venerdì 29 aprile 2011

ALESSANDRA BOGA CANDIDATA PER "IO AMO L'ITALIA - IO AMO MILANO" DI MAGDI CRISTIANO ALLAM ALLE ELEZIONI COMUNALI DEL 15/16 MAGGIO

FAI UNA CROCE SUL SIMBOLO E SCRIVI "BOGA".
















In sostegno della candidata Sindaco LETIZIA MORATTI.





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martedì 26 aprile 2011

LA SCRITTRICE SIRIANA YAZBEK SI SCHIERA CONTRO IL REGIME




"Credo nella protesta non violenta. Ma potrebbe non bastare" dice la giornalista. "Le donne del mio Paese sono pronte alla lotta finale". E chiama le nuove generazioni alla rivolta

SAMAR YAZBEK ha 40 anni, gli occhi chiari e gentili, l'aria cosmopolita. Guardandola è impossibile capire da quale parte del mondo viene. Ma basta poco poi per accorgersi quanto sia profondamente figlia della Siria e quanto adori la sua lingua, l'arabo cui ha dedicato gli studi, che l'ha accompagnata nella militanza femminista e politica, nel lavoro di giornalista, sceneggiatrice per il cinema e la tv, soprattutto scrittrice. E per rendersi conto che quell'aspetto mite nasconde un immenso coraggio.
Adesso da Damasco, dove spera di ottenere un visto per un viaggio in Italia al momento negato, mentre il vento della primavera araba scuote il regime di Bashar Al Assad e la repressione è sempre più dura, Samar accetta di parlare come pochissimi siriani oserebbero fare. «Non sono ottimista, al contrario. In queste settimane la gente ha finalmente rotto la paura e il silenzio, io stessa ho partecipato alle manifestazioni» dice. «Abbiamo trovato il coraggio di chiedere libertà e democrazia, la fine delle leggi speciali che dal 1963 ci opprimono.
Con Lo specchio del mio segreto, in uscita sempre per Castelvecchi, Yazbek racconta di un amore impossibile, versione siriana di Giulietta e Romeo, sfidando il tabù delle relazioni tra sunniti e alauiti. Minoranza, quest'ultima, che si considera musulmana ma che per molti è invece una "setta eretica" cui appartengono il presidente e lei stessa, nata a Jableh, sulla costa sotto Latakia, una delle città teatro dei peggiori scontri in questo periodo. «Qualcuno dice che il regime è in mano agli alauiti, che è in corso una fitna, una spaccatura tra noi e i sunniti, ma non è vero» dice convinta.
Non vorrebbe, come è successo in Libia, un intervento dell'Occidente in sostengo alla rivolta: «La soluzione deve arrivare dall'interno. Dai nostri giovani che sono la forza più importante, dalle donne, dagli attivisti. In tutti c'è molta coscienza e impegno, rifiuto di dividerci per confessioni o etnie». Sul profilo Facebook di Samar c’è una foto di Gandhi, icona anche nel mondo arabo della lotta pacifica. «Perché io rifiuto la violenza, nel pubblico e nel privato - spiega - ma se il cambiamento non arriva è un altro discorso. Qui la situazione è aperta, può succedere tutto. Se il regime rifiuta vere riforme ci sarà un vero bagno di sangue. È molto triste, nessuno lo vorrebbe. Ma è così». (Fonte: IO DONNA)
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sabato 16 aprile 2011

"NO" AL VELO INTEGRALE IN FRANCIA

SCATTA LO STOP AL VELO ISLAMICO. ED E' RIVOLTA CONTRO SARKOZY

A Parigi musulmani in piazza contro il divieto di indossare burqa e niqab. Fermate una ventina di donne che avevano sfidato la legge
La sfida si consuma davanti all’ingresso della cattedrale di Notre Dame, simbolo della cristianità. Da una parte un folto gruppo di donne islamiche velate, dall’altra la polizia, che ne ferma circa una ventina per manifestazione non autorizzata. È la fotografia di un Paese spaccato, diviso fra la politica dell’accoglienza e la voglia di difendere i valori fondanti della Repubblica, la libertà religiosa ma anche la dignità della donna. In realtà ieri è andato in scena a Parigi un braccio di ferro ben più vigoroso della stretta dei poliziotti ai manifestanti scesi in piazza per criticare la politica del governo francese. Di mezzo la legge entrata in vigore dopo il sì espresso a ottobre dal Parlamento francese e che vieta di indossare il velo integrale islamico nei luoghi pubblici. Stop al burqa (che scherma totalmente viso e occhi) o al niqab (che lascia scoperti solo gli occhi) o a chiunque si copra il volto con un velo, un casco o una maschera negli spazi pubblici francesi, dalle strade ai giardini pubblici dalle stazioni ai negozi (nelle scuole il divieto di indossare simboli religiosi era già stato introdotto nel 2004). Questione di sicurezza, ma soprattutto questione di dignità delle donne, secondo i vertici della Repubblica francese. Parigi fa da apripista e diventa il primo Paese in Europa a mettere al bando il velo islamico. Ma si trasforma anche nel primo Paese in Europa che combatte ufficialmente un simbolo, «simbolo religioso» per i musulmani, «simbolo di oppressione», un «affronto ai principi di uguaglianza e laicità» per il presidente in carica. E la sfida da ieri si è fatta incandescente. Da una parte Nicolas Sarkozy, la sua voglia di lasciare un segno in patria e in tutta l’Unione europea, il suo impegno per liberare le islamiche dalla «prigione», ma anche il suo tornaconto politico, l’obiettivo di non perdere terreno nei confronti della destra di Marine Le Pen. Dall’altra la più ampia comunità musulmana d’Europa - stimata tra i 4 e i 6 milioni - il desiderio degli islamici di non sentirsi discriminati, l’irritazione per un provvedimento considerato lesivo dei diritti religiosi della comunità ma anche l’occasione per far sentire la propria voce e sfidare un governo occidentale. «Non ho intenzione di togliermi il burqa, pagherò la multa tutte le volte che è necessario», ha detto Newal, una delle donne senza volto arrestata ieri dalla polizia. I funzionari l’hanno fermata perché partecipava a una manifestazione non autorizzata, ma avrebbero potuto multarla: fino a 150 euro per essersi rifiutata di mostrare il volto in pubblico e fino a 30mila euro (raddoppiati a 60mila se la donna è minorenne) e due anni di carcere per chi l’avesse costretta a farlo. Eppure Newal non si è fermata come non si è fermata Kenza Drider, 32 anni, 13 dei quali passati col volto coperto da un velo, fotografata e filmata dalle tv di tutto il mondo mentre sale con indosso il suo niqab sul treno che da Avignone la porta a Parigi. «La legge infrange i miei diritti europei: non posso che difenderli». Toni pacati quelli di Kenza. Del tutto diversi da quelli usati dalla Islamic Human Rights Commission di Londra, che ha definito la legge «un nuovo passo verso il fascismo di Stato». I Fratelli musulmani parlano di «atteggiamento da neo-crociata», «l’inizio di una pericolosa battaglia». I soldati questa volta hanno gonne lunghe e armature di stoffa. Sono circa duemila. Chissà se combatteranno o deporranno i veli. (Fonte: http://www.ilgiornale.it/ , 12/4) Leggi tutto ...

JAMILA, TROPPO BELLA PER ANDARE A SCUOLA

VIA DA SCUOLA PERCHE' E'BELLA. LA PACHISTANA VIVE SEGREGATA IN CASA


http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/397979/


BRESCIA, LIETO FINE PER LA PAKISTANA "TROPPO BELLA PER ANDARE A SCUOLA"



http://www.leggo.it/articolo.php?id=117072&sez=ITALIA Leggi tutto ...

venerdì 15 aprile 2011

IN MEMORIA DI VITTORIO ARRIGONI, CHE AVEVA DETTO LA SUA ANCHE SU "MILLE E UNA DONNA"



"I disumani lo hanno ammazzato - Ecco come un' avversaria poltica di quelle che Arrigoni odiava onora la sua memoria" di Deborah Fait


«LA PALESTINA E' IL SUO GRANDE AMORE» scrive l'Unita'. Certamente Vittorio Arrigoni amava follemente i palestinesi cui ha dedicato la sua gioventu' e gli ultimi anni della sua vita di pacifista a senso unico. I palestinesi, per gratitudine, lo hanno rapito, pestato a sangue, e alla fine impiccato. Che dire? Su Vittorio Arrigoni si puo' dire di tutto e siccome io non sono politicamente corretta lo descrivero' come lui vorrebbe e come si e' sempre orgogliosamente sentito: un pacifista che odiava Israele, odio sempre divulgato senza pieta' in tutto il web e descritto nei suoi articoli diligentemente pubblicati sul Manifesto. Un attivista che voleva la pace senza Israele. Come? Eliminandolo. Un uomo che definiva gli ebrei "razza maledetta". Arrigoni non ha mai detto una parola di pieta' per Gilad Shalit , prigioniero da 5 anni, 1754 giorni nelle mani di Hamas anzi ne parlava con disprezzo e rabbia come scriveva in un suo articolo: "Mi riferiscono che i telegiornali nazionali in questi giorni intasano l’etere illuminando i riflettori sulla vicenda del soldato Gilad Shalit, unico prigioniero israeliano nelle mani dei palestinesi, prigioniero di guerra." Io non ho mai scritto sulla sua pagina di Face Book perche' sapevo che, nel giro di un batter di ciglia, i miei messaggi sarebbero stati democraticamente eliminati come e' successo a tanti amici di Israele che tentavano di arginare il suo odio. A Clara Banon, un'amica italiana che vive in Israele da molti anni e che mi ha permesso di citarla, il cui figlio lavora in un kibbuz a poche centinaia di metri da Gaza, ha augurato la morte del figlio e ha espresso il suo dispiacere e la sua rabbia dopo aver saputo che parte della sua famiglia si era salvata dalla Shoa', dopodiche' Clara e' stata bannata. Chissa' se se ne e' ricordato mentre i suoi "amici" lo stavano impiccando esattamente come dei nazisti. Le perle di Arrigoni e dei suoi sostenitori contro gli ebrei e Israele sono infinite, topi di fogna, maledetti, Israele deve scomparire. Basta entrare nella sua pagina di FB per capire l'odio viscerale che sentiva contro il popolo ebraico, https://www.facebook.com/pages/Vittorio-Arrigoni/290463280451?ref=ts e per rendersi conto di cosa siano i cosiddetti pacifisti suoi sostenitori, piu' di 9000 su Fb, infiniti altri su Guerilla Radio e tra i lettori del Manifesto. E' tutto la' sul web, tutto leggibile per capire come questo cooperante avesse sposato nel modo piu' totale la causa di morte a Israele e a tutti gli ebrei e come fosse diventato il portavoce dei terroristi diffondendo le loro menzogne e la loro propaganda con lo slogan adesso diventato grottesco a sue spese :"Restiamo umani". E i disumani lo hanno impiccato. Cosa avra' pensato in quei momenti? Avra' ancora maledetto gli ebrei? I suoi amori lo stavano ammazzando, si sara' chiesto se ne era valsa la pena? Valeva la pena dedicare la vita a una causa di morte e distruzione? Valeva la pena dedicare la vita all'odio contro quello che lui considerava il Popolo Maledetto? Valeva la pena odiare tanto gli ebrei per difendere quelli che dovevano diventare i suoi assassini? Era umano questo? Chissa'. Forse non si e' ricreduto, in genere chi odia gli ebrei non lo rinnega mai, e' parte del suo essere "umano" e adesso i suoi fans lo stanno dimostrando difendendo Hamas, non demordono, non capiscono niente, si scaglieranno astiosamente contro chiunque non riterra' Arrigoni un martire bensi' un personaggio pubblico estremista che aveva fatto del rancore lo scopo della sua vita. Uno odio feroce e viscerale contro gli ebrei al punto da augurarsi, con un sarcasmo di dubbio gusto, che arrivi presto sulle tavole degli israeliani il pesce radioattivo dal Giappone. Come dicevo i suoi fans stanno gia' difendendo Hamas e scrivono che i salafiti responsabili dell'assassinio non sono parte dei terroristi che governano Gaza. Mica capiscono che Hamas e' suddiviso in innumerevoli gruppi e sottogruppi di terroristi legati a Al Qaeda, gruppi che fanno comodo al governo centrale di Gaza che puo' cosi' sempre giustificare attentati e le centinaia di razzi contro Israele, assassini di giornalisti, distruzione di chiese e case cristiane e varie altre porcherie gridando "Non siamo stati noi, sono stati loro". E i cretini gli credono ciecamente. Povero Vittorio Arrigoni, hai fatto un gioco sporco e loro hanno ucciso te proprio come tu auguravi la morte ai topi di fogna. La pace non si cerca volendo distruggere una parte tra due contendenti bensi' tentando di instaurare un dialogo. Tu hai scelto di dare la tua gioventu' alla parte sbagliata, alla parte dei carnefici e i carnefici ti hanno ucciso perche' questa e' l'unica cosa che sanno fare, ammazzare. Tu eri la', facile preda per loro, che tu fossi un antiisraeliano e un antisemita di ferro non gli interessava. Eri un infedele, eri a portata di mano e ti hanno ucciso. Chissa' se nell'ultimo momento della tua vita hai pensato di averla gettata via per degli assassini. Chissa', Vittorio, se hai gridato ai tuoi disumani carnefici "Restiamo umani". Loro non lo sono mai stati e tu lo sei diventato solo nell'ultimo momento della tua vita. Che tu possa trovare la pace che il tuo odio non ti ha mai permesso di avere, Vittorio. E' un ebrea, un topo di fogna, una componente di quel "popolo maledetto" da te detestato, che ti scrive.



"Io non credo nei confini, nelle barriere, nelle bandiere. Credo che apparteniamo tutti, indipendentemente dalle latitudini e dalle longitudini, alla stessa famiglia che è la famiglia umana". Vittorio Arrigoni.
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mercoledì 13 aprile 2011

GENOVA/ ISLAMICO SI SPOSA IN MAROCCO TRE VOLTE. "VOGLIO PORTARE TUTTE LE MIE MOGLI IN ITALIA"

LA TERZA MOGLIE DEL MAROCCHINO ITALIANO - Un marocchino residente in Italia non sa come portare in Italia la sua terza moglie, legittima secondo l’Islam, ma che in Italia lo farebbe incappare nel reato di poligamia Mohamed, cittadino marocchino di 44 anni ha tre mogli. La legge islamica glielo consente. L’unica condizione della poligamia è che il maschio possa mantenere le proprie mogli. Lui, in tal senso, non ha problemi. Vive in Italia, a Genova, dove gli affari gli vanno bene. Tra i vicoli della Superba ha aperto una serie di macellerie islamiche, dove la carne viene trattata secondo le regole prescritte dalla religione musulmana. Ha, tuttavia un problema. La terza moglie. Come farla venire, dal Marocco, in Italia, e continuare a vivere nel concubinato, dato che la nostra legge non lo permette? Per le prime due la questione era stata risolta con uno stratagemma. Ecco com’è andata: quando era molto giovane si trasferisce a Genova, dove apre la prima macelleria. Le cose vanno bene, decide di andare in Marocco, sposarsi e tornare in Italia, dove mette al mondo due figli. Dato che gli affari vanno sempre meglio, decide di aprire una seconda macelleria, tornare in Marocco, sposare un seconda donna e portale in Italia. Come? Divorziando dalla prima. Divorzio valido secondo le norme italiane, ma che secondo l’Islam non interrompe il vincolo matrimoniale. La donna, infatti, è consenziente, e Mohamed continua a mantenerla, accudirla e ad occuparsi della prole. Terza macelleria islamica, terza sposa. Sorge un problema. Il macellaio, questa volta, non vuole divorziare dalla seconda moglie. Come portare, quindi, in Italia la terza moglie? Il quesito relativo è all’esame della Questura. Mario Iavicoli, avvocato dell’uomo, spiega: «Nessuno chiede che il matrimonio venga riconosciuto in Italia questo è ovvio, ma esiste un atto, tra due cittadini del Marocco, legale in quello Stato che li dichiara marito e moglie. Noi vorremmo che, sulla base di questo atto, la signora fosse riconosciuta, in Italia, come convivente». Se la Questura respingerà la richiesta, il macellaio si rivolgerà al Tar. (Fonte: http://www.ilsussidiario.net/ , 18/3) Leggi tutto ...

ROLA E VEENA (DA LEGGERE)

LA CAMPIONESSA MONDIALE DI BOXE ROLA EL-HALABI FERITA DAL PADRE A COLPI DI PISTOLA







VEENA MALIK L'ATTRICE PAKISTANA CHE HA ZITTITO IL MUFTI' IN TV. ALL'IMAM CHE LE DICEVA "P *** NA", HA RISPOSTO "PEDOFILO" (con video da vedere assolutamente !!!)



http://1972.splinder.com/post/24370687
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BANGLADESH: A 14 ANNI UCCISA A FRUSTATE PER ADULTERIO. MA ERA STATA VIOLENTATA

ROMA – Uccisa a frustate a 14 anni: così è finita la vita di Hena Begum, ragazzina del Bangladesh, morta per un’emorragia dopo aver ricevuto 200 colpi di frusta. Era accusata ingiustamente di aver avuto una storia extra-coniugale con un suo cugino sposato, Mahbub Khan, che in realtà l’aveva violentata. Per questo è stata giudicata da un “tribunale” locale di un villaggio e condannata alla pena – illegale, secondo le leggi dello Stato – della fustigazione, in base alla Shari’a, la legge islamica, per una colpa che non aveva commesso. Ora però i quattro medici bengalesi che, nell’autopsia della ragazzina, avevano escluso segni di violenza, saranno processati per aver cercato di insabbiare il caso. In Bangladesh il caso di Hena non è infrequente, soprattutto negli ambienti rurali e poveri. (Fonte: http://www.blitzquotidiano.it , 30/3) Leggi tutto ...

lunedì 4 aprile 2011

ASMA, LA "ROSA DEL DESERTO" E LE SPINE DEL REGIME


IL PERSONAGGIO. NATA A LONDRA, LAUREATA IN INFORMATICA, IN QUESTE SETTIMANE HA DIFESO IL "RIFORMISMO" DEL MARITO. L' "OFFENSIVA DEL FASCINO" DELLA MOGLIE DI ASSAD VANIFICATA DALLA DUREZZA DELLA REPRESSIONE.


La peluria ingrigita di Yasser Arafat sta addossata alla barba nera di Che Guevara nelle vie pigiate di Yarmouk. I palestinesi del campo profughi più grande del Paese onorano i simboli rivoluzionari sui muri mal intonacati, eppure elogiano le «caute riforme» del regime che li ospita. «In Siria non è possibile cambiare il sistema troppo in fretta» commenta Kamal, la sua famiglia è fuggita da Safed, nord d'Israele, nel 1948. «Bashar Assad deve compiere un passo alla volta. Altrimenti crolla tutto il castello di carte». Il castello, quello di mattoni e cemento armato, è un elegante appartamento nel quartiere di Malki, palazzi addossati alle rocce del monte Qassioun in ascesa sociale verso l'aria più pulita. E' stato ristrutturato su tre livelli, finestre a tutti i lati, niente tende. «E' una boccia per i pesci rossi», lo descrive la rivista Vogue, che è andata a trovare la padrona di casa. Nella bolla di vetro, vive il presidente con la moglie Asma e i tre figli: Hafez (9 anni, ha preso il nome dal nonno e primo leader della dinastia), Zein di 7 e Karim, 6. «Siamo protetti perché siamo attomiati da vicini che vogliono proteggerci. Passano di qua, commentano i mobili, sono curiosi. E' giusto così, non possiamo vivere isolati», racconta Asma al mensile d'alta moda. La trasparenza del potere proclamata dalla first lady contrasta con la definizione che il Dipartimento di Stato offre sul suo sito: «Il governo siriano conduce un'intensa sorveglianza fisica ed elettronica dei suoi cittadini e dei visitatori stranieri». La vecchia strada statale che porta ad Homs, la città indi. striale dov'è nato il padre di Asma, sale attraverso le rocce chiazzate dallo scuro delle grotte, qui millesettecento anni fa pregavano i monaci custiani. In cima a una collina di pietre, c'è il buco nero che inghiotte gli cppositori del regime, la prigione di Sayclnaya. Settimana scorsa, Assad ne ha liberati 250 per cercare di calmare le proteste cominciate il 18 marzo. Il giorno prima di quel venerdì della rabbia la moglie è all'hotel Four Seasons come ospite d'onore dell'Harvard Alumni Association. E' l'università americana che non ha frequentato per frequentare Bashar. Quando lo sposa nel dicembre del 2000, rinuncia al master finanziario (ha già una laurea in informatica) e al bonus di fme anno della Yoran (ha appena chiuso un affare milionario con una società di biotecnologie). Lascia Londra è cresciuta ad Acton, ha frequentato il Queen's College e torna nel Paese dove ha passato le vacanze estive con i genitori: il padre è cardiologo, la madre lavora all'ambasciata, sono amici di famiglia degli Assad. Asma conosce Bashar da quando ha dieci anni, lui ne ha altrettanti di più. Agli studenti e docenti americani spiega che «le rivolte in altri Paesi arabi sono specifiche di quelle nazioni. Noi non abbiamo bisogno di una ribellione per capire che dobbiamo ancora realizzare gli obiettivi. Abbiamo dato il via alle riforme anni fa». Più o meno le parole ripetute dal presidente in un'intervista di fine gennaio al quotidiano Wall Street Journal. Nadim Houry, ricercatore di Human Rights Watch, ritiene che il profilo di Vogue e l'evento organizzato da Harvard facciano parte di un'«offensiva del fascino», che sfrutta lo stile e la bellezza della «rosa del deserto» (così eletta dal titolo della rivista). Qualche siriano spera che il suo fascino possa influire anche sul marito e che la trentacinquenne Asma prema per fermare la repressione (i morti sono almeno 70, secondo le organizzazioni per i diritti umani. L'amore per i tacchi a sti letto di Christian Loubutin rischia di accostarla a Imelda Marcos più che a una leader illuminata. La sua missione dichiarata coinvolgere i 6 milioni di ragazzi sotto ai 18 anni nella «cittadinanza attiva» è stata sorpassata dai giovani usciti in strada a protestare: vogliono di più e lo vogliono subito. (Fonte: http://www.leprotagoniste.org/ , articolo del Corsera)
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venerdì 1 aprile 2011

COLTA, POTENTE, ODIATA: LA DONNA CHE MANOVRA PER ASSAD


IL PERSONAGGIO. MAESTRA DI IMMAGINE E INVIDIATA DAL RESTO DELL'ENTOURAGE, E'STATA LEI AD ANNUNCIARE LA FINE DELLO STATO D'EMERGENZA.


Da interprete a super-consigliera, Bouthaina Shaaban è la «cassaforte» dei segreti di famiglia. Gli attempati vertici politici siriani, custodi della più assoluta ortodossia del regime, affascinati dalla gestione del potere di Hafez el Assad, e sempre prodighi di consigli (troppi) nei confronti del figlio Bashar, non l' hanno mai amata. Troppo indipendente, colta, coriacea, ambiziosa. Maestra di immagine. E soprattutto donna. Bouthaina Shaaban, 57 anni, sposata, tre figli, capace di gestire i suoi compiti con la forza di un ciclone, a 16 anni era già nel partito Baath. Ha poi scalato tutti i gradini del potere, fino a diventare la persona più influente nell' entourage del giovane presidente, di cui è assieme consigliera politica e consigliera per la stampa. Il potere le è stato dato per gli indubbi meriti professionali, ma in gran parte se lo è conquistato da sola, diventando prima la cassaforte dei segreti del defunto presidente Hafez el Assad, e poi quella del figlio Bashar. In che modo? Semplice. Con la sua perfetta padronanza della lingua più veicolare (ha un Phd in letteratura inglese dell' Università di Warwick), è stata infatti l' interprete di entrambi, prima di abbandonare l' incarico e diventare di fatto il braccio destro del capo dello Stato. Come fidata interprete, non soltanto ha conosciuto le asprezze e le titubanze dei due presidenti, ma pregi e difetti di molti potenti della Terra che andavano in missione in Siria. Alla fine, la dottoressa Shaaban conosceva più cose e retroscena internazionali di gran parte della nomenklatura del regime. Quando Assad è mancato, pochi mesi dopo il fallimento dell' incontro con il presidente americano Bill Clinton, a Ginevra, dove si arrivò a pochi metri dal traguardo di uno storico accordo tra la Siria e Israele, Bouthaina Shaaban è passata da subito alle dipendenze del figlio, seguito con le premure di una influente ma rispettosa sorella maggiore. È in questa fase, pur continuando occasionalmente a svolgere il lavoro di interprete, che la Shaaban ha consolidato il suo ruolo politico, prima come portavoce del ministero degli Esteri durante la guerra all' Iraq del 2003, poi come ministro degli Espatriati. Incarico tenuto fino al 2008, per volere di Bashar, che l' aveva scelta con un doppio obiettivo: continuare ad avvalersi dei consigli a tutto campo della preziosa collaboratrice, e avere un affidabile e fedelissimo punto di riferimento all' interno del governo. Un governo turbato da un crescente dissenso sociale, accentuato dopo l' assassinio a Beirut dell' ex premier Rafik Hariri, di cui in un primo tempo furono accusati i servizi di sicurezza siriani. Con determinazione la ministra ha cercato di coniugare le frequentissime missioni all' estero con periodiche interviste ai grandi network, soprattutto occidentali. La padronanza della lingua inglese e la certezza di saper interpretare perfettamente il pensiero del presidente le hanno ovviamente creato problemi, invidie e gelosie. Alimentati dal ruolo di consigliera a tutto campo, che di fatto la pone al di sopra di quasi tutte le istituzioni politiche. A parte ovviamente quegli apparati di sicurezza che secondo alcuni analisti contano persino più dello stesso presidente. In questi giorni Bouthaina Shaaban, per amor di tesi e per la volontà di servire al meglio il suo turbato superiore, probabilmente ha ecceduto. Come quando ha detto di non seguire altre televisioni per sapere la verità: «Visto che queste cose succedono in Siria, l' unica tv che dice la verità è quella statale!». Polemica evidente nei confronti di Al Jazeera, il canale arabo del Qatar più seguito dalla gente e più odiato dai regimi. Però la consigliera ha anticipato, con un intervento pubblico, che verrà ritirato lo stato di emergenza, in vigore dal 1963, e che il presidente parlerà alla nazione per illustrare il suo piano di riforme. Ma basterà? (Fonte: http://www.corriere.it/ , 28/3)
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DONNA INCARCERATA PER ESSERE STATA STUPRATA IN UN PAESE MUSULMANO DENUNCIA IL DATORE DI LAVORO


Questo genere di episodi nasce dal requisito coranico di richiedere la presenza di quattro testimoni per poter privare un crimine a sfondo sessuale, come ad esempio l'adulterio, lo stupro, ecc. Questo e' riportato nel capitolo 24 del Corano, e la vicenda si svolge nel modo seguente: nei versi 11-20 Allah castiga furiosamente un gruppo che aveva "diffuso una menzogna" (v.11) contro una donna casta, senza produrre quattro testimoni (v.13). La divinita' redarguisce anche i fedeli, per aver dato credito alla evidente calunnia (vv.12,16). Questa e' una questione molto grave (v.15), ma il Corano non ci dice di cosa esattamente si tratti. Quest'hadith ci fornisce il contesto. Allah aveva recentemente ordinato alle donne di portare il velo (un comando riportato nel verso 31), cosi' Aisha, quando accompagnava Muhammad in battaglia, veniva trasportata in una howdah coperta da teli sulla schiena di un cammello. La carovana si fermo' ed Aisha scese per "rispondere al richiamo della natura". Mentre tornava perse un suo pendaglio, e si fermo' per cercarlo. Nel frattempo i servitori, a cui era proibito guardarla o parlarle, caricarono l'howdah sul cammello senza rendersi conto che lei non era al suo interno. "All'epoca", spiega Aisha, "ero ancora una giovane signora", e inoltre "le donne erano leggere di peso in quanto non diventavano grasse." E cosi' la carovana parti' senza di lei, e la favorita di Muhammad rimase sperduta. Un guerriero Musulmano che viaggiava a breve distanza dall'esercito si imbatte' in lei, e rimase alquanto turbato nel trovare Aisha da sola. "Mi coprii il volto con il velo immediatamente", insistette Aisha, "e per Allah, non pronunciammo parola alcuna, ne' lo udii pronunciare niente al di fuori della sua Istirja'" - una preghiera invocata in situazioni problematiche. Il guerriero trasporto' Aisha sul suo cammello fino all'accampamento dei Musulmani - e quasi immediatamente queste voci si diffusero. Persino Muhammad ne venne turbato. Aisha spiega: "Dopo che fummo tornati a Medina, mi ammalai per un mese. La gente comincio' a diffondere le false affermazioni dei mentitori ed io non sapevo nulla, ma percepii che nonostante la mia malattia, non ricevevo le cure e le attenzioni abituali dal Messaggero di Allah di cui ero normalmente beneficiaria quando ero ammalata." Aisha era profondamente turbata: "Continuai a piangere quella notte fino all'aba, non potevo smettere di piangere ne' dormire, cosi' la mattina continuai a piangere." Ali bin Abi Talib, che in futuro diverra' il grande santo ere eroe dei Musulmani Sciiti, con assai scarsa galanteria ricorda a Muhammad che vi sono "molte altre donne" disponibili per lui (Aisha non si dimentico' mai di questo ne' lo perdono', al punto che dopo la morte di Muhammad mosse guerra contro Ali essa stessa). Ma Ali consiglio' anche a Muhammad di chiedere consiglio a Barira, la schiava di Aisha, se avesse visto nulla, e Barira confermo' che Aisha non aveva fatto nulla di male. Muhammad lascio' la faccenda nelle mani di Allah, dicendo ad Aisha: "Sono stato informato di questa e quest'altra storia riguardo a te; se sei innocente, allora Allah me ne informera' presto, e se hai commesso un peccato, allora pentiti dinanzi ad Allah e chiediGli perdono, perche' quando una persona confessa i suoi peccati e chiede ad Allah il perdono, Allah accetta il suo pentimento." Muhammad ricevette quindi una rivelazione da Allah, mentre Aisha stessa osservava: "Cosi' lo vidi nella stessa difficile condizione in cui era solito trovarsi (quando riceveva l'Ispirazione Divina) cosi' che gocce di sudore cominciarono a scendere sulla sua fronte, come perle, anche se era un (freddo) giorno d'inverno, e questo era per la severita' della Dichiarazione che stava venendogli rivelata. Quando la condizione dell'Apostolo di Allah termino', ed egli sorrideva per il sollievo, la prima parola che disse fu, 'Aisha, Allah ha dichiarato la tua innocenza.'" Allah aveva rivelato i versi 11-20. Aisha, ciononostante, era ancora adirata: "Mia madre mi ha detto, 'Alzati e vai da lui.' Io dissi, 'Per Allah, non andro' a lui e non ringraziero' nessuno se non Allah.'" Ciononostante essa era stupita della rivelazione: "Per Allah, non avrei mai pensato che Allah si pronunciasse in mio favore e che una rivelazione venisse recitata, in quanto mi considero troppo insignificante affinche' Allah parli di me durante una Rivelazione Divina che dovra' essere recitata." Ma lo era. E le false accuse contro di lei causarono il requisito secondo cui quattro testimoni musulmani di sesso maschile devono essere presentati per potersi pronunciare su di un crimine di adulterio o simile. La legge Islamica continua a richiedere la testimonianza di quattro uomini adulti prima di legiferare su crimini a sfondo sessuale (v.13). Di conseguenza, ancora oggi e' virtualmente impossibile provare di essere state stuprate in paesi che seguono la Sharia. Ancora peggio, se una donna accusa un uomo di stupro, essa finisce con l'incriminare se stessa. Poiche' se non e' possibile trovare quattro testimoni maschi, le accuse di stupro della vittime diventano un'ammissione di colpevolezza per adulterio. Questo spiega il triste fatto che quasi il settantacinque percento delle donne in prigione in Pakistan sono, in effetti, dietro le barre per il crimine di essere state vittima di stupro. Quando il governo di Musharraf ha preso provvedimenti per rimuovere il crimine di stupro dalla sfera della legge islamica e ha stabilito che questo debba essere giudicato mediante i moderni canoni della dimostrazione scientifica, un gruppo di religiosi islamici e' rimasto profondamente adirato. Ha chiesto che la nuova legge sia ritirata: avrebbe trasformato il Pakistan in un luogo "di sesso libero". I religiosi hanno tuonato dicendo che la legge era "contro gli insegnamenti dell'Islam", e che era stata approvata solo per accontentare l'Occidente. Pertanto questo e' un altro aspetto della Sharia a cui soltanto i cattivi islamofobi si oppongono. "Donna incarcerata per essere stata stuprata in un paese musulmano sporge denuncia", da FoxNews, 29 Marzo: Una donna australiana ha denunciato un hotel a cinque stelle degli Emirati Arabi dopo essere stata drogata e stuprata dai suoi colleghi - ma che e' finita in carcere per otto mesi per aver avuto rapporti sessuali fuori dal matrimonio. Alicia Gali (nel riquadro in basso a destra, ndr), 29 anni, ha bevuto un cocktail adulterato con droghe ed e' stata stuprata da quattro colleghi all'hotel di lusso Le Meridien presso la spiaggia di Al Aqah negli Emirati Arabi in Giugno del 2008. Essa fa richiesta di danni dal suo ex datore di lavoro per aver violato i propri doveri di tuteal dei lvoratori dopo che ha denunciato l'aggressione alle autorita', solo per venire incarcerata per otto mesi con l'accusa di adulterio. Miss Gali ha passato otto mesi in prigione in quanto avere sesso al di fuori del matrimonio e' illegale negli Emirati Arabi... (Fonte: http://www.italian.faithfreedom.og/ , da Jihadwatch, 31/3)
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EGITTO: "TEST DI VERGINITA' " PER LE MANIFESTANTI DEL 9 MARZO


Incriminato Mubarak per la repressione. Ma anche le donne che erano scese in piazza Tahrir per i loro diritti. Notizie dall'Egitto, semisparito nel vortice libico. Notizie ufficiali - la Commissione egiziana, che indaga sull'ondata di violenza avvenute durante le manifestazioni di protesta contro il regime ha chiesto l'incriminazione con l'accusa di omicidio volontario per l'ex presidente Hosni Mubarak e per l'ex ministro dell'Interno del regime al-Adli, accusato di aver dato l'ordine di aprire il fuoco sulla folla dei manifestanti (accusato tra l'altro di essere dietro all'attentato alla chiesa copta di Alessandria a Capodanno e aver fatto liberare i criminali che hanno danneggiato i monumenti egizi, per giustificare la presenza dell'esercito !!! ndr) - e notizie da verificare, ma decisamente allarmanti. Amnesty International, infatti, ha chiesto alle autorità egiziane di indagare sulle gravi denunce di torture, compreso l’obbligo a sottoporsi a ‘test di verginità’’, inflitte dai militari alle donne che hanno preso parte alle manifestazioni al Cairo il 9 marzo scorso. Cos'era successo quel giorno? Nulla di incoraggiante purtroppo per chi spera in un nuovo Medio Oriente. Arrivate nel primo pomeriggio nella "piazza della libertà", l'ormai celebre piazza Tahrir del Cairo, per un corteo convocato in occasione della giornata internazionale dedicata alle donne, le manifestanti, duecento coraggiose impegnate nel giornalismo e nella vita civile, erano state aggredite al grido di "Tornatevene a casa". Un invito reso più "corposo" da aggressioni e palpeggiamenti. Un episodio«deprimente e disgustoso» che le donne coinvolte avevano denunciato con amarezza come opera di teppisti. Erano solo teppisti? Il seguito getta ulteriori ombre sull'episodio perché in seguito a quella manifestazione abortita i militari hanno arrestato almeno 18 donne. Queste hanno poi riferito ad Amnesty International di essere state picchiate, sottoposte a scariche elettriche, obbligate a denudarsi mentre i soldati le fotografavano e infine costrette a subire un ‘test di verginità’’, sotto la minaccia di essere incriminate per prostituzione. Tra le testimonianze raccolte da Amnesty quella di Salwa Husseini, 20 anni, arrestata e portata al carcere militare di El Heikstep, a nord-est della capitale dove è stata costretta a togliersi tutti i vestiti ed è stata perquisita da una guardiana, in una stanza con due porte e una finestra aperte. Nel frattempo i soldati entravano nella stanza per scattarle delle foto. I ‘test di verginità’’ sono stati eseguiti in un’altra stanza da un uomo che indossava una giacca bianca. Quelle trovate "non vergini’ sarebbero state incriminate per prostituzione. Una donna, riferisce Amnesty, ha detto che era vergine ma poiché il test avrebbe provato il contrario, è stata picchiata e sottoposta a scariche elettriche. I soldati hanno continuato a umiliare le donne consentendo ai soldati di guardare e fotografare quello che stava accadendo, con la minaccia implicita di rendere pubbliche le immagini. Rasha Azeb, una giornalista a sua volta arrestata a piazza Tahrir, ha riferito ad Amnesty International di essere stata ammanettata, picchiata e insultata. Secondo il suo racconto, le 18 manifestanti arrestate sono state inizialmente portate in un locale del Museo del Cairo, dove sono state ammanettate, picchiate con bastoni e tubi di gomma, colpite con l’elettricità al petto e alle gambe e chiamate ‘prostitute’. Rasha Azeb ha potuto ascoltare le urla delle detenute mentre venivano torturate. E’ stata rilasciata diverse ore dopo, insieme a quattro colleghi giornalisti, mentre le altre 17 donne sono state trasferite a El Heikstep. Altre testimonianze, raccolte dal Centro El Nadeem per la riabilitazione delle vittime della violenza, secondo Amnesty sono coerenti con quelle di Rasha Azeb e Salwa Husseini. Per la cronaca le donne portate a El Heikstep sono poi comparse di fronte a un tribunale militare l’11 marzo e rilasciate due giorni dopo. Diverse di esse sono state condannate a un anno di carcere, con la sospensione della pena. Salwa Hosseini e’ stata giudicata colpevole di condotta disordinata, distruzione di proprietà pubblica e privata, ostacolo alla circolazione e possesso di armi. (Fonte: http://www.lastampa.it/ , 23/3)
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LIBIA: ARRESTATA, MALMENATA E STUPRATA PERCHE' SONO DI BENGASI


DONNA FA IRRUZIONE HOTEL GIORNALISTI PER RACCONTARE DISPERAZIONE.


(ANSA-REUTERS) - TRIPOLI, 26 MAR - Una donna in lacrime, disperata, si e' presentata all'hotel dei giornalisti a Tripoli mostrando le ferite che la violenza in Libia ha lasciato sul suo corpo e chiedendo aiuto. E' riuscita ad entrare nella hall dell'albergo altamente sorvegliato, ha mostrato i lividi, le cicatrici, ma soprattutto ha raccontato la violenza cui e' stata sottoposta dagli uomini di Muammar Gheddafi: in 15 -ha detto- l'hanno stuprata e trattenuta per due giorni. Appena i giornalisti si sono avvicinati per ascoltare la sua storia le forze di sicurezza sono intervenute e l'hanno portata via: ma la donna, Eman al-Obaidi, e' riuscita a raccontare la sua storia. Ha detto di essere stata arrestata al checkpoint di Tripoli perche' e' di Benghasi, la citta' nell'est del Paese roccaforte della rivolta. ''Mi hanno urlato contro di tutto, mi hanno filmata. Ero sola. C'era del whiskey. Ero legata. Mi hanno urinato addosso. Hanno violato il mio onore'', ha raccontato mostrando le ferite sulla braccia e il viso tumefatto.


STUPRATA IN LIBIA: SOLDI E CASA SE NON DENUNCI : http://www.leggo.it/articolo.php?id=113842
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