Protesta alla reggia sabauda. Del Noce: «Il razzismo non c'entra». La ragazza marocchina: «Non ci faccio più caso, sono stati i colleghi a volermi difendere».
TORINO - Ieri i ragazzi della biglietteria, le guide, gli addetti alla sicurezza — insomma tutto il personale della Reggia di Venaria — si sono presentati al lavoro indossando veli e kefiah. Una protesta e, allo stesso tempo, una manifestazione di solidarietà per una loro collega marocchina, Yamna Amellal (foto, con una collega, anch'essa velata, della Reggia di Venaria, ndr), di 35 anni. Il perché dell'iniziativa lo spiega Michele Francabandiera, 29 anni e da cinque uno di responsabili alla reception del castello sabaudo: «Yamna è con noi dal 2007, sempre dietro lo sportello, e fa bene il suo lavoro. Ma il fatto che sia musulmana e indossi il velo ha provocato delle proteste da parte dei turisti».
Un susseguirsi di episodi imbarazzanti e, venerdì scorso, una lettera anonima pubblicata sulla Stampa: «Mi sono presentata alla biglietteria della Reggia di Venaria, storica residenza di Casa Savoia e mi ha colpito non poco notare — ha scritto una visitatrice torinese — che fosse presidiata da due donne islamiche, una addirittura con il velo in testa. Non sarebbe più corretto che il personale indossasse abiti d'epoca dei Savoia? Quella presenza, invece, era decontestualizzata, fuori posto». La risposta del direttore della Reggia, Alberto Vanelli, è stata decisa ma articolata: «Io non ci trovo nulla di male, l'integrazione passa anche attraverso queste cose. Però confesso che, la prima volta che l'ho vista, ho avuto un attimo di perplessità. Già in passato ci è stato fatto notare che sarebbe stato più opportuno avere personale con profonde conoscenze della storia sabauda, ma l'assunzione è avvenuta tramite il Collocamento e una cooperativa di servizi».
Una guida, Sabrina Soccol, 28 anni, aggiunge: «La donna che ha scritto la lettera non si è neppure accorta che l'altra ragazza da lei indicata come islamica è invece italiana, calabrese...». (Fonte: Corsera)
Ma quello è un segno di sottomissione Maria Laura Rodotà (31 maggio 2009) .
A gettare acqua sul fuoco, il presidente del consorzio che amministra la Reggia, l'ex direttore di Raiuno Fabrizio Del Noce: «L'opinione della signora, espressa in toni pacati e non oltranzisti, è da rispettare. Allo stesso modo la manifestazione dei colleghi della ragazza marocchina è stata altrettanto legittima e civile. Insomma, non siamo di fronte a un episodio di razzismo come quando l'intera curva di uno stadio insulta Balotelli». A storcere il naso, però, non è stata solo l'anonima lettrice. I colleghi della ragazza marocchina raccontano di episodi di razzismo («Torna a casa tua»; «Quel velo è una provocazione, sono tutti terroristi») e proteste quotidiane: «Spesso capita che qualcuno, per non acquistare il biglietto da Yamna, cambi fila — confida Sabrina Soccol —. E io, che accompagno i gruppi in visita, lo sento: c'è sempre chi commenta negativamente». Ieri, dunque, la protesta. In biglietteria, le colleghe di Yamna si sono presentate con un velo sul capo, i colleghi hanno indossato la kefiah. Ma i gesti di solidarietà hanno contagiato anche agli altri dipendenti (70 persone) delle due cooperative (la Copat e la Rear) che gestiscono i servizi turistici nel castello. «Noi hostess — dice Michela — abbiamo una divisa che prevede un foulard al collo: ce lo siamo messo tutte in testa».
Alla Reggia si è visto il vicesindaco della città, Salvino Ippolito: «Non possiamo discriminare nessuno per motivi religiosi e inoltre la ragazza fa bene il suo lavoro». Lei, Yamna Amellal, sposata con un pakistano, originaria di Khenifra in Marocco, vive a Torino da 5 anni e, per tutta la giornata, è sempre rimasta seduta al suo posto, a staccare biglietti: «A queste cose io quasi non ci faccio più caso, ci sono i miei colleghi a difendermi, è quasi come stare in famiglia. Lavoriamo in un bellissimo luogo e crediamo nella libertà e nella tolleranza. Togliermi il velo? Non ci penso proprio, rappresenta la mia fede. E io sono islamica qui come in qualunque altro posto».
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domenica 31 maggio 2009
"VIA LA BIGLIETTAIA CON IL VELO". E A VENARIA LO INDOSSANO TUTTI
MAROCCO: ELEZIONI AMMINISTRATIVE, CANDIDATE OLTRE 3MILA DONNE
Sono più di tremila le donne marocchine che hanno deciso di scendere in campo e candidarsi per le prossime elezioni amministrative del 12 luglio. A meno di due giorni dalla chiusura delle candidature in vista del voto in Marocco, il movimento femminile del Paese ha deciso di scendere in campo presentando proprie candidate in tutte le circoscrizioni elettorali. Secondo quanto riporta il sito informativo arabo 'Elaph', la novità di quest'anno sarà che in molte città del Paese gli elettori troveranno donne alla guida delle liste dei diversi partiti politici. Per dare forza all'impegno politico delle donne marocchine, ha deciso di scendere in campo nel comune di Casablanca anche l'attuale ministro della Salute, Yasmina Badu, del Partito dell'Indipendenza (Centro Destra). Lo stesso partito, attualmente al governo, ha deciso di candidare anche altri tre ministri tra cui Karim Ghulab, ministro dei Trasporti, e Abdel Latif Maazuz, ministro del Commercio Estero. In tutto, il prossimo 12 luglio saranno 12 le liste che si contenderanno le amministrazioni comunali del Marocco e per l'occasione il ministero degli Interni ha messo in campo un programma speciale per garantire la massima trasparenza delle operazioni di voto.
"Non avevo dubbi che le prossime elezioni amministrative in Marocco sarebbero state un'occasione importante per rafforzare la partecipazione femminile in politica. Il rammarico è che le donne immigrate qui in Italia non godono delle conquiste ottenute dal movimento femminile maghrebino". E' con queste parole che la parlamentare di origini marocchine, Souad Sbai, ommenta la notizia. "Da quando è salito al trono il giovane re Muhammad VI ero certa che la situazione delle donne in Marocco sarebbe cambiata totalmente - spiega - perché ha attivato un processo di integrazione delle donne nella vita politica dando maggiore attenzione ai loro problemi. Ha investito moltissimo e sta investendo molto sulle donne in politica e anche sulla società civile". Secondo la parlamentare del Pdl, "in Italia purtroppo arrivano poco gli effetti degli sforzi che si stanno compiendo in patria, in particolare tra le donne immigrate". "Chi vive all'estero non partecipa a questo processo di integrazione a causa di un certo estremismo che il Marocco ha saputo fermare - conclude - Basta considerare che in Italia invece di discutere della partecipazione delle donne immigrate in politica si discute delle piscine separate per sesso, cosa che in Marocco non esiste". (Fonte: Arabiyya )
giovedì 28 maggio 2009
ARABIA SAUDITA: UNA FEMMINISTA RIMETTE GLI UOMINI AL LORO POSTO
"Anche se i dirigenti del regno wahhabita accennano di volere riformare la vita politica e sociale, i fatti smentiscono le intenzioni. Qui, si rilancia il dibattito sulle punizioni corporali che meritano le donne spendaccione. Laggiù, si vieta il loro accesso alle sale di ginnastica, per ragioni futili, ovviamente."
- Quando vedrò tribunali presieduti da donne saudite e che sarà vietato agli uomini sauditi occupare qualsiasi funzione, o essere rappresentati differentemente da una donna che esercita la tutela sulla loro persona e sui loro interessi. L'uomo sarà autorizzato ad apparire all'udienza soltanto su ordine del giudice. Si presenterà in modo anonimo, coperto dalla testa ai piedi e parlerà soltanto su ingiunzione della sua tutrice. La sua testimonianza sarà presa in considerazione soltanto se è confermata da un altro testimone maschile.
- Quando l'uomo saudita sentirà la paura nel corso di tutta la sua vita. Perché sua moglie potrà cambiarlo o sostituirlo con un altro uomo, con una cerimonia nuziale momentanea o di piacere, o con un secondo matrimonio che serva a soddisfare la libido della donna. Che questa donna giustificherà allora questo avvilimento pretendendo di conformarsi "alla legge di dio".
- Quando vedrò una donna saudita porre fine alla vita attiva di un uomo privandolo del suo lavoro con un semplice lancio di piuma.
- Quando vedrò uomini sauditi maturi, maggiorenni e saggi trascinati nei commissariati perché erano al volante della loro automobile. (Wajiha ha fatto circolare un video per la Festa della Donna dell'anno scorso, dove lei guidava in una zona periferica di Riyad, ndr). Che saranno rimessi in libertà soltanto su promessa della loro tutrice che non ricominceranno.
- Quando la donna saudita porterà abiti bianchi, comodi mentre l'uomo saudita sarà costretto a portare un velo nero, dei guanti neri ed un abito nero e andare sotto un sole bollente che fa fondere il metallo. Sarà seguito da vicino da donne atletiche e selvagge che sorveglieranno i suoi movimenti in nome della difesa della virtù e della lotta contro il vizio. Così, l'uomo saprà che ha soltanto due posti nella sua vita: la casa e la tomba.
- Quando le donne si occuperanno di tutti i reparti dei centri commerciali. Anche i negozi di sotto abiti maschili saranno tenuti da donne. Proporranno le loro merci agli uomini con sfacciataggine e impudenza.
- Quando la donna prenderà il doppio della parte dell'uomo dell'eredità di suo padre, anche se è ricco e possiede beni immensi, in confronto a suo fratello ridotto ad una povertà estrema.
- Quando la donna saudita avrà il diritto di ripudiarlo, di cacciarlo dalla sua casa, privarlo dei suoi bambini e prendersi un marito più giovane al suo posto.
- Quando una religiosa saudita utilizzerà le colonne di tutti i giornali governativi per autorizzare a battere l'uomo e schiaffeggiarlo per ottenere la sua sottomissione e che la maggioranza delle donne la sosterrà.
- Quando il 96% dei casi di violenza sarà attribuito a donne contro uomini.
- Quando l'onore si incarnerà nel corpo dell'uomo e che quest'ultimo sarà incline alla violenza ed all'omicidio se il suo corpo è toccato da una donna.
- Quando le donne saudite si saranno impossessate di tutti i tribunali religiosi, che le utilizzeranno per schiacciare l'uomo e stringere la morsa attorno a lui esigendo, in nome della religione, che sia privato dei suoi diritti fondamentali e delle sue libertà individuali.
- Quando si spargerà nella società saudita, tramite il sistema educativo e dei mass media, la cultura riducendo l'uomo ad un essere inferiore, avente poco cervello ed ancora meno religione".
Una visione della nazione che affida i sui destinati ad un uomo non deve sperare alcun vantaggio. Sono queste alcune delle condizioni poste da Wajiha Al-Howeidar, con la precisione che i torti causati all'uomo dalle sue proposte sono puramente virtuali mentre quelli subiti dalla donna sono, quelli, reali. Allora, anziché imporre all'uomo queste "leggi divine" degradanti per lui, perché non cessare semplicemente di imporrle alle donne? È ciò che desidera, in ogni caso, la scrittrice. Un desiderio? Piuttosto un desiderio pio, e si sa ciò che diventano i desideri pii nel paese della pietà totale, o, dovremmo dire, totalitario. (Fonte: Scettico )
mercoledì 27 maggio 2009
"DELITTO D'ONORE, A QUANDO LA NUOVA LEGGE CON L'AGGRAVANTE DELLA PREMEDITAZIONE?" di Kawter Salaam
Palestina. Politica. Giurisprudenza e Diritti delle donne. Aumentano i delitti d'onore a Gaza e nella West Bank, le associazioni femminili ricordano al presidente Abbas la promessa di leggi severe.
Sabato 16 maggio 2009, il corpo di Halimeh Ahmad Al-Sheikh di Qalqilyah, martoriato a coltellate, è stato ritrovato vicino al checkpoint di Atara, nel nord della città di Ramallah. Con lei, sale ad 11 il numero delle donne assassinate nei primi sei mesi di quest'anno in Palestina. Quante per "motivi d'onore"? Tutte? Non si sa, le famiglie inventano storie di copertura per giustificare il decesso, e la legge giordana vigente nei Territori e a Gaza garantisce nei fatti l’impunità ad un uomo che ammazza una donna di famiglia. In questa breve nota di cronaca, Kauteer Salaam chiede al Procuratore Generale della Palestina Ahmad Mghanni qual è il suo punto di vista sull'aumento degli omicidi di donne, e quando verrà applicato il nuovo Codice Penale, formulato dall'Autorità Nazionale Palestinese, che tratta i delitti d'onore alla stregua di omicidi con l'aggravante della premeditazione… .
Sabato 16 maggio 2009, Halimeh Ahmad Al-Sheikh di Qalqilyah è stata trovata morta vicino al checkpoint di Atara, nel nord della città di Ramallah. Halimeh Ahmad Al-Sheikh aveva 30 anni ed era madre di 7 bambini. Fonti mediche dicono che l’organizzazione umanitaria Red Crescent abbia trovato il corpo della donna dopo aver ricevuto un'informazione diretta. Martoriato da coltellate, e lasciato a circa 400 metri dal checkpoint di Atara sulla strada che porta al villaggio di Nabi Musa, il cadavere di Halimeh era stato smembrato numerosi animali selvatici presenti nella zona. Due mesi fa era stato ritrovato a Ramallah il corpo di un’altra donna il corpo di un’altra donna, e nel marzo sempre di quest'anno altre tre donne sono state assassinate a Gaza. In Palestina c'è dunque un incremento di omicidi di donne: nei primi sei mesi del 2009 abbiamo contato ufficialmente 11 vittime, e non sappiamo quante di loro siano state assassinate per "motivi d'onore" perché le famiglie inventano storie di copertura per simulare o giustificare il decesso, e la morte viene dichiarata come "normale". Sullo sfondo di questa tragedia ci sono le deboli leggi ereditate dalla Giordania e adottate in Palestina che garantiscono l’impunità agli uomini che uccidono le donne di famiglia “per onore”. Nel 2008, alcune organizzazioni femminili hanno sollecitato un incontro con il presidente Abbas, nel corso del quale gli hanno chiesto di emanare una legge severa contro i crimini considerati “delitti d’onore”, ma non sembra che nulla di ciò sia stato fatto sino ad oggi. Cosa ne dice il Procuratore Generale della Palestina? Qual è il suo punto di vista sull'aumento dei delitti d'onore e l'assassinio delle donne? Non sarebbe il caso di considerare questo crimine alla stregua di omicidio commesso con premeditazione, emanando leggi severe? Risponde il procuratore Generale della Palestina Ahmad Mghanni: "non posso considerare il delitto d’onore come un crimine organizzato. Il Pubblico Ministero se ne sta occupando in questa direzione, ma le leggi penali relative a questo crimine adottate in Palestina sono le leggi giordane che prevedono condanne clementi per chi si macchia di un delitto d’onore. Il nuovo Codice Penale, che si suppone venga adottato dal Consiglio Legislativo Palestinese, e che è stato formulato dall’Autorità Palestinese, contiene un punizione severa per chi commette un delitto d’onore. Noi auspichiamo che questo Codice venga applicato. Quando, nell’anno 5000? (Fonte: Women in the city )
ARTICOLO CORRELATO. Giordania. Delitto d’onore. Molto più di un affare di famiglia... di Nermeen Murard (23.03.09)
E poi: #2122 - PA Chairman Mahmoud Abbas Attacks Hamas in a Speech to Women's Rights Activists .
Israele-Territori Palestinesi: #2124 - Arafat's Former Office Manager "Umm Nasser": Israel Is the Cancer of the Middle East and Should Be Uprooted Any Way Possible .
E su Scettico : Semplice come un "buongiorno..." link, Londonistan: Infine una moda islamica per tutte le donne! link, TURCHIA: ancora un crimine d'onore! link, Foto del giorno link, Spagna: La preghiera musulmana o l'asportazione del clitoride link .
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martedì 26 maggio 2009
SUL SENSO DEL TRADIMENTO. CONVERSAZIONE DI ELEANOR KILIROY, THE ARAB, CON NAWAL AL SA'DAWI
Cultura. Gran Bretagna. Libertà e fondamentalismi religiosi. Incontro con la scrittrice egiziana Nawal al Sa'dawi (foto) dopo il rifiuto, l'ennesimo, degli editori arabi alla pubblicazione del suo ultimo racconto “Zaynab”, nel nome della Madre.
lunedì 25 maggio 2009
DONNE SUFI, LE SCONOSCIUTE MISTICHE DELL' ISLAM
Il termine “sufismo” o “tasàwwuf” indica la forma di ricerca mistica dell’islam. Storicamente il termine sufi indicava colui che indossava un vestito di lana (in arabo suf), che i primi asceti musulmani avevano scelto come segno distintivo del loro modo di vivere. In seguito il termine passò ad indicare il modo di vivere stesso, indipendentemente dal vestito indossato. Il sufismo, come ogni esperienza mistica, intende avvicinare l’uomo a Dio e si pone principalmente come esperienza pratica di vita, non come sapere teorico. Per questo motivo è impossibile darne una definizione precisa. Al contrario, è proprio attraverso le sue manifestazioni storiche che il sufismo può essere conosciuto e descritto. Il sufismo è il cuore stesso della fede islamica, ossia “la testimonianza e la professione dell’unità di Dio” (tawhid) quali sono state tramandate dal Corano e attribuite al profeta dell’Islam, Muhammad. Il misticismo è la tendenza dell’anima umana all’unione con l’Assoluto, o piuttosto un bisogno di allontanamento dal mondo (il quale solitamente viene chiamato realtà) per raggiungere un più elevato livello di consapevolezza. La ricerca di questa consapevolezza ed unione con l’infinito è caratterizzata da un progressivo distacco sia dalla conoscenza sensibile sia da quella razionale, fino alla perdita dell’io nel “tutto”. Il tasawwuf è un fenomeno molto diffuso nell’islam, anche se poco visibile a causa della grande riservatezza osservata dai praticanti. Il sufismo è diffuso soprattutto nel mondo sunnita, meno in quello sciita dove sono attive infatti soltanto due confraternite islamiche, la Ni’matullahiyya e la Dhahabiyya, a fronte delle decine di confraternite sunnite tuttora operanti. Nell’islam sunnita, invece, la totale mancanza di sacerdozio e di una classe di tipo clericale che possa assolvere alla funzione intermediatrice fra Dio e le sue creature comporta una ricerca di Dio e della Sua volontà molto più faticosa e difficile. Ancora poco studiate, le donne hanno rivestito un ruolo molto importante nel sufismo riconosciuto loro anche dai più importanti maestri sufi.
I tratti fondamentali delle donne sufi sono: estremo ascetimo, nubilato, amore mistico e unione mistica. I comuni manuali del sufismo non riservano molto spazio alle donne sufi. Nelle fonti storiche, invece, si trovano citate molte donne musulmane che hanno praticato un vita di ascesi, giungendo ad un alto livello di spiritualità riconosciuto dalle più grandi autorità nell’islam. Ibn al-Jawzi (m.597/1200) riporta nella sua raccolta di biografie su Le qualità degli eletti, i nomi di oltre duecento donne sufi. ‘Abd al-Ra’uf al-Munawi (d.1031/1621) nel suo libro Gli astri splendenti, ne registra trentacinque. La maggior parte di queste donne appartengono alla prima e alla seconda generazione dell’islam. Tra i nomi di donne sufi, ricordiamo quello di Rabi’a al’Adawiyya (m. 185-801) (foto). È il modello per eccellenza della pietà e dell’amore puro per Dio. Questa ex-schiava salì alle più alte vette della santità e fu riconosciuta dalla tradizione sufi come maestra di sufismo. Rabi’a nacque poverissima al punto che fu venduta come schiava. Dopo essere stato testimone dei segni della sua santità, il padrone la lasciò libera. Lei allora si dedicò completamente al servizio di Dio, nella povertà e nell’isolamento più assoluti, diventando un modello di vita ascetica per i suoi contemporanei. Rabi’a al’Adawiyya è anche un famoso esempio di nubilato, una pratica piuttosto avversata dalla legge islamica.
Altre donne sufi, invece, erano sposate e, tuttavia, dedite completamente a Dio, al punto che riducevano al massimo la pratica matrimoniale. Amatu-llah, contemporanea di Rabi’a, moglie del famoso sufi Rabih Qaysi (m. 180/796), considerava il rapporto con suo marito soltanto un obbligo legale da adempiere. Nulla di più. Al contrario, altre donne sufi cercavano continui pretesti per evitare un dovere così ingombrante, tra queste ricordiamo i nome di Ra’biya bint Isamil (m. 135/753), Ruqayya al-Mawsiliyya, ‘Ubayda bint Abi Kilab, ‘Ufayra al-Basriyya e Rayhana al-Majnuna. Un caso interessante è quello di una schiava nera, detta al-Maymuna al Sawda (la Fontana nera) o al-Majnuna al-Aqila (la Pazza saggia) del II/VIII secolo. Nel suo caso, la santità l’ha redenta dal suo stato di umiliazione come nera. I neri infatti sono stati sempre disprezzati nella società araba e considerati degli schiavi. Un’altra sufi del III/IX secolo Fatima al-Nisaburrya (m. 223/838) è rimasta famosa per aver raggiunto i più elevati gradi spirituali al punto che anche grandi sufi suoi contemporanei, come Dhu l-Nun al-Misri (m. 245/859) e Tayfur al-Bistami (m. 254/874), andavano a trovarla per parlare con lei dei più alti stati spirituali.
Molte donne sufi divennero famose non soltanto per la loro santità, ma anche per la loro scienza religiosa e furono riconosciute e rispettate dai dotti del tempo. Uno degli esempi più famosi è quello di Fatima bin al-‘Abbas (m. 724/1324). I suoi biografi le danno i titoli di shaykha (maestra di vita spirituale), mudarrisa (dottore nei collegi di studio della religione), e faqiha (dottore di legge islamica), ed era solita predicare dall’alto del minbar (il pulpito da cui predica l’imam nella moschea). Fatima venne riconosciuta come una vera e propria autorità del suo tempo in fatto di questioni religiose, al punto che anche il grande dottore hanbalita suo contemporaneo, Taqi al-Din Ibn Taymiyya (m. 728/1328) (la scuola hanbalita è quella di cui fanno parte gli wahhabiti e Ibn Taymiyya è il dotto più importante dell'omonima scuola, dopo il fondatore Ahmad Ibn Hanbal, ndr), dovette ammetterne il valore. Silenziose testimonianze di donne importanti… . (Fonte: http://www.mauricebignani.it da Ideazione, 30/5/2008)
E dalla Repubblica islamica: Iran. La rivoluzione colorata delle donne col velo .
Siti oscurati e tg solo con buone notizie. Ecco il regime iraniano . "Iran, il regime blocca la posta elettronica del premio Nobel".
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domenica 24 maggio 2009
UNA STORIA CECENA
Ho continuato a lavorare come corrispondente da Grozny anche dopo la fine della prima guerra, e poi con l'inizio della seconda nel 1999. Questa volta era Putin a volerci cancellare, a bombardare a tappeto le nostre città e i nostri villaggi, uccidendo altre migliaia di civili innocenti. Dopo il settembre 2001 i ceceni, che prima erano ‘banditi', divennero ‘terroristi'. Casa mia divenne un specie di albergo per i reporter stranieri che venivano a coprire la guerra. Ho ricominciato a passare le notti sveglia, aspettando. Finché non sono arrivati. Erano ceceni, parlavano russo, erano armati ma senza divisa. Mi hanno detto che dovevo scegliere: o la smettevo di scrivere o me ne andavo. Per mesi hanno continuato a seguirmi, a minacciare me e la mia famiglia. Nel 2004, grazie a dei giornalisti di Reporter Senza Frontiere che ospitavo in casa mia, riuscii a lasciare la Cecenia e mi rifugiai in Germania con l'aiuto del Penn Club. A Grozny rimase la mia famiglia, che vive ancora lì.
Grazie al telefono, ma soprattutto tramite Internet, riesco a tenermi costantemente in contatto con la Cecenia e quindi posso continuare a raccontare quello che succede, scrivendo sui giornali tedeschi ed europei. La guerra in Cecenia non è finita come vuol far credere la propaganda russa: la guerra continua, anche se in forme diverse rispetto al passato. I guerriglieri ceceni combattono ancora regolarmente sulle montagne, contro i russi e contro i ceceni collaborazionisti. A Grozny e nelle altre città la guerra non c'è, ma si vive sotto dittatura, quella del regime filo-russo di Ramzan Kadyrov. La gente, pur entusiasta per la ricostruzione in corso, è ancora traumatizzata dalle violenze della guerra e continua a vivere nella paura. Stanno ricostruendo le nostre case, ma il nostro popolo è distrutto: oltre il 70 percento della popolazione non ha lavoro, dilagano le malattie conseguenze della guerra, in particolare il cancro al seno, che in Cecenia è più diffuso che in qualsiasi altra regione russa. Il nostro ambiente è distrutto dalla guerra e dall'inquinamento. Non esiste libertà politica, né libertà di stampa. I tanti giornali ceceni nati negli ultimi tempi parlano di tutto tranne che di quello che succede in Cecenia: riportano notizie sul divorzio di Berlusconi, ma non sulla guerra che continua sulle montagne.
La guerra cecena di oggi è cambiata anche per un altro aspetto: il ruolo della religione islamica nella guerriglia. Noi ceceni siamo sempre stati musulmani, ma il nostro islam è quello della tradizione mistica sufi, quindi spirituale, aperto e tollerante. Nulla a che vedere con l'islam integralista di stampo mediorientale. Guardate me: io sono musulmana. All'inizio della guerra l'indipendentismo ceceno non era a carattere islamico, anzi: i nostri combattenti credevano nei valori occidentali: la libertà, la democrazia. Ma poi si sono sentiti traditi dall'Occidente e quindi si sono progressivamente radicalizzati, abbracciando l'islam jihadista. Vi garantisco che starsene nei rifugi, sotto i bombardamenti aerei russi, mentre le radio dice che Putin viene accolto da tutti i governanti occidentali come un campione di democrazia, genera una grande disillusione.
IRAN, CANDIDATO ALLE ELEZIONI PROMETTE STIPENDI ALLE CASALINGHE
sabato 23 maggio 2009
IL PRIMO MATRIMONIO CON UNA RAGAZZA MAROCCHINA NEL 1987. NEL 2001 LE SECONDE NOZZE IN EGITTO. POI HA COSTRETTO LE DONNE A VIVERE INSIEME
Najat e Yamna, le due mogli. Poligamia e violenza a Roma
Il marito, egiziano, è sparito con due dei sei figli.
Questo è un articolo del 2006, quando Magdi Allam era ancora vice direttore del "Corriere della Sera". L' argomento purtroppo sempre attuale.
La prima moglie si è rivolta a un centro anti- violenze per denunciare le gravi lesioni fisiche subite in parti vitali del proprio corpo e poi il sequestro dei due figli minori. La seconda moglie è fuggita con i suoi due figli e si è rifugiata in un centro di accoglienza per donne in difficoltà. Lui è egiziano, loro sono marocchine, in tutto sei figli, nati in Italia. Una tragica storia di poligamia, violenza, miseria e disperazione. Succede a Roma. Ma sono numerosi i casi simili nel nostro Paese. Proprio mentre il Parlamento si appresta a varare una legge sulla libertà religiosa che di fatto legittima il matrimonio islamico. Najat Hadi aveva 26 anni quando nel 1987 venne a Roma per turismo: «Mi ero concessa una vacanza. Da dieci anni lavoravo come governante all'Hotel Sahara di Agadir, un albergo a 5 stelle. Economicamente stavo bene. Ci siamo conosciuti a un bar. Lui mi ha fatto la corte e mi ha detto che insieme avremmo fatto una bella vita. Abdel Ati Ali Keshk, più grande di quattro anni, diplomato in ragioneria, faceva il pizzaiolo. Gli ho creduto e ci siamo sposati». Il matrimonio si celebrò nella moschea di via Bertoloni gestita all'epoca dall'imam egiziano Ismail Nur El-Din: «L'imam aveva provveduto ai due testimoni, suo figlio e un suo amico. Poi ci recammo all'ambasciata egiziana e, sempre alla presenza di due testimoni, il matrimonio fu lì registrato.
Poi il certificato fu tradotto in italiano e fatto registrare all'Anagrafe di Roma». All'inizio il sodalizio funzionava abbastanza bene: «Ma presto insorsero dei problemi. Non voleva assolutamente che io potessi rendermi autonoma guadagnando dei soldi. Si divertiva, perfino con i nostri bambini, a farsi implorare perché ci desse i soldi. Quando li concedeva, era come se ci facesse l'elemosina. In 19 anni sono andata una sola volta a trovare i miei familiari in Marocco. Mio padre è morto sei anni fa e lui non mi ha permesso di partecipare ai funerali». Che si trattasse di un pretesto è evidente dal fatto che i soldi per andare in Egitto li trovava sempre: «Lui è di Damanhur, vicino ad Alessandria. Ci siamo andati spesso. Vi ho pure soggiornato per anni. La mia primogenita Fatema vi ha fatto le elementari. Lui insisteva perché stessi il più a lungo possibile in Egitto. Diceva che in tal modo i figli, tutti nati in Italia tranne Mariam, sarebbero cresciuti secondo i precetti della religione islamica e la consuetudine della società araba. Di fatto ci aveva segregato in Egitto, nell'appartamento dei suoi genitori, mentre lui viveva stabilmente in Italia». Non trascorse molto prima che Abdel Ati mostrasse il suo volto violento: «Bastava un nulla perché lui mi picchiasse con una ferocia illimitata. Mi ha ripetutamente preso a calci e a pugni, mi ha sbattuto la testa per terra, mi ha colpito con tale accanimento da perforarmi l'orecchio. La prima volta che fui ricoverata al Pronto Soccorso avevo una ferita alla testa e gli occhi insanguinati. Mi ha abbandonata lì da sola. Mi hanno messo dieci punti in testa. Poi mi ha costretta a ritirare la denuncia, minacciando di portarmi via i bambini. E una volta dimessa fui indotta a sottomettermi alla sua volontà, tornai in Egitto e ci rimasi per sei mesi. Fu al ritorno a Roma che scoprii la ragione di tanta insistenza e violenza: l'ho trovato insieme a una prostituta polacca. I miei vicini mi dissero che aveva trasformato la casa in un bordello. Lui non si scompose: "Visto che non c'eri, avevo bisogno di altre donne". Eppure sono stata costretta a perdonarlo per poter far rientrare dall'Egitto i miei figli». Poi c'è stata una sorta di redenzione: «Nel 1995 mio marito andò in pellegrinaggio alla Mecca. Mi disse che voleva cambiare vita. Cominciò a pregare. Io gli credetti. Intanto era nata Mariam, a cinque anni di distanza da Mouhamed. Nel 1999 nacque il quarto figlio, Abdel Rahman. In Egitto ordinò al padre di requisire tutti i nostri passaporti.
Quando mi ribellai, suo padre e sua sorella mi picchiarono. Fu lì che mio marito mi lacerò i seni con un bastone appuntito». L'illusione svanì definitivamente nel 2001: «Quell'anno sposò Yamna Oukhira, aveva 35 anni, era anche lei marocchina. Lo scoprii tornando dall'Egitto. Lui l'aveva portata a casa nostra mentendo a entrambe. Io le dissi: "Che ci fai a casa mia?". Lei con fare sicuro: "Io sono sua moglie". Ribattei: "Ma lo sai che ha già 4 figli?". Lei sgomenta: "No". Le ordinai: "Tu devi andare via da questa casa. Non c'è spazio. C'è una sola camera dove dormo io con i quattro figli. Se siete sposati secondo il rito islamico, allora deve trovarti un'altra casa". Finii all'Ospedale Gemelli per un esaurimento nervoso: sono stata troppo male, avevo la febbre e ho tremato in continuazione per venti giorni. Ma anche stavolta l'ho perdonato per i miei figli. Alla fine Yamna è scappata con i due figli avuti con Abdel Ati, Ahmed e Zeinab. Ha trovato rifugio in una Casa di accoglienza per donne vittime di violenza familiare». Lo scorso 26 settembre, mentre Najat e i figli si trovavano nella moschea Al Houda di Centocelle per consumare il pasto offerto in occasione del Ramadan, il marito arrivò e si portò via i figli minori, Mariam e Abdel Rahman: «Sono disperata. Non riesco più a dormire. Vi supplico, aiutatemi a riaverli». Sembra che Abdel Ati sia fuggito in Egitto, forse insieme ai figli. Del caso si sta occupando l'Acmid- Donna, l'Associazione delle donne marocchine in Italia, la cui presidentessa Souad Sbai ha promosso un'azione legale a sostegno di Najat. Ma il problema della poligamia non si esaurisce in singoli casi umani ancorché drammatici. Si tratta di una minaccia seria all'istituto della famiglia monogamica su cui si regge la civiltà occidentale. E che paradossalmente trova conforto nella proposta di legge all'esame del Parlamento, denominata «Norme sulla libertà religiosa e abolizione della legislazione sui culti ammessi», il cui articolo 11 afferma che il ministro di culto islamico non sarà tenuto a pronunciare, durante il rito in moschea, gli articoli del codice civile sulla parità di diritti e doveri tra marito e moglie (143, 144 e 147 del codice civile), «qualora la confessione abbia optato per la lettura al momento della pubblicazione». Così come sorprende il fatto che interi passaggi dell'articolo 11 corrispondano a quelli contenuti nella bozza d'Intesa con lo Stato redatta dall'Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia), in cui si chiede la legittimazione della poligamia che, non a caso, caratterizza lo status familiare di diversi dirigenti dell'Ucoii. Allora, ministro delle Pari Opportunità Barbara Pollastrini, diamo una mano a Najat perché riabbia i figli sequestrati dal padre, ma occupiamoci tutti insieme della minaccia insita nell'istituto della poligamia che insidia la nostra civiltà. (Fonte: Corsera, 27 novembre 2006 )
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MATRIMONIO DELLE BAMBINE IN YEMEN: INTERVISTA CON DUE SPOSE-BAMBINE CHE SI SONO RIVOLTE AL TRIBUNALE PER CHIEDERE IL DIVORZIO
Una è Nujoud, della quale hanno parlato tanto anche i nostri media, dato che è stata la prima sposa-bambina a chiedere il divorzio. Un video che considero imperdibile, anche per la determinazione con cui le piccole spiegano la loro storia alla BBC in arabo:
http://www.memritv.org/clip/en/2107.htm .
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venerdì 22 maggio 2009
AFGHANISTAN, NESSUNO ROMPE IL CERCHIO. L' "INFAMIA" D'ESSERE DONNE IN UN PAESE SENZA MADRI
Un centinaio di bambine rantolanti, alcune vomitano, altre svengono, tutte finiscono all’ospedale. Sono le scolare afghane di una scuola elementare, avvelenate ieri in massa con un gas, come già era avvenuto più volte nelle ultime settimane in altre scuole femminili della regione a nord di Kabul. La loro colpa? Istruirsi, e prima ancora essere donne. Se la caveranno: in fondo non è la fine del mondo (c’è di peggio in un Paese in cui madri, mogli e figlie valgono meno di una capra, e le bambine, date in sposa a vecchi poligami, se si ribellano finiscono in carcere), ma chissà se oseranno mai più sfidare l’ottusa 'legge' dei taleban, se avranno il coraggio di tornare in una scuola? Non lo hanno avuto un anno fa le loro compagne di Kandahar, alle quali gli estremisti sciolsero per la stessa colpa il volto nell’acido, cancellando in un solo gesto velleità di futuro e identità. Altre vittime, stesso sesso e stessa età: hanno dieci, undici anni le migliaia di bambine afghane fotografate nel giorno del loro matrimonio, vendute da un padre a uno sposo spesso più vecchio di lui (basta navigare in Internet, tra siti di ong e della stampa internazionale, per vederne a centinaia). Volti cancellati e sguardi persi anche i loro, senza bisogno dell’acido. Roshan ha 10 anni e posa al fianco di Mohammed Said, 65, turbante e barba bianca. Ghulan ne ha 11 e aveva scelto di fare l’insegnante, invece sposa Faiz Mohammed, 40 mal portati e viso duro. Majabin, 13 anni, fa male al cuore: ceduta dal padre per sanare un debito di gioco, lei è sposata da sei mesi, quarta moglie di Fazal Mohammed, e sa già molto bene che cosa avviene quando il rito termina e quel marito ti porta a casa. È il ritratto della rassegnazione... . (Fonte: "Avvenire", 13/5)
E poi Musulmani indonesiani: il “virus” Facebook è amorale .
Tutto questo si conosceva da tempo, e d’altra parte non accade solo in Afghanistan, anche se forse in nessuna regione del mondo si assiste alla recrudescenza di un fanatismo misogino che, per fermare il progresso nel Paese (vietati anche il cinema o la musica!), sa bene di dover innanzitutto annientare le donne. Nessuna sorpresa, insomma, ma l’assoluta incapacità di comprendere, sì. Anche questi uomini hanno avuto una madre: non l’hanno amata? Prima che una educazione retriva li indurisse, non avevano anche loro sentito il profumo materno quando, come ogni bambino al mondo, si rifugiavano nel morbido abbraccio e lì trovavano sicurezza? Anche questi giovani sapranno cos’è l’innamoramento, almeno qualcuno di loro deve averlo provato, il suo cuore avrà pure battuto per una ragazza: come può nel contempo disprezzarla perché donna? Ma soprattutto i padri: ammettiamo pure che nella cultura taleban la nascita di una figlia femmina sia una disgrazia (anche questa non è un’eccezione, nel mondo), ma è immaginabile che all’atto pratico, nel momento in cui quell’esserino viene al mondo, mai uno solo di loro provi la scintilla dell’amore paterno? Quando poi quella figlia che ha i suoi stessi tratti del volto, che porta il suo stesso sangue, è ceduta all’abbraccio arrogante di un vecchio pretendente, non sente il rimorso? Eppure sa bene a cosa andrà incontro (e lo sa perché presumibilmente a sua volta ha piegato una sposa bambina ai suoi bisogni). È questo il mistero inconcepibile: al di là di ogni cultura e costume, è innaturale che mai un sentimento banalmente umano prenda il sopravvento e cancelli la follia. Stephanie Sinclair, la fotografa che nel 2007 vinse con lo scatto alla piccola Ghulan il premio Unicef per la miglior foto, chiese alla sposa «che cosa provi oggi?». «Nulla», rispose la bambina, e c’è da sperare che abbia continuato a farlo, che sia riuscita a cauterizzare il cuore e anestetizzare i sentimenti: in Afghanistan le spose bambine che si danno fuoco per sfuggire alle sevizie sono centinaia. Del fenomeno si occupa talvolta una (distratta) commissione governativa. Poi tutto continua come prima.
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LA VITA QUOTIDIANA E I SOGNI DI UNA RAGAZZA TURCA COL VELO
Tulay è una ragazza di Istanbul. Vive nella parte orientale della città e ogni mattina attraversa il ponte sul Bosforo per raggiungere l’Hotel sulla riva europea dove lavora alla Concierge. Il rito è sempre lo stesso: lei si avvolge il foulard attorno alla testa perché è meglio così, niente trucco e soprabito lungo fino alla caviglia. La trasformazione occidentale avverrà poi nei servizi dell’albergo dove con cura Tulay indossa il tailleur d’ordinanza, si mette un fondo di make-up, un bel rossetto, un leggero ritocco agli occhi, un po’di gel nei capelli corti che la rendono trendy. Sfoderando un perfetto inglese e altrettanto perfetto sorriso si occupa del check-in e check-out dei clienti. Questa è la sua mansione da quando ha finito l’università 4 anni fa. Proprio allora molte ragazze, prima occidentalizzate, hanno ricominciato a vestirsi all’uso dell’Islam non si sa bene perché, ma era nell’aria.
Dietro il bancone la ragazza ha imparato il rispetto che esercita quotidianamente verso le persone di modi ed educazioni disparate. Tulay è molto fiera della sua posizione sociale come pure la sua famiglia che, venuta dall’Anatolia profonda 30 anni fa, spesso le ricorda i tempi durissimi di quella esistenza di misera pastorizia. Ora che suo padre, operaio tessile, ha perso il lavoro insieme con altri 160.000 colleghi nel giro di pochi mesi, il suo stipendio è fondamentale per il sostentamento di tutti: una madre casalinga, una sorella minore che ancora studia, un fratello guida turistica. Le rimangono pochi soldi per i piccoli piaceri: una cena al mese con le amiche nei ristorantini del Corno D’Oro fra turisti americani ammaliati dalla magia dei tramonti e del sorgere della luna che inonda di luce dorata moschee e minareti. Va bene così.
Il tasso di disoccupazione è cresciuto nella città di Istanbul fino al 18% e avere un lavoro è già stare bene. Qualche volta accompagna il fratello a pesca sul Bosforo: un sano divertimento, non costa niente e capita di portare a casa un bel pesce. Ormai da 10 anni alloggia in una casa popolare di tutto decoro in uno dei tanti quartieri in cui sorgono accanto a grattacieli e a vecchie dimore restaurate per ricchi.
Quindici milioni di abitanti dell’antica Istanbul, capitale dell’Impero Romano d’Oriente e poi dell’Impero Ottomano espanso, intorno al 1400, fino a Vienna. Tulay è fiera delle vestigia storiche della sua città. Sono lontani i ricordi delle bidonvilles maleodoranti, attigue alle concerie a cielo aperto, che l’avevano accolta al tempo dell’infanzia. A scuola aveva fatto indagini storiche e sociologiche sul popolo turco concentrato nella megalopoli, ma non contemplavano gli ultimi 20 anni di evoluzione vissuti da lei; la realtà era lì da toccare talmente evidente nella sua veloce e costante trasformazione innescata sia dall’economia di mercato, sia dalle 10 famiglie che possiedono e governano la maggior parte delle risorse del Paese, sia dai massicci investimenti statali e municipali in infrastrutture. (Fonte: "Libero News")
Tutto ciò ha creato nel giro degli ultimi 10 anni 2 milioni di veri ricchi, una classe media che se la cava bene e una classe popolare che fa fatica soprattutto adesso con la crisi.
Tulay si era permessa l’anno scorso un viaggio a Roma e percorrendo la strada dell’aeroporto, aveva lungamente osservato attraccate ai moli le gigantesche navi-alberghi a 10 piani pullulanti di turisti americani. Più lontano alla fonda nel mare di Marmara invece scorgeva gli enormi pachidermi galleggianti, solitarie petroliere rosse scrostate in attesa di lasciapassare per il Mar Nero dove caricare petrolio e gas. Due mondi diversi: sbandieramento di allegro lusso da una parte e silenzio quasi triste dall’altro. Come la vita di lei quando dall’euforia dell’Hotel sempre in attività si passa ai silenzi delle sere sul Bosforo rotte solo dalle preghiere nei minareti, o quando la ragazza si permette un po’ di shopping in saldo negli eleganti centri commerciali o entra negli affollati e rumorosi bazar delle spezie in compagnia di madre, zie e cugine. Mondi contrastanti che ritrova nel suo scrittore preferito, Orhan Pamuk, premio Nobel per la letteratura, e che le scorrono davanti quotidianamente quando al banco dell’Hotel serve i clienti turchi e arabi eleganti e taciturni e subito dopo, americani grassi e allegri i quali pretenderanno le camere con vista Bosforo anche se sono già occupate. I turisti occidentali fanno pensare Tulay all’Europa. Ma un pizzico d’orgoglio nazionale le suggerisce che ce la si può fare da soli.
Sono sempre due le anime che influiscono sulla mente della giovane: l’anima dell’Occidente e l’anima della tradizione religiosa mai sepolta fra le cose del passato.
È anche per questo che lei prega 3 volte al giorno e si adegua scrupolosamente al Ramadan da buona musulmana. Oltre ai cavi d’acciaio che sostengono il ponte tra due continenti e due civiltà, c’è anche lei Tulay con le sue esili braccia a stendere il ponte del futuro tra due popoli dissimili ma ugualmente rispettosi l’uno dell’altro.
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giovedì 21 maggio 2009
INTERVISTA A GIHAN SADAT SU MEMRI (LINK)
Purtroppo non sono riuscita a caricare questa video-intervista a Gihan Sadat (foto un po' datata), vedova del Presidente Anwar Sadat e "former first lady" egiziana. Ci sono dichiarazioni che sinceramente non condivido, che mi sembrano una pia illusione, perchè si dice convinta che anche tra i Fratelli Musulmani, di cui aveva fatto parte pure il marito e in cui lei stessa aveva creduto in gioventù, esistano "moderati"; "moderati" che accetteranno il regime. Però dice che, se suo marito non avessere fatto la pace con Israele a Camp David, l'Egitto avrebbe potuto fare la fine di Gaza i mesi scorsi. E dichiara se non altro che gli arabi, ovviamente palestinesi inclusi, non hanno capito che converrebbe loro fare lo stesso :
http://www.memritv.org/clip/en/2115.htm .
Spostandoci invece in Iran:
madre di 56 anni condannata a 5 anni di carcere Leggi ancora... .
3 anni di carcere per aver fatto visita alla sorella residente a Camp Ashraf: Leggi ancora... .
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"VIA LA CITTADINANZA AGLI EGIZIANI SPOSATI CON ISRAELIANE"
Esulta l'opposizione egiziana e così anche gli islamici mentre il governo del Cairo si trova in forte imbarazzo. All'origine di questi contrastanti stati d'animo c'è una sentenza del tribunale amministrativo di stato che obbliga il governo a togliere la cittadinanza agli egiziani sposati con donne israeliane. «Grave danno per la sicurezza dello stato nel senso più alto del termine», è la motivazione del tribunale firmata dal Consigliere Mohammed Attiyah, vice presidente del Consiglio di stato egiziano.«Storica sentenza», gridano gli islamici ispirandosi al titolo del quotidiano palestinese al Quds al Arabi, che riporta le dichiarazioni di esponenti dei Fratelli Musulmani e di "Kifaya" (Basta), il movimento laico che si oppone al rais, Hosni Mubarak.«La cittadinanza egiziana è un aggettivo prezioso ed è un onore che si concede alla persona il diritto alla cittadinanza che obbliga totale lealtà alla Patria, si legge nella motivazione del Tribunale ha ha accolto il ricorso dell'avvocato Nabih al Wahish. (Fonte: Liberali per Israele )
Jordanian Human Rights Activists, Lebanese TV Channel, Praise Ahmad Daqamsa, Murderer of Seven Israeli Girls, and Call for His Release: http://www.memritv.org/clip/en/2120.htm .
Il legale con un esposto aveva chiesto di «porre fine al fenomeno dell'emigrazione di molti egiziani in Israele, che, sposandosi con cittadine israeliane avranno successivamente dei figli che crescendo si arruolano nell'esercito dello stato ebraico rappresentando di fatto una minaccia alla Patria». In Israele, i figli delle donne ebree diventano cittadini israeliani.Imbarazzo nel governo del Cairo che è molto impegnato come principale mediatore delle trattative di pace tra palestinesi e israeliani. Con un trafiletto di tre righe, Al Ahram, quotidiano semi-ufficiale del paese arabo titola: «Il Tribunale obbliga il ministro degli Interni di far cadere la cittadinanza agli egiziani che hanno contratto matrimonio con israeliane». Al Quds al Arabi, sostiene che gli egiziani che rischiano di perdere la cittadinanza originaria sarebbero oltre 30mila persone. La legge egiziana non ammette la doppia cittadinanza che invece è permessa in Israele.
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FECE UCCIDERE POP STAR: IMPICCATO
CONVERTITI
Noi musulmani dunque non vedo perché non dovremmo cercare delle scappatoie per poter praticare in pace la poliginia, e conosco fratelli che lo fanno serenamente e senza avere alcun problema di diritti delle loro seconde, terze e quarte mogli, perché semplicemente le sposano in paesi islamici e poi le portano in Italia. Dunque se ho capito bene loro sono legalmente poligami anche davanti allo Stato italiano! qui (Fonte: Unpoliticallycorrect )
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mercoledì 20 maggio 2009
ANCORA DUE CASI DI VIOLENZA SU DONNE ITALIANE DA PARTE DI UOMINI ARABI E MUSULMANI
18:00 Varese: picchia e cerca di stuprare ex moglie. Arrestato
MILANO - L'ha picchiata con una mazza e poi ha tentato di violentarla dopo averle stracciato i vestiti. Un 29enne tunisino e' stato arrestato a Busto Arsizio con l'accusa di sequestro di persona, tentata violenza sessuale aggravata e lesioni personali aggravate nei confronti dell'ex moglie, una sua coetanea italiana. L'uomo l'aveva intercettata a Legnano, dove lei era andata a vivere con i due figli dopo averlo lasciato, l'ha fatta salire in macchina e l'ha chiusa in casa sua. La donna e' riuscita a sfuggirgli e a rifugiarsi in casa di un vicino, da dove ha chiamato la polizia. (Agr)
19:40 Lecco: picchia donna incinta, arrestato.
LECCO - L'hanno trovata stesa a terra in casa sua. A Lecco una donna italiana di 35 anni al sesto mese di gravidanza e' stata picchiata da un uomo di origini marocchine. Lui l'avrebbe aggredita per le resistenze di lei a vivere secondo i precetti musulmani. A trovare la 35enne un vicino di casa che aveva sentito le grida: l'uomo e' stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni, mentre la vittima e' ancora ricoverata in ospedale dove attende i risultati degli esami sulle condizioni del feto. (Agr)
Grazie a Stefania per questa segnalazione.
Purtroppo ancora brutte notizie... .
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martedì 19 maggio 2009
TENTA DI STRANGOLARE LA MOGLIE: ARRESTATO
DOMENICA, IN VIA PANFILO CASTALDI.
«Voleva portare i figli al parco». Arrestato operaio egiziano. Frequenti i litigi tra l'uomo e la donna, incinta.
MILANO - Ha tentato di strangolarla, stringendole un foulard attorno al collo per trascinarla lontano dalla finestra verso la quale era corsa per chiedere aiuto. Ma le sue «strazianti grida d'aiuto» e il pianto delle due bimbe di tre e due anni è stato udito dai condomini che hanno chiamato la polizia ed evitato il peggio. I litigi tra Mohammed M., 31 anni, un operaio egiziano regolare, incensurato, e sua moglie, una marocchina di 34 anni, erano frequenti. Ieri il motivo che ha scatenato l'ira è stata la decisione della donna di portare le bimbe ai giardinetti nonostante l'opposizione del marito. Quando gli agenti di polizia sono entrati nel monolocale all'ultimo piano di una palazzina in via Panfilo Castaldi, dove la famiglia vive, hanno trovato cocci di bottiglia rotti, la porta socchiusa, la serratura infranta, la casa a soqquadro e la donna, sotto choc a terra in lacrime, con vicino le figlie che piangevano e cercavano protezione. E ripetevano: «Papà cattivo». La donna, al quarto mese di gravidanza, presentava evidenti segni rosso-violacei sul collo e uno zigomo gonfio. Alla vista degli agenti, l'uomo, che era ancora vicino alla moglie, ha fatto un balzo indietro e si è seduto sul divano, facendo finta di essere sempre stato seduto. Ma la sua messinscena non ha convinto gli agenti che l'hanno arrestato e portato a San Vittore con l'accusa di tentato omicidio e maltattamenti in famiglia. La donna è stata medicata per contusioni multiple al San Raffaele e dimessa con una prognosi di 5 giorni. Agli agenti, ha raccontato che non era la prima volta che veniva picchiata ma non aveva mai denunciato nulla perchè l'uomo l'ha minacciata più volte di portare i figli in Egitto e di ucciderla. (Fonte: "Corsera")
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lunedì 18 maggio 2009
KUWAIT: ELETTE LE PRIME 4 PARLAMENTARI
TURCHIA: PUNITA PER ADULTERIO, MOZZATI NASO E ORECCHIE
ANKARA - Ancora un "delitto d'onore" in Turchia, ma stavolta di un'efferatezza senza precedenti, tanto che il Paese, pur abituato a questo cruento fenomeno, è sotto shock: una donna di 23 anni è stata mutilata del naso e delle orecchie, accoltellata all'addome e abbandonata in un campo a morire dissanguata per "lavare l'onore" della famiglia che la sospettava di avere una relazione extraconiugale. Ne ha dato notizia oggi, sdegnata, la stampa turca riferendo che teatro della raccapricciante vicenda è un villaggio nella provincia di Agri, una regione a grande maggioranza curda nella Turchia orientale alla frontiera con l'Iran e l'Armenia. La giovane, di cui sono state rese note solo le iniziali, Y.A., è stata trovata in fin di vita e ricoverata in ospedale, dove versa in gravi condizioni. La polizia ha sinora fermato otto persone ritenute responsabili delle atroci torture inflitte alla donna e della sua tentata uccisione. Secondo la stampa si tratterebbe di membri della famiglia del marito della donna, che risulta irreperibile ed è ricercato. La questione dei delitti d'onore è stata sollevata dall'Ue, che ha sollecitato la Turchia a impegnarsi per debellare questa piaga sociale in vista della sua adesione al blocco europeo. Il governo di Ankara ha in effetti inasprito le pene per i responsabili di questo genere di crimine. Ha eliminando allo stesso tempo la possibilità di riconoscere, come avveniva in passato, l'attenuante della "grave provocazione" e ha equiparato la responsabilità dei mandanti a quella degli esecutori materiali, visto che le famiglie erano solite affidare il compito di uccidere a membri minorenni (non imputabili) del clan familiare, in modo da lasciare il delitto impunito. Inoltre negli ultimi tempi il governo e le associazioni per i diritti umani hanno intensificato gli sforzi nella lotta al fenomeno, anche istituendo "squadre speciali" formate da esperti nel campo sociale e familiare, insegnanti, infermiere e religiosi che operano nelle aree a maggiore rischio. (Fonte: http://temporeale.libero.it/libero/fdg/2862648.html )
E sempre in Turchia: Barbie vietata nelle scuole turche Gazzetta di Parma .
Ma da noi: una "femminista" intervista e ATTACCA Souad Sbai:
http://www.souadsbai.com/souadfaccia.mp3 .
In non pochi casi è avvenuto che donne sono state uccise soltanto perché "colpevoli" di aver rivolto la parola a un estraneo, per aver richiesto la trasmissione di una canzone alla radio o, peggio, per essere state violentate. Tuttavia, a detta di molti esperti, la pratica dei delitti d'onore in Turchia è particolarmente persistente anche per la sovrapposizione di usi tribali con interpretazioni antifemminili della lettera di alcune prescrizioni del Corano da parte degli imam di campagna. Di fatto però i delitti d'onore non sono tollerati solo nel sud-est rurale del Paese a maggioranza curda, dove si registrano con maggiore frequenza, ma anche tra le fasce della popolazione meno abbiente e meno istruita di Istanbul dove, stando a un rapporto presentato venerdì nella metropoli turca da John Austin, membro britannico dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, almeno una persona a settimana è vittima di un delitto d'onore. In tutta la Turchia nel quinquennio 2003- 2007 i morti per questo crimine sono stati oltre 1.100.
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SEGREGA E PICCHIA MOGLIE INCINTA
L'uomo e' stato arrestato dai Carabinieri a Vobarno.
domenica 17 maggio 2009
MAURITANIA: LE VITTIME DI STUPRO FINISCONO... IN PRIGIONE !
L'organizzazione WLMUL (Women living Under Muslim Laws, cioé (donne sotto la legge musulmana) denuncia le ingiustizie di cui sono vittime le donne in terra d'islam. I diritti delle donne sono regolarmente beffati in Mauritania, dove l'islam, religione ufficiale, è praticata dal 99% della popolazione.
Le donne mauritane che denunciano un'aggressione sessuale si espongono al rischio di essere imprigionate a causa delle leggi mal definite e di un fenomeno di stigmatizzazione, che attribuisce alle vittime la responsabilità del crimine.
Lo stupro resta un argomento tabù in Mauritania, a tal punto che non è affrontato nella legge e che la parola non appare in alcun documento governativo, secondo l'Associazione mauritaniana per la salute della madre e del bambino, un'organizzazione non governativa (ONG) con sede a Nouakchott, la capitale. "Il problema, per discriminare la vittima, è che, la legge non definisce lo stupro. Come punire gli aggressori se il crimine stesso non è stato chiarito? ''si interroga Bilal Ould Dick, consulente giuridico dell'associazione.
Per fare riferimento alle violenze sessuali nei loro documenti ufficiali, il ministero della sanità usa il termine "ferite'', ed il ministero degli affari sociali, dell'infanzia e della famiglia, quello di "violenze domestiche'', secondo Zeinebou Mint Taleb, presidente dell'associazione.
Onore
Aminetou (un pseudonimo), 22 anni, ha spiegato a IRIN che la polizia l' aveva accusata di non avere alcun onore dopo avere denunciato loro che era stata violentata, una notte, in casa sua, da uno sconosciuto. " I poliziotti mi hanno detto che se io (non fossi stata consentente) a dare (la mia verginità), non avrebbero potuto prenderla da soli''. A 22 anni, ha perso il suo onore, ha smesso di seguire il suo programma di studio d'informatica, e non può più sposarsi perché ha tentato di sporgere denuncia, dice.
"Nessuno mi vuole più. Nella mia comunità, pensano semplicemente che mi piaccia il sesso e che per avere peccato così, io meriti di perdere tutto'', ha dichiarato.
Crimine sessuale
Secondo il dott. Dick, solo due articoli di legge proibiscono un atto sessuale: i rapporti sessuali fuori matrimonio. È per questo che, ha spiegato, un buon numero di vittime presunte di stupro sono accusate di avere infranto la legge. "La (donna) sarà accusata e punita anziché essere protetta dalla legge.''
La situazione è ancora più grave per le donne incinte, ha proseguito, essendo la gravidanza considerata come la "prova'' della loro colpevolezza. Sette donne sono state imprigionate nel 2009 per avere infranto la legge contro i rapporti sessuali fuori dal matrimonio, dopo avere tentato di denunciare i loro presunti aggressori, secondo l'Associazione mauritaniana per la salute della madre e del bambino.
Secondo la signora Taleb, presidente dell'ONG, quando degli uomini sono interrogati o incarcerati, sono rapidamente rilasciati "in mancanza di prove''. Matty Mint Doide del ministero degli affari sociali, dell'infanzia e della famiglia, ha spiegato a IRIN che il governo stava rivedendo il codice penale per definire e proibire lo stupro, e "applicare le convenzioni internazionali a riguardo (contro la violenza sessuale) ''. Fra le convenzioni contro le violenze sessuali e sessiste: la convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne, e la convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti.
Mohamed Lemine Ould Dadde, commissario ai diritti dell'uomo, ha dichiarato a IRIN che il governo si era impegnato a difendere i diritti della donna. Ha negato che tentando di dare l'allarme alle autorità, le donne della Mauritania erano ingiustamente considerate colpevoli delle violenze sessuali che avevano subito, ed hanno spiegato che, come tutti i paesi, la Mauritania cercava di incoraggiare le vittime a sporgere denuncia .
Da 2003,430 casi di violenza sessuale sono stati denunciati in Mauritania, contro 28.000 casi di violenze domestiche, secondo il governo. Le vittime hanno fatto reclamo soltanto nel 20 per - cento dei casi, secondo il ministero degli affari sociali.
Eyer Chaim dell'Associazione mauritaniana per la salute della madre e del bambino, lavora al commissariato di polizia di Nouakchott, nell'ambito della cellula di lotta contro i crimini sui bambini; a suo parere, il numero di vittime reale è molto più importante rispetto a quanto mostrino i registri pubblici. "Ho conosciuto tante vittime che hanno rifiutato di dare l'allarme alla polizia o andare a farsi curare. Preferiscono soffrire in silenzio per nascondere la loro vergogna in una Comunità dove i pettegolezzi non mancano. ''
Nourra Mint Semane giornalista della regione, ha spiegato a IRIN che era difficile parlare di stupro, apertamente, in Mauritania. "I miei programmi radiofonici sono censurati quando parlo di storie di stupro. Per la società mauritaniana, lo stupro è una vergogna che deve essere sepolta e colei che si considera come prima criminale, è la vittima stessa. '' (Fonte: wluml, Scettico)
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