venerdì 26 febbraio 2010

L' INCONTRO E' L'ESSENZA DI UNA SOCIETA' MULTIETNICA

E a proposito, prima del pezzo, un link sulla cantante Malika Ayane, L' italo-marocchina di via Padova «Orgogliosa di essere meticcia» .

E dal "Movimento dei Musulmani Moderati Italia -Europa":

Per ripensare l'Islam a partire da libertà, pari dignità e sacralità della vita.

di Gamal Bouchaib, Presidente del Movimento dei Musulmani Moderati e membro del Comitato per il nuovo Islam Italiano e Samira Chabibe, Portavoce delle Donne del Movimento dei Musulmani Moderati


Le questioni, e le risposte correlate, sollevate nell’articolo Ffwebmagazine - Velo e poligamia: le ragioni dei Giovani Musulmani meritano un’ulteriore riflessione da parte di quanti, anch’essi musulmani, ma moderati, credono e appoggiano le ragioni di un Islam illuminato che sappia scrollarsi di dosso i retaggi medievali che hanno imbarbarito la cultura arabo-musulmana, fino a far perdere traccia della sua millenaria storia che ha posto pietre miliari in ogni campo del sapere: dall’arte alla letteratura, dall’architettura alla filosofia, dall’aritmetica alla spiritualità, solo per citare qualcosa.
Da questa consapevolezza deve partire l’analisi e la riflessione per la creazione di un nuovo Islam italiano. Un Islam che sappia tornare a interrogarsi su se stesso, un Islam intellettualmente fecondo e aperto al dialogo con le altre culture. Un Islam che sappia interrogarsi onestamente sulle sfide della modernità, che non abbocchi all’amo di un pensiero unico e a tratti totalitario che cova nel suo seno e che è pronto a fagocitare ogni cosa. Questo significa anche riconoscere il fatto che l’Islam comprenda al suo interno un panorama variegato e frastagliato di correnti (malakiti, sufi, bahai, wahabiti, sunniti, sciiti, ismailiti, etc.) e che la pretesa di raggruppare «tutti i musulmani di età compresa tra i 14 e i 30 anni presenti nel nostro paese» parta dal tentativo di postulare un pensiero unilaterale come unica forma e sostanza dell’emanazione divina.
Ma ci rallegra l’intenzione di «costituire una società interculturale, internazionale e armonica». La domanda da porsi è però un’altra: cosa significa armonica? Se per armonia intendiamo «accordo e proporzione tra le parti che formano un tutto, che produce un effetto gradevole ai sensi», allora questa società dovrà essere quella in cui il suo tessuto umano, sociale, spirituale possa essere aperto all’accordo e alla proporzione tra sue componenti che sono e resteranno per definizione differenti, ma che dovranno combinarsi nella ricchezza di una diversità che non può essere repressa e oppressa.
Siamo rimasti colpiti dall’assolutismo di alcune affermazioni dei giovani intervistati, declinato attraverso l’uso di sostantivi e perifrasi quali “mai”, “neanche”, “non potrebbe essere capito” che dimostrano un atteggiamento di chiusura e di netto rifiuto che prende dall’assunto che non vi possa essere una cosiddetta terza via. Dall’assunto che il figlio di genitori di diversa religione debba essere, per così dire, “bianco o nero” rinnegando, quasi abiurando alla ricchezza e alla complessità che possa scaturire dall’incontro di due mondi.
Ecco allora che il vero e più urgente tema da affrontare per sostenere lo sviluppo di un Islam scevro da ideologie e ideologismi, da conflitti e da malesseri sia una profonda opera di educazione che se, da una parte, mostri ai musulmani che il significato di società multietnica deve essere individuato nell’incontro (e non nello scontro) con l’altro da sé, dall’altra, sappia far maturare nei non musulmani l’idea che l’islamofobia non può essere la soluzione giacobina per guarire i malesseri di una mondo alle prese con la costituzione di nuovi paradigmi interpretativi della realtà. Ma non possiamo non aggiungere che al fine di creare le condizioni necessarie a questo cambiamento, urga un processo di riforma illuminata dell’Islam. Un’operazione intellettuale delicata che sappia respingere senza condizioni i retaggi di attitudini mentali anacronistiche e oltranziste che incitano al rifiuto, a un certo odio, allo scontro psicologico, culturale, sociale e religioso fra il mondo islamico e quello non-islamico, tutt’oggi in atto.
Allora ripensare l’Islam significa cominciare con coraggio a dare attuazione, al di là di qualsiasi rimostranza, ai principi della pari dignità, della sacralità della vita, della libertà di pensiero, di opinione, di parola, di professione di fede, della parità tra uomo e donna, della difesa del diritto positivo e della democrazia, rifiutando al tempo stesso qualsiasi forma di sopruso e di violenza.
All’alba di questo XXI secolo riteniamo miope l’assunto per il quale la donna sia quasi “un oggetto” da proteggere dalla peccaminosa cupidigia di un uomo usurpatore. Relegandola dunque come parte debole, indifesa nei confronti di un genere maschile pronto ad assalirla al primo suo affacciarsi fuori dall’uscio di casa e che il velo possa proteggerla da questo assalto.
Peccato che una ricerca del Centro egiziano per i diritti delle donne (Ecwr) condotta nel 2008 sembri smontare la tesi. Almeno nel caso specifico dell'Egitto, dove, stando a questa indagine, l’83 per cento delle donne egiziane subisce quasi ogni giorno molestie sessuali per strada e sui mezzi pubblici. Molestie a tutto campo che vanno dagli inviti verbali “pesanti", alle occhiate insistenti, fino ai palpeggiamenti. Tale percentuale, in verità cospicua, comprende in perfetta par condicio donne velate e non.
Altra argomentazione, ben più triste, è l’uso del velo come indumento che “va di moda”. E che, vogliamo aggiungere, porta con sé una carica simbolica potentissima, diventando un’insormontabile spartiacque tra un “noi” e un “voi”. Per non parlare del fatto che dietro il velo si trova di tutto e che tale indumento non è garanzia di nulla. Prova ne è che il numero delle velate che si sottopone alla ricostruzione dell’imene è in proporzione maggiore a quello delle donne che il velo non lo indossano. (Movimento dei Musulmani Moderati Italia-Europa , 19/2)
E più in generale, un’inchiesta del New York Times dice che «secondo i ginecologi, negli ultimi anni il numero delle donne di fede islamica che hanno richiesto certificati di verginità per mostrarli a qualcuno è cresciuto. Un fenomeno che a sua volta ha aumentato la domanda per interventi di questo tipo. Inoltre il servizio è largamente pubblicizzato su internet, dove è addirittura possibile trovare "pacchetti di viaggio" verso paesi come la Tunisia dove l’intervento è molto meno costoso».
Sull’assunto secondo il quale il velo sarebbe un obbligo religioso bisogna poi chiarire un punto essenziale: il velo costituisce un obbligo nel momento in cui si debba entrare in una moschea o effettuare la preghiera. Tale obbligo riguarda anche l’uomo nella misura in cui egli non può pregare con i pantaloni corti sopra il ginocchio.
Ancor più allarmante è il considerare l’ipotesi di dover o poter indossare un burqa che, anziché, riconoscere la forza e la grandezza delle donne, le occulta come fantasmi. Perché parte dal concetto che come è stato scritto “una donna sia (più) provocante”, dicasi tentatrice. Se allora essa intende fare la libera scelta estrema di occultarsi dietro un burqa è libera di farlo, ma a casa propria, dentro le sue mura domestiche. Perché a furia di operare una negazione pubblica, la donna perde la propria identità. Esemplare è il caso dell’India dove è stato deciso di negare la carta di identità alle donne con il burqa e il niqab. Ci chiediamo allora: qual è la vera discriminazione, qual è la vera xenofobia, qual è la vera, odiosa forma di misoginia, se non quella che annulla la donna umanamente e socialmente?
Riguardo poi alla poligamia, in Italia esiste già una legge che l’ha messa al bando come contraria ai suoi valori: non bisogna aggiungere nulla, non vi può essere tentativo di legittimare tale pratica, nata in contesto storico ben preciso e dettato dalla presenza di un numero elevato di vedove i cui mariti erano morti in battaglia. Oggi non è più così, non ci sono più vedove da consolare, né da accudire, non vi è un’emergenza sociale dettata da un certo “deficit” di uomini. Ecco perché è necessario intraprendere la via di una nuova ermeneutica, che sia in grado di declinare il vero messaggio dell’Islam alla luce della modernità, ben sapendo che la libertà individuale e i diritti della persona non possono essere calpestati nel nome di alcuna religione. Perché non vorremmo che ciò che da alcuni viene considerato peccato, possa essere trattato come un reato.
Siamo convinti che un’Italia dall’identità forte, anche sul piano della religione, degli ideali e delle tradizioni, sia la migliore garanzia per tutti: perché solo chi è forte e sicuro al proprio interno è in grado di aprirsi e di condividere positivamente le proprie scelte con gli altri. Siamo per l’assoluto rispetto delle leggi dello Stato e per la più sincera condivisione dei valori fondanti della Costituzione e della società italiana. Riteniamo imprescindibile che gli immigrati, specie musulmani, in Italia si impegnino ad apprendere la lingua italiana e il complesso di diritti e doveri alla base del patto di pacifica convivenza con la comunità cui hanno liberamente deciso di aderire. Siamo pertanto schierati dalla parte dello Stato italiano contro tutti coloro e tutto ciò che attenta alla sicurezza e alla stabilità della collettività e delle istituzioni dello Stato.
Nell’Islam esiste, come ha ricordato il grande Tahar Ben Jelloun, la differenza, quasi la dicotomia, tra il visibile e l’invisibile, tra l’apparire e l’essere: sappiamo bene e vogliamo riaffermare con forza che l’Islam considera l’affermazione dell’identità religiosa attraverso forme esteriori quali i veli come un’ipocrisia; l’affermazione di una fede formale più che sostanziale. Tutto il resto è menzogna, è ideologia, è politica, è denaro, denaro, denaro.
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giovedì 25 febbraio 2010

APPELLO CONTRO IL BURQA AL MINISTRO DELLE PARI OPPORTUNITA' DA PARTE DELLE DONNE DEI MUSULMANI MODERATI

di Samira Chabib, Portavoce delle Donne del Movimento dei Musulmani Moderati

Ill.ma Maria Rosaria Carfagna, Ministro per le Pari Opportunità,

La lettera pubblicata dalla “munaqqaba” Viviana D’Alò Bulic, “a nome suo e di altre credenti”, e a Lei rivolta, per opporsi al progetto di legge che vuole introdurre in Italia il divieto di indossare il burqa in luoghi pubblici o aperti al pubblico non deve essere lasciata senza risposta.
Come donne appartenenti al Movimento dei Musulmani Moderati, intendiamo denunciare la faziosità della affermazioni espresse dalla signora D’Alò Bulic che dice che il niqab e il burqa siano un precetto islamico. La signora Bulic, come lei stessa afferma convertita, dimostra già la sua non conoscenza della materia: è stato già affermato e più volte ribadito da intellettuali musulmani, scrittori, professori, giuristi, autorità religiose come il grande imam dell’Università Al Azhar de Il Cairo Tantawi, dall’imam della moschea di Seine Saint Denis di Parigi, dallo scrittore e intellettuale Tahar Ben Jelloun, dal premio Nobel per la Pace, avvocato Shirin Ebadi, che il velo integrale non è un precetto coranico.
Quest’ultima ha anche precisato che ''se si va in pellegrinaggio alla Mecca con il viso coperto anche il pellegrinaggio non e' ritenuto valido''.
Il velo integrale islamico, come abbondantemente chiarito durante le indagini conoscitive presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, è il retaggio medievale di tradizioni tribali che trovano il loro fondamento in Afghanistan, retaggio che è lo specchio di un atteggiamento misogino che intende relegare la donna, considerata essere inferiore, dietro una cappa nera che la annulla fisicamente e psicologicamente.
La signora D’Alò Bulic ha poi scritto che nell’Islam sarebbero presenti due correnti. Errore! Le correnti dell’Islam sono molte di più. Si tratta di un panorama culturale e religioso molto frastagliato: wahabiti, ismaeliti, malakiti, sunniti, sciiti, sufi, bahai, hambaliti, per citarne solo alcune. La visione della Bulic risulta dunque alquanto miope.
La lettera, inoltre, contiene un “accorato appello” contro la discriminazione delle donne che vorrebbero portare il burqa o il niqab. E’ furba la signora D’Alò Bulic, che ritiene di poter fare appello contro una presunta discriminazione di una minoranza. Ma forse non sa che in Italia non è consentito dalla legge girare con il volto coperto. C’è poco da fare: chi scegli di vivere in Italia deve rispettare le sue leggi e le sue regole di convivenza. Se prova disagio e si sente offesa, forse è meglio che si rechi a dimorare li dove ritiene che la propria “sensibilità” non venga offesa, li dove crede che di poter vivere seguendo le proprie logiche.
Come donne musulmane moderate, che sono la maggioranza in questo Paese, che hanno condiviso in pieno la Carta Costituzionale, che rispettano profondamente la sua cultura e al sua religione, riteniamo che il burqa vada combattuto con un intervento legislativo e con azioni politiche di integrazione che accompagnino tale intervento. (Fonte: Movimento dei Musulmani Moderati Italia-Europa )

Adjani,gonna e' manifesto anti-burqa - Cinema - ANSA.it .

E ancora: Convertiti e circoncisione femminile, Islam, Donne nell’Islam e convertite, “Giovani Musulmani d’Italia” (a cui risponde il Movimento dei Musulmani Moderati nel post successivo) e per finire in bellezza Convertiti .
Lo Stato che giunge a legiferare su una tale materia culmina un processo di maturazione culturale che vede le sue radici in un centinaio di anni di lotte per la parità dei sessi, che ha alle spalle una storia che si è nutrita e ha prodotto un processo culturale. Questo significa esprimere la propria cultura, affermare la responsabilità individuale della persona, la sua riconoscibilità e il suo diritto/dovere ad essere indivuduo che si autodetermina come persona, e non come cartello pubblicitario portatore di messaggi.
Per quanto riguarda la minoranza che dice di portare il burqa come libera scelta vi è una e una sola via: adeguarsi. Perché la stragrande maggioranza di donne che guardano il mondo dietro quella grata sono invece costrette e segregate dietro quell’odioso velo. Soffocate da una violenza che lede quotidianamente i loro diritti. Solo loro le vere discriminate! E noi siamo qui per combattere questa vera discriminazione.
Per quanto riguarda invece la zoppa equazione “munaqqabe = monache di clausura”, vorremmo ricordare alla signora Bulic che le islamiche velate integralmente non hanno alcuno statuto religioso pari a quello delle suore che, diversamente, prendono i voti. Operare una simile equazione significa equiparare sul piano religioso le velate e le monache, mettendo alla stessa stregua delle civili con delle religiose. Operare quest’equiparazione intellettuale e semantica significa in ultima analisi delegittimare la laicità dello Stato.
Vogliamo fare un appello a Lei e alla Sua sensibilità perché non possano più esservi donne murate dietro al velo integrale.
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"PRENDETE LE DONNE SENZA VELI E RENDETELE SCHIAVE"

Una lettera scritta in arabo e inneggiante alla «Jihad» (la guerra santa) è arrivata nella mattinata di ieri via mail alla Gazzetta di Reggio. Nel messaggio, firmato «I leader della Jihad nel Mondo Islamico» si ordina alle donne «di usare l’abbigliamento islamico».

La mail è stata inviata da un indirizzo alfanumerico che rimanda a un nome proprio piuttosto frequente fra i musulmani. «I leader della Jihad nel Mondo Islamico», la firma posta in calce al messaggio.«Obiettivo di ogni musulmano - si legge nella lettera spedita alla Gazzetta - è di impedire qualsiasi fatto osceno, in casa sua, nelle strade e nel suo paese...Il punto della questione, è quello di prendere le donne svestite e senza velo come schiave nelle case dei musulmani, di notte portate a letto e di giorno messe a servire le nostre donne, come promesse del Messaggero di Allah». Si farebbe quindi riferimento a un testo islamico: «Le prove di questo sono le seguenti: ” Non ammazzate le donne apostate ma richiamatele all’Islam, se rifiutano allora prendetele come schiave per i musulmani, ma non uccidetele». «Come si vede - prosegue - noi ordiniamo alle donne di seguire gli ordini Divini e la Sunna del Messaggero, di usare l’abbigliamento islamico. Ma se continuano nei loro misfatti osceni, esse apostate contro l’Islam, Corano e contro la Sunna è un dovere per ogni musulmano di sequestrarle e impedire loro di far male ai musulmani nelle strade».«Come lo vediamo ora - si legge più avanti nella mail - la profezia del Profeta è stata realizzata, l’unica cosa rimasta è quella di rialzarsi come il vento per sequestrare le apostate, e usarle come schiave per i musulmani».«O genti dell’Islam - conclude il messaggio - saremo martiri in nome di Allah, dobbiamo sradicare la falsità dal nostro paese e lodare il giusto in quanto comandato da dio altissimo». Nel novembre 2009 era arrivata alla Gazzetta di Reggio, questa volta tramite posta, un’altra lettera inneggiante alla Jihad. Lì, in un italiano stentanto, si minacciavano attentanti nel periodo natalizio verso le scuole reggiane. Nel testo si faceva riferimento anche all’attentato nella scuola di Beslan, nel Caucaso, costato la vita a centinaia di persone. (23/2, Gazzetta di Reggio Homepage ) Leggi tutto ...

mercoledì 24 febbraio 2010

HINA: NON FU DELITTO RELIGIOSO + CONFERMA DI SOUAD SBAI (LINK)

(red.) Sono state depositate le motivazioni della sentenza di conferma alla condanna definitiva a 30 anni per il padre di Hina, la 21enne di origine pakistana sgozzata e sepolta nel giardino di casa da Mohammed Saleem con l'aiuto degli zii della ragazza.“Un patologico e distorto rapporto di possesso parentale e non “motivi religiosi e culturali” spinsero l'uomo ad uccidere la figlia Hina.In questo modo la Cassazione spiega perché il 12 novembre scorso ha deciso di confermare la condanna a 30 anni di reclusione inflitta dalla Corte d'Assise d'Appello di Brescia a Mohammed Saleem, il padre della giovane uccisa nell'agosto del 2006 a Sarezzo, in provincia di Brescia perché “viveva all'occidentale” (leggi qui) . Nella sentenza numero 6587 della Prima sezione penale si legge che “La motivazione dell'agire è scaturita da un patologico e distorto rapporto di possesso parentale, essendosi la riprovazione furiosa del comportamento negativo della propria figlia fondata non già su ragioni o consuetudine religiose o culturali, bensì sulla rabbia per la sottrazione al proprio reiterato divieto paterno” e "nell'atteggiamento spesso intimidatorio e violento di costui nei confronti della figlia che non sottostava ai suoi voleri e rivendicava margini di autonomia".Per questo, la Suprema Corte afferma di condividere le motivazioni dei giudici d'appello, che hanno negato attenuanti al padre di Hina, concesse, invece, ai cognati della ragazza, condannati, in primo grado a 30 anni (leggi qui) e in via definitiva a 17 anni.I giudici di piazza Cavour hanno anche condiviso la sentenza d'appello con la quale veniva disposta una provvisionale, come risarcimento danni, a favore del fidanzato della ragazza uccisa, Giuseppe Tempini, con cui Hina aveva instaurato una convivenza per circa un anno. In proposito, la Suprema Corte parla di un "sostegno economico-morale assicurato dal Tempini a Hina" e riconosce la "intrapresa comunanza di vita" che “attestano un'esatta applicazione dei principi di diritto da parte della Corte di merito con una motivazione immune da sospetti di manifesta illogicità”. (Fonte: http://www.quibrescia.it/ , 18/2).

Anche il fidanzato di Hina e l'avvocato del giovane, hanno ribadito che in effetti il vero movente è stato il coraggio di Hina di aver denunciato le violenze sessuali subite dal padre quando aveva 16 anni. Poi l'uomo ha tirato in ballo islam e cultura perchè SPERAVA DI AVERE DELLE ATTUANTI. Perciò comunque, PER LUI, LO SONO !
E a proposito: IL CASO/ Sbai: Hina Saleem, il delitto di chi piega la religione alla violenza. http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2010/2/24/IL-CASO-Sbai-Hina-Saleem-il-delitto-di-chi-piega-la-religione-alla-violenza/3/69009/ .
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domenica 21 febbraio 2010

QUATTRO COSE (DUE LUNGHE) : UNA PIU' INTERESSANTE DELL' ALTRA

Vi lascio tutto tempo per leggerle e COMMENTARLE !

"L' IMAM MI CHIUDE IN CASA":

http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=124&ID_articolo=858&ID_sezione=274&sezione= .

BURQA: EBADI, VELO INTEGRALE NON E' MUSULMANO E PUO' ESSERE PROIBITO Leggi tutto...

ISLAM: MUSULMANI MODERATI, OFFESI DA DONNE VELATE PER VENDITA CARNE Leggi tutto...

IL VELO FRA PATOLOGIA SOCIO - PSICOLOGICA e MULTICULTURALISMO di Ahmed Habouss, sociologo e docente di Antropologia all'Università Orientale di Napoli, membro del Movimento dei Musulmani Moderati e del nuovo Comitato per l'islam italiano. Leggi tutto... . Leggi tutto ...

E A PROPOSITO DI "EDUCAZIONE" ...



E se volete, su MEMRI ci sono altri recenti video interessanti con donne come protagoniste. Leggi tutto ...

RANIA DI GIORDANIA A SANREMO, LA CAMPAGNA 1 GOAL EDUCATION FOR ALL E NON SOLO

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lunedì 15 febbraio 2010

LA TUNISINA RAPITA PER LE NOZZE COMBINATE. SALIMA: "ORA VORREI SICUREZZA E SERENITA' ".


La diciottenne musulmana (foto): «Ora chiedo di essere protetta». La studentessa perseguitata perchè vive troppo all’occidentale: «Sposerò soltanto chi voglio io». Ha ancora paura: «ma quando ho visto la polizia sotto casa ho preso coraggio». Il padre tunisino voleva che sposasse un 40enne mai visto.

MODENA. Il giorno dopo di Salima, la studentessa di 18 anni di genitori tunisini, nata a Modena, che ha avuto il coraggio di denunciare il padre del quale era vittima per le continue persecuzioni, minacce e botte perché vuole vivere all’occidentale e che da ultimo le aveva imposto di sposare un connazionale di quasi 40 anni. «In realtà - spiega Salima, carpigiana - il piano di mio padre era di farmi sposare quell’uomo che oltre ad essere il cugino della sua attuale moglie, sarebbe arrivato in Italia da clandestino, ma sposandomi, visto che sono italiana, sarebbe diventato regolare. Ma come può una ragazza di 18 anni sposare per forza una persona che nemmeno conosce e con tanta differenza d’età? Quando l’ho fatto notare a mio padre, apriti cielo. Da quel momento le minacce si sono fatte sempre più serrate. Poi sabato, all’uscita da scuola mi ha preso per i capelli e trascinato sul suo furgone. Mi ha portato a casa sua e mi ha picchiato. A quel punto non gliel’ho più fatta ed ho deciso di denunciarlo e ho anche deciso di non andare più a scuola il sabato, giorno libero dal lavoro di mio padre, per paura che mi voglia nuovamente picchiare o farmi del male».
Anche ieri Salima non è andata a scuola, come lei stessa ci ha confermato: «Mi dispiace non esserci andata, ma in questo momento è troppo pericoloso per me. Non me la sento di affrontare una situazione come l’ultima volta, un’altra aggressione. Ho paura di lui, non lo nascondo. Preferisco stare chiusa in casa il sabato, tra le mura di casa mia con mia madre e il mio patrigno, che mi vogliono un sacco di bene, mi sento più tranquilla». Paura accompagnata da uno stato d’ansia continua che si percepisce anche mentre parla, si racconta e racconta: «Alla fine troverò la forza e il coraggio di uscire anche il sabato e soprattutto di andare a scuola. Mia madre ha detto che mi accompagnerà lei in auto, anche gli altri giorni. Non so se sarà la soluzione migliore, conosco mio padre e so come è fatto. Quando gli ho detto che di quel matrimonio combinato da lui non se ne parlava, è venuto a casa di mia madre e ha minacciato di morte lei e il mio patrigno. Lui non guarda in faccia nessuno».
Potrebbe anche arrivare a gesti estremi?«Lo avevo già detto durante il primo incontro con la “Gazzetta”: basta andare indietro di qualche tempo, per capire cosa è capitato alle ragazze che come me non volevano assoggettarsi alle regole della religione islamica. Mio padre è un musulmano integralista e tale è rimasto nonostante sia una vita che vive e lavora in Italia. Mi auguro che a poco a poco capisca certe cose, come la libertà di scegliere come vivere. Nel rispetto della religione musulmana, non può impormi scelte che non sono mie, non appartengono alla mia generazione e ad una persona come me che pur essendo figlia di extracomunitari, è nata in Italia, è cresciuta qui, va a scuola in questo paese e si sente italiana a tutti gli effetti. E quindi accetta e rispetta regole, doveri e diritti, come ogni cittadino italiano. Tutto questo dà fastidio a mio padre che evidentemente crede di poter imporre alle sue donne, è stato così anche per mia madre, di mettersi il velo, di non truccarsi e di non indossare gonne corte o jeans. Sono cose che lo accecano e lo riempiono di rabbia». (Fonte: "Gazzetta di Modena", 7/2)

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FINALMENTE! E' NATA UNA CONSULTA SENZA UCOII

Islam, Maroni "battezza" la nuova Consulta.

Ci sarà anche l’imam Yahya Pallavicini, vicepresidente della Coreis, la Comunità religiosa Islamica, al Viminale per l’insediamento del nuovo comitato per l’Islam italiano, voluto dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni: per Pallavicini, quella di oggi segna «la continuità di una collaborazione istituzionale» con il ministro dell’Interno delle ultime tre legislature.
Lo stesso Pallavicini, infatti, era tra i sedici componenti della Consulta per l’Islam Italiano, convocata nel 2005 dall’allora ministro Giuseppe Pisanu, e ha partecipato con il successivo ministro, Giuliano Amato, al lavoro interistituzionale sul documento della Carta dei Valori della Cittadinanza e dell’Integrazione, che ha ispirato la piattaforma della Federazione dell’Islam Italiano, presentata al Viminale nel 2008.
Nuova consulta, le perplessità dell’Ucoii «Resto perplesso sui nomi scelti dal ministro da inserire all’interno di questo nuovo comitato sull’Islam in Italia che si riunisce oggi al Viminale»: questa la prima reazione di Hamza Piccardo, ex segretario dell’Ucoii (Unione delle Comunità e Organizzazioni islamiche), alla notizia della convocazione da parte del ministero dell’Interno di un nuovo gruppo di lavoro sull’Islam italiano.
«Di consulte “bidone” ne abbiamo già avute abbastanza in passato - ha commentato Piccardo - La scelta delle persone che sono state convocate al Viminale lascia molto perplessi, perché fanno comodo al ministro e diranno sempre di “sì”. Non ci può essere nessuna rappresentatività della comunità islamica senza una legittimazione democratica». (Fonte: "Il Secolo XIX", 10/2)

Tra loro anche membri del neonato "Movimento dei Musulmani Moderati in Italia e in Europa", come il suo stesso presidente Gamal Bouchaib che commenta http://www.musulmanimoderati.com/index.php?option=com_content&view=article&id=70:islam-movimento-musulmani-moderati-bene-maroni-&catid=2:comunicati&Itemid=3

Soddisfata anche Souad Sbai: ISLAM: SBAI (PDL), MARONI E' RIUSCITO A RIUNIRE MUSULMANI MODERATI Leggi tutto... .
Secondo il direttore del sito Islam-online.it, «in realtà c’è un limite culturale da parte del ministero, che non riesce a capire che un politica sull’immigrazione deve essere diversa da quella che va attuata rispetto alla religione islamica in Italia. La questione dei musulmani è solo transitoriamente legata all’immigrazione non solo per la presenza di tanti italiani convertiti, ma soprattutto perché tutti i giovani musulmani, figli di immigrati, sono e saranno in realtà italiani. Non a caso, uno dei primi punti all’ordine del giorno della riunione di oggi dal ministro è quello del permesso di soggiorno a punti. Che cosa c’entra con l’Islam»?
Sulla stessa lunghezza d’onda, ma con maggiore apertura, le parole di Ezzedin el-Zir, imam di Firenze e portavoce dell’Ucoii: «Noi, pur non avendo rappresentanti in questo nuovo gruppo di esperti scelti dal ministro Maroni, consideriamo la sua decisione un passo avanti positivo per tutta la comunità e siamo sempre disponibili a collaborare con lui».
«Noi apprezziamo questa decisione di fare un comitato che affronti le problematiche relative alla nostra comunità - ha aggiunto Ezzedin el-Zir - condividiamo i fini di questa iniziativa e siamo sempre stati in passato disponibili a essere parte di questo gruppo».
Sui motivi che sono dietro all’esclusione dell’Ucoii, l’imam fiorentino si è chiuso dietro a un «no comment», dicendosi comunque «soddisfatto» perché «sappiamo che tra loro ci sono persone che godono della nostra fiducia, come Yahya Pallavicini, e come i due professori di Milano, Paolo Branca e Silvio Ferrari. Siamo certi che sarà molto utile anche l’apporto del direttore della moschea di Roma, Abdellah Redouane, che da più di dieci anni dirige la più importante moschea d’Italia».
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venerdì 12 febbraio 2010

LEILA GHANNAM, EX CAPITANO DEI SERVIZI PALESTINESI NOMINATA GOVERNATORE DI RAMALLAH


Ramallah, 7 feb. - (Adnkronos) - "L'esercito israeliano provoca entrando nella regione. In futuro dovranno coordinarsi con me". Lo dice Leila Ghannam (nella foto), ex capitano dei servizi palestinesi nominata governatore di Ramallah dal presidente di Anp, Mahmoud Abbas, con l'incarico di contrastare Hamas nella capitale non ufficiale della Cisgiordania, secondo quanto riporta il quotidiano britannico 'Times'.
Da governatore, la 35enne Ghannam, single e senza figli, è al comando delle forze armate della regione e "qualsiasi tentativo di rivolta da parte di Hamas, qualsiasi azione illegale anche minima - avverte nell'intervista concessa nel suo modesto ufficio al quinto piano con vista su Ramallah - verrà trattata con il pugno di ferro".
La sua nomina è considerata una mossa "creativa" da parte di Abbas, prosegue il quotidiano britannico, rilevando che la Ghannam indossa il velo, hijab, in una città dove le donne girano in jeans e minigonna (chiedo conferme o smentite).
"Non tutti i componenti di una famiglia osservante sono sostenitori di Hamas", dice la donna, pur ammettendo che è fondamentalista un terzo di chi risiede o lavora nella zona.
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DALL' IRAN

Iran: uccisa giovane donna a Teheran‎ durante gli scontri di ieri con i Bassij, nel corso della grande rivolta popolare in occasione dell'anniversario della Repubblica Islamica. Leila Zehari aveva 27 anni.

La misteriosa Azadeh contro i Pasdaran «Ho attaccato un camion di lacrimogeni» - Corriere della Sera .
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giovedì 11 febbraio 2010

"STANDING OVATION PER AZAR, LEADER DELL'ASSOCIAZIONE GIOVANI IRANIANI IN ITALIA" di Zenab Atalla

Parla la giovane studentessa iraniana, figlia di esuli politici nel nostro Paese, che con la sua testimonianza sulla protesta di Theran ha commosso Pier Ferdinando Casini all’ultimo congresso UDC.

Incontro Azar alla manifestazione di solidarietà con il popolo iraniano, organizzata davanti all’Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran a Roma. Appena la vedo sono tre sono le cose che mi colpiscono: la figura minuta, gli occhi profondi color onice, ed il tono di voce con cui mi saluta, che lascia trasparire la sua grinta. D’altronde il suo nome significa “fuoco” in persiano. Azar ha 23 anni, è nata e cresciuta a Roma, ed è iscritta al terzo anno di Giurisprudenza alla Sapienza. Dell’Iran, il suo paese, sino ad oggi ha potuto ascoltare solo i racconti dei suoi genitori: 30 anni fa, dopo la Rivoluzione e la grande repressione di Khomeini contro i dissidenti interni, Shahrzad e Davood, il padre e la madre, allora giovani studenti universitari anch’essi, costretti a fuggire, sono giunti in Italia come rifugiati politici.Attivisti per i diritti di democrazia e libertà, Shahrzad e Davood, hanno continuato la loro attività politica anche qui: una costante che ha fatto da sfondo alla vita di Azar. Da bambina segue i genitori alle manifestazioni contro il regime degli Ayatollah che gli attivisti promuovono in tutta Europa, a 14 anni è in piazza con un gruppetto di ragazzi figli di esuli politici come lei. Nel 2006 ottiene la licenza liceale, si iscrive a Giurisprudenza, e fonda l’associazione Giovani Iraniani in Italia. La protesta scoppiata in Iran a giugno, dopo la contestata rielezione di Mamhud Ahmadinejed alla presidenza del Paese, con migliaia di persone in piazza, donne e uomini, giovani ed anziani, non ha sorpreso Azar. Mi spiega: “La repressione dura da 30 anni, la gente non ne può più. E dopo le ultime elezioni, ha detto basta. Le ragazze di Tehran, di Mashad, e di altri centri con cui sono in contatto, mi ripetono tutte la stessa cosa: continueremo a manifestare finchè otterremo diritti e democrazia, la repressione non ci fermerà.”. A metà dello scorso dicembre, Azar Karimi, con il suo intervento a difesa del diritto alla protesta degli iraniani contro il regime teocratico, ha appassionato la platea dei delegati del congresso dell’UDC. Stretta tra Lorenzo Cesa e Pierferdinando Casini, che l’ha abbracciata a lungo assicurandole il sostegno della sua formazione politica, mentre il congresso tributava alla giovane una vera e propria standing ovation.

Women in the city. Azar, sei iraniana nata in Italia, come hai vissuto la tua infanzia?

Azar Karimi. Ho vissuto relativamente bene, da cittadina italiana, come una persona normale. Integrata bene e con tanti amici. Ma ho sempre sentito di avere qualcosa di meno rispetto ai miei coetanei. Io non potevo e ancora non posso andare nel mio Paese, tornare a casa, visitare la città dei miei genitori, la nostra famiglia, i miei nonni. Questo, perché i miei genitori sono esuli politici, dissidenti del regime dei mullah, tornare in Iran per loro significa la prigione e la morte. Quando ero piccola, questo non potere tornare in Iran mi poneva sempre tante domande, e non riuscivo a comprendere veramente la ragione. Crescendo, ho capito: lo status di rifugiati politici dei miei genitori si è trasmesso automaticamente anche a me, quando sono nata.Quindi, nonostante io abbia la cittadinanza italiana dall’età di 18 anni, andare in Iran mi è praticamente vietato: potrei essere arrestata, non ho la certezza del ritorno. Lì i miei genitori sono conosciuti, ed è conosciuta la loro attività politica.

Witc. Quale è il sentimento che più di tutti segna una ragazza come te, figlia di perseguitati politici? La paura? Anche qui, in Italia?

A.K. Paura per me, certamente no, perché vivo in un Paese democratico, dove c’è libertà, quella che tanti miei coetanei iraniani sognano di ottenere. Paura per la mia famiglia, in Iran, insieme al rimpianto di non poterli vedere, si. ero più piccola, la paura più grande la provavo per i miei nonni. Sentivo le loro voci e i racconti al telefono: vivevano sotto la pressione delle milizie, non potevano lasciare insieme il Paese per venirci a trovare, solo uno per volta. I periodi consentiti erano sempre più brevi, e quando il nonno o la nonna decidevano di venirci a trovare, cominciavano a ricevere minacce telefoniche. Una volta al mese mia nonna veniva portata in commissariato per essere interrogata, ed una volta è stata incarcerata con mia zia per un mese intero. I carcerieri le raccontavano che mia madre era stata uccisa, oppure che sarebbe stata assassinata se lei non fosse riuscita a convincerla a smettere la sua attività politica contro il regime. A mia madre venivano inviate le stesse minacce: se non avesse smesso, i suoi genitori, tutta la famiglia, sarebbero stati giustiziati. Naturalmente sia noi che i nostri parenti in Iran sapevamo che nulla di quello che diceva il regime era vero, ma la paura rimaneva.

Witc. Quale il tuo punto di vista sull’attuale situazione in Iran?

A.K. Penso che in Iran siamo arrivati ad un punto di non ritorno. Adesso la gente che manifesta sa quello che vuole: il rovesciamento del regime e di tutti gli apparati che gli ruotano intorno. L’obiettivo sono democrazia e elezioni libere. Da quando sono iniziate le manifestazioni di piazza, io e i miei amici proviamo una grande preoccupazione per quanto avviene laggiù, per la repressione, per il sangue versato, ma nello stesso tempo siamo elettrizzati perché qualcosa sta cambiando. (Fonte: 10/1)

A pag. 52 del settimanale "Gente" di questa settimana, c'è un bellissimo servizio su Azar e la sua famiglia.
Witc. A cosa pensi quando dici “cambiamento”?


A.K. Cambiamento per me è la volontà della gente, nel senso che oggi gli ayatollah non possono più nascondere che c’è una forte opposizione popolare alla loro politica. La gente vuole apertamente la caduta del regime teocratico e l’instaurazione della democrazia.Pochi giorni fa ho visto un breve video nel quale si vedono manifestanti che prendono d’assalto un gruppo di poliziotti, riuscendo a metterli in un angolo. Si vedeva chiaramente che i poliziotti avevano paura: la gente gli tirava i sassi addosso, mentre loro scappavano pur essendo armati. Fino a qualche mese fa queste cose non si vedevano. Come non si vedevano bruciare le foto di Khomeini per strada, o gridare slogan come “morte al dittatore”. Adesso è ben chiaro che quando si sente gridare “morte al dittatore” significa dire morte a lui, al suo governo ed al suo regime.

Witc. Gli analisti occidentali dicono che la protesta ha messo in luce nel paese una spaccatura sociale, a protestare sarebbe l’elite intellettuale e benestante. Quale è il tuo punto di vista?

A.K. Sono convinta che non sia così: la protesta è trasversale, e coinvolge giovani e anziani, donne e uomini, tutti gli strati sociali. Un nipote di Moussavi è stato ucciso, il figlio di un membro del regime è stato torturato, seviziato e poi ammazzato in carcere.È una pretesta generale, ciascuno ha vinto la propria paura ed è sceso in piazza. Il malcontento che serpeggiava da trentanni è esploso. In prima fila ci sono migliaia di donne. Perché sorprendersi? L’Iran è un paese giovane, le ragazze vanno a scuola da cento anni, vanno all’università, lavorano. Il regime misogino le ha sempre trattate in un modo animalesco, brusco. Imponendo una condizione di sottomissione, di inferiorità legale; le donne iraniane sono represse, sorvegliate nell’abbigliamento, separate dagli uomini nello spazio pubblico. Vivere una condizione di questo genere è impensabile, la donna non è una proprietà. Penso che il regime abbia sempre temuto la nostra potenza, perché in un modo o nell’altro le iraniane gli hanno sempre dato filo da torcere, e per questo Neda, la studentessa uccisa nel corso delle manifestazioni, è diventata il simbolo di tutta la protesta iraniana.Dall’altra parte, nella provincia iraniana o nei quartieri cittadini degradati si sono anche molti analfabeti, molti disoccupati e molti drogati. Se metti una persona nella condizione di restare analfabeta, di avere la droga e di non avere un lavoro, sei sicuro che difficilmente riuscirà a ribellarsi.
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mercoledì 10 febbraio 2010

LA SPOSA E' BRUTTA, NOZZE ANNULLATE

Dubai, lui la vede solo all'altare.

Un ambasciatore arabo di Dubai ha ottenuto l'annullamento delle promesse di nozze, poichè una volta arrivato all'altare ha scoperto che la donna, destinata a stargli accanto per tutta la vita, era strabica e barbuta. L'uomo sarebbe stato raggirato dalla suocera che, negli incontri per combinare il matrimonio, gli aveva mostrato le foto di un'altra figlia, mentre la futura sposa, nei rari appuntamenti, indossava sempre un velo che le copriva il volto.
Nel matrimonio arabo i primi approcci e accordi vengono combinati proprio dalle madri. (Fonte: http://www.tgcom.mediaset.it/ )

Nelle poche occasioni in cui i due fidanzati si erano potuti incontrare, la giovane donna indossava il niqab, il velo tradizionale. Per il futuro sposo era stato quindi impossibile verificare la bellezza della ragazza. L'uomo è rimasto molto sorpreso di scoprire che la donna non assomigliava affatto alle foto che aveva visto e ha subito fermato la cerimonia. Il diplomatico si è quindi rivolto al tribunale per chiedere l'annullamento della promessa di nozze ed un risarcimento per danni morali. Il giudice, secondo il quotidiano "Gulf News" che riporta la vicenda, ha esaminato il caso e ha concesso l'annullamento dell'unione ma non la restituzione di regali e gioielli, per un valore di circa 100.000 euro, donati alla donna durante il fidanzamento.
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martedì 9 febbraio 2010

PROVATE A VIVERE CON UN BURKA ADDOSSO


Autore: Simona Bassano Di Tufillo, Jamila Mujahed

Titolo: Burka!

Edizioni: Donzelli

Pagine: 43Prezzo: 16,50 euro

«Provate a bere, a mangiare, a camminare, a baciare o anche solo a farvi riconoscere da vostro figlio o da vostro marito. Provate a vivere con un burka addosso...». Bastano queste poche parole per cogliere lo spirito del libro “Burka!”, edito da Donzelli con il patrocinio di Amnesty International, che raccoglie 24 tavole a fumetti realizzate dall’artista Simona Bassano di Tufillo, accompagnate del testo "La mia vita a Kabul" di Jamila Mujahed. Giornalista radiotelevisiva e presidente dell’associazione "The Voice of Afghan Women", Jamila Mujahed combatte per il riscatto delle donne nel suo Paese ed è stata in questi giorni a Roma per la presentazione del libro alla "Casa delle Donne". Jamila lancia un appello per avere un sostegno concreto alla sua sfida contro il fondamentalismo islamico: una battaglia che passa per la presa di coscienza dei loro diritti da parte delle donne. Radio, rivista e giornalismo sono gli strumenti fondamentali di cui si serve «per aprire gli occhi alle donne» contro il fondamentalismo, diffuso e radicato ovunque e non solo nella minaccia dei taleban. Proprio l’informazione è l’arma scelta da Jamila per contrastare l’islamismo radicale: «Abbiamo avviato una grande battaglia in Afghanistan, abbiamo creato la prima radio per le donne nell’area, nè in Pakistan nè in Iran ne esistono. Ora vogliamo fare una biblioteca». E chiede l’aiuto dell’Italia, «del governo, del popolo e delle donne italiane», per continuare a combatterla. (Fonte: Liberali per Israele , 4/1)

E ancora: Iran, vietata la parola donna in tv permalink, Se le donne arabe coraggiose si ribellano magari salveranno anche noi eurabici gia' rassegnati alla dhimmitudine da sommersione islamista permalink, Hamas incoraggia le donne a indossare lo Hijab da codice Islamico permalink
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"BURQA: E' ORA DI FINIRLA CON LE IPOCRISIE", di Valeria Coiante

Valeria Coiante, autrice e conduttrice di "Crash - Contatto, Impatto, Convivenza". Ha condotto "Un mondo a colori".

Dopo sette anni passati a occuparmi di immigrazione, integrazione e culture "altre" dalla nostra, ho la presunzione di considerarmi più esperta su questi argomenti di tanti altri, che pure non rinunciano a parlarne, perché troppo spesso le parole, gli slogan, gli ideologismi se li trovano già pronti davanti e a quel punto perché non usarli? Tanto in Italia ormai sono due le parole completamente svuotate di senso e significato: la prima è la parola "merito" (ma di quella parleremo un'altra volta), la seconda è "competenza". Nessuno più, in Italia, crede che meritarsi qualcosa serva poi ad ottenerla, come nessuno più, ormai, richiede a chi parli di qualcosa la competenza per farlo.

Il burqa è un "vestito".

Se burqa è un capo d'abbigliamento, lo erano anche le divise dei nazisti, o i pigiami a righe degli internati di Auschwitz. Il burqa, come ogni altra divisa, non è "mobile", non cambia a seconda delle mode, non si adatta a chi lo indossa, non parla "di" lui o di lei, non racconta la sua storia di individuo. Il burqa è rigido, è immutabile, è al di là della persona, parla una lingua sua che trascende la persona che lo porta in giro, è portatore di un messaggio preciso.
Il burqa non è un mezzo, è il messaggio.
Il burqa non è un vestito.

Il burqa è l'espressione di un sentimento religioso.

Non esiste una religione, nel mondo, che presciva e obblighi le donne all'uso del burqa. Esistono invece uomini, e governi, che rifacendosi a un'interpretazione del Corano che noi in occidente chiamiamo "integralista", emanano leggi dello Stato che obbligano le donne a portarlo. Esistono poi singoli individui che pur non vivendo in Stati dove la legge imponga alle donne il burqa, costringono ugualmente le proprie donne ad indossarlo.
Nel primo caso non c'è conflitto fra poteri, visto che negli stati di cui sto parlando vige il potere religioso: a dettar legge è il Corano e chi ne dà le sue interpretazioni, e non si discute. Quindi, in nome di Dio, burqa, taglio delle mani, lapidazione e quant'altro.
Nel secondo caso bisognerebbe vagliare, di volta in volta, se la conculcazione dei diritti della persona (in questo caso la donna) prevalga o meno sul diritto che in quello Stato si applica. Un esempio: immagino che nello Utah nessuna legge impedisca agli Amish di vivere senza riscaldamento ed energia elettrica, ma immagino anche che se in uno dei loro insediamenti cominciassero a morire assiderati tanti bambini, lo Stato interverrebbe obbligando i genitori a comprare una stufetta elettrica. In quel caso, i diritti dei bambini prevarrebbero sul diritto dei genitori di interpretare la loro religione in maniera fondamentalista.
Ma se domani gli Amish dovessero diventare maggioranza e decidessero di far diventare legge dello stato la loro lettura fondamentalista della Bibbia, probabilmente diventerebbe legale far morire di freddo i bambini e nessuno potrebbe protestare (a parte le solite associazioni per i diritti umani). Il burqa non ha niente a che fare con la religione, ma solo col diritto e le sue interpretazioni.

Il burqa è un argomento che interessa tutti.

Il burqa è uno strumento che è possibile adoperare solo su metà del genere umano, quella femminile.
Nei paesi dove questo è obbligatorio per legge, quelle leggi sono amministrate solo da una metà del genere umano, quella maschile.
Se il burqa non è un vestito ma una divisa che "parla" all' esterno di chi lo indossa, rendendolo assolutamente passivo, e se l'obbligo di portarlo è figlio di una elaborazione giuridica operata dagli uomini, ne discende che in tutta la faccenda le donne sono le uniche vittime della volontà degli uomini.
Il burqa riguarda e interessa solo le donne, in quanto solo le donne possono restarne sotto. Quindi, per quello che mi riguarda, penso ce ne sia abbastanza per augurarmi che su quest'argomento in Italia siano soprattutto le donne a decidere.

Il burqa va "combattuto" con un "processo culturale" che porti le donne a liberarsene, senza interventi legislativi.

Questa è allo stesso tempo una tautologia e un ossimoro.
Una legge è sempre figlia di un processo culturale. Anzi, direi che è allo stesso tempo la sintesi e il punto di arrivo più alto di ogni processo culturale.
Se io stato laico emano una legge che stabilisce il divieto del burqa, è perché arrivo da un centinaio di anni di lotte per la parità dei sessi, è perché ho alle spalle una storia che si è nutrita e ha prodotto un processo culturale. Esprimo così la mia cultura, che afferma la responsabilità individuale della persona, la sua riconoscibilità e il suo diritto/dovere ad essere indivuduo che si autodetermina come persona, e non come cartello pubblicitario portatore di messaggi. Inoltre, così facendo metto al riparo la maggioranza di donne che ora sono costrette a portarlo da una violenza che lede i loro diritti quotidianamente.
E quella minoranza che dice di portarlo come "libera scelta"? Direi che si adeguerà, così come probabilmente tutti i giorni esistono milioni di persone che si adeguano per esempio al divieto di svoltare a destra col semaforo rosso, pure se non passa nessuno: semplicemente, si fermano per non prendere la multa. C'è sempre poi l'opzione di invitarli a cambiare nazionalità: nello stato di New York, per esempio, puoi svoltare a destra anche se il semaforo è rosso.

Il burqa per le donne islamiche è come il lifting per le donne occidentali.

In tutte le civiltà, purtroppo, le donne subiscono l'imposizione di un modello che viene loro dettato da chi detiene il potere, e il potere (purtroppo) è quasi sempre nelle mani degli uomini.
Ma in quest'ultimo ideologismo, imperante soprattutto nella sinistra italiana, davvero non si capisce come sia possibile mescolare un obbligo di legge (infrangendo la quale si rischia la pelle) con l'aderenza più o meno inconsapevole a modelli imposti dai mass media (infrangendo la quale si rischia sempre la pelle, sì, ma sotto forma di rughe). Quando rifarsi la faccia in Italia sarà obbligatorio per legge, ne riparleremo. Spero solo che in quel caso lo passi il SSN, o la Casagit. (Fonte: Arabiyya )
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domenica 7 febbraio 2010

NIENTE FACEBOOK PER MUSULMANI. EGITTO, FATWA PERCHE' ROVINA LE FAMIGLIE


Facebook vietato ai musulmani da una fatwa: il social network è stato messo all'indice in Egitto come probabile causa dell'aumento dei divorzi e della crisi della famiglia. E' proprio contro la community più usata tra i giovani dei Paesi arabi che, secondo il giornale "al-Quds al-Arabi", lo sceicco Abdel Hamid al-Atrash ha emanato un decreto religioso islamico che ne vieta l'uso per la prima volta a tutti i musulmani.
L'autore della fatwa è l'ex presidente della commissione per la fatwa dell'università islamica di al-Azhar, un religioso egiziano, che avrebbe emanato il provvedimento dopo essere venuto a conoscenza dei dati emersi da uno studio diffuso nel Paese arabo secondo cui il successo di Facebook va di pari passo con il numero dei divorzi tra le famiglie musulmane."Già la precedente commissione islamica di al-Azhar da me presieduta aveva discusso del fatto che Facebook avesse causato un notevole aumento dei tradimenti tra le coppie egiziane - spiega al-Atrash -. Si tratta di uno strumento che distrugge la famiglia perché spinge il coniuge ad avere rapporti contrari alla Sharia con altre persone. Mentre uno dei due è impegnato al lavoro, l'altro chatta con un estraneo sprecando il suo tempo libero e compiendo un'azione contraria alla legge islamica. Questo strumento mette in pericolo la famiglia nella società musulmana".

"Facebook, o Internet, sfascia una famiglia su cinque"

Nei giorni scorsi un'equipe di sociologi egiziani ha dimostrato, studi alla mano, che almeno un caso di divorzio su cinque nel Paese arabo è stato causato da Facebook o comunque da un tradimento iniziato online. Per gli studiosi i social network aiutano i coniugi a tradirsi avendo rapporti con estranei non conformi alla Sharia. "Questo strumento tecnologico, come altri dello stesso tipo, tra cui i canali televisivi satellitari, sono un'arma a doppio taglio - conclude il religioso egiziano -. Se da un lato permettono la diffusione della religione islamica, dall'altro consentono alle persone di vivere l'amore in modo illecito e di avere rapporti interpersonali vietati dalla Sharia. Per cui chi entra in questi siti deve essere considerato un peccatore". (Fonte: http://www.tgcom.mediaset.it/ , 4/2 )
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COOP COMMESSE CON IL VELO PER LA CARNE MUSULMANA

ROMA. L' INIZIATIVA IN SUPERMERCATO CHE OFFRE PRODOTTI "HALAL" . LA MUSSOLINI: "BENE, SE SONO BUONI LI PRENDO PURE IO".

ROMA - Le battute, adesso, sono facili: l' islam nel carrello, la spesa parla arabo. A Roma c' è una novità: in un supermercato della capitale, l' Ipercoop Casilino, si potranno acquistare prodotti «Halal», termine arabo che significa «lecito» e che definisce ciò che è permesso secondo i dettami islamici. L' equivalente dell' ebraico «kosher», tradizione con la quale ci sono diverse somiglianze. Per reclamizzare i prodotti arabi, si è scelta un' iniziativa ad effetto: affidare la vendita e l' informazione alla clientela a commesse arabe, con indosso il tradizionale hijab, il velo, che per le prime settimane inviteranno la clientela ad acquistare le carni musulmane. Il luogo scelto non è casuale: il Casilino, zona est della capitale, è una periferia popolosa, ad alto tasso di multietnicità, dove l' integrazione va costruita. Ieri, all' inaugurazione del nuovo reparto organizzata dal portale Minareti.it, c' erano rappresentanti della comunità islamica di Roma, imam provenienti dal resto dell' Italia (come quello di Firenze, Izzeddin Elzir, e quello di Ravenna Moustafa Toumi che aveva invocato un «McHalal», sulla scia del recente «McItaly»), il giornalista senegalese Idris Sanneh che ha scherzato coi clienti: «Questo cibo è migliore del vostro». E poi alcuni amministratori locali, come il minisindaco del VI Municipio Gianmarco Palmieri (Pd). Ma, soprattutto, c' era tanta gente, incuriosita dalla novità e pronta ad assaggiare le pietanze arabe. Le commesse col velo distribuivano volantini, spiegavano ai clienti le particolarità delle carni halal, che provengono da animali macellati con un procedimento eseguito dai musulmani: il taglio netto della vena giugulare, per il totale dissanguamento del capo da lavorare.



E ricordatevi: Per la pace e l'amicizia tra i popoli .

E in pezzo interessante: LA DONNA NON È GENTE, sulla situazione della donna nel mondo, incluso naturalmente quello islamico permalink .
Carne anche conveniente, a sentire i responsabili del settore macelleria: «Nella tradizione musulmana non si usano tagli pregiati». Sui depliant informazioni in italiano ed arabo, oltre a ricette per il cous cous e il tajine, mentre nel frigo trovano spazio hamburger, macinato, pollo, carne di bovino e agnello, garantita da due imam e proveniente da stabilimenti in Francia e in Italia. Alessandra Mussolini (Pdl), l' ha presa bene: «Se i prodotti sono buoni, ce li compriamo pure noi... L' imam certificherà le carni meglio di certe nostre agenzie. Non ci sarà la mucca pazza, almeno. E a me il maiale non piace...». Anche Confcommercio Roma non è contraria: «È un' ottima risposta - dice il presidente Cesare Pambianchi - a chi ci vorrebbe far togliere i nostri crocifissi... Le commesse col velo fanno parte di un' iniziativa di marketing, anche un po' provocatoria, ma il nostro esempio di civiltà è questa: far costruire le moschee, permettere la vendita di prodotti halal. È questo che ci differenzia da altri paesi, oscurantisti ed invadenti: teniamole presente queste distinzioni». Carni halal per tutti, allora. E non solo: «Il campo dei prodotti etnici - spiega Massimo Lenzi, direttore commerciale di Unicoop - è destinato ad allargarsi». Allo studio aree dove vendere prodotti cosmetici per persone di colore, creme per la pelle anche schiarenti, shampoo. E, ancora, biscotti halal e altri cibi. Non il maiale, naturalmente: se la spesa parla arabo, le salsicce restano fuori dal carrello.


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sabato 6 febbraio 2010

SANIA MIRZA LASCIA IL TENNIS PER LE NOZZE COMBINATE


Dopo essere stata tormentata da integralisti musulmani e conservatori indiani, è di pochi giorni fa l’annuncio:”Mi sposo e lascio lo sport”. Risulta strano per una che è considerata l’icona dell’emancipazione femminile in India. Sania Mirza ( sopra, in campo e nel giorno del suo fidanzamento, ndr), giovane indiana cresciuta a Hyderabad, è la più forte giocatrice di tennis femminile proveniente dall’India, grazie soprattutto all’ottavo posto agli US Open del 2007, che l’ha portata a rappresentare l’India ai Giochi Olimpici del 2008. Dalla Fatwa, emessa a settembre 2005 dal Consiglio degli Ulema per l’abbigliamento in campo, alle dichiarazioni sul sesso prima del matrimonio, ha sempre fatto parlare di sé più per le polemiche che è riuscita a scatenare che non per il suo gioco.
Accade, ad esempio, che Mirza un giorno giri uno spot pubblicitario vicino alla Mecca e sia costretta a giustificarsi ufficialmente con l’Imam:”Voglio scusarmi con tutti i miei fratelli e le mie sorelle e i rispettabili anziani che si sono sentiti offesi perché ho inavvertitamente profanato un pezzetto di terreno”. Poi succede che un fotografo la ritragga seduta, in un momento di relax, con i piedi nudi appoggiati su una balaustra, ma involontariamente troppo vicini a una bandiera indiana, che immediatamente un contadino faccia regolare denuncia perché sia colpita da una condanna per oltraggio alla nazione. E ancora quella serie di tornei che ha fatto gridare allo scandalo perché giocata in doppio con Sahar Peer come compagna, ovvero un’israeliana. Sono questi i motivi che fanno di lei una vera e propria star in India, dov’è contesa dalle copertine dei giornali più occidentalizzati, nonché dai produttori di Bollywood e dai siti internet. E’ per questo che la stampa di tutto il mondo avanza qualche sospetto, ossia che abbia ceduto alla famiglia per il più integralista dei motivi: il matrimonio combinato. Ma a quanto dice l’aveva deciso da piccola:”Quando mi sposerò lascerò il lavoro in favore della famiglia”. Il fidanzato conferma che la supporterà in ogni sua decisione, qualunque questa sia, così come il padre che afferma di non aver influito in alcun modo nella sua decisione. E noi, per quelle donne che hanno visto in lei una speranza, ci auguriamo che sia davvero così. (Fonte: Arabiyya )

E alcuni articoli sul burqa , ISLAM: ESPERTO AL-AZHAR, DA SHARIA NESSUN OBBLIGO VELO INTEGRALE 'BENE IL GOVERNO FRANCESE, NIQAB NON HA FONDAMENTO' Leggi tutto... e poi Imponi il burqa alla moglie? Non puoi diventare francese Leggi tutto... . Leggi tutto ...

giovedì 4 febbraio 2010

ALMAS (E HINA). "COLPA DELL'ISLAM INTEGRALISTA. E' VITTIMA DI CHI PROFESSA L'ODIO"


Ahmad Ejaz, giornalista pakistano, unico membro non arabo della Consulta islamica nata nel 2006 presso il ministero dell’Interno. Che succede? Ci troviamo di fronte a un nuovo caso Hina?

«Il rischio alto è che ci si trovi di fronte al tentativo di un matrimonio combinato forzato. Nella nostra cultura le nozze combinate sono il fulcro della società. Quelle forzate sono ovviamente un crimine. Ma gran parte dell’immigrazione pakistana arriva dalle zone rurali, che sono molto tradizionali, ed è probabile che la famiglia abbia rapito la ragazza per portarla in Pakistan».

Un sequestro perché la ragazza torni alle buone tradizioni pakistane?

«Il modello è quello inglese. Nel Regno Unito ogni anno 1300 ragazze scappano via dai matrimoni forzati».

Hina è stata uccisa. C’è il rischio che sia successo lo stesso?

«Come intellettuale e giornalista dico che se è così siamo a un livello bassissimo della nostra cultura millenaria. Se davvero siamo arrivati al punto di uccidere le nostre figlie, dobbiamo guardarci allo specchio e farci un’esame di coscienza».

Almas ha 17 anni e voleva solo vestire e vivere all’occidentale. È ancora considerato un crimine da molti immigrati pakistani. Perché?

«I genitori spesso non sono integrati. Scappano da un Paese in guerra, si sentono costretti a vivere qui e lo fanno lontani dai costumi italiani, dalle abitudini culinarie, sociali, dell’abbigliamento e della scolarizzazione di questo Paese».

Anche in questo caso ci potrebbe essere la complicità di una moglie e di una madre. Perché le donne non solidarizzano con le figlie?

«La famiglia pakistana è gerarchica, il padre comanda, la madre si occupa della casa. Pensi che la moglie dà del «lei» al marito, come nella Sicilia di un tempo. D’altra parte era mondo arabo anche quello».

Qui sembra che ci sia un’altra madre matrigna.

«Il fatto è che quel sistema funziona finché sei nel contesto pakistano. È ovvio che quando esce da quei confini entra in conflitto con il modello culturale occidentale».

Quanto c’entra la religione? C’è lo zampino di un islam fondamentalista?

«Certo. E in Italia i Fratelli musulmani stanno lavorando benissimo in questo senso. Hanno le moschee e hanno i soldi».

Hanno anche i predicatori?

«Tabligh e Dawa, un’organizzazione integralista di missionari di tradizione islamica, ogni anno riunisce a Bologna seimila persone per il mese di maggio. Girano l’Italia per dire ai “fratelli” di non vestire all’occidentale e di non andare al bar. Predicano contro le tradizioni occidentali».

Predicano contro l’integrazione?

. E mettono in grave imbarazzo molti fedeli. A Roma molti grandi cuochi sono egiziani e bengalesi. Se gli dici di stare lontani dal maiale, vivono una frustrazione: pensano che fare il loro lavoro sia un peccato. Così si alimenta l’esclusione, una vera e propria ghettizzazione».

Come si combattono questi fenomeni?

«Integrazione è la parola d’ordine. E per questo lavoreremo con la Consulta».

Non è a un binario morto?

«Potrebbe presto riprendere l’attività. Si aspetti una sorpresa». (Fonte: Movimento dei Musulmani Moderati )


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mercoledì 3 febbraio 2010

ISLAM E NON SOLO

Una rom sposa bambina a Brescia‎ .

Stalker marocchino denunciato per bigliettini amorosi .

carpizeronove: Stalking, marocchina denuncia il padre: «Non voleva ... .
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SI DA' FUOCO A FIGLIOLETTO, MORTI


Donna tunisina si e' cosparsa di benzina in casa a Osimo.

(ANSA) - ROMA, 1 FEB - Madre e figlio sono morti nella loro abitazione a Osimo. La donna, tunisina, si e' cosparsa di benzina insieme al suo bimbo di 4 anni Il fatto e' avvenuto in localita' San Sabino. La giovane donna (Aida Habachi, ndr), di 32 anni, sposata e separata con un italiano, si e' cosparsa di benzina e ha cosparso di liquido incendiario il figlioletto nella camera da letto della loro casa. Poco prima la donna, depressa per la fine del matrimonio, aveva telefonato a dei conoscenti, annunciando di farla finita.
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lunedì 1 febbraio 2010

IL "FIGLIO UNICO" ANCHE IN BANGLADESH

Pechino fa scuola. La politica del «figlio unico», attuata dalla Cina da decenni - con il risultato di circa 400 milioni di bambini non nati - arriva ora in Bangladesh, uno dei più popolosi Stati musulmani del mondo. Il governo di Dhaka sta completando la stesura di una nuova legge che ben si riassume in uno slogan: «Non più di due figli, uno è meglio». La nuova normativa - secondo il ministro della Salute e della famiglia Ruhal Haque - vuole ridurre drasticamente il tasso di bambini, che oggi è di 2,7 per nucleo familiare. (Fonte : Corsera, 25/1)

River » Stuprata, rimane incinta: 101 frustate.

Invece Donna kamikaze, strage di sciiti in Iraq‎ .

Non dimenticate di guardare Per la pace e l'amicizia tra i popoli . Leggi tutto ...