ELEZIONI. AFFRONTANO IN 406 LE MINACCE DI MORTE PER CONQUISTARE UNO DEI 64 SEGGI LORO GARANTITI DALLE QUOTE ROSA.
CANDIDATE AL PARLAMENTO, IN NOME DEI DIRITTI MA ANCHE DEL "VERO ISLAM"
KABUL - Quattro paia di ciabatte. «Per ricordarmi che in questo Paese la gente è così povera da camminare a piedi nudi». Quattro paia di ciabatte. «Sono quelle rimaste nelle urne, quando un anno fa hanno dovuto pigiare dentro i voti falsi per Karzai».
Malalai Ishaq Zai (qui sopra) ha trasformato in slogan il simbolo estratto alla lotteria dalla commissione elettorale, il segno di riconoscimento per quegli afghani che non sanno leggere, la maggioranza. E' l' unica donna a sedere in parlamento nata a Kandahar, nel sud ultraconservatore. Quest' anno si è dovuta presentare a Kabul, per scampare alle minacce di morte dei talebani (due anni fa le hanno rapito il figlio maggiore per convincerla a dimettersi) e alla vendetta politica di Ahmed Walid Karzai, il potente (troppo per tutti, anche per gli americani) fratellastro del presidente. «Re Ahmed, lo chiamo io. Me l' ha giurata perché sto all' opposizione. Un' amica mi ha avvertito: farà qualunque cosa per non lasciarti eleggere». Una parete del suo ufficio riunisce in un sacrario tre uomini che in vita si sono combattuti: Daoud Khan, presidente ucciso dai sovietici nel golpe comunista, Mohammad Najibullah, ultimo leader imposto dai sovietici, e Mohammad Shah Massoud, il capo militare che ha guidato l' insurrezione contro l' Armata Rossa. «Sono gli unici a non aver mai svenduto la nazione». La campagna elettorale le costa 100 mila dollari, sponsorizzati da uomini d' affari di Kandahar, e dovrebbero servire a sconfiggere gli altri 2.514 candidati e a conquistare uno dei 64 seggi garantiti (come quota minima su 249) alle donne. Che a correre sono in 406, molte più delle 328 di quattro anni fa. I diritti femminili stanno al quinto posto nel programma politico di Malalai (42 anni, 7 figli, un marito che se n' è andato con la seconda moglie), al primo c' è il rispetto dei valori musulmani. «L' Islam, se non viene distorto, ci garantisce più della Costituzione».
Farkhunda Zahra Naderi (qui sopra), un' altra candidata, ha scelto il burqa come bandiera («la nostra finestra sul potere») e non si è lasciata fotografare («questo non è un concorso di bellezza»). Farkhunda viene da una ricca famiglia ismaelita, è stata educata a Londra, è tornata in Afghanistan.
Farida Tarana (qui sopra) ha lasciato un esilio di vent' anni in Iran per gareggiare nella seconda edizione di Afghan Star (l' X Factor locale, ottava classificata) e adesso alle elezioni. A quelle per il consiglio provinciale di Kabul, un anno fa, è arrivata seconda, 8 mila sostenitori e ancora tanti che la ricordano dalla televisione, anche se ha perso chili («dieta più ginnastica») e indossa un paio di occhiali squadrati che invecchiano i suoi 28 anni. Resta rotonda e single, le guance truccate hanno il colore rossastro della tinta che ha scelto per il quartier generale. Vuole trovarsi in parlamento quando ci sarà da votare (per dire no) una legge come quella passata nel 2009, che obbliga le donne sciite a non sottrarsi alle richieste sessuali del marito. E' laureata in Informatica e sta studiando Scienze politiche. «Bisogna sostenere i giovani, rappresentano il 60-70 per cento di questo Paese e i deputati sembrano dimenticarsene». Il suo modello è Shukria Barakzai, militante femminista e deputata, che non ricambia: pochi giorni fa, se l' è presa con le aspiranti parlamentari, «vogliono entrare nell' assemblea, non sanno niente». Farida si presenta come indipendente e si proclama «dalle parti del presidente Karzai». Ha lavorato per la Kabul Bank, travolta da uno scandalo finanziario in queste settimane e accusata di sovvenzionare i neo-candidati senza partito per poi garantire il sostegno alla formazione presidenziale. «Mi aiutano alcuni amici che ci lavorano, non la banca», risponde lei. Anche Robina Jalali (sotto),
25 anni, è passata per la Kabul Bank e porta in campagna elettorale la fama conquistata fuori dalla politica. Ha corso i cento metri all' Olimpiade di Atene 2004 (penultima) e quattro anni dopo a Pechino (ultima). In Cina, unica donna nella squadra afghana, ha insistito per gareggiare con il velo. Non l' ha protetta dagli attacchi. «Vivo nella paura, ogni volta che ho viaggiato all' estero sono stata minacciata. Avrei potuto lasciare il Paese, ma che modello sarei diventata per quelli che rimangono?». (Fonte: http://www.corriere.it/ , 17/9)
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