lunedì 14 dicembre 2009

SBAI, IO MUSULMANA ITALIANA, DICO NO AL BURQA. LE DONNE DEVONO MOSTRARE I LORO VOLTI

ROMA - è un no quasi unanime quello della Consulta islamica nei confronti del niqab. Il velo che copre il viso lasciando aperta una fessura per gli occhi «è il contrario di ciò che prescrive l' Islam», sostiene Souad Sbai, presidentessa dell' associazione delle donne marocchine in Italia. «Perché la nostra religione ci chiede di vestire modestamente per non attirare l' attenzione. Ma in un contesto come quello italiano, cosa crea più allarme di una donna con il viso coperto?».

Il tema del velo integrale si è presentato più volte nelle discussioni della Consulta.

«Sul rifiuto siamo tutti d' accordo, fatta salva la posizione ambigua dell' Ucoii, l' Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia».

Lei ha modo di parlare con donne che non oserebbero mai uscire allo scoperto con una denuncia. Cosa le raccontano?

«Di mariti che impongono loro di indossare il niqab, che le segregano in casa e in alcuni casi arrivano a sequestrare i loro documenti. Si tratta soprattutto di donne sposate, sopra i 35 anni, concentrate nelle regioni del nord. è qui, in piccoli centri e nelle grandi città, che si sono radicate le moschee più estremiste. Da Bologna in giù è difficile ascoltare prediche violente o incontrare donne con il niqab: ci si limita a vedere i capelli coperti con foulard colorati. Ma questo fa parte della fede e della tradizione di molte donne, sia ragazze che adulte. C' è grande differenza tra un foulard indossato spontaneamente e il niqab imposto con la forza: e in questo caso è assai probabile che dietro il velo si nasconda una storia di violenza».

Perché un uomo in Italia sente il bisogno d' imporre il velo integrale alla moglie?

«Perché un uomo che proviene dalla Tunisia o dal Marocco in molti casi ha il terrore dei costumi italiani, ed europei in genere. (Fonte: http://www.repubblica.it/ , 8/10)
Teme che la donna lo abbandoni, fugga con una persona del posto. Quello stesso marito - in gran parte dei casi - nel suo paese non si era mai sognato di imporre il niqab alla moglie. In Italia invece è spaventato, ascolta dagli amici storie di donne che hanno abbandonato il tetto coniugale. E allora reagisce segregando la moglie».


Che difese hanno queste donne?

«In Italia nessuna, di fatto sono prigioniere. Nel paese d' origine c' è la rete dei parenti a difenderle. Se il marito osasse trattar male la moglie interverrebbero subito il padre o il fratello. In Italia la situazione di analfabetismo in cui versano molte immigrate non migliora certo la situazione. Il lavoro della mia associazione, e di altre simili, è ascoltare storie e raccogliere denunce che altrimenti rimarrebbero sepolte nel silenzio. Ma molte donne fanno fatica ad aprirsi».

Nei paesi arabi si sente dire che il velo è in realtà uno strumento di emancipazione. Con i capelli coperti le donne possono uscire di casa, studiare, incontrarsi. In Italia non vale lo stesso?

«Non direi. Nel Maghreb il niqab è addirittura sconosciuto; si tratta di un costume più saudita e afgano. E in Iran le donne si stanno mostrando molto intelligenti: anche se il potere impone regole dure, obbediscono solo in parte. Spesso basta un colpo leggero di vento per scoprir loro le ciocche. In Italia non si può certo dire che il niqab sia uno strumento di libertà. Le storie delle donne che lo indossano parlano di segregazione, mancanza di rapporti sociali e controlli medici: penso alla prevenzione del cancro al seno. Magari si tratta di madri che escono solo per andare a prendere il figlio a scuola. Ma ci pensate al trauma per quel bambino, preso in giro dai compagni di classe?». -

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