lunedì 20 luglio 2009

PAROLE COME PIETRE SULL'ORDINE DEI GIORNALISTI


"La quota non pagata della decenza", di Pierluigi Battista.

Purtroppo la Federazione internazionale dei gior­nalisti (compreso il rappresentante italiano Pao­lo Serventi Longhi) non è in grado di organizzare clamorose manifestazioni per la liberazione di Masha Amrabadi, giornalista iraniana, attivista per i diritti delle donne, incinta, segregata in carcere da due settimane in Iran. Non è in grado di farlo perché è troppo impegnata a espellere dall’organizzazione i giorna­listi israeliani. Purtroppo non solleverà un caso internazionale per i cor­pi dei coraggiosi blogger che riempiono l’obitorio di Tehe­ran, con i parenti costretti al silenzio sotto ricatto: i suoi rappresentanti (italiano compreso) sono infatti chini a tempo pieno sui libri contabili per quantificare il mancato introito delle quote non pagate dai giornalisti che scrivono sulla libera e democratica stampa israeliana. Se non è per scagliarsi contro Israele, la riverita Federazione mantiene un sobrio riserbo. Mica caccia la tv di Hezbollah perché reclama la morte di tutti gli ebrei (non degli israeliani, de­gli ebrei tout court). Caccia i giornalisti israeliani con la risibile scusa della loro morosità. (Fonte: Corsera, da Liberali per Israele )
L’Ordine dei giornalisti, in un soprassalto di orgoglio e di fierezza, si è dissociato da questo palese atto discrimina­torio, invitando in Italia i gior­nalisti israeliani a discutere li­beramente: come si fa nelle democrazie, non nei Paesi che cancellano la libertà di stampa a fanno gruppo (insie­me al rappresentante italia­no) per cacciare l’odiata, vitu­peratissima Israele dalla Fede­razione internazionale. Su Fa­cebook l’appello «Non in mio nome» sottoscritto non solo da giornalisti, ma da lettori sconcertati dalla prepotenza della federazione internazionale dei giornalisti, ha supe­rato la soglia ragguardevole dei 1000 aderenti. La Federa­zione nazionale della stampa invece no: eccepisce ma traccheggia, invoca riconciliazioni ma non si dissocia. Peccato, davvero peccato. Anche perché persino la scusa ufficiale dell’espulsio­ne, quella del mancato pagamento delle «quote», è pie­na di lacune e di omissioni. Non dice che i media israelia­ni avevano protestato perché erano stati tenuti fuori, e senza nessuna plausibile giustificazione, da una missio­ne investigativa sugli eventi di Gaza. Non dice che in ben due occasioni, a Vienna e a Bruxelles, i giornalisti israelia­ni sono stati incomprensibilmente esclusi dagli incontri sul Medio Oriente. Non dice che per i professionisti del­l’esclusione antidemocratica è del tutto ovvio che gli isra­eliani non abbiano diritto di parola sulle questioni che riguardano il loro Paese. Devono tacere. Pagare le quote, e zitti. Altrimenti: fuori con ignominia e con l’applauso delle dittature in cui i giornalisti finiscono in galera. O all’obitorio. Ma la quota della decenza la pagano mai, quelli della Federazione?