Ha recitato senza il velo in una pellicola sulla caccia a un leader di Al Qaeda
Tutto è filato liscio fino a quel secondo, maledetto trailer. È lì, in quei 150 secondi di anticipazione di uno dei film hollywoodiani candidati a sbancare i botteghini autunnali, che forse si nasconde il motivo della condanna di Golshifteh Farahani. Perché, tra un'esplosione e un primo piano di Leonardo Di Caprio, questa 25enne attrice
Un «peccato» che le è costato il divieto assoluto di uscire dalla Repubblica Islamica. Notificatole proprio mentre, all'aeroporto Khomeini di Teheran, stava per prendere un volo per Los Angeles, via Europa, per trattare un suo nuovo ruolo in una pellicola nella «Mecca del cinema». La notizia è stata fornita per prima dall'agenzia di stampa iraniana Irna. «Dopo aver recitato nel film Body of Lies, a Golshifteh Farahani è stato vietato di lasciare l'Iran. Avrebbe dovuto recarsi martedì a Hollywood ma gli organi competenti le hanno impedito di abbandonare il territorio». Pochissime parole, nessuna spiegazione. Anche se altri siti di informazione iraniani attribuiscono la decisione al ministero della Cultura e della guida islamiche, l'Ershad. In sostanza, ogni attore iraniano deve chiedere un permesso ufficiale per lavorare in un film straniero. E Golshifteh non ne avrebbe chiesto uno per volare a Hollywood a esaminare la nuova proposta. La realtà, però, potrebbe essere diversa. E gli indizi in questa direzione non mancano. (Fonte: "Corsera") .
Anzitutto, ai censori dell'Ershad potrebbe non esser piaciuta la trama di Body of Lies. Il film, diretto da Ridley Scott, racconta dell'agente della Cia Roger Ferris (Leonardo DiCaprio) che, aiutato da un collega (Russel Crowe), vola in Giordania per dare la caccia a un leader di Al Qaeda. E che, durante la missione, si innamora di un'infermiera locale, Ayesheh. Ovvero, Golshifteh Farahani. Il rischio-scomunica, con una trama del genere, era evidente. Un'attrice iraniana impegnata in un film del «Grande Satana», in cui gli americani inseguono un terrorista islamico e in cui lei si deve «innamorare» di uno 007 statunitense. Per questo la produzione del film aveva già deciso di adattare la sceneggiatura, prendendo provvedimenti per evitare di infrangere le regole islamiche sulla «modestia femminile». Ma quando la Warner Bros ha reso pubblico un secondo trailer del film, in cui — per un solo fotogramma — Golshifteh appare, dietro a DiCaprio, senza il velo, il quotidiano iraniano Etemad ha sollevato un sopracciglio. Il sito conservatore Tabnak si è chiesto perché fosse stato permesso alla Farahani di girare quel film. E, pochi giorni dopo, è giunto il bando.
Per la giovane star — la prima iraniana dalla Rivoluzione khomeinista ad apparire in un film hollywoodiano — non si tratta del primo scandalo. La sua carriera, iniziata a soli sei anni (anche grazie all'aiuto del padre, l'attore e regista Behzad), ha già incrociato un film discusso: in Santuri lei è la moglie di un musicista iraniano che si dà alla droga. Tematica attuale, in Iran (dove, scrive la France Presse, ci sarebbero almeno due milioni di tossicodipendenti), ma scabrosa: tanto che l'Ershad ne ha bloccato per mesi l'uscita nelle sale. Eppure nulla sembrava poter fermare la sua ascesa verso il successo: prima in patria (migliore attrice, a 14 anni, al Fajr Film festival), poi al di fuori dei confini, con la Conchiglia d'Oro al festival di San Sebastian per Half Moon e la partecipazione agli Oscar, con M for Mother.
Martedì, invece, lo stop. «Sono sconvolto — dice al Corriere David Ignatius, il reporter del Washington Post dal cui romanzo è stato tratto Body of Lies —. La sua recitazione nel film è stata straordinaria. E la sua detenzione nei confini iraniani è una tragedia, per lei e per la cultura del suo Paese». Nessun commento, invece, dai produttori del film, che prevedono lo sbarco nelle sale italiane per il 21 novembre. E nemmeno una parola da Golshifteh: il suo cellulare, giovedì, suonava a vuoto, e non ha risposto neppure a degli sms. Eppure tutto, per lei, stava andando perfettamente. Fino a quel secondo, maledetto trailer.
Anzitutto, ai censori dell'Ershad potrebbe non esser piaciuta la trama di Body of Lies. Il film, diretto da Ridley Scott, racconta dell'agente della Cia Roger Ferris (Leonardo DiCaprio) che, aiutato da un collega (Russel Crowe), vola in Giordania per dare la caccia a un leader di Al Qaeda. E che, durante la missione, si innamora di un'infermiera locale, Ayesheh. Ovvero, Golshifteh Farahani. Il rischio-scomunica, con una trama del genere, era evidente. Un'attrice iraniana impegnata in un film del «Grande Satana», in cui gli americani inseguono un terrorista islamico e in cui lei si deve «innamorare» di uno 007 statunitense. Per questo la produzione del film aveva già deciso di adattare la sceneggiatura, prendendo provvedimenti per evitare di infrangere le regole islamiche sulla «modestia femminile». Ma quando la Warner Bros ha reso pubblico un secondo trailer del film, in cui — per un solo fotogramma — Golshifteh appare, dietro a DiCaprio, senza il velo, il quotidiano iraniano Etemad ha sollevato un sopracciglio. Il sito conservatore Tabnak si è chiesto perché fosse stato permesso alla Farahani di girare quel film. E, pochi giorni dopo, è giunto il bando.
Per la giovane star — la prima iraniana dalla Rivoluzione khomeinista ad apparire in un film hollywoodiano — non si tratta del primo scandalo. La sua carriera, iniziata a soli sei anni (anche grazie all'aiuto del padre, l'attore e regista Behzad), ha già incrociato un film discusso: in Santuri lei è la moglie di un musicista iraniano che si dà alla droga. Tematica attuale, in Iran (dove, scrive la France Presse, ci sarebbero almeno due milioni di tossicodipendenti), ma scabrosa: tanto che l'Ershad ne ha bloccato per mesi l'uscita nelle sale. Eppure nulla sembrava poter fermare la sua ascesa verso il successo: prima in patria (migliore attrice, a 14 anni, al Fajr Film festival), poi al di fuori dei confini, con la Conchiglia d'Oro al festival di San Sebastian per Half Moon e la partecipazione agli Oscar, con M for Mother.
Martedì, invece, lo stop. «Sono sconvolto — dice al Corriere David Ignatius, il reporter del Washington Post dal cui romanzo è stato tratto Body of Lies —. La sua recitazione nel film è stata straordinaria. E la sua detenzione nei confini iraniani è una tragedia, per lei e per la cultura del suo Paese». Nessun commento, invece, dai produttori del film, che prevedono lo sbarco nelle sale italiane per il 21 novembre. E nemmeno una parola da Golshifteh: il suo cellulare, giovedì, suonava a vuoto, e non ha risposto neppure a degli sms. Eppure tutto, per lei, stava andando perfettamente. Fino a quel secondo, maledetto trailer.
1 commento:
Del resto, basta vedere (o meglio, non vedere) la moglie del capo di stato per capire in che situazione discrimnante vivano le donne in Iran. Ne farò presto un articolo.. ciao e grazie per le tue visite nel mio blog, è un piacere ricambiare
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