giovedì 11 febbraio 2010

"STANDING OVATION PER AZAR, LEADER DELL'ASSOCIAZIONE GIOVANI IRANIANI IN ITALIA" di Zenab Atalla

Parla la giovane studentessa iraniana, figlia di esuli politici nel nostro Paese, che con la sua testimonianza sulla protesta di Theran ha commosso Pier Ferdinando Casini all’ultimo congresso UDC.

Incontro Azar alla manifestazione di solidarietà con il popolo iraniano, organizzata davanti all’Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran a Roma. Appena la vedo sono tre sono le cose che mi colpiscono: la figura minuta, gli occhi profondi color onice, ed il tono di voce con cui mi saluta, che lascia trasparire la sua grinta. D’altronde il suo nome significa “fuoco” in persiano. Azar ha 23 anni, è nata e cresciuta a Roma, ed è iscritta al terzo anno di Giurisprudenza alla Sapienza. Dell’Iran, il suo paese, sino ad oggi ha potuto ascoltare solo i racconti dei suoi genitori: 30 anni fa, dopo la Rivoluzione e la grande repressione di Khomeini contro i dissidenti interni, Shahrzad e Davood, il padre e la madre, allora giovani studenti universitari anch’essi, costretti a fuggire, sono giunti in Italia come rifugiati politici.Attivisti per i diritti di democrazia e libertà, Shahrzad e Davood, hanno continuato la loro attività politica anche qui: una costante che ha fatto da sfondo alla vita di Azar. Da bambina segue i genitori alle manifestazioni contro il regime degli Ayatollah che gli attivisti promuovono in tutta Europa, a 14 anni è in piazza con un gruppetto di ragazzi figli di esuli politici come lei. Nel 2006 ottiene la licenza liceale, si iscrive a Giurisprudenza, e fonda l’associazione Giovani Iraniani in Italia. La protesta scoppiata in Iran a giugno, dopo la contestata rielezione di Mamhud Ahmadinejed alla presidenza del Paese, con migliaia di persone in piazza, donne e uomini, giovani ed anziani, non ha sorpreso Azar. Mi spiega: “La repressione dura da 30 anni, la gente non ne può più. E dopo le ultime elezioni, ha detto basta. Le ragazze di Tehran, di Mashad, e di altri centri con cui sono in contatto, mi ripetono tutte la stessa cosa: continueremo a manifestare finchè otterremo diritti e democrazia, la repressione non ci fermerà.”. A metà dello scorso dicembre, Azar Karimi, con il suo intervento a difesa del diritto alla protesta degli iraniani contro il regime teocratico, ha appassionato la platea dei delegati del congresso dell’UDC. Stretta tra Lorenzo Cesa e Pierferdinando Casini, che l’ha abbracciata a lungo assicurandole il sostegno della sua formazione politica, mentre il congresso tributava alla giovane una vera e propria standing ovation.

Women in the city. Azar, sei iraniana nata in Italia, come hai vissuto la tua infanzia?

Azar Karimi. Ho vissuto relativamente bene, da cittadina italiana, come una persona normale. Integrata bene e con tanti amici. Ma ho sempre sentito di avere qualcosa di meno rispetto ai miei coetanei. Io non potevo e ancora non posso andare nel mio Paese, tornare a casa, visitare la città dei miei genitori, la nostra famiglia, i miei nonni. Questo, perché i miei genitori sono esuli politici, dissidenti del regime dei mullah, tornare in Iran per loro significa la prigione e la morte. Quando ero piccola, questo non potere tornare in Iran mi poneva sempre tante domande, e non riuscivo a comprendere veramente la ragione. Crescendo, ho capito: lo status di rifugiati politici dei miei genitori si è trasmesso automaticamente anche a me, quando sono nata.Quindi, nonostante io abbia la cittadinanza italiana dall’età di 18 anni, andare in Iran mi è praticamente vietato: potrei essere arrestata, non ho la certezza del ritorno. Lì i miei genitori sono conosciuti, ed è conosciuta la loro attività politica.

Witc. Quale è il sentimento che più di tutti segna una ragazza come te, figlia di perseguitati politici? La paura? Anche qui, in Italia?

A.K. Paura per me, certamente no, perché vivo in un Paese democratico, dove c’è libertà, quella che tanti miei coetanei iraniani sognano di ottenere. Paura per la mia famiglia, in Iran, insieme al rimpianto di non poterli vedere, si. ero più piccola, la paura più grande la provavo per i miei nonni. Sentivo le loro voci e i racconti al telefono: vivevano sotto la pressione delle milizie, non potevano lasciare insieme il Paese per venirci a trovare, solo uno per volta. I periodi consentiti erano sempre più brevi, e quando il nonno o la nonna decidevano di venirci a trovare, cominciavano a ricevere minacce telefoniche. Una volta al mese mia nonna veniva portata in commissariato per essere interrogata, ed una volta è stata incarcerata con mia zia per un mese intero. I carcerieri le raccontavano che mia madre era stata uccisa, oppure che sarebbe stata assassinata se lei non fosse riuscita a convincerla a smettere la sua attività politica contro il regime. A mia madre venivano inviate le stesse minacce: se non avesse smesso, i suoi genitori, tutta la famiglia, sarebbero stati giustiziati. Naturalmente sia noi che i nostri parenti in Iran sapevamo che nulla di quello che diceva il regime era vero, ma la paura rimaneva.

Witc. Quale il tuo punto di vista sull’attuale situazione in Iran?

A.K. Penso che in Iran siamo arrivati ad un punto di non ritorno. Adesso la gente che manifesta sa quello che vuole: il rovesciamento del regime e di tutti gli apparati che gli ruotano intorno. L’obiettivo sono democrazia e elezioni libere. Da quando sono iniziate le manifestazioni di piazza, io e i miei amici proviamo una grande preoccupazione per quanto avviene laggiù, per la repressione, per il sangue versato, ma nello stesso tempo siamo elettrizzati perché qualcosa sta cambiando. (Fonte: 10/1)

A pag. 52 del settimanale "Gente" di questa settimana, c'è un bellissimo servizio su Azar e la sua famiglia.
Witc. A cosa pensi quando dici “cambiamento”?


A.K. Cambiamento per me è la volontà della gente, nel senso che oggi gli ayatollah non possono più nascondere che c’è una forte opposizione popolare alla loro politica. La gente vuole apertamente la caduta del regime teocratico e l’instaurazione della democrazia.Pochi giorni fa ho visto un breve video nel quale si vedono manifestanti che prendono d’assalto un gruppo di poliziotti, riuscendo a metterli in un angolo. Si vedeva chiaramente che i poliziotti avevano paura: la gente gli tirava i sassi addosso, mentre loro scappavano pur essendo armati. Fino a qualche mese fa queste cose non si vedevano. Come non si vedevano bruciare le foto di Khomeini per strada, o gridare slogan come “morte al dittatore”. Adesso è ben chiaro che quando si sente gridare “morte al dittatore” significa dire morte a lui, al suo governo ed al suo regime.

Witc. Gli analisti occidentali dicono che la protesta ha messo in luce nel paese una spaccatura sociale, a protestare sarebbe l’elite intellettuale e benestante. Quale è il tuo punto di vista?

A.K. Sono convinta che non sia così: la protesta è trasversale, e coinvolge giovani e anziani, donne e uomini, tutti gli strati sociali. Un nipote di Moussavi è stato ucciso, il figlio di un membro del regime è stato torturato, seviziato e poi ammazzato in carcere.È una pretesta generale, ciascuno ha vinto la propria paura ed è sceso in piazza. Il malcontento che serpeggiava da trentanni è esploso. In prima fila ci sono migliaia di donne. Perché sorprendersi? L’Iran è un paese giovane, le ragazze vanno a scuola da cento anni, vanno all’università, lavorano. Il regime misogino le ha sempre trattate in un modo animalesco, brusco. Imponendo una condizione di sottomissione, di inferiorità legale; le donne iraniane sono represse, sorvegliate nell’abbigliamento, separate dagli uomini nello spazio pubblico. Vivere una condizione di questo genere è impensabile, la donna non è una proprietà. Penso che il regime abbia sempre temuto la nostra potenza, perché in un modo o nell’altro le iraniane gli hanno sempre dato filo da torcere, e per questo Neda, la studentessa uccisa nel corso delle manifestazioni, è diventata il simbolo di tutta la protesta iraniana.Dall’altra parte, nella provincia iraniana o nei quartieri cittadini degradati si sono anche molti analfabeti, molti disoccupati e molti drogati. Se metti una persona nella condizione di restare analfabeta, di avere la droga e di non avere un lavoro, sei sicuro che difficilmente riuscirà a ribellarsi.

2 commenti:

petroniostefano ha detto...

Sul regime iraniano c'è poco da aggiungere, lo sappiamo da sempre com'è.
Ora è in grande difficoltà interna e quindi, come tutti i regimi, cerca di distogliere l'attenzione verso l'esterno (USA, Israele, uranio arricchito, la nostra Ambasciata assalita), non mancando poi di fare leva sugli aspetti economici (scambi commerciali, petrolio); ed è su questi aspetti che gli altri stati hanno responsabilità, compresa l'Italia: non si può deplorare un regime e poi farci affari.

Alessandra ha detto...

A proposito dei rapporti Iran-Italia, la denuncia di Shirin Ebadi, che afferma che anche l'Italia vende armi all'Iran: "Le sanzioni non servono, bisogna isolare il regime

archiviostorico.corriere.it/.../sanzioni_non_servono_bisogna_isolare_co_9_100205008.shtml