lunedì 28 febbraio 2011

E ADESSO OCCHIO ALLA GIORDANIA. L'ISLAM ESTREMISTA ALLE MANIFESTAZIONI DI AMMAN

Mentre tutto il mondo è concentrato sulle vicende che riguardano la Libia, un altro Stato arabo si trova sull’orlo del baratro: la Giordania. Ieri qualche migliaia di persone sono scese in piazza ad Amman per protestare contro il Re Abdullah e contro quelle che i manifestanti hanno chiamato le “mancate riforme”. A guidare la manifestazione di Amman è stato lo sceicco Hamza Mansour, capo del Islamic Action Front (IAF), il più grande gruppo di opposizione del Paese di chiara tendenza islamista e formato per la maggioranza da giordani di origine palestinese. In passato lo stesso gruppo era stato alleato della OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina) di Yasser Arafat e proprio insieme alla OLP aveva portato la Giordania, allora guidata dal padre di Re Abdullah, Husayn, sull’orlo di una guerra civile. Ora ci stanno riprovando passando però per la richiesta di riforme in senso democratico.
In apparenza quello che chiede l’Islamic Action Front è una nuova legge elettorale attraverso la quale nominare un Primo Ministro che al momento viene eletto direttamente dal Re. In realtà il fronte islamico chiede una nuova formula di governo improntata all’Islam integralista e una forte riduzione dei poteri della monarchia. Nei giorni scorsi, quando il mondo era distratto dai fatti egiziani e libici, in Giordania vi sono state diverse manifestazioni nelle città di Zarqa e Irbid organizzate dal Fonte di Aione Ilamico contro il re e, soprattutto, contro la regina Rania, colpevole per gli islamisti di battersi per i dritti delle donne e per una modernizzazione del regno Hascemita. L’attacco alla regina Rania è stato particolarmente feroce e si è basato su false supposizioni (le folli spese della regina) che mirano a delegittimare le riforme per cui Rania si batte. Oltretutto per gli islamisti è assai difficile attaccare Re Abdullah in quanto discendente diretto del Profeta, da qui la decisione di puntare sull’attacco alla regina.
Anche ieri la manifestazione ha avuto i suoi punti di forza nell’attacco alla regina più che nell’attacco alla monarchia. All’uscita dalla moschea di Husseini, la principale di Amman, gli islamisti si sono scagliati con veemenza contro Rania che, a loro detta, sarebbe colpevole di spendere grandi somme di denaro per quelli che gli islamisti considerano “lussi occidentali” e “azioni che vanno contro l’Islam” che poi sarebbero una serie di riforme sui dritti delle donne, sulla scolarizzazione e su un nuovo sistema di assistenza sociale. Paradossalmente gli islamisti del Islamic Action Front contestano alla regina di voler modernizzare il Paese e di portare avanti alcune riforme laiche che potrebbero togliere un po’ di potere alla monarchia, cioè le contestano di fare quello che loro (in apparenza) chiedono. In realtà gli islamisti temono riforme laiche che potrebbero definitivamente portare migliaia di giovai giordani lontani dall’islam integralista e spingerli a sostenere un paese moderno e quindi non islamico.
In seconda battuta ci sono motivi di carattere politico. Gli islamisti del IAF contestano al Re Abdullah una politica di apertura verso Israele, già iniziata dal padre e fermamente mantenuta dal figlio, una politica che tra le altre cose passa per la responsabilizzazione della Autorità Nazionale Palestinese e per la condanna della cronica corruzione insita in seno alla ANP. Per non parlare poi della ostilità dimostrata da Re Abdullah verso i terroristi di Hamas e per la moderazione dimostrata in seno alla Lega Araba, moderazione scambiata dagli islamisti come un segno di debolezza.
In occidente si tende a vedere le manifestazioni di protesta che si svolgono in Giordania come il naturale proseguo di quelle viste in Algeria, Egitto e adesso in Libia. E’ un errore clamoroso. In Giordania non si protesta per avere più libertà e più dritti, anche se in apparenza può sembrare così. In Giordania si protesta per portare il Paese verso una “democrazia di tipo turco-iraniano”, cioè di tipo islamico estremista fortemente condizionata dai precetti islamici fondamentalisti e lontanissima quindi da quello che vorrebbero i regnanti, cioè un regno che vada verso riforme di tipo laico. E’ importante capire questo per dare il giusto sostegno al regno di Giordania che rischia di diventare l’ennesima provincia iraniana in Medio Oriente. (Fonte: http://www.secondoprotocollo.org/ , 26/2)

E ancora a proposito di estremismo islamico, ma contro i cristiani:
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domenica 27 febbraio 2011

venerdì 25 febbraio 2011

L'ONU REVOCA ALLA FIGLIA DI GHEDDAFI IL TITOLO DI AMBASCIATRICE

NEW YORK (USA) - L'Onu ha revocato l'incarico di ambasciatrice di buona volonta' alla figlia di Muammar Gheddafi, Aisha Gheddafi aveva ottenuto il 'titolo' per parlare della violenza contro le donne e dell'aids in Libia, ha indicato alla stampa il portavoce delle Nazioni Unite, Martin Nesirky. "A seguito dei recenti eventi, l'Unpd ha messo fine all'accordo con la signora Gheddafi ai sensi dell'articolo 30 delle norme dell'Onu sulla designazione degli ambasciatori di buona volontà e di messaggeri della pace", ha aggiunto.
GIALLO. Aisha in un'intervista a una tv nazionale oggi ha smentito la notizia secondo cui le autorità maltesi avrebbero negato l'autorizzazione all'atterraggio all'aereo della Libyan Airlines su cui era a bordo. L'aereo sarebbe quindi tornato in Libia. Il ministro degli Esteri maltese, però, ha smentito che ci fosse la figlia di Gheddafi a bordo dell'aereo. Questa mattina, invece, il Libano ha rifiutato l'autorizzazione all'atterraggio a un aereo privato libico, con a bordo la moglie di uno dei figli di Muammar Gheddafi, Hannibal: lo hanno reso noto fonti della sicurezza di Beirut. Leggi tutto ...

mercoledì 23 febbraio 2011

MAROCCO / MADRE NUBILE SI DA' FUOCO PER DENUNCIARE DISCRIMINAZIONI

Una giovane marocchina si e' data pubblicamente fuoco per protestare contro le discriminazioni cui era costretta a soggiacere perche', nubile, era madre di due bambini, e dunque considerata non in regola con le consuetudini locali. La tragica vicenda risale a lunedi' sera quando la vittima, Fadwa Laroui di 25 anni, si e' presentata davanti al Municipio di Souk Sebt, nel centro del Marocco: quindi si e' cosparsa di liquido infiammabile e ne ha provocato l'accensione. Lo ha riferito il sindaco della cittadina, Boubker Ouchen, spiegando che la ragazza intendeva in tal modo denunciare di essere stata esclusa, a causa della sua condizione, dalle liste comunali per l'assegnazione delle case popolari. Fadwa, deceduta oggi in ospedale a Casaboanca a causa delle gravissime ustioni riportate, e' diventata cosi' l'ennesimo epigono di Mohamed Bouazizi: il laureato tunisino senza occupazione fissa e percio' costretto a fare il venditore ambulante, che il 17 dicembre scorso si immolo' per contestare la merce confiscatagli in quanto privo di regolare licenza. Il suo gesto diede il via alle proteste di piazza in tutta la Tunisia che il 14 gennaio avrebbero condotto alla caduta dell'ex presidente Zine al-Abidine Ben Ali, e che da li' si sarebbero poi estese a gran parte del mondo arabo e islamico, tra cui adesso anche la Libia. Il Marocco finora e' rimasto relativamente ai margini della sollevazione popolare generalizzata, sebbene una decina di giorni fa proprio a Casablanca vi siano state manifestazioni di massa, durante le quali fu incendiata un'agenzia di banca: cinque persone rimasero carbonizzate. Il Paese nord-africano nel 2004 si diede un nuovo diritto di famiglia, molto lodato in Occidente perche' riconosce alle cittadine marocchine diritti ben piu' ampi rispetto a quelle di altri Paesi; di fatto pero' l'assenza di un'autentica rete di assistenza sociale rende la condizione femminile tuttora esposta, pure in Marocco, ai rigori di un'interpretazione troppo conservatrice del Corano. (Fonte: http://www.affaritaliani.libero.it )
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martedì 22 febbraio 2011

LIBIA: "HO VISTO DONNE UCCISE MENTRE OFFRIVANO ACQUA"

Un testimone da Bengasi: “I cecchini sparavano a vecchi e bambini in strada”. “In una notte ci sono stati 70 morti: ne hanno uccisi 50 all´ospedale militare”. “Avevamo rubato le armi all´esercito, ma ora è schierato con noi e le abbiamo restituite” –

«Devo dirvi una cosa tremenda. Sono state uccise delle donne. Hanno sparato alle donne che erano affacciate alle finestre, che dai balconi davano l´acqua a chi manifestava in strada. Queste donne sono morte per la libertà di Bengasi e della Libia intera».
Khamal ha 49 anni. È un piccolo imprenditore di Bengasi, sua figlia studia giurisprudenza. Legge è la parola che, piangendo e strillando al telefono dalla Cirenaica, ripete più spesso a Repubblica Tv. «C´era tanta gente in strada per chiedere rispetto della legge e libertà. Ho visto vecchi di 80 anni e ragazzini, giovani uomini e anche donne. Adesso è tutto finito, stamattina (ieri, ndr) abbiamo preso l´aeroporto e l´esercito si è schierato dalla nostra parte. Bengasi ora è molto più sicura di cinque giorni fa, ci sono militari a proteggere la popolazione dai mercenari di Gheddafi». Ci sono state molte vittime? «Sì. All´aeroporto abbiamo perso 15 persone. In una notte i morti sono stati più di 70, perché altri 50 hanno sono stati uccisi all´ospedale militare» I civili sono armati? «No. L´esercito ora è dalla parte della gente, quindi abbiamo restituito le armi». Cosa ha visto in questi giorni? «Le donne assassinate dai cecchini alla finestra non potrò dimenticarle mai. Ma vi racconto cosa vedo ora. Sono vicino al cimitero ed è tutto bloccato da carri funebri. Non riesco a spiegare cosa provo. Abbiamo perso troppi ragazzi, loro sono andati davanti ai militari dicendo “uccideteci tutti” e quelli l´hanno fatto, li hanno ammazzati. Il dittatore se ne deve andare, non deve più presentarsi neanche in tv». Realisticamente, è quel che vi aspettate? «Noi vogliamo Tripoli. Senza Tripoli tutto questo non sarà servito a niente. Senza Tripoli non siamo al sicuro. Se la capitale non cadrà, gli uomini di Gheddafi torneranno qui, ci bombarderà l´aviazione». Democrazia, certo. Ma chiedete anche maggiore benessere? «Non vogliamo soldi, vogliamo libertà, il rispetto delle leggi». Lei non ha paura? «No. Ho avuto paura per 42 anni. Oggi non me ne rimane più». (Fonte: http://www.donnedellarealta.wordpress.com/ )

Una testimone da Tripoli: "Ci stanno ammazzando tutti ! Rapiscono anche i bambini"

http://affaritaliani.libero.it/politica/testimone_da_tripoli230211.html?ref=frame
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lunedì 14 febbraio 2011

"L'INFIBULAZIONE NON E' UNA VERGOGNA SOLO AFRICANA MA ANCHE EUROPEA", di Souad Sbai


Sono passati otto lunghi anni da quando, con eroico coraggio e assoluta dedizione, Stella Obasanjo, faceva partire dalla Nigeria la lotta senza quartiere alla barbarie dell’infibulazione nel continente africano. E da quando Suzanne Mubarak intraprendeva una guerra totale a questa pratica, proprio nel paese dove questa ebbe origine, l’Egitto dei Faraoni. Da allora molte cose sono cambiate, ma moltissimo rimane ancora da fare.
Anzi, quasi tutto, in realtà. Non sfugge la necessità di abolire questa pratica devastante in ogni paese in cui sia ancora presente. Non sfugge la sofferenza immane e terribile cui vengono sottoposte ancora oggi tantissime donne di cui nessuno parla. Non sfugge il profondo dolore per chi, come la bambina egiziana infibulata nell’agosto del 2010, ha perso la vita e attende giustizia. Parlare ancora oggi di infibulazione fa male, soprattutto a chi, come noi da sempre si batte per l’estinzione totale e definitiva di questa orrenda pratica.
Da statistiche Unicef si evince che fra 100 e 140 milioni di donne in Africa convivono con mutilazioni genitali, cui si aggiungono altri 3 milioni di bambine ogni mese, da calcolare non solo nel continente africano ma anche in Occidente. Assurdo solo a pensarsi, di primo acchito. Ma crudamente reale, purtroppo. Perché l’infibulazione non è una vergogna solo africana, ma anche europea. Il fenomeno, infatti, si verifica soprattutto in alcune fasce di immigrati che ancora si permettono, in base ad un multiculturalismo del “lasciar fare” che non esiterei a definire criminale, di sfregiare le loro bambine con questa barbarie. Bambine che diverranno donne “annullate”. Donne la cui femminilità è stata strappata con la violenza dai propri familiari. Uno scandalo di proporzioni inaudite, nel silenzio assordante di un certo settore dell’elite politica.
Faccio notare che grazie al Ministro Frattini l’Italia ha promosso importanti accordi bilaterali contro l’infibulazione, sebbene una legge che ne vietasse la pratica sia arrivata in Italia solo nel 2007 (Legge Consolo). Anche in questo frangente emerse tutta l’arretratezza culturale di chi, come alcune parlamentari di estrema sinistra, votò contro un provvedimento di portata storica fondamentale. Il rammarico fu fortissimo, misto alla rabbia per un’Europa che giustifica colpevolmente e non si cura del dramma di moltissime bambine che nascono sul suo continente. Non ci saremmo mai dovuti sobbarcare l’impegno di una legge sull’infibulazione, perché questa in Europa non sarebbe mai dovuta esistere.
È il frutto amaro del multiculturalismo europeo, che prima lascia fare indiscriminatamente e poi deve tornare indietro sui suoi passi, cospargendosi il capo di cenere. Il 6 febbraio, Giornata Mondiale contro l’Infibulazione, io credo debba essere l’occasione per far partire una riflessione ampia e condivisa su come il modello di integrazione debba prevedere limiti e paletti ben precisi, per non permettere mai più a nessuno di violare il corpo di una bambina innocente e di stuprarne il futuro.
Per far si che l’infibulazione scompaia definitivamente dal mondo, portando con sé quel lassismo criminale che è il grande colpevole del fallimento del modello multiculturale moderno. (Fonte: http://www.loccidentale.it/ , 8/2)
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"OBAMA SULL'EGITTO HA SBAGLIATO TUTTO", di Souad Sbai

Ieri il capo della Cia annunciava, suscitando un certo clamore nell’opinione pubblica mondiale, che Hosni Mubarak avrebbe rassegnato le dimissioni in serata. Niente di più falso e pericoloso. Solo poche ore dopo, infatti, lo stesso Presidente egiziano replicava che non se ne sarebbe andato prima di Settembre, lasciando i poteri esecutivi in mano a Suleiman.
Al susseguirsi di queste notizie contrastanti l’una con l’altra, ho sgranato gli occhi davanti al crollo di qualsiasi regola di politica internazionale e di rispetto dell’autonomia di un paese, l’Egitto, comunque ancora legittimamente sovrano nel suo territorio. Non finisce qui. Il Presidente Obama, in seguito, annunciava di essere al fianco del popolo egiziano. A quale popolo fa riferimento? Non mi risulta che sia egiziano o che viva da sempre in Egitto. Si sente davvero così vicino ad oltre ottanta milioni di egiziani da permettersi di parlare come un padre protettivo? Direi proprio di no.
C’è da riflettere molto a fondo su come sarebbero potute andare le cose ieri sera. E se gli estremisti infiltrati, fomentati dall’annuncio americano, avessero aizzato il popolo? E se, mi chiedo con una certa preoccupazione, questi avessero deciso, una volta smentite le dimissioni, di far da sé? Non oso pensare al sangue che sarebbe scorso nelle vie del Cairo. Chi si sarebbe preso la responsabilità di tutto questo? Gli americani? Contro cui ormai non ci sono più solamente gli estremisti, ma anche i moderati. O l’Europa? Che è cieca davanti a tutto, anche davanti al fatto che gli Usa stanno liberando una polveriera sulle sponde del Mediterraneo, pronta ad esplodere da un momento all’altro.
A nessuno sfugge la concomitanza degli ingenti sbarchi a Lampedusa di questi giorni, non contando il fatto che altre migliaia di clandestini sono previsti dall’Egitto. Fra i quali non si sa chi potrebbe nascondersi. L’ingerenza americana nella vicenda egiziana è ossessiva, morbosa e palesemente incapace di distinguere le conseguenze dai suoi atti. Mentre non dice una parola sull’arresto di Karroubi, uno dei leader dell’opposizione iraniana, a Teheran. Come può l’amministrazione Obama non calcolare l’instabilità derivante dalla eventuale presa del potere da parte dei Fratelli Musulmani? E come può l’Unione Europea essere muta davanti al pericolo? I musulmani Moderati non staranno a guardare mentre i Fratelli Musulmani si appropriano del potere e di un popolo intero. (Fonte: http://www.loccidentale.it, 11/2)

Nel frattempo Mubarak è andato, come tutto il mondo sa... . Leggi tutto ...

sabato 12 febbraio 2011

PAKISTAN: MANDATO DI ARRESTO PER L'EX PRESIDENTE MUSHARRAF

I funzionari pakistani dicono che oggi un tribunale anti-terrorismo ha emesso un mandato d'arresto per l'ex presidente Pervez Musharraf in relazione all'assassinio dell'ex primo ministro Benazir Bhutto.
Gli investigatori del governo hanno accusato il generale in pensione di coinvolgimento nell'uccisione della donna.
Le accuse sono state mosse da un governo ora gestito dai rivali di Musharraf.
Musharraf, alleato degli Stati Uniti, in esilio a Londra dal 2009, dovrebbe comparire davanti alla corte il prossimo 19 febbraio.
Da Londra, l'ex uomo politico pachistano ha fatto sapere però che non tornerà in patria.
Benazir Bhutto è stata uccisa 27 dicembre 2007, era da poco tornata in Pakistan. (Fonte: http://www.in-dies.info/ ) Leggi tutto ...

mercoledì 9 febbraio 2011

GIORDANIA, LE TRIBU' CONTESTANO RANIA: "TROPPO LUSSO E POTERE"

Il re Abdallah II ponga fine al ruolo politico della moglie Rania, troppo influente, spendacciona e con la macchia di origini palestinesi sul suo pedigree. E' il succo di una lettera inviata al re di Giordania da 36 importanti capitribù, perloppiù beduini. Alla regina, tanto ammirata in Occidente, viene rinfacciato di usare fondi pubblici per promuovere la sua immagine all'estero senza preoccuparsi delle difficili condizioni di vita dei suoi sudditi.
Un monito per evitare di finire come i Paesi confinanti ad un sovrano che la settimana scorsa è stato costretto a nominare un nuovo premier per le ripercussioni delle rivoluzioni in Egitto e Tunisia.
La notizia, censurata dai media ufficiali, è comparsa qualche ora su un sito indipendente poi oscurato. Ma tanto è bastato perché si diffondesse il malessere di un gruppo di potere di che rappresenta le tribù conservatrici della riva destra del Giordano (Transgiordania), principale sostegno alla monarchia hascemita, e che si contrappone ai giordani di origine palestinese (come la regina), che sono la maggioranza dei circa 7 milioni di abitanti del regno.
Rania, si legge nella petizione, "sta creando centri di potere nel suo interesse, che contrastano con le intese fra giordani e hascemiti sul governo del regno e (la regina) costituisce un pericolo per la nazione, per la struttura dello Stato, per la struttura politica e per l'istituzione del trono". "Trascurare quanto questa dichiarazione afferma ci getterà in una situazione analoga a quanto accaduto a Tunisi e in Egitto e che avverrà in altri Paesi arabi".
I capitribù poi attaccano con una vera e propria lista: Rania restituisca i terreni di cui si vocifera si sia impossessata la sua famiglia; faccia luce su alcune speculazioni sul Mar Morto e società minerarie con sede a Dubai; smetta di parlare inglese in pubblico per tornare all'arabo tradizionale; fermi le feste troppo fastose come quella del suo 40° compleanno in settembre.
Si tratta del più aspro attacco personale alla regina che ha un solo precedente quando ad una partita di calcio tifosi della riva est intonarono slogan denigratori sulle sue origini palestinesi e invitatorono il re a divorziare da lei (ma tra gli slogan ce n'era uno che diceva: "Rania, stai a casa coi tuoi figli", ndr)
L'influenza della regina del resto è un fatto assodato. Lo sottolinea, tra l'altro, un dispaccio dell'ambasciata Usa ad Amman, scoperto da Wikileaks e pubblicato da El Pais. "La regina - si legge - è molto aggiornata sulla politica internazionale, interviene in importanti incontri e collabora nella gestione del regno guidato dal consorte, re Abdallah. Una figura del genere non è solo bella e impegnata nella difesa dei diritti delle donne e dei palestinesi, ma crea divisioni in Giordania". (Fonte: http://www.tgcom.mediaset.it , 9/2) Leggi tutto ...

IL CUORE DELLA RIVOLTA


Per la Gallery: http://www.corriere.it/gallery/esteri/02-2011/donne_maghreb/1/donne-maghreb_5896729c-2f8c-11e0-a474-00144f02aabc.shtml#1

Poche hanno partecipato agli scontri a fuoco. Ma tantissime in Tunisia, Algeria, Egitto hanno sfilato per le strade.

MILANO - Una donna simbolo del potere da abbattere, della corruzione, dell’avidità: nella rivoluzione dei gelsomini in Tunisia, più ancora del deposto presidente Ben Ali era la moglie Leila il bersaglio principale della rabbia. L’ex parrucchiera diventata first lady, pronta a deporre il marito per prenderne il posto (si diceva prima), scappata con una tonnellata e mezzo di oro (si è detto poi), era odiata da tutti ma soprattutto dalle donne. Dalle migliaia di tunisine che hanno, anche loro, compiuto il miracolo abbattendo un regime in apparenza eterno.
Poche hanno partecipato agli scontri a fuoco, è vero. Ma molte sono scese nelle strade una volta passate le violenze, tantissime lavoravano da anni per la democrazia. Come Radhia Nasraoui, avvocato, femminista, presidente dell’Associazione per la lotta alla tortura. Un passato tra clandestinità, prigione e scioperi della fame, la Shirin Ebadi tunisina è stata la prima il 17 dicembre a guidare la sollevazione popolare a Sidi Bouzid, dove un disoccupato si era dato fuoco per protesta, dando inizio alla rivoluzione. Come lei avvocato e femminista, Maya Jribi dal 2007 è presidente del Partito progressista democratico, forse la più nota tra le molte tunisine entrate in politica. Nel Parlamento ben il 23 per cento dei deputati sono donne (in Italia siamo al 21). Oggi, nel governo provvisorio, il ministero della Cultura è affidato alla regista Moufida Tlatly. E a partire dal 1956, nonostante la dittatura, la Tunisia ha proibito poligamia e matrimonio per le minori, permesso divorzio e aborto, resa obbligatoria l’istruzione delle bambine. Bene o male che sia - c’è dibattito anche tra i laici - il velo è stato di fatto vietato e non pochi oggi chiedono che torni la libertà di portarlo: già nelle manifestazioni di gennaio si sono viste ragazze indossarlo.
Gli innegabili “privilegi” di cui godono le tunisine rispetto a molte sorelle del mondo arabo-islamico non sono finora bastati. Non a Lina Ben Mhenni, ad esempio: icona della giovane generazione, nel suo blog in tre lingue “A Tunisian Girl” ha denunciato a lungo le discriminazioni subite. «Nel suo Paese la ragazza tunisina non può esprimersi, il suo blog è censurato » è il sottotitolo della sua pagina internet, immutato nonostante la fine della censura. Qualcosa di diverso ora c’è, però: informazioni su manifestazioni, istantanee di raduni, foto di librerie che espongono opere una volta vietate. Segni della Nuova Era, o almeno del suo inizio.
Se in Tunisia la protesta si è trasformata in rivoluzione, nella vicina Algeria dopo le rivolte di gennaio per l’aumento dei prezzi la situazione sembrava tornata “normale”. Ma anche qui la tensione è alta, la disoccupazione pure, l’opposizione e i giovani chiedono più libertà e attenzione. E le donne giocano un ruolo in tutto questo, importante ma dietro le quinte. Qualcuna è in politica, come la celebre scrittrice e attivista Khalida Messaoudi, attuale ministra della Cultura. Soprattutto, il 70 per cento degli avvocati e il 60 per cento dei giudici sono donne e nelle università le ragazze superano i maschi. Tante sono insegnanti, giornaliste, attiviste, guidano autobus e taxi, lavorano alle pompe di benzina. «Ma è solo l’effetto perverso della crisi, gli uomini da noi emigrano in massa» sostiene Dahhu Gebril, direttrice della rivista Naqd (Critica). E intanto le donne restano discriminate da una società maschilista e violenta, aggiunge la giornalista Souad Belhaddad: «Se una viene aggredita, è una prostituta . Se sporge denuncia, è manipolata. Se ha la solidarietà internazionale, è sospetta». E se chiede aiuto, spesso è ignorata: tra gli algerini che per protesta si sono dati fuoco, c’è stata una cinquantenne di Sidi Bel Abbas, davanti al palazzo del Comune dove aveva chiesto invano un contributo economico. Non se n’è quasi parlato. Il cammino sarà lungo, dicono le attiviste algerine: intanto Nouara Saâdia Djaâfar, ministra per la Famiglia, ha lanciato un piano di formazione per raggiungere - inshallah - 220 mila donne in tutto il Paese.
Spostandoci a est nell’altro grande, anzi ancor più grande Stato del Nord Africa in ebollizione, sono sempre tantissime le donne che si muovono, lottano, alzano la voce. L’Egitto che all’inizio del XX secolo vide il fiorire del movimento femminista arabo (un nome su tutti: Hoda Al Shaarawi), è oggi all’avanguardia nella lotta contro le mutilazioni genitali alle bambine (anche perchè viene praticata circa nel 97% dei casi !, ndr) . Merito della pur contestatissima first lady Suzanne Mubarak, della ministra per la Famiglia Moushira Khattab, di tante attiviste. E del sostegno internazionale e italiano in particolare, Emma Bonino in primis. «Ma le donne restano discriminate per mille cose, dal diritto di famiglia che le penalizza, all’isolamento di tante che non possono sposarsi. Per questo dobbiamo cambiare il sistema e il regime che lo difende» dice Farida Naqqash, storica femminista e dirigente del partito laico d’opposizione Tagammu. Nella turbolenta fase che attraversa il Paese, la guida dei partiti e delle organizzazioni è come sempre maschile. Ma le elezioni politiche di novembre hanno visto scendere in campo uno stuolo di donne preparate e molto, molto determinate. A parte quelle “governative”, che si sono aggiudicate tutti i seggi delle quote rosa introdotte per la prima volta, la voce più forte tra i candidati della minoranza cristiana è stata femminile: Mona Makram-Ebeid. «Mi hanno rubato il seggio già assegnato, i soliti brogli» dice arrabbiata ma non sorpresa. «Se è successo perché sono donna, cristiana, o anti-Mubarak non saprei. Certo è che continuo a lottare». Nemmeno Gamila Ismail ce l’ha fatta, e nemmeno lei demorde. Ex giornalista ed ex moglie di Ayman Nour, l’unico che osò sfidare il raìs alle presidenziali 2006, Gamila spera soprattutto nei giovani. «Sono il futuro, il nostro sogno. Ci sono migliaia di ragazzi pronti a costruire un Egitto migliore. E ancor più le ragazze: per loro è più difficile ma non impossibile. Io sono divorziata, single, femminista. Eppure tantissimi mi hanno dato fiducia. Basta non arrendersi».(Fonte: http://www.corriere.it/ , 3/2)

E poi: Salma e Fadia, la rivoluzione in due generazioni.
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lunedì 7 febbraio 2011

HA STORIA D'AMORE, UCCISA A FRUSTATE. BANGLADESH, 14ENNE MUORE DOPO 6 GIORNI

Quattro persone, tra le quali un religioso islamico, sono state arrestate nel Bangladesh perché coinvolte nella morte di una ragazzina di 14 anni, Hena Begum, fustigata pubblicamente in quanto accusata di avere una relazione con un cugino sposato. Condannata a ricevere 80 frustate, l'adolescente è morta in ospedale sei giorni dopo il ricovero; la polizia sta ricercando altre 14 persone, tutte coinvolte nella morte della ragazzina.
La punizione alla 14 enne è stata inflitta seguendo le norme della sharia, la legge islamica, e la sentenza è stata pronunciata da un tribunale di villaggio composto da anziani ed esponenti religiosi.
Un ufficiale della polizia locale ha spiegato che, ancor prima che la sentenza venisse emessa, la giovane era stata picchiata dalla famiglia del cugino, e che gli anziani del villaggio hanno chiesto al padre dell'adolescente di pagare una multa pari a circa 700 dollari. Disperato il padre, Dorbesh Khan: "Che giustizia è questa? - ha chiesto in lacrime, intervistato dalla Bbc -. Mia figlia è stata picchiata fino a farla morire in nome della giustizia. Se si fosse trattato di un tribunale regolare sarebbe ancora viva".
La polizia è comunque ancora in atesa dei risultati dell'autopsia, poiché non è stato chiarito se la 14enne sia stata uccisa dalle frustate o se sia morta per altri motivi. (Fonte: http://www.tgcom.mediaset.it , 3/2) Leggi tutto ...

domenica 6 febbraio 2011

A SESTO SAN GIOVANNI IL PD VOTA CON LA LEGA CONTRO IL BURQA

Sì bipartisan per la mozione che vieta il velo in pubblico.

Patto sul burqa tra Lega Nord e Partito Democratico. È successo nel consiglio comunale di Sesto San Giovanni, dove è stata approvata una mozione del Carroccio che vieta l'utilizzo del burqa in luogo pubblico.
Soddisfatto il sindaco del Pd Giorgio Oldrini: «Condivido», ha dichiarato il sindaco Giorgio Oldrini «la decisione presa dal consiglio. Come ho avuto modo di dichiarare in passato, esistono usanze che contrastano con la storia, le leggi e il comune sentire del nostro paese. Il senso della dignità della persona che esiste in Italia è il frutto di secoli di battagli culturali e civili che hanno costituito un avanzamento indubbio e che deve valere per tutti». (Fonte: http://www.lettera43.it , 1/2) Leggi tutto ...

giovedì 3 febbraio 2011

DALL'IRAN ...

ZAHRA BAHRAMI, BARBARA ESECUZIONE DEL REGIME MISOGINO DEI MULLAH


http://www.ncr-iran.org/it/articoli-mainmenu-71/25-resistance/2651-zahra-bahrami-barbara-esecuzione-del-regime-misogino-dei-mullah

IRAN: NASRIN SOTOUDEH CONDANNATA A 11 ANNI DI CARCERE


http://www.tgcom.mediaset.it/mondo/articoli/articolo501620.shtml

E una chicca:

IRAN, RITOCCATA SCOLLATURA CAPO UE. NELLA FOTO LA ASHTON ERA TROPPO "SEXY"

http://www.tgcom.mediaset.it/mondo/articoli/articolo501620.shtml

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martedì 1 febbraio 2011

YEMEN, ARRESTATA UNA GIORNALISTA


La protesta nello Yemen continua. La polizia ha arrestato la giornalista Tawakul Karman, attivista del gruppo “Reporter senza catene” e membro del partito islamico “Islah”, accusata di avere fomentato la rivolta contro il governo di Sana’a.
Il fermo della giornalista ha provocato una manifestazione davanti all’università della capitale, che segue dunque quella di sabato contro il regime del presidente Ali Abdullah Saleh.
“Vogliamo che il presidente lasci il potere – dice un manifestante -. Qui non c‘è che povertà, fame, disoccupazione, ignoranza, malattie. Non possiamo più subire in silenzio”.
“Protesto per chiedere un lavoro – dice un altro -. Sono laureato e sto aspettando un posto da 6 anni”.
La protesta nello Yemen si è scatenata dopo la rivolta tunisina che ha portato all’esilio del presidente Ben Ali. A Sana’a, i manifestanti rifiutano, perché inadeguate, le proposte di riforme politiche avanzate dal governo. (Fonte: http://iteuronews.net/ , 23/1)
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TUNISI, IL FUTURO E' TEMPO DA DONNE

Un episodio basterebbe per dare un'idea della partita che si sta giocando in questi giorni in Tunisia.
All'annuncio dell'imminente ritorno a Tunisi del leader in esilio del partito islamico, Ennhanda (Rinascita), Rachid Gannouchi, un tam tam di donne su Facebook sta organizzando una accoglienza numerosa all'aeroporto di Tunisi. Sono già migliaia e hanno deciso di farsi trovare tutte in bikini.
Questo per spiegare agli italiani che in Tunisia c'è un livello di provocazione, dibattito, di presenza intellettuale e di pretesa di laicità che può stupire chi non conosce il paese. In Italia vige l'idea che la Tunisia sia nient'altro che una riserva di manodopera disperata, come in Francia vige l'arroganza - la stessa di Sarkozy - che vedeva in Bel Alì il baluardo contro il fondamentalismo (salvo fare precipitosa marcia indietro all'ultim'ora) . Entrambe le visioni si stupiscono degli avvenimenti di questi ultimi giorni.
La rivolta tunisina è sicuramente una rivolta di piazza, al punto tale che la carovana della libertà non si schioda dal presidio davanti alla Kasbah e in Boulevard Bourghiba. Studenti, insegnanti, donne, contadini, classe media non accettano che il governo di transizione sia gestito da un complice di Ben Alì, quel Mohammed Gannouchi che sta in queste ultime ore liberando buona parte degli intrallazzisti che hanno devastato il paese.
Ma è anche una rivolta di rete, che ha avuto un successo formidabile laddove Ben Alì aveva organizzato un enorme sistema di controllo informatico. Facebook ha reso note nelle ultime ore il modo con cui gli utenti venivano controllati e la maniera - apparentemente neutra - con cui la gestione di Facebook e gli utenti sono riusciti ad aggirare la censura.
Parlo a Roma con Raja El Fani, la figlia di uno dei personaggi più rappresentativi dell'opposizione, Beshir El Fani, uno dei fondatori del Partito comunista tunisino e oggi attivo nel fondare un'alleanza progressista con gente come Mondher Belhaj, 50 anni, brillante giurista e universitario tra Tunisi e Parigi e fondatore del Parti Social Liberal.
Raja mi racconta che una delle cose difficili da spiegare agli italiani è proprio il livello di modernità della società civile tunisina, il ruolo che le donne, avvocatesse, intellettuali, filosofe vi giocano, ma anche la freschezza di un movimento in cui la gioventù s'identifica e che ha preso come inno alla rivolta il video El General del rappeur Ben Amor. (Fonte: http://www.ilsole24ore.com , 30/1) Leggi tutto ...