lunedì 22 agosto 2011

LIBIA: GIORNALISTA IN TV CON LA PISTOLA

"Siamo tutti armati e pronti a difenderci e pronti al martirio", ha detto con enfasi dallo studio la presentatrice, una ragazza sui trent'anni, non velata. Il video, è stato caricato subito su YouTube da diversi utenti e sta facendo il giro del web, suscitando decine di commenti, soprattutto anti-Gheddafi.
Una presentatrice della tv di Stato libica è andata in studio in diretta tenendo in mano una pistola e minacciando i ribelli che stanno dando l'assalto alla capitale di non provare ad avvicinarsi all'edificio della tv di Stato.

http://www.youtube.com/watch?v=Wwmcpk13v9I

LIBIA, ARRESTATA LA GIORNALISTA CON LA PISTOLA

http://www.corriere.it/esteri/11_agosto_22/libia-giornalista-arresto_eedf451c-cccb-11e0-8c25-58bcec909287.shtml
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domenica 21 agosto 2011

LA MINISTRA PACHISTANA FA SCOPPIARE LA PACE (PER UN GIORNO) CON L'INDIA

IL PERSONAGGIO. I GIORNALI DI NEW DELHI "INNAMORATI" DI HINA RABBANI KHAR, 34 ANNI, PRIMA DONNA A CAPO DELLA DIPLOMAZIA DI ISLAMABAD.



Moda e politica I giornali indiani sedotti dallo stile della ministra: occhiali da sole Roberto Cavalli e borsa di Hermès

La 34enne pachistana Hina Rabbani Khar ha il viso incorniciato da un velo trasparente. L' indiano S. M. Krishna, 35 anni più anziano di lei, rilassato, le stringe la mano tra ampi sorrisi. «Questa è una nuova era nella cooperazione bilaterale» tra India e Pakistan, hanno promesso i due ministri degli Esteri l' altro ieri a New Delhi, due anni e mezzo dopo l' attacco di Mumbai con oltre 160 morti, che aveva spinto le due potenze nucleari sull' orlo di un conflitto. Ma è stata lei, Hina, la prima donna a capo della diplomazia di Islamabad (da appena 10 giorni), a conquistare i riflettori in India. E ieri i temi più dibattuti dai giornali di entrambi i Paesi non erano le questioni di politica estera ma piuttosto: gli occhiali da sole Roberto Cavalli, la borsa Birkin di Hermès e il filo di perle che la ministra indossava sull' elegante completo blu. «Raffinata... classica... splendida», commentava il Daily Times di Lahore, mentre la blogger pachistana Amara Javed sosteneva che Hina è «più glamour di Kate Middleton». «Bomba pachistana atterra in India» titolava ironico il Mumbai Times , «è un' arma di distrazione di massa» per l' Hindustan Times , l' attrice di Bollywood Gul Panag twittava elogi sul suo stile e i designer indiani la definivano «impeccabile eppure dinamica», la nuova musa dopo Michelle Obama e Carla Bruni. Solo qualcuno ha obiettato che «indossare una borsa da 10 mila dollari forse non è un' ottima idea in un Paese devastato»: per la giornalista Sagarika Ghose, della tv Cnn in India, «Hina Rabbani Khar è bellissima, ma ovviamente è parte di una élite pachistana distaccata dal popolo». Ma la ministra ha anche i suoi fan. «Vorrei che la stampa da entrambi i lati del confine le prestasse il rispetto che merita, anziché trasformarla in un "oggetto" e mettere in dubbio la sua professionalità sulla base del sesso», commentava Mehreen Kasana, blogger e disegnatrice pachistana ventenne popolarissima tra i giovani. In Pakistan alcuni politici hanno espresso dubbi relativi all' età della ministra e sulla sua inesperienza in politica. Il presidente Ali Asif Zardari (vedovo dell' ex premier Benazir Bhutto) dichiara che la scelta prova «l' impegno nel portare le donne alla ribalta nazionale». Hina, però, non sta dove si trova per carisma o abilità politica - osserva la giornalista pachistana Huma Imtiaz di Foreign Policy - ma perché viene da una famiglia di proprietari terrieri della provincia del Punjab. Tre figli, master in economia alberghiera conseguito negli Usa, «se ne intende in quel settore perché al suo ristorante "Polo Lounge" di Lahore si mangia benissimo». Ma non ha mai fatto campagna per il seggio in Parlamento, che ha ereditato dal padre. Alcune donne deputate - sono oggi il 22% - si impegnano contro i delitti d' onore, le persecuzioni delle minoranze, fanno campagna elettorale sfidando le minacce di morte, dimostrano di valere al di là del fatto di essere figlie di buona famiglia. Le pachistane istruite giudicheranno Hina Rabbani Khar dai risultati. Sui giornali, intanto, non è passato inosservato il suo incontro a New Delhi con i leader separatisti kashmiri, criticato da fonti governative in India. I due vicini hanno combattuto tre guerre, due delle quali a causa del Kashmir. I due ministri hanno promesso di facilitare i movimenti di merci e di persone tra i due lati della regione himalayana. Piccole concessioni ma significative - osserva il New York Times - come lo è il fatto che l' incontro si sia tenuto nonostante le bombe esplose a Mumbai due settimane prima (24 morti, oltre 100 feriti, nuovi sospetti). Gli Usa vogliono il dialogo, e vogliono che il Pakistan si concentri nella guerra ai talebani. Che dirà la ministra? Istruita e fotogenica, per ora fa buona impressione in un momento difficile tra Islamabad e Washington dopo il blitz Usa contro Bin Laden. Ma in Pakistan, le decisioni di politica estera, in particolare sui rapporti con l' India e gli Usa, sono da decenni controllate dai militari e dall' intelligence. (Fonte: http://www.archivio.corriere.it/ , 29/7) Leggi tutto ...

MEETING / LA VOLONTARIA MUSULMANA : NOI E I CRISTIANI, UNITI PER COSTRUIRE UN'OPERA PIU' GRANDE

Samar Kassem, musulmana, ha 25 anni, vive al Cairo dove è impiegata in una agenzia di assicurazioni. E' arrivata a Rimini, per partecipare al Meeting lavorando come volontaria. Si occupa, come tanti altri ragazzi e ragazze di tutto il mondo, di pulizie. Ma Kassem prima di venire al Meeting di Rimini aveva già preso parte a un altro Meeting, quello che si è tenuto proprio al Cairo lo scorso anno e dove già aveva lavorato come volontaria. "Il mio più grande desiderio è che ci possa essere un altro meeting al Cairo come quello cui ho già preso parte" ha detto a IlSussidiario.net che l'ha incontrata per chiederle come mai questo viaggio fino in Italia. "Ero curiosa" ci ha detto. "L'esperienza che avevo fatto al Meeting del Cairo mi aveva colpito molto. Ciò che mi aveva affascinato di più era stato vedere come tanti ragazzi di nazionalità diversa, egiziani e italiani, avessero potuto lavorare insieme senza problemi". Che cosa l'aveva colpita maggiormente? "Il fatto che ci aiutavamo, che ognuno traduceva per l'altro, che ci si sosteneva senza alcun problema. E che alla fine fossimo riusciti nell'intento, quello di fare qualcosa di bello, di poter portare a termine una esperienza così impegnativa. La cosa fondamentale perché ciò sia stato possibile è stata di aiutarsi gli uni con gli altri, nessuna differenza tra noi egiziani e gli italiani". E cosa si aspetta dal Meeting di Rimini? "La stessa cosa, anche se qui, essendo in tantissimi, sarà diverso, ma proprio per questo sono curiosa di vedere cosa succederà e come riusciremo nel nostro compito. La possibilità, ritengo, è la stessa del Cairo". In passato Kassem aveva già lavorato come volontaria per varie situazioni. Sin dai tempi del liceo, infatti, ci ha detto, è stata impegnata con varie attività, ad esempio al Museo egizio del Cairo, poi nel turismo. "Ho sempre voluto aiutare gli altri" ha detto. Proprio in questo periodo dell'anno i musulmani osservano il ramadan, cioè il digiuno totale fino al tramonto del sole. Lavorare in queste condizioni è faticoso? "No" dice Kassem. "Sono abituata a lavorare durante il ramadan anche in Egitto, non è faticoso per me". Al Meeting di Rimini ci sono persone di tante fedi religiose diverse: "E' uno dei motivi per cui sono voluta venire" spiega.
"Volevo conoscere persone di fedi diverse, voglio imparare dagli altri e guadagnare esperienze nuove dal rapporto con gli altri, è una cosa che mi aiuta tantissimo". In conclusione: dopo il Meeting del Cairo che cosa è nato fra i volontari che vi hanno preso parte? "Una bella amicizia. Continuiamo a vederci e a fare cose assieme, anche fra chi abita in città diverse, al Cairo o ad Alessandria". (Fonte: http://www.ilsussidiario.it/ )
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DUE DONNE IRANIANE IN PERICOLO DI MORTE PER APOSTASIA DALL'ISLAM

Sono state arrestate nel marzo scorso, anche se la conversione sembra risalire ad almeno dieci anni fa. Finora in Iran non è mai stata eseguita una condanna a morte con questa motivazione. Le autorità temono una diffusione del cristianesimo: sequestrate 6500 bibbie.



Teheran (AsiaNews/Agenzie) – Due donne iraniane, rinchiuse nella famigerata prigione di Evin per essersi convertite dall’islam al cristianesimo potrebbero affrontare una condanna a morte per apostasia. La notizia è stata diffusa da radio Farda. Amir Javadzadeh, giornalista di un emittente cristiana londinese, ha dichiarato che le due donne potrebbero essere condannate a morte anche se “non erano politicamente attive. Volevano solo servire il popolo in base alla Bibbia”.
Marzieh Amirizadeh, 30 anni, e Maryam Rustampoor, 27 anni, sono state arrestate a marzo, anche se la conversione data a 10 anni fa. Javadzadeh ha aggiunto che sono diventate cristiane dopo “aver speso molto tempo studiando testi religiosi e aiutando gli altri”. La legge iraniana non prevede la pena di morte per apostasia, ma alcuni tribunali locali l’hanno comminata di recente (anche se non è mai stata eseguita) basandosi su testi religiosi.
Le autorità sembrano preoccupate per un aumento della diffusione del cristianesimo, soprattutto evangelico. In questo contesto si colloca il sequestro di 6500 bibbie annunciato ufficialmente da Majid Abhari, consigliere del Comitato per gli affari sociali del Parlamento iraniano. Abhari ha attaccato “quei missionari che hanno a disposizione grandi somme di denaro e ,cercando di deviare i nostri giovani, hanno cominciato una grande campagna per sviare l’opinione pubblica. Quelle bibbie, a formato tascabile, stampate con la migliore carta del mondo, ne sono la prova”. (16/8) Leggi tutto ...

domenica 7 agosto 2011

VELO INTEGRALE IN ITALIA

BURQA E NIQAB, VERSO IL DIVIETO IN ITALIA

http://donne.virgilio.it/attualita/pinkpoint/burqa-niqab-verso-divieto-in-italia.html

STRAPPA IL VELO A DUE ISLAMICHE: "MI FATE PAURA"

http://www.corriere.it/cronache/11_agosto_07/coppola-strappa-velo-islamiche_d7d96a60-c0d6-11e0-a989-deff7adce857.shtml Leggi tutto ...

TORINO: IRANIANE DI SUCCESSO IN CAMICE BIANCO

Nahid Ziariati, ginecologa




Nasrin Nosrati, tecnico di radiologia





Sheila Fares, cardiologa





Dina Neda Sabet, nutrizionista



Sono arrivate negli anni Settanta per fare l’università in Europa, sono rimaste a lavorare in ospedale. Dimostrando di essere più brave dei maschi. E degli italiani.

Con la tipica cerimoniosità e cortesia persiana la ginecologa Nahid Ziarati ci fa accomodare nel suo studio medico di Settimo, vicino a Torino. Mi chiama affettuosamente "cara" che sarebbe la traduzione di azizam, termine persiano molto usato, unico elemento che rimanda alla sua origine iraniana. Con i suoi lunghi riccioli castani, infatti, non si direbbe che non è di queste parti. E invece arriva da un Paese lontano non tanto per la distanza geografica, quanto per ciò che rappresenta culturalmente.
«Le persone si stupiscono perché immaginano l’Iran come una sorta di inferno delle donne, luogo di fanatici, che magari si spostano ancora con i cammelli» scherza. «Ora, dopo tanti anni di lavoro lascio perdere, ma quando ero più giovane cercavo di smontare tutte le loro convinzioni: dicevo che noi in inverno sciamo sulle montagne di Teheran, che le università iraniane sono piene di donne, che non siamo poi così arretrati…». Come Nahid, già dai primi anni Settanta, centinaia di giovani iraniani sono venuti in Italia a studiare, considerando il nostro Paese una tappa intermedia prima di raggiungere luoghi più ambiti, come gli Stati Uniti. Ma poi gli eventi della vita, matrimoni, opportunità di lavoro e la rivoluzione islamica del 1979, hanno trasformato l’Italia nella loro meta definitiva.
Era stato lo scià di Persia a volere che i rampolli delle famiglie altolocate andassero a istruirsi all’estero per tornare poi a casa con lauree occidentali. Faceva parte del sogno di modernizzare velocemente l’Iran, e questa trasformazione dipendeva moltissimo dalle donne, perché «l’arretratezza di un Paese - sosteneva lui stesso - si vede da quanto sono ignoranti, velate, e relegate in casa le sue donne ». Così chi poteva permetterselo mandava figli e figlie a studiare all’estero. Questi ultimi poi però finivano per non tornare più in patria, soprattutto dopo gli anni della rivoluzione e della guerra con l’Iraq. «Appena arrivati si studiava italiano all’università degli stranieri di Perugia. Era divertente perché noi stranieri eravamo pochissimi e gli italiani facevano a gara per invitarci alle feste» ricorda con il sorriso sulle labbra Nasrin Nosrati, tecnico di radiologia all’ospedale di Chieri.
Gli italiani erano ben dispostinei loro confronti, non era difficile integrarsi: «Poi noi non siamo come gli altri immigrati, che fanno comunità. Gli iraniani sono diffidenti tra loro, per motivi politici e per la religione… Così ci siamo divisi e "mimetizzati"».
Oggi l’Iran è uno dei Paesi che negli ultimi decenni ha esportato più cervelli al mondo, in particolare cervelli femminili. Il fenomeno ha ormai una portata tale che qualche anno fa il governo canadese ha ufficialmente ringraziato i suoi immigrati iraniani (100mila medici) dicendo che per produrre una tale cifra di specialisti avrebbe impiegato almeno 30 anni. Una bella fatica, e tanto denaro, risparmiati.
Sheila Fares è cardiologa ad Alessandria, ed è di religione bahai, fede monoteista nata nell’Ottocento in Iran e quasi sempre perseguitata come eresia, soprattutto dopo la rivoluzione islamica. Formatasi tra Parigi e l’Italia, ci racconta che per le donne iraniane è molto più difficile farcela all’estero: «La mia carriera me la sono dovuta sudare doppiamente, dimostrando prima di essere brava quanto gli uomini e poi quanto gli italiani… Quando dici che arrivi dall’Iran anche i colleghi più colti ti trattano come una che viene dal terzo mondo, che deve essere sottomessa, e allora tiri fuori le unghie e fai vedere che sei capace, che non ti manca niente rispetto a loro». Con il suo caschetto biondo Sheila è tenacissima anche perché l’unica vera caratteristica culturale comune a tutti gli iraniani è la fierezza. «Abbiamo religione e credo politico diversi, ma siamo sempre stati un popolo orgoglioso, discendente di un grande impero e soprattutto non arabo».
E il velo? «Il velo è diventato obbligatorio in Iran per volere dell’ayatollah Ruhollah Khomeini dal 1982, mentre era stato scoraggiato dagli scià del passato» ci racconta Dina Neda Sabet, nutrizionista alle Molinette di Torino. Cresciuta in Italia, spiega come prima della rivoluzione molte donne non lo indossassero, soprattutto quelle della sua famiglia, che non erano di fede islamica: « È proprio per l’imposizione del velo e per l’ossessivo controllo sulla sessualità che molte studentesse sono fuggite in quegli anni».
Oggi, nella confusione politica che continua a caratterizzare la Repubblica islamica, le giovani iraniane continuano a emigrare, quasi come se i versi della grande poetessa persiana Forugh Farrokhzad fossero profezia: «Nella mia piccola notte c’è l’ansia di rovina / il vento ci porterà via». (Fonte: "IO DONNA", 6 - 19 agosto 2011)
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