventa oppressante e lui intima di accettare un matrimonio bianco se non ne vuole uno vero. Jennifer rifiuta sempre ed ottiene la promessa di raggiungere Casablanca il giorno dopo per prendere un autobus quindi una barca per la Francia. “ Ho provato a fuggire ma, con il calore, non ci sono riuscita". (Fonte: "Le Parisien" e Vituccio, 16/9)
Il giorno dopo , direzione Casablanca. Ma è trattenuta nell'automobile mentre Nadia va al consolato Francese per chiedere le carte necessarie per il matrimonio. Jennifer è riportata nel piccolo villaggio. Nel frattempo, la coppia ha preso possesso del suo passaporto e rifiuta di renderglielo. Ormai, la famiglia dà soltanto pane da mangiare a Clara (sua figlia, ndr.) e più questione di avere l'acqua in bottiglia! “Si obbligava a bere l'acqua del pozzo, che non era buona. Clara ha iniziato ad essere malata. Ho provato a fuggire di nuovo,ma con il calore, non ci sono riuscita". A Angoulême, la madre di Jennifer, Patricia, preoccupatissima, chiama il ministero degli esteri, contatta il commissariato, che previene il procuratore. La polizia marocchina è prevenuta. La polizia giudiziaria marocchina viene a cercare Jennifer e sua figlia, ma le lascia in un hotel, senza prevenire il consolato Francese. Sabato scorso, la madre di Jennifer dà l'allarme al consolato, ma il standardista rifiuta di trasferire l'appello al responsabile di permanenza. Dopo l'intervento di un giornalista “della Charente libero", il consolato invia finalmente un emissario a cercare la giovane mamma e sua figlia all'hotel di Khouribga. Jennifer e Clara sono finalmente rientrate in Francia giovedì sera, grazie ad un biglietto d'aereo pagato da Patricia. Clara soffre in particolare di una gastroenterite parassitaria e di un'anemia. Ieri, Jennifer è andata a depositare reclamo per sequestro.
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MANCA L'ACQUA, DONNE IN RIVOLTA: NIENTE SESSO
Ankara - A Kirka, un villaggio al sud della Turchia, c’è carenza d’acqua. La colpa, pare, sia degli uomini del villaggio che non fanno nulla per risolvere il problema dell’approvvigionamento idrico, costringendo le loro compagne a marciare ogni giorno per ben 13 chilometri di distanza dalle loro abitazioni per raggiungere la sorgente d’acqua più vicina. Ma le signore di Kirka si sono stufate, e hanno indetto uno sciopero originale per costringere i propri mariti ad affrontare l’emergenza: niente sesso finché non ci sarà acqua nel paese.
I maschi, come prevedibile, non accettano di buon grado questa decisione, tanto che il sindaco di Kirka, Osman Arslan, teme che questo sciopero possa diventare il principale motivo di separazioni e divorzi nel paese. […] (Libero)
Ha 86 mogli: condannato»
Un tribunale musulmano in Nigeria ha condannato al carcere un predicatore di 84 anni sposato com 86 mogli. L'uomo si era rifiutato, come ordinato dalle autorità islamiche locali, di divorziare da tutte le donne meno quattro. Il predicatore, che vive con le sue mogli e 170 figli nella città di Bida, si è sempre proclamato innocente. "Non divorzierà da nessuna delle sue mogli. Anzi, intende sposarne altre", ha detto un suo portavoce. Le autorità hanno accusato Mohammed Bello di "credo religioso offensivo" e "matrimoni fuorilegge" dopo che i leader musulmani locali gli avevano concesso tempo fino al 7 settembre per conformarsi alla legge islamica della sharia, la quale dispone che un uomo non può avere più di quattro mogli per volta. (Tgcom)
(Fonte: "Unpoliticallycorrect", 17/9)
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IRAN, CONDANNATE DUE FEMMINISTE "DISTURBANO L'ORDINE PUBBLICO"
La condizionale di 5 anni sospende la condanna di una giovane a 35 frustate e 1 anno di carcere. Si inasprisce la repressione del regime contro le donne che chiedono pari diritti.
TEHERAN - Volevano gli stessi diritti degli uomini, in tema di divorzio, custodia dei figli ed eredità. Ora rischiano la frusta e il carcere. Per le femministe Massoumeh Zia e Marzieh Morteza Langheroudi l'accusa è di "disturbo dell'ordine pubblico". La condanna - confermata oggi in via definitiva dal Tribunale rivoluzionario di Teheran - è di 35 frustate e 1 anno di carcere per Zia e di 10 frustate e una reclusione di 6 mesi per Langheroudi. Ma l'esecuzione della condanna è sospesa a un termine condizionale.Langheroudi, 55 anni, dovrà stare attenta a non "sgarrare" per i prossimi due anni, se non vuole andare incontro all'umiliazione della punizione corporale e alla durezza del carcere. La sua compagna di lotta, la 31enne Zia dovrà comportarsi bene per cinque anni. Certo, non sarà semplice "rigar dritto". Infatti, in concreto, le donne hanno semplicemente fatto un po' di volantinaggio. Hanno cercato di raccogliere firme, hanno espresso un dissenso e scritto articoli femministi sul Web. Hanno chiesto, insomma, di non essere considerate inferiori. La più giovane, Zia, fu arrestata durante un corteo nel giugno del 2006, insieme ad altre 70 attiviste. Langheroudi, è stata arrestata con altre 30 donne quando, poco dopo, si riunirono sotto al tribunale per chiedere la liberazione delle amiche. Si prese la condanna a un anno di carcere anche un uomo,Amir Yaqoubali, per aver manifestato al fianco delle femministe. (Fonte: "Kritikon", 16/9)
La campagna che ha visto incarcerare dozzine di donne si chiamava "un milione di firme". Con le adesioni raccolte (in Iran, ma anche all'estero) le donne avrebbero chiesto l'abolizione delle norme discriminatorie nei loro confronti per quel che riguarda matrimonio, divorzio, custodia dei figli ed eredità. Ma la repressione del regime contro le donne si fa sempre più violenta. La leader delle femministe, la 21enne Hana Abdi, è detenuta in una provincia sperduta dell'Azerbagijan orientale, colpevole di "complotto contro la sicurezza dello Stato". E' attesa la sentenza definitiva, ma questa nuova sentenza non è certo un segnale incoraggiante.
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