venerdì 30 luglio 2010

E ANCHE IN ITALIA

Burqa vietato per motivi di sicurezza "Indossarlo non è obbligo religioso".

Il comitato per Islam italiano, presieduto dal ministro Maroni, ha ribadito il divieto di indossarli nei luoghi pubblici per motivato da ragioni di sicurezza.

http://www.ilgiornale.it/interni/burqa_vietato_motivi_sicurezza_indossarlo_non_e_obbligo_religioso/14-07-2010/articolo-id=460832-page=0-comments=1

Islam, Sbai (PdL): bandire burqa in tutta Europa

http://www.souadsbai.com/home/index.php?option=com_content&view=article&id=538:islam-sbaipdl-bandire-il-burqa-in-tutta-europa&catid=3:comunicati-stampa&Itemid=4

+BRESCIA, QUARTIERE SICURO: RACCOLTA FIRME PER VIETARE BURQA E VELO

http://www.ilgiorno.it/brescia/cronaca/2010/07/19/358428-quartiere_sicuro.shtml Leggi tutto ...

FRANCIA, SIRIA E MAROCCO VIETANO IL VELO INTEGRALE

Islam, in Francia divieto Burqa

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/topnews/2010/07/13/visualizza_new.html_1852213443.html

Il no della Siria al "Niqab"

http://www.articolo21.org/1485/notizia/il-no-della-siria-al-niqab.html

Marocco, predicatrice religiosa sospesa per niqab

http://www.arabya.info/index.php?option=com_content&view=article&id=1497:marocco-predicatrice-religiosa-sospesa-per-niqab&catid=4:islam&Itemid=11

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IRAN: DIFENDE DONNE E MINORI. IL REGIME GLI ARRESTA DUE PARENTI

Offensiva delle autorità di Teheran contro Mohammed Mostafaei, uno dei più noti difensori dei diritti umani.

MILANO - La moglie e il cognato di Mohammed Mostafaei, uno dei più noti avvocati impegnati nella difesa dei diritti umani in Iran, sono stati arrestati sabato 24 luglio a Teheran e, secondo fonti iraniane, potrebbero trovarsi nel carcere di Evin. Le organizzazioni internazionali per i diritti umani Iran Human Rights e Amnesty International esprimono preoccupazione. Mostafaei, 37 anni, era stato interrogato sabato mattina in un ufficio del procuratore all'interno del carcere di Evin.
AVVOCATO - Mostafaei è l’avvocato di Sakineh Ashtiani, una 43enne iraniana condannata alla lapidazione per presunte relazioni extraconiugali: la sua esecuzione, che lui aveva criticato in interviste ai media stranieri, è stata fermata giorni fa in seguito a forti pressioni internazionali, ma il verdetto non è stato annullato. Negli ultimi anni Mostafaei ha assunto la difesa di 40 minorenni condannati a morte nel suo Paese (sono oggi 130-140 nel braccio della morte secondo stime delle organizzazioni internazionali per i diritti umani). È stato anche l’avvocato di Delara Darabi, impiccata il 1° maggio 2009 per un presunto omicidio commesso a 17 anni, una violazione della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia (ratificata anche dall’Iran) che vieta di infliggere la pena di morte ai minorenni. Qualche giorno fa, Mostafaei aveva inoltre criticato in un’intervista alla rete tedesca Deutsche Welle l’amputazione delle mani di cinque persone condannate per rapina, avvenuta il 22 luglio nel carcere di Hamedan, nell’Iran occidentale. (www.corrieredellasera.it )
ARRESTI - Dopo essere stato interrogato dalle autorità sabato mattina, Mostafaei era tornato nel suo ufficio di Teheran e aveva scritto sul suo blog che era stato interrogato a proposito di un conto in banca da lui aperto in favore dei minorenni nel braccio della morte, ma che non c'era alcuna accusa formale contro di lui. Poche ore dopo, ha ricevuto una telefonata in cui gli veniva chiesto di presentarsi alla prigione di Evin. Ha scritto sul suo blog che avrebbe dovuto presentarsi domenica oppure, forse, l’avrebbero prelevato in ufficio le autorità stesse. Secondo il Committee of Human Rights Reporters, un gruppo di giornalisti e attivisti iraniani, le autorità si sono recate all’ufficio di Mostafaei con un mandato d’arresto ma non hanno trovato l'avvocato. Alle 11 di sera, hanno arrestato sua moglie Fereshteh Halimi e suo cognato Farhad Halimi, che erano andati a prendere la sua auto davanti all’ufficio.
ALLARME - «Mostafaei è uno dei pochi avvocati in Iran che difendono i minorenni e le donne come Ashtiani, in maniera del tutto legale», spiega Mahmmod Amiry-Moghaddam di Iran Human Rights, organizzazione per i diritti umani con sede a Oslo che domenica ha lanciato l'allarme sull'arresto. «Non è coinvolto in alcuna attività politica. È molto preoccupante se viene intimidito per aver svolto il proprio lavoro. Lo è per lui e anche per gli altri avvocati. Spero che la comunità internazionale esprima la propria preoccupazione e segua il modo in cui Mostafaei viene trattato». Mostafaei era stato detenuto a Evin l'anno scorso dal 25 giugno al 1° luglio con l'accusa di «complotto» e «propaganda contro lo Stato». Era stato rilasciato su cauzione.
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lunedì 19 luglio 2010

CIAO A TUTTI !

Vado un po' via, torno il 27, sperando di tornare ritemprata e dare nuovo vigore al blog... . Un abbraccio a tutti!

Alessandra.
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domenica 18 luglio 2010

SAIDA E AMIRA SONO CON LA MAMMA. IL PADRE LE AVEVA RAPITE IN TUNISIA


Secondo le prime ricostruzioni, avrebbero vissuto in diversi posti, andando da una casa a un’altra, sempre controllate dal “clan” di Nabil Zakraoui, l’ex marito di Laura, che le aveva prelevate dall’asilo dove andavano, nell’aprile del 2009.

LIVORNO. Questo sì che è un regalo di compleanno. Nel giorno in cui la piccola Saida ha compiuto sei anni, ha potuto riabbracciare la madre insieme alla sorellina Amira, che di anni ne ha tre. E’ successo al tribunale di Ben Arous, alla periferia di Tunisi, dove ieri mattina Laura Dini, livornese di 36 anni, le ha strette a sé dopo quasi un anno e mezzo di attesa, visto che il padre le aveva fatte sparire nell’aprile del 2009.
Fino a ieri non erano servite a niente sentenze italiane e tunisine che affidavano le bambine alla mamma, rimaste pezzi di carta senza alcun effetto concreto. Nessuno sapeva dove fossero Saida e Amira. Solo lei, Laura, madre coraggio livornese, non ha mai perso la speranza di poterle rivedere e per questo motivo aveva deciso di trasferirsi in Tunisia, sicura che le figlie fossero ancora lì, in qualche villaggio nei pressi di Tunisi, dove erano andate per la prima volta alla fine del 2008, in un viaggio che doveva essere di pochi giorni ma che poi, per loro e per la madre, si era trasformato in un vero e proprio incubo. Da quel momento, le piccole non hanno mai più fatto ritorno in Italia.
Secondo le prime ricostruzioni, avrebbero vissuto in diversi posti, andando da una casa a un’altra, sempre controllate dal “clan” di Nabil Zakraoui, l’ex marito di Laura, che le aveva prelevate dall’asilo dove andavano, nell’aprile del 2009, aggredendo le insegnanti. L’arresto ha fermato lui, ma non i suoi parenti, che hanno continuato a tenere Saida e Amira ben distanti dalla madre, che nel frattempo si è rivolta all’ambasciata italiana e alle istituzioni tunisine.
E’ servito un vero e proprio blitz della polizia tunisina per restituire le bambine alla mamma. Un blitz maturato nel pomeriggio di giovedì: nel quartiere di Tunisi dove è avvenuto, ci sono stati anche scontri, perché chi custodiva le piccole non vedeva certo di buon occhio l’intervento degli agenti. E così, allo stesso modo, ieri mattina l’incontro fra Laura, Saida e Amira è avvenuto in un contesto quasi blindato: la madre è stata scortata da 25 poliziotti al tribunale di Ben Arous. «Sì, le bimbe sono qui con me - diceva ieri Laura Dini, raggiunta per telefono a Tunisi - potete immaginare la mia gioia. Come le ho trovate? Un po’ frastornate, non è che ci siamo dette molto perché parlano solo arabo. Solo Saida, la più grande, capisce e parla un po’ in italiano. Mi ha chiesto dove ero stata in tutti questi mesi, perché non ero con loro. Ho risposto che ero qui che le ho cercate tanto e in ogni quartiere di Tunisi e dei villaggi vicini».
Frastornate e anche un po’ provate dai continui spostamenti escogitati da chi le custodiva per sfuggire alla polizia che stava indagando. Saida ha raccontato alla mamma che spesso lei e la sorellina venivano portate da un posto all’altro e quando uscivano le camuffavano con cappelli e sciarpe perche nessuno le riconoscesse.
La battaglia di Laura Dini è andata avanti per mesi e mesi (un anno e tre mesi per l’esattezza) fra Tunisia e Italia. In Tunisia, perché lei è rimasta nel paese africano per non perdere i contatti con l’ambasciata e coi luoghi dove le piccole si trovavano. In Italia, perché sono state coltivate altre relazioni con esponenti delle istituzioni locali e nazionali. Laura, insieme ai genitori Elio e Cinzia, è stata ricevuta dal sindaco Alessandro Cosimi e dal senatore livornese Marco Filippi, che ha aperto altri canali di confronto col ministero degli Esteri. Il caso ha trovato una dimensione anche politica dalla fine del 2009, quando un inviato del Tirreno trascorse alcuni giorni a Tunisi, affiancando la madre nelle ricerche. Da lì, dalle pagine dei giornali e dalle televisioni, l’approdo nelle aule parlamentari. Tanto che anche la vicepresidente del gruppo Pd alla Camera, Rosa Villecco Calipari e la presidente della Commissione infanzia Alessandra Mussolini hanno presentato, non più di quattro o cinque mesi fa, una interpellanza al ministro Frattini. Intanto, la donna livornese ha potuto continuare a rimanere a Tunisi grazie ai sacrifici dei suoi genitori, che sono arrivati a mettere in vendita la loro casa. (Fonte: http://www.iltirreno.geolocal.it/ 17/7)
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sabato 17 luglio 2010

IRAN, ANCORA PESSIME NOTIZIE SULLE DONNE

IRAN: CONTRORDINE, LA DONNA ADULTERA SARA' LAPIDATA. FINE DI TUTTE LE IPOCRISIE

http://www.secondoprotocollo.org/?p=1289


DONNA VIOLENTA E UCCISA DALLE FORZE BASIJI A TABRIZ: ERA "MALVELATA"

http://www.donneiran.org/index.php?option=news&task=viewarticle&sid=2726



IRAN: 14ENNE CONDANNATA ALLA LAPIDAZIONE

http://www.donneiran.org/index.php?option=news&task=viewarticle&sid=2725


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sabato 10 luglio 2010

SVEZIA: QUANDO LE BIONDE SI TINGONO I CAPELLI PER NON ESSERE VIOLENTATE

Le svedesi bionde tingono i capelli di colore scuro per timore di esseri violentate. La ragione è che le bionde non passano inosservate in un certo numero di zone in cui gli svedesi autoctoni rappresentano soltanto il 20% della popolazione. Un aspetto troppo scandinavo aumenterebbe il rischio di aggressioni. Assumendo un atteggiamento neutro a livello di vestiario e con i capelli scuri, sperano così di sfuggire all'attenzione di potenziali violentatori. Generalmente si tratta di giovani musulmani che considerano i capelli biondi come una provocazione. (Fonte: Het Laatste Nieuws , da Per la pace e l'amicizia tra i popoli , 27/5)
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CASALINGHE INDEMONIATE

Colleen, Pauline, Muriel sembrano condurre una vita normale. Poi, un giorno, flirtano on line con un fanatico. E per amore diventano guerriere della Jihad. Pronte a uccidere e a uccidersi.

Bionde, con gli occhi azzurri, nate in tranquille cittadine di provincia occidentali. Vite anonime, a volte segnate da qualche problema. Finché un giorno non incontrano, magari online, “un uomo diverso dai soliti”. Si innamorano e si trasformano in soldatesse della Jihad. Pronte ad uccidere e a farsi uccidere. Agiscono dagli Stati Uniti alla Russia, come dimostra l’ultimo attacco nel metrò di Mosca, eseguito – sembra – da due donne kamikaze. Le temute “vedove nere”.
La casalinga Colleen LaRose, 46 anni, si sposa, per la prima volta, a 16 anni.



L’unione finisce presto così come la seconda. All’improvviso Colleen scopre l’Islam, si mette a studiare la religione musulmana e prende a cuore i problemi politici del Medio Oriente. Su Myspace mette una sua foto con il burka. Si firma “Fatima LaRose” oppure “Jihad Jane”. Via internet conosce un uomo, un algerino che le fa da guida. Colleen entra a far parte di un gruppo, basato in Irlanda, che vorrebbe assassinare Lars Vilks, un disegnatore svedese autore di vignette blasfeme. Non solo, la donna recluta altre “bionde”. Il 22 agosto 2009, pochi giorni dopo la morte del padre, Jihad Jane scompare da Pennsburg dopo aver rubato il passaporto ad un amico. La donna ha raggiunto i complici – e il “fidanzato” nordafricano – in Irlanda. Sono pronti a passare all’azione. Colleen, però, rientra negli Usa in ottobre e ad aspettarla c’è l’Fbi che decide di arrestarla.
La mamma Nella retata irlandese resta impigliata per qualche giorno un altro personaggio incredibile. Jamie Pauline Ramirez, 31 anni, mamma di un bimbo di 6.

Viene da Leadville, Colorado. Si è sposata tre volte. E dall’unione con un messicano – poi deportato perché illegale – è nato il piccolo Christian. Jamie passa ore al computer. Le lunghe sedute davanti al pc: ha conosciuto Alì, un nordafricano che vive in Irlanda la circuisce. La ragazza, dopo aver ottenuto un prestito scappa insieme al figlio in Europa per raggiungere il “nuovo amore”. Si sposano secondo il rito musulmano e Christian diventa Wahid. Un cambio di nome – denunciano i familiari di Jamie – seguito da un intenso “lavaggio del cervello” per educare il bimbo alla guerra santa e al martirio. In questa strana love story irrompe, però, la polizia che arresta l’algerino, i complici e anche Jamie. L’americana sarà rilasciata dopo un paio di giorni, anche se rimane sotto osservazione. Chi indaga non esclude che possa essere stata in contatto – via internet – con Colleen LaRose.
La ribelle Se Jamie e Colleen sono state fermate in tempo, ciò non è avvenuto per Muriel Degauque.


Tratti gentili e carattere ribelle, Muriel nasce in un sobborgo di Charleroi, in Belgio. La sua famiglia la manda in una buona scuola cattolica, cerca di farla crescere con sani principi ma lei è irrequieta. Se ne va di casa dopo la morte del fratello. Prima sposa un turco, divorzia due anni dopo e si lega ad un algerino che la introduce all’Islam. Da questo passo ad un altro ancora più duro. Si invaghisce di giovane marocchino, Issam Goris, e diventa una integralista convinta. Il suo cammino ha una conclusione drammatica. Muriel, 38 anni, si fa saltare per aria ad un posto di blocco americano a Baquba, Iraq. È il 9 novembre 2005. Al suo fianco c’è Goris, il suo ragazzo. I soldati lo uccidono prima che possa attivare la cintura esplosiva. Fine di un amore, fine di una storia di terrore. (http://www.leiweb.it/ )

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SOSPESA LA CONDANNA A MORTE (LAPIDAZIONE) PER SAKINE MOHAMMADI ASHTIANI

L’esecuzione della donna di 43 anni, condannata a lapidazione per adulterio, è stata sospesa. Il governo di Teheran ha così dato ascolto alle sempre più crescenti pressioni della Comunità Internazionale al per la sospensione della pena. Ma ancora non è chiaro se questa sospensione sarà definitiva.

Sakine Mohammadí Ashtiani, la donna condannata a morte per adulterio, per il momento non sarà giustiziata. È di questa mattina la notizia della sospensione della lapidazione alla quale la donna, 43 anni e madre di due figli, era stata condannata in seguito al presunto rapporto sessuale avuto con l’assassino di suo marito. Ancora non è chiaro però se la sentenza sia stata definitivamente sospesa o solamente rinviata. Questa sospensione arriva dopo le forti pressioni internazionali alle quali è stato sottoposto il regime di Teheran, scaturite dopo la denuncia della Campagna Internazionale per i Diritti Umani in Iran che ha definito la sentenza “inumana”.


DA FRUSTATA A LAPIDATA – La donna avrebbe dovuto essere prima interrata fino al petto e poi colpita da pietre non tanto grandi da poterla uccidere sul colpo, ma nemmeno tanto piccole da non causarle danni. Questo quanto prevede il codice penale iraniano in caso di adulterio femminile. Questo abominevole trattamento è entrato in vigore dopo la rivoluzione islamica del 1979 che trasformò il paese da monarchia a repubblica, In principio la donna era stata condannata a 99 frustate per relazione illecita, ma il caso fu riaperto in un altro tribunale che considerò la relazione già iniziata prima che il marito della condannata morisse, quindi cambio l’accusa in adulterio, pena per la quale è appunto prevista la morte per lapidazione. L’avvocato della donna ha dichiarato che la sua assistita non parla bene il persiano, ma solamente un dialetto azero, e per questo in principio non aveva compreso bene le accuse per le quali si era dichiarata colpevole. Subito dopo la sentenza di condanna a morte, la donna ha ritrattato la sua confessione e chiesto la clemenza. (Fonte: http://www.www.lavocedineda.iobloggo.com , 9/7)
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venerdì 2 luglio 2010

"SE LA DONNA HA UN CARATTERE FORTE, I MALTRATTAMENTI DI LUI NON SONO REATO"


"Mille e Una Donna", TUTTE le donne !!!

La sesta Sezione penale ha sottolineato che "la condizione psicologica della moglie, per nulla intimorita dal comportamento del marito, era solo quella di una persona scossa, esasperata, molto carica emotivamente". Secondo i giudici "nelle motivazioni d'appello non c'è alcuna indicazione che deponga per la sussistenza di una volontà sopraffattrice" del marito.

La moglie ha un carattere forte e non si lascia intimorire da minacce e percosse? Non sussiste il reato di maltrattamenti contestato al marito violento. Lo si evince da una sentenza con cui la Cassazione ha annullato senza rinvio "perchè il fatto non sussiste" la condanna a 8 mesi di reclusione (condizionalmente sospesa) inflitta ad un uomo dalla Corte d'appello di Milano per maltrattamenti in famiglia. La Suprema Corte (sesta sezione penale, sentenza n.25138) ha ritenuto fondato il ricorso con cui l'imputato rilevava che gli stessi giudici del merito avessero sottolineato il "carattere forte" della moglie, per nulla "intimorita" dalla sua condotta. L'uomo, quindi, lamentava il fatto che la Corte d'appello avesse scambiato per "sopraffazione" un mero "clima di tensione tra coniugi". Gli 'ermellini', ricordando che "perchè sussista il reato di maltrattamenti in famiglia occorre che sia accertata una condotta (consistente in aggressioni fisiche o vessazioni o manifestazioni di disprezzo) abitualmente lesiva della integrità fisica e del patrimonio morale della persona offesa che, a causa di ciò, versa in una condizione di sofferenza", hanno annullato la condanna dell'imputato osservando che "i fatti incriminati sono solo genericamente richiamati nella sentenza impugnata" e "appaiono risolversi in alcuni limitati episodi di ingiurie, minacce e percosse nell'arco di circa 3 anni", che "non rendono di per sè integrato il connotato di abitualità della condotta di sopraffazione richiesta per l'integrazione della fattispecie in esame"; tanto più che, si legge nella sentenza, "la condizione psicologica" della donna"per nulla intimorita dal comportamento del marito, era solo quella di una persona 'scossa....esasperata...molto carica emotivamente". Dunque, conclude la Cassazione, "non risulta offerta dai giudici di merito alcuna indicazione che deponga per la sussistenza, in capo all'imputato, di una volontàsopraffattrice idonea" per integrare il reato contestato. Comportamenti di maltrattamento sporadico per i quali, fa inoltre presente piazza Cavour, la moglie aveva anche rinunciato alla querela (sarebbe interessante capire il perchè, visto la donna ha un carattere talmente forte, da essere giudicata "idonea ai maltrattamenti" !). (Fonte: http://www.rainews24.rai.it/ )
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SOGNI DELLA MODELLA ARABO-ISRAELIANA

A FIL DI RETE / IL DOCUMENTARIO DELLA REGISTA IBTISAM SALH MARA'ANA

Il dramma della bellezza nel nome di uno strano impasto di conflitti religiosi, etnici e politici.

Tutta colpa di un costume da bagno, tutta colpa di un bikini. Quella che poteva essere una brillante carriera da indossatrice o da fotomodella finisce quasi in tragedia, con un processo tribale che spegne brutalmente i sogni di una ragazza, nel nome dell’ortodossia, nel nome soprattutto dell’intolleranza. Il filmato che ha inaugurato l’appuntamento di Doc 3 (documentari scelti da Lorenzo Hendel con la consulenza di Luca Franco) era Lady Kul El Arab della regista Ibtisam Salh Mara' ana una delle poche documentariste donne arabo-israeliane (Raitre, mercoledì, ore 23.30). Protagonista della storia è Duah Fares, una ragazza arabo- israeliana drusa che intraprende la carriera di modella e sogna di partecipare a Miss Mondo.
Ha due opzioni: partecipare a «La regina degli arabi», un concorso di bellezza all’insegna della bacchettoneria più efferata, oppure a Miss Israele, la cui vincitrice può accedere alle selezioni per Miss Universo e a una vera carriera internazionale. Nel dubbio adolescenziale, sceglie entrambi i concorsi. Il documentario racconta il dramma della bellezza, l’ingiusto dilemma cui viene sottoposta una ragazza, per altro molto affascinante, nel nome di uno strano impasto di conflitti religiosi, etnici e politici. Sta di fatto che alla fine Duah deve abbandonare il concorso israeliano per evitare conseguenze spiacevoli per tutta la sua famiglia. Quello che il documentario non dice è che l’intolleranza approfitta di tutto, anche di un concorso di bellezza, per rafforzare la proprio egemonia. La regista Ibtisam Salh Mara'ana si comporta un po’ come il turco-napoletano di Totò: approfitta della libertà e della democrazia che Israele le concede per raccontare una storia in cui, sottotraccia, lo Stato d’Israele fa la parte di chi introduce i valori della cultura globalizzata, dell’Occidente. Intanto i Drusi, nel nome della loro religione, possono minacciare di morte una ragazza per un bikini. (Fonte: Corriere della Sera ) Leggi tutto ...