mercoledì 21 settembre 2011

LETTERA DI UNA PRIGIONIERA POLITICA IRANIANA AL RELATORE SPECIALE DELLE NU, AHMED SHAHEED


5 Settembre 2011

Per la prima volta scrivo questa lettera al Sig. Ahmed Shaheed, Relatore Speciale delle Nazioni Unite, in quanto una giovane studentessa imprigionata.

Sig. Ahmed Shaheed

Si parla del suo viaggio nel mio Paese. Un Paese in Oriente, precisamente nel Medio-Oriente. Una regione che, negli ultimi anni, ha cominciato ad attirare l’attenzione di molti e dalla quale ci si aspetta un nuovo evento in qualsiasi momento. Non ho niente a che fare nè con il Medio-Oriente né con coloro che stanno a guardarlo con attenzione. Mi preoccupo di una nazione nel sud-ovest dell’Asia che nella mappa mondiale ha la forma di un gatto. Un Paese per il quale, stando alle ultime risoluzioni delle Nazioni Unite, le è stato richiesto di fornire un rapporto sulle condizioni dei diritti umani. Sì, le sto parlando dall’Iran e dal suo cuore pulsante, la prigione di Evin. In questi giorni i circoli politici, i media, le informazioni … e diverse posizioni ufficiali di vari governi parlano tutti del suo viaggio in qualità di Speciale Rappresentante dei Diritti Umani e della sua decisione di scrivere il tale rapporto.

Non sono sicura, per un Paese dove il Presidente,Ahmadinejad, ha più volte dichiarato, nell’ambito di conferenze sugli affari interni ed esteri, “C’è libertà assoluta in Iran” e “l’Iran è il più democratico Paese della regione”, cosa ci potrebbe essere, allora, dietro alla scena per obiettare la venuta di un rappresentante dei diritti umani? In un Paese libero(!) dove ogni critica e protesta affronta l’intimidazione e la minaccia, in un Paese libero dove ogni difesa delle opinioni e religioni diverse da quelle dei governanti corrisponde alla detenzione, l’incarcerazione e l’incatenamento, in un Paese libero dove ogni difesa da parte degli avvocati nei riguardi dei loro clienti innocenti - persino nei processi farsa - corrisponde alla prigione, a sentenze aspre e al loro allontanamento dal pubblico esercizio. In un Paese libero dove l’intimidazione ed il clima di terrore e la dimostrazione di potere è resa evidente dalle pubbliche nelle piazze, non c’è niente che si possa nascondere.

Sig. Ahmed Shaheed

Che comprendere o meno questa situazione sia semplice o no per lei, questi sono i fatti delle nostre vite. Siamo imprigionati per le nostre opinioni in un Paese dove le autorità esprimono il loro dispiacere per gli abusi dei diritti della gente di altri Paesi, persino quelli più lontani, ogni minuto ed ogni giorno, e dichiarano la solidarietà a quella gente, criticando i governanti dispotici delle altre nazioni e ammonendo i dittatori ad ascoltare la loro gente, perché il popolo cambierà il corso della storia.

Discutono del trattamento degli studenti e parlano della libertà parola e d’opinione. In queste circostanze mi chiedo “Chi sono io?” Io che sono stata imprigionata per le mie opinioni, i miei pensieri, le mie compagne di cella, donne innocenti con un modo diverso di vedere la realtà, ci collochiamo in quale parte di questo puzzle? “Perché, allora, voi non riuscite a sentire la nostra voce?”

Dopo vari tentativi per far si che i funzionari sentano la tua voce, puoi concludere il discorso dicendo “La morte è buona, ma per i nemici”. Quindi quando la tua voce non è ascoltata, piangi e parli dei diritti perduti, piangi affinché qualcuno possa sentirla, persino qualcuno al di là dei confini. Piangi per far sì che quelle coscienze sensibili ti risveglino dai tuoi dolori e dai tuoi lamenti e che la mia lettera a Lei possa essere come quel pianto da una montagna di dolore e sofferenza. Le parlo quale ragazza iraniana di 24 anni, una studentessa di Scienze Informatiche dell’Università di formazione per insegnanti a Teheran, che è stata in carcere assieme a suo fratello per aver cercato giustizia , libertà e dignità umana dal 19 febbraio del 2009. Una ragazza che, nei due anni e mezzo di prigionia, ha sperimentato il servizio segreto d’informazioni del carcere, sezione 209 e sezione pubblica della prigione di Evin, la prigione di Rajai Shahr e la prigione Gharechak di Varamin. Le sto parlando quale studentessa iraniana.
Mentre le persone della mia età, negli altri Paesi, vengono supportate dai loro governi a seguire la via del successo in tutti i campi di dominio sociale e scientifico, io sto lottando, dietro le sbarre, per avere il minimo dei diritti umani. Per il diritto di pensare, il diritto di esprimere i miei pensieri e persino il diritto di respirare. In un Paese dall’ampio cielo e dal vasto territorio dove, grazie all’avanguardia della tecnologia e delle camere a circuito chiuso, la mia porzione di diritti si riduce all’angolo di una gabbia dove anche il mio respiro viene contato, ed il mio unico mezzo di comunicazione, con il mondo esterno, in questa era della comunicazione, sono i soli 20 minuti che trascorro in una parlatorio con la mia famiglia dietro ad un vetro sporco e con l’ausilio di un telefono. Il mio unico spazio è un angolo angusto di una gabbia senza aria fresca. Quando gli atti di valore per la scienza e la tecnologia sono bersaglio dei governanti, ti chiedi cosa significhi allora la prigionia degli studenti? Eccetto centinaia di persone che vengono private del loro diritto a continuare gli studi solo per ciò in cui credono. L’aspetto più doloroso di questi comportamenti è che non si limita agli studenti ma si allarga fino a toccare i medici, gli ingegneri, gli avvocati, gli insegnanti, le casalinghe, i giovani ed gli anziani, gli uomini e le donne!

Sig. Ahmed Shaheed!

Quando sfoglio il libro della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, non ho altro che rimpianti dal momento che non posso trovarne alcun esempio nel mio Paese. Al fine di provare la nostra umanità con qualsiasi opinione e religione, dobbiamo sottometterci a questa dura lotta e pagare il prezzo solo per l’umanità. Sono in grado di dare esempi di violazione per ciascuna delle sezioni della congiunta Dichiarazione dei Diritti Umani. Io e mio fratello ( Farzad) siamo stati interrogati in celle solitarie della sezione 209 della prigione di Evin, non solo per le nostre personali opinioni ma, anche, per quelle di alcuni membri della nostra famiglia. Ho visto alcune delle donne della baha’i in questa stessa sezione 209 che sono state detenute solo per il loro modo di pensare. Ho visto i giornalisti che sono stati imprigionati per aver dato notizie in merito alla situazione esistente. Ho assistito al processo ingiusto di mio fratello ed al mio, condannarci a cinque anni di prigione in Iran nei posti più esemplari d’esilio.

Sì Sig. Shaheed, abbiamo una così lunga ed amara storia che posso solo menzionarne alcuni punti. Ho vissuto in prigione da quando avevo solo 21 anni assieme a drogati, assassini, spacciatori e prostitute, tutte vittime del sistema ingiusto ed infernale di questa terra.

Ho sperimentato la peggior specie di situazioni possibili. Situazione di vita orribile a Rajai Shahr, avendo solo due bagni, un lavandino e due docce per 200 persone rappresenta il più tangibile e al limite degli esempi di questa situazione. Ho visto tante cicatrici e pene su queste persone sofferenti. Mi sono seduta con loro, sofferto con loro, e pianto per la loro solitudine e mancanza d’aiuto. Vorrei le vedesse anche lei, vedesse come non solo i loro diritti basilari di detenuti al centro di detenzione di Share Ray (Prigione di Garechak) vengono ignorati ma, anche e soprattutto i loro basilari diritti umani. Che lei vedesse le donne indifese detenute in un luogo che non ha alcuna relazione con gli standards di una prigione. Ora dopo essere stata esiliata nella prigione di Rajai Shahr sono stata trasferita nuovamente ad Evin. Assieme ad altre 32 donne innocenti sto trascorrendo giorni bui di detenzione in un posto che secondo gli stessi ufficiali della prigione non può nemmeno essere riconosciuto come una “sezione” con i minimi mezzi di comunicazione e situazione di sicurezza.

Sig. Shaheed!

Non so come sarò trattata dopo aver scritto questa lettera, perché nella prigione di Rajai Shahr mi è stato impedito d’incontrare e telefonare alla mia famiglia per ben quattro mesi, dal 14 ottobre 2010, poiché li avevo informati delle mie condizioni critiche. Ora sono quasi due mesi che mio fratello Farzad Madadzadeh con altri tre amici, Saleh Kohandel, Behrouz Javid Tehrani e Pirouz Mansouri sono stati trasferiti dalla prigione di Rajai Shahr alla sezione di massima sicurezza della prigione di Evin. Da quel momento non abbiamo più avuto loro notizie. Ma abbiamo imparato questa valida lezione a costo degli anni della nostra giovinezza. Ora che ha avuto il compito di testimoniare tutte queste sofferenze personali, forse sprecando un po’ del suo prezioso tempo, potrà informare il mondo di loro utilizzando la sua coscienza e consapevolezza e forse prevenire di continuare queste crudeltà.

Sign. Shaheed ci sono molte cose da dire e queste sono solo una piccola parte del mare di sofferenza e di dolore. Dal momento che questo piccolo raggio di speranza esiste nella sofferenza del popolo iraniano e in tutti i cuori dei prigionieri, il suo rapporto potrebbe rappresentare gli sforzi di realizzazione del sogno di tutti coloro che hanno messo assieme la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e portare ad una situazione di miglioramento. Ovviamente esiste anche la paura che questa possibilità venga assorbita dai giochi politici come migliaia di altre questioni. Ora tutti gli occhi sono su di lei. Non permetta che questo accada.

Shabnam Madadazadeh

Prigione di Evin

Settembre 2011


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