Sia capace di portare alla luce in tutta la sua flagranza questioni cruciali che in tante discussioni teoriche non cessano di apparire farraginose e astratte. È il caso della decisione — illuminata, buonista, regressiva, ipocrita? — presa dai gestori della piscina Siloe, di proprietà della Diocesi di Bergamo. I quali hanno stabilito che per un'ora, ogni giovedì mattina, gli spazi delle loro strutture simil-balneari verranno riservati alle donne islamiche, per permettere loro di stare al riparo dagli occhi maschili, come detta il Corano. Decisione che, è facile intuirlo, contiene in sé ogni sorta di ambivalenza: un segno di democrazia e tolleranza o, viceversa, il primo sintomo di complicità verso la ghettizzazione?
E varrà la pena notare che, giusto per una coincidenza che potrà far discutere a piacere i fautori come i detrattori della «Siloe», proprio in questi giorni in Arabia le autorità politiche hanno indetto una crociata contro le palestre femminili private, considerate offensive per il comune senso del pudore islamico. Le voci dei fautori e dei detrattori che vedono solo il nero o il bianco si sentono già rimbombare nell'aria. «Così si torna indietro, questo non è certo un modo per integrare, non dobbiamo legittimare le loro usanze ma fare in modo che accolgano le nostre», ha sentenziato Daniele Belotti, consigliere regionale e comunale per la Lega Nord. Altri potrebbero obiettare che in fondo sessanta minuti alla settimana non è una gran concessione. Ma significherebbe ridurre tutto a una faccenda di contabilità. Mentre la questione (ben lungi dall'essere una questione di costume nel senso proprio) ha ben altri contorni, che vanno a incrociare concetti molto dibattuti, negli ultimi anni, da filosofi, da antropologi e da schiere di politici dei vari fronti. Concetti che hanno suffissi ben noti in -zione, -ismo, -anza e simili: multiculturalismo, pluralismo, integrazione, tolleranza, mescolanza, convivenza, accoglienza, nelle loro più sottili declinazioni, dalla più ingenua e benevola alla più cinica.
Ma qui si ricade all'ambivalenza iniziale, che si traduce in mille possibili domande destinate, forse, a non perdere mai il punto interrogativo. Da una parte: chi può privare gli altri delle proprie abitudini, quando queste non vanno a intaccare serie ragioni di moralità? Piuttosto che attraverso i divieti, non è meglio puntare su un'assimilazione lenta e paziente? Dall'altra: è realizzabile un'integrazione che prescinda dalla mescolanza? Seguendo il modello «Siloe» non si rischia per caso di costruire una società ghettizzata e blindata senza ritorno, dove gli ospiti, fingendo di accogliere le esigenze dell'altro, in realtà si mettono al sicuro nei loro bunker etnici? O forse ha ragione Tzvetan Todorov quando ricorda che la salvezza degli europei è sempre stata la capacità di capire, di essere mutevoli ed elastici?
1 commento:
Mah. Non so. In Francia il risultato di queste operazioni e' che per quieto vivere, le piscine pubbliche oscurano le finestre anche negli orari normali.
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