giovedì 8 ottobre 2009

MORTO PER RELIGIONE

STORIA DI ROBERT, 20 ANNI, CRISTIANO IN PAKISTAN.

Amava, ricambiato, una ragazza musulmana, è stato salvato dal linciaggio con l’arresto. Ma dal carcere non è più uscito vivo. E un padre francescano attacca: «L’hanno torturato, contro di noi c’è una vera persecuzione».

Ucciso a vent’anni, picchiato e torturato, perché cristiano innamorato di una musulmana. L’ennesima vicenda di persecuzione religiosa contro le minoranze arriva dal Pakistan e precisamente dal villaggio di Jaithikay, vicino Sialkot, nel Punjab settentrionale. È la storia dell’amore impossibile tra Robert Masih, nato nel febbraio 1989 da una famiglia molto povera (il padre Riasat è operaio), e la bella Hina, una quindicenne dai lunghi capelli neri abitante nella palazzina dall’altra parte della strada e figlia di Ashgar, il barbiere del quartiere. Vicini di casa, ma separati dal pregiudizio e dall’odio confessionale che condanna senza appello qualsiasi legame tra i due giovani. Loro ovviamente non ci credono. Dopo tutto si vedono ogni giorno sin da quando erano bambini. Perché mai non potrebbero amarsi? Ormai sono cresciuti, i sorrisi di una volta diventano sempre più promesse di desiderio. Del resto sanno bene di infrangere un tabù. La cinquantina di famiglie cristiane (per lo più cattolici) residenti tra i circa 35.0000 musulmani di Jaithikay hanno visto con preoccupazione negli ultimi anni crescere il vento del fondamentalismo religioso. La coesistenza è ancora possibile, ma necessita codici di comportamento sempre più controllati, riservati. Solo la rigida separazione costituisce viatico di sicurezza. Oltretutto la situazione è peggiorata dopo la guerra in Afghanistan e la caccia ai talebani da parte della comunità occidentale nel 2001. Ormai i cristiani (circa il 2% degli oltre 165 milioni di pakistani) non hanno più vita difficile solo nelle regioni prospicienti le Zone Tribali dominate dagli integralisti pashtun, ma anche nel tradizionalmente molto più laico e tollerante Punjab. Negli ultimi mesi da queste parti sono scoppiati gravissimi pogrom anticristiani con un centinaio di abitazioni bruciate, diversi feriti e persino una decina di morti. A Jaithikay le cronache delle violenze arrivano amplificate dagli echi degli attacchi di giugno e luglio ai quartieri prospicienti le chiese a Bahimaniwala, nel distretto di Qasoor, nei villaggi di Korian e Godjra, in quello di Toba, e nella cittadina di Tahta Manik.

NIENTE SESSO, SOLO BACI

Ma Robert e Hina ci badano poco. Il loro legame si è fatto più stretto da circa otto mesi. Nulla a che vedere naturalmente con la libertà cui siamo abituati noi occidentali. Niente sesso, ovviamente, al massimo qualche bacio rubato. I loro sono incontri fugaci, si vedono per la strada mentre Hina va alla Madrisa (la scuola religiosa per ragazze), sorrisi dalle finestre, telefonate di nascosto e poco altro. Lei però ha un diario. «Una sorta di quaderno intimo molto tipico delle adolescenti. Vi annota di tutto: i dialoghi con le amiche, appunti di scuola, pensieri sparsi e ultimamente sempre più poesie d’amore per Robert. Non mancano alcuni salmi religiosi e preghiere islamiche», raccontano amici e vicini. Proprio questo zibaldone tanto variegato diventa però il motivo scatenante la condanna a morte per il ragazzo. La mattina dell’11 settembre, verso le sette e mezzo, Robert incontra Hina per la strada. Solo pochi minuti. Lei gli passa veloce il diario. Ci sono alcune nuove poesie dedicate al loro amore. Lui se lo infila sotto la maglietta per andare a leggerlo con calma in camera sua. Però li vede la madre di lei, Shakeela, che ormai da tempo vorrebbe porre termine alla relazione. (Fonte: Corriere della Sera, 7/10)
E non esita a correre furiosa verso il giovane per farsi consegnare il quaderno. Lui si spaventa, fugge verso casa. A questo punto accade l’imprevisto, che diventa la sua condanna a morte: a causa dei movimenti bruschi il diario si sfila dalla maglia e cade nel rigagnolo della fogna a cielo aperto lungo la carreggiata. «È stato questo incidente del tutto casuale a fare precipitare la situazione. Shakeela lo racconta al marito e questi decide di utilizzarlo a pretesto per scatenare la solita accusa dei musulmani contro i cristiani. Visto che nel diario ci sono anche versi religiosi musulmani, si può imputare Robert di blasfemia. È un infedele, un provocatore, ha dissacrato i versi del Corano, ha offeso il Profeta. Anche se tutti noi sappiamo benissimo che gli scritti di Hina, sebbene contengano anche alcune pagine tratte da pubblicazioni islamiche, non hanno nulla a che fare con il Corano e comunque Robert non aveva la minima intenzione di offendere la fede musulmana», spiega Francis Younis, un padre francescano nato 38 anni fa nel Punjab, che ormai da tempo si occupa di denunciare gli abusi ai danni della sua comunità.

CLIMA INCANDESCENTE


Pure, il clima si fa incandescente. A detta di padre Younis, come già nel passato, a cavalcare il sospetto popolare nei confronti dei cristiani arrivano alcuni militanti dei movimenti estremisti. Lui ne nomina due particolarmente attivi nella regione: Jamait- e-Islami e Shabab-e-Mili. Sono loro che aizzano la gente. «Migliaia di giovani musulmani attaccano la zona cristiana. Viene bruciata la chiesa. Quasi tutti abbandonano le loro abitazioni e lasciano il villaggio. Chi non fa a tempo resta intrappolato. Un mio conoscente ha visto due ragazzi picchiati da almeno una trentina di persone», racconta. Robert, consigliato dai parenti, va dal padre di Hina per porgere le sue scuse. Ma non servono. «Posso dimenticare il fatto che tu abbia cercato di avere una relazione con mia figlia. Ma assolutamente non la tua dissacrazione del Corano», gli risponde inflessibile. La piazza si fa ancora più incandescente e soltanto l’intervento in forza della polizia calma temporaneamente gli spiriti. Sebbene molti cristiani preferiscano restare fuori dal villaggio. Anche Robert viene arrestato alle cinque di lunedì pomeriggio. A detta dei famigliari, prima viene portato nella prigione di Samberial, poi in quella distrettuale di Sialkot. Fanno anche il nome degli ufficiali che lo hanno in consegna: Ahmad Chohan e Farooq Lodhi. Sembrerebbe la svolta, gli agenti lo salvano dal linciaggio. Però non è così. Il suo corpo privo di vita verrà consegnato il giorno dopo dalla polizia per l’autopsia nel locale Ospedale Civile. La spiegazione ufficiale è una sola: suicido. Ma padre Younis, che ha visto il cadavere (come testimonia - nella pagina precedente - la fotografia che ci ha inviato), cita i medici che non hanno dubbi. «Si tratta di omicidio. Robert è stato prima torturato, come testimoniano le vistose ferite alla testa e alle gambe. Quindi soffocato con una corda molto tagliente attorno al collo», accusa con un filo di voce. «Ora speriamo solo che la denuncia pubblica possa impedire il ripetersi di queste atrocità. Anche se non riporterà in vita Robert».

1 commento:

kizzy ha detto...

Dio mio ma com'è possibile reprimere i sentimenti? Come possono farlo se non uccidendo chi ha osato innamorarsi di una musulmana... ma questi non sono umani, lo ribadisco: non ho parole per definirli in altro modo...