domenica 7 agosto 2011

TORINO: IRANIANE DI SUCCESSO IN CAMICE BIANCO

Nahid Ziariati, ginecologa




Nasrin Nosrati, tecnico di radiologia





Sheila Fares, cardiologa





Dina Neda Sabet, nutrizionista



Sono arrivate negli anni Settanta per fare l’università in Europa, sono rimaste a lavorare in ospedale. Dimostrando di essere più brave dei maschi. E degli italiani.

Con la tipica cerimoniosità e cortesia persiana la ginecologa Nahid Ziarati ci fa accomodare nel suo studio medico di Settimo, vicino a Torino. Mi chiama affettuosamente "cara" che sarebbe la traduzione di azizam, termine persiano molto usato, unico elemento che rimanda alla sua origine iraniana. Con i suoi lunghi riccioli castani, infatti, non si direbbe che non è di queste parti. E invece arriva da un Paese lontano non tanto per la distanza geografica, quanto per ciò che rappresenta culturalmente.
«Le persone si stupiscono perché immaginano l’Iran come una sorta di inferno delle donne, luogo di fanatici, che magari si spostano ancora con i cammelli» scherza. «Ora, dopo tanti anni di lavoro lascio perdere, ma quando ero più giovane cercavo di smontare tutte le loro convinzioni: dicevo che noi in inverno sciamo sulle montagne di Teheran, che le università iraniane sono piene di donne, che non siamo poi così arretrati…». Come Nahid, già dai primi anni Settanta, centinaia di giovani iraniani sono venuti in Italia a studiare, considerando il nostro Paese una tappa intermedia prima di raggiungere luoghi più ambiti, come gli Stati Uniti. Ma poi gli eventi della vita, matrimoni, opportunità di lavoro e la rivoluzione islamica del 1979, hanno trasformato l’Italia nella loro meta definitiva.
Era stato lo scià di Persia a volere che i rampolli delle famiglie altolocate andassero a istruirsi all’estero per tornare poi a casa con lauree occidentali. Faceva parte del sogno di modernizzare velocemente l’Iran, e questa trasformazione dipendeva moltissimo dalle donne, perché «l’arretratezza di un Paese - sosteneva lui stesso - si vede da quanto sono ignoranti, velate, e relegate in casa le sue donne ». Così chi poteva permetterselo mandava figli e figlie a studiare all’estero. Questi ultimi poi però finivano per non tornare più in patria, soprattutto dopo gli anni della rivoluzione e della guerra con l’Iraq. «Appena arrivati si studiava italiano all’università degli stranieri di Perugia. Era divertente perché noi stranieri eravamo pochissimi e gli italiani facevano a gara per invitarci alle feste» ricorda con il sorriso sulle labbra Nasrin Nosrati, tecnico di radiologia all’ospedale di Chieri.
Gli italiani erano ben dispostinei loro confronti, non era difficile integrarsi: «Poi noi non siamo come gli altri immigrati, che fanno comunità. Gli iraniani sono diffidenti tra loro, per motivi politici e per la religione… Così ci siamo divisi e "mimetizzati"».
Oggi l’Iran è uno dei Paesi che negli ultimi decenni ha esportato più cervelli al mondo, in particolare cervelli femminili. Il fenomeno ha ormai una portata tale che qualche anno fa il governo canadese ha ufficialmente ringraziato i suoi immigrati iraniani (100mila medici) dicendo che per produrre una tale cifra di specialisti avrebbe impiegato almeno 30 anni. Una bella fatica, e tanto denaro, risparmiati.
Sheila Fares è cardiologa ad Alessandria, ed è di religione bahai, fede monoteista nata nell’Ottocento in Iran e quasi sempre perseguitata come eresia, soprattutto dopo la rivoluzione islamica. Formatasi tra Parigi e l’Italia, ci racconta che per le donne iraniane è molto più difficile farcela all’estero: «La mia carriera me la sono dovuta sudare doppiamente, dimostrando prima di essere brava quanto gli uomini e poi quanto gli italiani… Quando dici che arrivi dall’Iran anche i colleghi più colti ti trattano come una che viene dal terzo mondo, che deve essere sottomessa, e allora tiri fuori le unghie e fai vedere che sei capace, che non ti manca niente rispetto a loro». Con il suo caschetto biondo Sheila è tenacissima anche perché l’unica vera caratteristica culturale comune a tutti gli iraniani è la fierezza. «Abbiamo religione e credo politico diversi, ma siamo sempre stati un popolo orgoglioso, discendente di un grande impero e soprattutto non arabo».
E il velo? «Il velo è diventato obbligatorio in Iran per volere dell’ayatollah Ruhollah Khomeini dal 1982, mentre era stato scoraggiato dagli scià del passato» ci racconta Dina Neda Sabet, nutrizionista alle Molinette di Torino. Cresciuta in Italia, spiega come prima della rivoluzione molte donne non lo indossassero, soprattutto quelle della sua famiglia, che non erano di fede islamica: « È proprio per l’imposizione del velo e per l’ossessivo controllo sulla sessualità che molte studentesse sono fuggite in quegli anni».
Oggi, nella confusione politica che continua a caratterizzare la Repubblica islamica, le giovani iraniane continuano a emigrare, quasi come se i versi della grande poetessa persiana Forugh Farrokhzad fossero profezia: «Nella mia piccola notte c’è l’ansia di rovina / il vento ci porterà via». (Fonte: "IO DONNA", 6 - 19 agosto 2011)

18 commenti:

loris r. ha detto...

e nessuna che porti il velo... viva la modernità e l'emancipazione.

Anonimo ha detto...

Gentile Alessandra, prendo atto di quanto segnalato circa le Iraniane che esercitano la Professione Medica nel Torinese. Ho come l'impressione che rimpiangano i tempi dello Shah e, a quanto pare, vivono bene in Italia.
A proposito, prova a vedere sul "sito" del "movimento tutela diritti musulmani" di madama Olivetti: cosa ho scritto a proposito della "encomiabile" iniziativa assunta da colei in merito alla pretesa "circoncisione rituale". La mia lettera è stata pubblicata, ma si sono ben guardati dal replicare in merito. Che ne diresti di screvere qualcosa anche tu alla nostra "amica" neo-convertita?
Nell'attesa, un cordiale saluto. Giancarlo MATTA.

Alessandra ha detto...

Ecco, queste donne, potrebbero fare un bel discorsetto, alla Olivetti.
Provvederò ad intervenire. Bisogna pur cercare di aprire gli occhi alle fortunate che non vivono in terra d'islam e non sanno di esserlo...
Segnalo un reportage sui musulmani europei, che inizia... all'una su Rai 1 (non avrebbero potuto trovare orario più infelice!!!).

Alessandra ha detto...

Scusa, dov'è stata pubblicata la tua lettera? Non ci sarò per una settimana! Saluti a tutti!

Anonimo ha detto...

Gentile Alessandra, la mia lettera è stata pubblicata (!) sul sito "movimento per la tutela dei diritti dei musulmani" di madama Silvia Olivetti il 31.07.2011 sotto il titolo "risposte ai dubbi dei lettori sul progetto circoncisioni del movimento".
E' facilmente rintracciabile con Google. Mi permetto rinnovarTi invito a leggerla, e a scrivere un Tuo commento sul tema. A presto. Giancarlo MATTA.

Anonimo ha detto...

Gentile Alessandra, la mia lettera già pubblicata (!) sul sito "movimento per la tutela dei diritti dei musulmani" di madama Silvia Olivetti il 31.07.2011 sotto il titolo "risposte ai dubbi dei lettori sul progetto circoncisioni del movimento", evidentemente dopo la catalessi dell'innaturale, tragicomico digiuno musulmano, è stata cancellata. Mi permetto rinnovarTi invito a scrivere un Tuo commento sul tema. Se ti servisse, il testo che avevo lanciato alla convertita italiana posso lanciartelo: dimmi dove. A presto. Giancarlo MATTA.

Alessandra ha detto...

Hai ragione, sono tornata ieri dall'estero e non l'ho guardato... La mia e-mail personale è alebo80@libero.it

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