sabato 17 settembre 2011

... MA PER LE DONNE IL NILO E' ANCORA UNA CONDANNA

"Siamo in prima linea eppure ci negano ruoli pubblici" spiega Mansoura Ez Eldin

Una saga familiare nell’Egitto rurale, dove l’esistenza è scandita dalla superstizione e dagli spiriti del Nilo. Due donne lasciano il villaggio per trovare se stesse: Gamila, che ha il coraggio di sperimentare il sesso e l’amore, e da ragazzina ombrosa diventa altera e vincente; e Salma, costretta a far ritorno nelle campagne immobili per chiudere vecchi conti emotivi, arginando con la scrittura la follia che la insegue.
Dice di ispirarsi a Kafka, Borges e Virginia Woolf, la scrittrice egiziana Mansoura Ez Eldin, e infatti nel suo ultimo romanzo Oltre il paradiso (in libreria il 1° settembre per Piemme, trad. di Valentina Colombo) il realismo della vita sul delta del Nilo si colora di sogno e viaggi della mente. “Uno stile che i lettori arabi non si aspettano da una donna araba” sorride lei, che a 35 anni è già considerata fra gli intellettuali più interessanti del Paese.
Giornalista del settimanale culturale Akhbar Al-Adab, sposata con lo scrittore Yasser Abdel Hafez, Mansoura è stata l’unica donna finalista al prestigioso premio letterario Booker Arabo 2010, e anche editorialista per il New York Times dopo la rivoluzione del 25 gennaio.

Cosa ci racconta della società egiziana e delle radici della rivoluzione, il suo nuovo libro?

Rileggendolo dopo gli eventi di piazza Tahrir, ho compreso perché la rivoluzione fosse così necessaria. La nostra società era morta, costellata di vite sprecate. Anch’io sono nata sul delta del Nilo, vivo al Cairo solo da 15 anni, e il romanzo è stato una scontro con la mia memoria. Ero ossessionata dal potere della mitologia nelle campagne, dove la barriera tra immaginazione e realtà è fragilissima, come se si vivesse dentro le Mille e una notte. Ricordo una zia che non iniziava la giornata se prima non aveva interpretato i propri sogni. Volevo rileggere questo vecchio mondo attraverso gli occhi moderni di Salma e Gamila.


La battaglia delle protagoniste per l’emancipazione riflette la sua?

Ho lottato per ogni traguardo raggiunto, sostenuta da mia madre, e anche per liberarmi del velo islamico. Vengo da una famiglia religiosa e conservatrice, sono stata la prima ragazza a lasciare il villaggio per vivere da sola al Cairo. Non mi è mai piaciuto indossare il velo, ma faceva parte dell’uniforme scolastica. Verso i 21 anni, al Cairo, ho pensato che non avesse più senso portarlo visto che non sono religiosa. E alcuni amici mi hanno voltato le spalle: chi è nato in città, non avendo dovuto battersi per i propri diritti, a volte è più tradizionalista della gente di campagna.

La stampa occidentale spesso cristallizza la donna araba in due stereotipi opposti: velata e oppressa, oppure odalisca come una Sheherazade. La infastidisce?

Certo, ma detesto anche gli stereotipi attraverso cui il mondo arabo guarda alle donne occidentali. Forse dovremmo tutti leggere più autori stranieri, perché i grandi scrittori svelano il cuore di una società.

Un mese fa le femministe egiziane hanno manifestato per la parità di diritti, che sembra lontana. Perché la rivoluzione non ha cambiato la condizione femminile?

Le donne sono state in prima linea, in piazza Tahrir, ma ora molte voci negano il loro ruolo. Nel governo c’è una sola donna, Fayza Aboul-Naga, ministro della cooperazione internazionale. E il partito islamico dei Salafiti ha dichiarato che dobbiamo tornare a occuparci della casa e dei figli, invece di lavorare e aspirare a ruoli pubblici. Molti uomini, in Egitto, pensano che difendere i diritti delle donne significhi ridurre i propri.

L’Egitto affronta due eventi cruciali: il processo a Mubarak e le elezioni previste in novembre. Intanto manifestate contro il regime militare che ritarda le riforme. Cosa si aspetta che accadrà?

La rivoluzione non è finita: dobbiamo riprenderla da capo, e ci vorrà un altro anno per vedere veri risultati. Mubarak non era il problema principale: l’esercito doveva liberarsi di lui e dei suoi figli per restare padrone del Paese. Oggi il regime militare accusa il movimento “6 aprile” di essere al soldo degli stranieri, ha tutti i media dalla propria parte: dobbiamo liberarci di loro, abbiamo già versato troppo sangue per il nostro sogno di democrazia. Ma spero che i partiti democratici si preparino bene alle elezioni, perché i Salafiti e i Fratelli Musulmani sono già pronti: non vorrei mai liberarmi dei militari per essere sorpresa da un regime salafita.

Sul New York Times lei ha scritto: “La rivoluzione non è un appuntamento galante”. Che significa?

Dopo la “rivoluzione del gelsomino” in Tunisia, sostenevo che anche l’Egitto avrebbe conosciuto una rivolta, ma senza profumo di fiori. La rivoluzione non è una festa: conoscevo tanti che sono morti sulle strade, anche un mio caro amico. E’ nostro dovere continuare la rivoluzione e restare ottimisti. A gennaio non avevamo che i nostri sogni, oggi siamo più forti: dobbiamo ricominciare da questo. (Fonte: "IO DONNA", 20/8)

3 commenti:

GuerreGiudaiche ha detto...

Rivoluzione, ancorché sollevazione popolare, è anche rivolgersi all'indietro, tornare sui propri passi. Scritto in maniera asettica, il nordafrica non era comunque una culla di democrazia, durante la dominazione colonialista, anzi: erano libere le donne della nazione occupante, schiave le autoctone. Il vero problema è un altro. Il vero problema è che ci sono donne in tutto il mondo, ma crearne di specie diverse mina al cuore l'unita compattezza di un possibile movimento femminista; genera insoddisfazione estati di tensione attraverso il turismo sessuale ed i matrimoni pro-cittadinanza acquisita. Il vero nemico del potere è il popolo, ma se si manovra sapientemente lo si fa diventare voglo disperso, pressoché innocuo. Inoltre, dove si creano le condizioni affinché maturi la disperazione, si fabbricano future masse di elettori, che seguiranno fedelmente chiunnque sappia loto vendere il fumo di una migliore vita nuova.

Anonimo ha detto...

in breve:
DIVIDE ET IMPERA

Eudora

Alessandra ha detto...

Benvenuto, Guerre.
Già, Eudora.