lunedì 31 maggio 2010

LE BOTTE DELLE SAUDITE AI POLIZIOTTI ANTI VIZIO

ARABIA SAUDITA: LE DONNE MENANO GLI OPPRESSORI.


Donne saudite, come piacciono ai Commissari per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio.

Se qualcuno facesse un sondaggio tra i sauditi chiedendo «chi odiate di più» è probabile che a vincerlo, almeno nelle città, sarebbe la polizia religiosa. Ovvero la Commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio, nota come haia, commissione, o mutawwain, volontari, anche se molti suoi accoliti tali non sono. Un piccolo esercito di fanatici wahabiti in lotta continua contro promiscuità, omossessuali o veli inadeguati, mal sopportati soprattutto dalle donne. Che sempre più spesso, però, reagiscono: gli ultimi due episodi sono un segnale evidente. Nella città di Mubarraz, una coppia di ventenni è stata avvicinata in un luna park da un mutawwa. Che ha loro chiesto i documenti, sospettando che non fossero sposati o parenti. Normale routine in Arabia: nei pochi luoghi pubblici si vedono spesso controlli, o fughe di coppie clandestine all’avvicinarsi delle pattuglie anti vizio, gli uomini barbuti e in sandali, le donne tutte in nero, guanti compresi. Ma questa volta, scrive il quotidiano Okaz, è stato diverso. Il ragazzo, terrorizzato, è svenuto. L’amica ha preso a pugni e calci il guardiano, spedendolo in ospedale. Okaz non fornisce altri dettagli ma precisa che l’arrabbiatissima saudita rischia grosso: anni di carcere e varie frustate per aggressione a pubblico ufficiale. Nel centro del Paese, più puritano, una «sorella» si è spinta oltre: quando un’auto di mutawwain si è avvicinata a lei e al suo compagno, la donna ha estratto una pistola e ha sparato. In aria. «L’ha fatto per permettere all’uomo» ( per permettergli cosa?), ha spiegato Sheikh Al Nabet, portavoce del haia, senza dire che fine avesse fatto la signora.
«La gente non ne può più di questi fanatici che ora pagano il prezzo per averci umiliato per anni», commenta una nota femminista, Wajiha Huwaidar. «Questo è solo l’inizio, ci sarà più resistenza». In realtà l’ostilità al haia è diffusa, anche per i delitti da questa compiuti. Il più grave, nel 2002, fu la morte di 14 ragazze nell’incendio di una scuola alla Mecca: i mutawwain avevano loro impedito di uscire dall’edificio perché «non coperte adeguatamente». Dal 2006, per volere del Re, i poteri della polizia religiosa sono stati limitati, i capi più oltranzisti rimossi. Ma come sempre in Arabia il problema è soprattutto sociale: molti sauditi difendono la tradizione. E non sorprenda l’appello rivolto da 1.600 donne al re a favore del «divieto di promiscuità tra sessi». La haia, così, continua ad agire: due giorni fa ha annunciato l’arresto di dieci ragazze «emo» (post punk) a Dammam: vestite di nero come ogni saudita ma con frange sugli occhi, make-up scuri e pantaloni. Assolutamente haram, proibitissimi. (Fonte: Informazione Corretta , 24/5) Leggi tutto ...

AL JAZEERA, GIORNALISTE IN RIVOLTA: "CI VESTIAMO COME VOGLIAMO"


Quando vanno in onda, molte presentatrici di Al Jazeera indossano una giacca sopra un top non scollato. Se portano una camicetta non la sbottonano troppo. Solo qualcuna porta l’hijab, il foulard sui capelli. Altre osano un po' di più, indossando maglie leggermente aderenti. Finora, entro questi limiti, era una loro scelta, non imposta dall’alto. Ma negli ultimi mesi qualcosa è cambiato, almeno a giudicare dalla protesta di alcune delle donne più in vista della tv in lingua araba con sede in Qatar.
Secondo il quotidiano saudita-libanese Al Hayat, con sede a Londra, otto annunciatrici di Al Jazeera hanno presentato a gennaio una lettera di protesta contro le «molestie verbali» del vicedirettore Ayman Jaballah, lamentando «continui commenti offensivi sul modo di vestirsi e di presentarsi davanti alle telecamere». Una di loro, l’algerina Khadija Bin Qunna, indossa l’hijab. Ieri è arrivata la notizia che 5 delle 8 giornaliste si sono dimesse: Jumana Nammour, 39 anni (foto), Lina Zaharddin, 34 anni, Gilnar Mussa, 40 anni, libanesi, la siriana Luna Shebel, 35 anni, e la tunisina Nawfar Afli.
I quotidiani arabi spiegano le dimissioni come una reazione alla decisione di Al Jazeera di emanare un codice di abbigliamento per i presentatori, femmine e maschi. L’emittente tace, fa sapere che divulgherà un comunicato. Dopo le lamentele delle giornaliste, il direttore generale della rete Wadhah Khanfar ha costituito una commissione, che ha respinto le accuse: «È compito dell'emittente definire l'aspetto degli annunciatori e dei giornalisti in video, perché fa parte della linea editoriale e del messaggio trasmesso ai telespettatori». Ha inoltre suggerito alla direzione di emanare un codice di abbigliamento che includa azioni punitive e ha nominato proprio Jaballah come responsabile di assicurare che le regole siano applicate. Una fonte interna ha confermato l’intenzione di imporre un codice, precisando che «non è stato chiesto alle presentatrici di indossare il velo».
Una delle giornaliste avrebbe detto in forma anonima al giornale saudita Al Iqtesadia che il conflitto va al di là dell’abbigliamento: «La nostra protesta è il risultato di 5-6 anni di comportamenti irrispettosi della professionalità delle donne. Siamo considerate da tutti caste e rispettose della decenza. Siamo state oggetto di osservazioni pesanti, offensive e immorali. Chi ci chiede di rispettare un modello di comportamento più consono all'immagine dell’emittente ci faceva osservazioni spinte sulla scollatura».
Alcuni giornali arabi affermano che all’interno di Al Jazeera sta prendendo il sopravvento una linea più conservatrice. La rete segue da sempre le vicende dei partiti islamici nella regione, infastidendo Washington ma anche i regimi arabi: questa tendenza si starebbe rafforzando e alcuni corrispondenti come il direttore dell'ufficio del Cairo, Hussein Abdel Ghani, si sono dimessi in polemica. (Fonte: Corriere della Sera )
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QUALCHE NOTIZIA SULLA GIORDANIA

Per chi sa l'arabo... . Io no, ma il succo è che il matrimonio di una bambina non sarà più autorizzato da un solo giudice, ma dall'associazione dei giudici... . http://www.alarabiya.net/articles/2010/05/17/108823.html

Giordania: padre stupratore compie taglio cesareo sulla figlia ...

In compenso nel Parlamento giordano sono state aumentate le quote rosa, invista delle elezioni legislative previste per la fine dell'anno.
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venerdì 28 maggio 2010

AYAAN HIRSI ALI: "IO, NOMADE PER DIFENDERE LE DONNE"

BRANO DEL PROLOGO DEL LIBRO APPENA USCITO DI AYAAN HIRSI ALI (ED. RIZZOLI)

«Ho abbandonato l' Islam perché ci maltratta, ho vagato senza mai trovare radici» A 22 anni mio padre mi impose di sposare un nostro parente. Sono fuggita Ho molti parenti in Occidente, ma hanno la testa e il cuore in Africa.

A ventidueanni, mio padre mi ordinò di sposare un nostro parente - per me un completo sconociuto - che viveva a Toronto. Nel viaggio dal Kenya al Canada avrei dovuto fare una sosta in Germania per ritirare il visto canadese per poi proseguire il viaggio. Una specie d'istinto disperato però mi spinse a sottrarmi all'imposizione paterna: presi un treno diretto in Olanda. Tra tutti viaggi che avevo fatto fino ad allora compiuto nella mia vita, questo era quello più difficile: il cuore mi batteva all'impazzata per il timore delle conseguenze del mio gesto, e per la reazione di mio padre e del clan quando avrebbero scoperto che ero fuggita.

Sono stata nomade per tutta la vita e ho vagato senza radici. Sono stata costretta a fuggire da ogni luogo in cui mi sono fermata. Ho gettato da parte ogni certezza che mi è stata trasmessa. Sono nata a Mogadiscio, in Somalia, nel 1969. Mio padre venne imprigionato quando ero piccolissima per il suo ruolo nell' opposizione politica alla brutale dittatura; poi fuggì di prigione e andò in esilio. Lo rividi all' età di otto anni, quando mia madre portò i miei fratelli e me in Arabia Saudita per vivere con lui. L' anno successivo fummo espulsi da questo Paese e ci spostammo in Etiopia, dove si trovava il quartier generale del gruppo di opposizione a cui apparteneva mio padre. Dopo circa diciotto mesi ci trasferimmo di nuovo, questa volta in Kenya. Ciascun cambiamento mi catapultò impreparata in Paesi con lingue totalmente diverse e mentalità del tutto differenti dalla mia; ogni volta facevo tristi, spesso vani e infantili tentativi per adattarmi. L' unica costante della mia vita è stato il tenace attaccamento di mia madre all' Islam. Mio padre abbandonò il Kenya e noi, la sua famiglia, quando avevo undici anni. Non lo vidi più fino a quando ne ebbi ventuno. Durante la sua assenza, sotto l' influenza di un insegnante, ero diventata una musulmana fervente e devota. Tornai per otto mesi in Somalia, dove assistetti allo scoppio della guerra civile, e al caos e alle barbarie del grande esodo del 1991, quando metà del Paese dovette rifugiarsi altrove e 350.000 persone persero la vita. A ventidue anni, mio padre mi ordinò di sposare un nostro parente - per me un completo sconosciuto - che viveva a Toronto. Nel viaggio dal Kenya al Canada avrei dovuto fare una sosta in Germania per ritirare il visto canadese per poi proseguire. Una specie di istinto disperato però mi spinse a sottrarmi all' imposizione paterna: presi un treno diretto in Olanda. Tra tutti i viaggi che avevo fino ad allora compiuto nella mia vita, questo fu il più difficile: il cuore mi batteva all' impazzata per il timore delle conseguenze del mio gesto, e per la reazione di mio padre e del clan quando avessero scoperto che ero fuggita. In Olanda scoprii la gentilezza degli estranei: non ero nessuno per queste persone, e tuttavia mi nutrirono e mi trovarono una sistemazione, mi insegnarono la loro lingua e mi permisero di studiare tutto ciò che volevo. L' Olanda era diversa da qualsiasi altro Paese in cui avessi mai vissuto: era pacifica, stabile, prospera, tollerante, generosa, profondamente buona. Mentre approfondivo l' olandese, cominciai a prefiggermi un obiettivo molto ambizioso: avrei studiato scienze politiche per scoprire perché questa società, sebbene atea, funzionava, mentre quelle in cui avevo fino a quel momento vissuto, per quanto dichiaratamente musulmane, erano marce di corruzione, violenza e soprusi. Per molto tempo esitai fra i chiari ideali dell' Illuminismo che apprendevo all' università e la sottomissione ai dettami ugualmente chiari di Allah, a cui temevo di disobbedire. Lavorando nei servizi sociali come traduttrice dall' olandese al somalo per mantenermi all' università, incontrai molti musulmani in difficoltà, nelle case-famiglia per donne maltrattate, nelle prigioni o nelle scuole speciali, ma non colsi mai il nesso, anzi evitavo di coglierlo, tra la loro fede nell' Islam e la povertà; tra la loro religione e l' oppressione delle donne e la mancanza di scelte individuali. Per ironia, fu Osama bin Laden a togliermi i paraocchi. Dopo l' 11 settembre trovai impossibile ignorare le sue affermazioni secondo cui lo sterminio di vite innocenti (se infedeli) è coerente con il Corano. Cercai conferma in questo libro, e scoprii che era così. Per me ciò significò che non potevo più essere musulmana e, anzi, mi resi conto che non lo ero più da tempo. Poiché trattavo questi argomenti pubblicamente, cominciai a ricevere minacce di morte. Mi fu anche chiesto di presentarmi alle elezioni per il parlamento olandese come membro del Partito liberale. Diventai deputata ed essendo giovane, nera e donna - e spesso accompagnata da una guardia del corpo - ero molto visibile. Io però godevo di protezione costante, mentre i miei amici e colleghi no. Decisi di girare un documentario che denunciava l' oppressione delle donne islamiche con il regista Theo van Gogh, nome che aveva ereditato dal nonno, fratello di Vincent van Gogh. Lo stesso anno Theo venne assassinato da un fanatico musulmano, un ventiseienne marocchino immigrato ad Amsterdam insieme ai genitori. Scrissi un romanzo autobiografico, Infedele, in cui raccontai le mie esperienze e quanto mi sentissi fortunata per essere sfuggita da luoghi in cui le persone sono riunite in tribù e le questioni degli uomini sono guidate dai dettami e dalle tradizioni della fede; e quanto fossi felice di vivere in un posto in cui gli appartenenti a entrambi i sessi sono considerati cittadini alla pari. Ho riportato gli eventi casuali che avevano reso così vagabonda la mia infanzia, il carattere volubile di mia madre, l' assenza di mio padre, i capricci dei dittatori, come affrontavamo le malattie, le carestie e le guerre. Ho descritto il mio arrivo in Olanda e le mie prime impressioni su un Paese in cui gli abitanti non sono sudditi di tiranni né governati dalle regole dei legami di parentela del clan, ma sono cittadini del governo da loro eletto (...). Quando scrivevo Infedele, immaginavo che i miei viaggi fossero finiti. Credevo che sarei rimasta per sempre in Olanda: avevo messo radici nel suo ricco suolo e non avrei mai voluto essere costretta a estirparmi nuovamente. Ma mi sbagliavo. Mi trasferii infatti in America, come molti prima di me, in cerca di un' occasione per costruirmi una vita e trovare sostentamento in libertà e sicurezza, una vita lontana un oceano da tutte le guerre a cui avevo assistito e dal conflitto interno che avevo sostenuto. Questo libro, Nomade, spiega i motivi. Lettori di Infedele di tutto il mondo mi hanno offerto appoggio e incoraggiamento, ma mi hanno anche posto un gran numero di questioni non affrontate nel libro. Mi chiedevano del resto della mia famiglia, delle esperienze di altre donne musulmane. Più di una volta mi è stata rivolta la stessa domanda: «Quanto la tua esperienza è comune ad altre donne? Ti senti in qualche modo rappresentativa?». Quindi Nomade non tratta soltanto della mia vita vagabonda nei Paesi occidentali, parla anche dell' esperienza di molti altri immigrati, delle difficoltà ideologiche e molto concrete di individui, soprattutto donne, che vivono in una cultura musulmana tradizionale molto rigida, immersa in un' altra estremamente aperta; di come gli ideali islamici siano incompatibili con quelli occidentali, dello scontro di civiltà che io e milioni di altri abbiamo provato e continuiamo a provare sulla nostra pelle. Quando mi trasferii negli Stati Uniti, e per l' ennesima volta cominciai il processo di inserimento in un Paese sconosciuto, venni assalita da un nuovo e intenso tipo di nostalgia dovuto alla morte di mio padre, a Londra. Ristabilendo i legami con i membri della mia famiglia allargata - i cugini e la mia sorellastra - che vivono negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e altrove, li trovai in situazioni tragicamente precarie: una ha contratto l' aids, un' altra è stata accusata di aver accoltellato il marito, e un terzo invia in Somalia tutto il denaro che guadagna per mantenere il clan. Sostengono, nessuno escluso, di rispettare i valori del nostro gruppo tribale e di Allah. Hanno la residenza e la cittadinanza dei Paesi occidentali in cui abitano, ma il loro cuore e la loro mente sono altrove; sognano un' epoca che in Somalia non è mai esistita: un' epoca di pace, amore, armonia. Metteranno mai radici dove si trovano? Sembra improbabile. La scoperta dei loro guai è uno degli argomenti di Nomade. Forse penserete: e con ciò? Ogni cultura non ha le sue famiglie sconclusionate? Anzi, per l' industria cinematografica hollywoodiana le famiglie disastrate ebree e cristiane sono fonte di gran divertimento, ma ritengo che quelle musulmane costituiscano una vera minaccia per il tessuto stesso della vita occidentale. La famiglia è il crogiolo dei valori umani. È in famiglia che i bambini imparano a praticare e a perpetuare le tradizioni culturali dei genitori; è in famiglia che viene stabilita una serie di convinzioni da osservare, trasmesse poi alle future generazioni: è quindi della massima importanza comprendere le dinamiche della famiglia musulmana, perché detiene la chiave, fra l' altro, della sensibilità al radicalismo islamico di tanti giovani. È soprattutto tramite le famiglie che le teorie cospirative viaggiano dalle moschee e dalle madrasse dell' Arabia Saudita e dell' Egitto fino ai salotti olandesi, francesi e americani.
Il volume in libreria dal 19 maggio (Rizzoli, pp. 350, 18). Nell' «Epilogo» la scrittrice, rifacendosi al libro di Oriana Fallaci, si rivolge a una figlia che per ora non ha ma che spera di avere in futuro, ripercorrendo il modo diverso in cui la nonna e la madre hanno affrontato la maternità. A lei Ayaan Hirsi Ali promette di insegnare la possibilità di scegliere che le sue antenate non hanno avuto.

A proposito, questo è solo l'ultimo degli esempi ormai noti anche in Italia: Corridonia, ragazza pakistana rifiuta matrimonio combinato http://www.maceratanotizie.it/index.php?option=com_content&task=view&id=2470 . Leggi tutto ...

martedì 25 maggio 2010

PER SORRIDERE UN PO'...

Inter - Bayern, egiziano fugge di casa perchè la moglie non gli fa vedere la partita. L'uomo,supertifoso nerazzurro, è stato rintracciato dalla polizia in casa di amici a Sesto San Giovanni. La sua consorte gli aveva imposto di andare a festeggiare un compleanno proprio la sera della finale.

E' scappato di casa per poter vedere con gli amici (e senza la moglie) la finale di Champions League. Ahmed A., 30 anni, egiziano, operaio e supertifoso interista, l'ha spiegato ai poliziotti che l'hanno rintracciato in un appartamento di Sesto San Giovanni, nel Milanese, dopo che la consorte, preoccupata per l'assenza del marito, svanito nel nulla da oltre 48 ore, aveva presentato denuncia per scomparsa. Ahmed A. è incappato in uno dei controlli degli agenti coordinati dal dirigente del commissariato di Sesto, Paola Marsiani. Era in una casa con alcuni amici e connazionali e subito ha spiegato di aver chiesto loro una sorta di asilo calcistico per evitare la moglie, anche lei egiziana, che in occasione di ogni partita dell'Inter trovava sempre un motivo per impedirgli di stare davanti alla tivù. Ahmed A. ha detto anche di aver deciso di fuggire quando la moglie ha iniziato a insistere per recarsi insieme, proprio sabato sera, a casa di amici per una festa di compleanno. Ora la donna è stata avvisata dai poliziotti e sa che il marito sta bene e che si è allontanato per motivi calcistici e non, come sospettava, per una amante. (Fonte: http://www.milano.repubblica.it , 21/5) Leggi tutto ...

RIPUDIATA DAL FRATELLO LA TUNISINA CON LE LABBRA CUCITE

BOLOGNA. LA DONNA FUGGITA DOPO AVER AVUTO UN FIGLIO SENZA ESSERE SPOSATA. IN ITALIA 8 MESI DI CARCERE INGIUSTO

No alle cure Rifiuta ancora l' intervento dei sanitari: «Se torno nel mio Paese mi uccidono».

BOLOGNA - Ripudiata dal cognato e dal fratello per aver avuto in Tunisia una storia d' amore senza essere sposata, «e se torno mi uccidono, ci hanno già provato». Fuggita in Libia per dare alla luce il frutto di quella storia: un bambino, «mio figlio», che ora ha 8 anni e vive dalle parti di Tripoli. Il viaggio in gommone verso l' Italia. La clandestinità. Lavori umili. Quindi la galera: 8 mesi di cella per una storia di droga, salvo poi essere completamente assolta. C' è questo, e forse molto di più, dietro le labbra cucite di Najova, tunisina di 34 anni, che due giorni fa, dopo aver appreso che la sua richiesta di asilo politico era stata respinta, ha preso ago e filo e, forse perché ormai abituata a dolori ben più grandi, si è fatta sarta di se stessa: quattro punti da un labbro all' altro, buchi grossi e sanguinanti, solo una fessura per poter bere e pronunciare qualche parola, ma non mangiare. Una mascherina copre la bocca deturpata di Najova, le parole arrivano attutite, smozzicate. Ma quello che ieri ha detto alla garante dei diritti, l' avvocato Desi Bruno, che l' ha incontrata nei locali del Centro di identificazione ed espulsione di Bologna (Cie), lo si è capito benissimo: «In Tunisia ci torno soltanto da morta!». Ci sono tante vite nella vita di Najova. La prima è stata quella dell' amore, quando ha conosciuto un giovane uomo in Tunisia: si sono frequentati, anche troppo agli occhi della sua famiglia di islamici integralisti. Il fratello e il cognato (un tipo per niente raccomandabile: condannato per l' omicidio di un altro parente) hanno cominciato a minacciarla: «Mi aspettavano a casa con il coltello, me lo agitavano davanti alla faccia: mi dicevano che quella storia doveva finire e volevano che mi mettessi il velo». Ma anziché il velo, Najova ha messo su il pancione (che brutta frase !!!). Ed è iniziata la sua seconda vita, un film horror. Fuggita con il suo uomo in Libia e inseguita dalle grida dei familiari, che l' hanno ripudiata, la donna ha partorito un bambino e, dopo 2-3 anni, ha deciso di giocare la carta italiana. Senza il figlio, «per risparmiargli il calvario della traversata in mare», è partita con il suo uomo. Ma in Italia si è messa male. La coppia è scoppiata. Lei ha fatto la badante in Veneto e altri lavoretti. Poi un giorno a Rovigo la polizia ha fatto irruzione nella casa che divideva con un altro uomo. Hanno trovato droga. E Najova si è fatta 8 mesi di galera. Senza colpa. «È stata assolta» spiega l' avvocato Roberta Zerbinati. In quanto clandestina, però, è stata portata al Cie per essere espulsa. Ora la donna dalle labbra cucite non vuole essere curata. «Non si fa sfiorare da nessuno - spiega Desi Bruno -: si è resa conto di essere riuscita ad attirare l' attenzione e teme di ripiombare nel grande buio, come lo chiama lei...». «Impugneremo il decreto d' espulsione» aggiunge l' avvocato Zerbinati. Battaglia difficile: «La legge vieta il respingimento di persone che nei loro Paesi rischiano persecuzioni. Non è detto che questa donna debba restare in Italia, ma in Tunisia no...». Se non da morta, come dice Najova. (Fonte: Corriere della Sera , 23/5)

E ancora: Modena: madre la picchia perche' 'troppo occidentale', figlia scappa di casa . Leggi tutto ...

giovedì 20 maggio 2010

"MAI PIU' SANAA". ECCO IL BOLLETTINO DI GUERRA SULLA SHARIA IN ITALIA

Scusate, ho postato un sacco di roba, perchè non ci sono per qualche giorno!

Storie di donne che ricordano la ferocia dei talebani.

Le donne come “l’altro” per antonomasia, da sottomettere in tutto e per tutto per ricostruire dalle fondamenta una società assolutamente conforme alla sharia, la legge islamica che deve essere imposta con ogni mezzo. Anche per quest’anno il telefono verde “Mai più sola” ha raccolto, sette giorni su sette e 24 ore su 24, il grido delle donne musulmane che vivono in Italia e che sono state vittime di violenza legata alla sharia. Un progetto da cui emerge un mattinale di agonia che si perde nella cronaca delle nostre province. Dal 1 novembre 2008 al 31 agosto 2009, le telefonate ricevute dal numero verde hanno raggiunto quota 5.478 (provenienti per la maggior parte dal Nord Italia). Dietro c’è l’idea che il miglioramento della condizione femminile è il punto di partenza e di arrivo per un futuro di reale integrazione dell’islam in Italia. Tra le motivazioni principali delle telefonate ci sono i costumi barbari del ripudio, della poligamia e dell’escissione. Pochi sanno, oppure lo sanno ma lo ignorano, che in Italia, nonostante una legge del gennaio 2006 protegga la donna da simili pratiche, ci sono tra le trenta e le cinquantamila donne che hanno subito la mutilazione genitale. Donne costrette sotto minaccia ad accettare la presenza di una o più mogli sotto lo stesso tetto coniugale, nell’Italia dove la poligamia è reato. Le minacce spesso si concretizzano in un rimpatrio forzato della legittima consorte nel paese d’origine per far posto alla nuova moglie.
Ragazze musulmane picchiate, umiliate, segregate in casa, punite con violenza fisica e psicologica solo per aver desiderato di innamorarsi di un compagno di classe, di indossare jeans aderenti, di andare al cinema, di frequentare amici cristiani, di convertirsi a un’altra fede, di avere un tono troppo aperto nel parlare, di voler studiare, di cercare il divorzio o di non abbassare lo sguardo. Poi c’è il vero e proprio bollettino di guerra. “Di loro rimane solo una ferita nel nostro tempo, nella società sorda in cui hanno vissuto”, dice la deputata Souad Sbai che ha forgiato l’iniziativa con l’Associazione delle Donne Marocchine in Italia. Sono le ragazze morte ammazzate. Ricordano quasi tutte Neda Soltan, la ragazza-icona della rivolta in Iran. Una guerra combattuta a fari spenti dall’islamismo più oscurantista e troppo spesso da noi occultata dietro alla ben più addomesticabile “violenza familiare”. Decine i casi che vale la pena ricordare. Bouchra, 24 anni, uccisa a Verona, a coltellate, dal marito perché si rifiutava di portare il velo e viveva “da occidentale”. Kabira, 28 anni, accoltellata a morte dal marito, esibiva abiti occidentali e “offendeva l’islam”.
Darin Omar, uccisa dal marito perché si era fatta assumere in un call center. Hina Salem, soffocata con un sacchetto di plastica dai suoi familiari, infine decapitata e sepolta con la testa rivolta verso la Mecca perché frequentava un ragazzo italiano e rifiutava il matrimonio forzato impostole. Fatima Saamali, uccisa in una statale presso Aosta, perché poco prima aveva denunciato alla polizia i continui maltrattamenti del marito. Malka, 29 anni, strangolata dal marito per i suoi atteggiamenti “occidentali”. Fatima Ksis, 20 anni, uccisa a coltellate dal fidanzato per averlo disonorato con il suo comportamento “troppo indipendente”. Sobia, avvelenata dai familiari, perché non si dimostrava “sufficientemente sottomessa”. Naima, accoltellata dal marito perché voleva riprendere con sé i figli sequestrati in Marocco. Fouzia, strangolata dal marito sotto gli occhi della figlia di tre anni, il corpo abbandonato in un giardino pubblico, considerata “infedele” perché aveva cominciato a seguire uno stile di vita moderno. Sanaa Dafani, sgozzata dal padre a Pordenone per la scandalosa relazione con un ragazzo italiano.
Queste maschere mortuarie occidentali confutano chi tenta di negare che vi sia una connessione tra i delitti d’onore e l’islam. Conoscere le loro storie potrebbe essere un buon inizio per decostruire il fanatismo che ha spento le loro vite e minaccia le nostre più preziose libertà. Leggiamo stupefatti di come i Talebani armati di pistola ad acqua carica di acido solforico vadano in giro per Kabul a sfregiare il volto delle studentesse. In Italia una ragazza di nome Amal, 26 anni, è stata investita dal marito semplicemente perché voleva andare dal parrucchiere. Se siamo in Afghanistan per combattere l’oscurantismo di chi vorrebbe tornare a riempire gli stadi di donne da lapidare, è anche per queste ragazze musulmane uccise nelle nostre città. E’ la stessa ferocia che fa razzia di ogni diritto e bellezza. (Fonte: http://www.ilfoglio.it/ , 19/10/2009)
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mercoledì 19 maggio 2010

QUANTE SONO LE RAGAZZE MUSULMANE IN ITALIA IN QUESTA SITUAZIONE? QUANTE?!


SI FIDANZA CON UN ITALIANO. PICCHIATA DA PADRE E FRATELLO.


Sotto protezione la ragazza turca e l'amica che l'ha aiutata.

18 anni, fidanzata con un italiano, è stata picchiata per anni dal padre e dal fratello perché "cattiva musulmana". L'ultima minaccia: "Ti tagliamo la testa e la gettiamo nel Po". Il pm contesta ai due l'aggravante dell'odio razziale. Gli inquirenti temono che i due, una volta liberi, possano vendicarsi. La ragazza turca presto sarà trasferita in una località segreta del Sud.
La ragazza turca sottoposta a maltrattamenti in famiglia perché fidanzata con un italiano e quindi cattiva musulmana, è sotto protezione perché si temono vendette. Le minacce subite per anni da parte del padre e del fratello e i continui pestaggi, hanno convinto gli inquirenti ad applicare questa misura preventiva perché ritengono la ragazza a rischio.Sotto protezione anche la ragazza che ha aiutato la ragazza a denunciare le violenze. Gli inquirenti temono che una volta lasciato il carcere, Ahmet Kels, spalleggiato dal figlio Umit, voglia vendicarsi della figlia.

LA VICENDA. «Se continui a frequentare gli italiani e se non lasci il tuo fidanzato che non è musulmano ti tagliamo la testa e la gettiamo nel Po». E dopo questa minaccia, giù botte. Ma dopo due anni di violenze fisiche e minacce su una ragazza di 18 anni, i due turchi, padre e figlio, sono stati arrestati per maltrattementi e lesioni, aggravati dalla discriminazione dell'odio razziale, religioso ed etnico. Ahmet Kels, 40 anni, con il figlio Umit, di 26, da circa due anni maltrattava moglie e la figlia di 18 anni colpevole di avere un fidanzato e amici italiani. Non era quindi rispettosa della religione islamica.La situazione è venuta alla luce il 25 aprile quando la ragazza, picchiata per l'ennesima volta dal padre e dal fratello, è stata costretta a rivolgersi all'ospedale. I pugni e calci stavolta avevano provocato contusioni in varie parti del corpo. I carabinieri hanno cominciato a indagare e, grazie ad alcune testimoninanze, hanno scoperto la dura realtà famigliare in cui la ragazza, impiegata in un'azienda del posto, era costretta a vivere.La Procura della Repubblica ha emesso oggi gli ordini di arresto per i due turchi, ritenuti pericolosi. Il magistrato ha contestato a entrambi alcune aggravanti: aver commesso il reato per finalità di discriminazione e di odio etnico, nazionale, razziale e religioso, «poiché in più occasioni e davanti a testimoni, i due avrebbero minacciato la ragazza del taglio della testa perché frequentava amici italiani e aveva un fidanzato italiano e non era rispettosa della religione musulmana». Padre e figlio sono stati rinchiusi nel carcere di Mantova, mentre la ragazza è stata allontanata dalla famiglia e ospitata in una casa protetta. (Fonte: http://www.gazzettadimantova.geolocal.it/ , 15/5)
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LA NOTTE DI RIMA. UN'ARABA MUSULMANA ELETTA MISS AMERICA

SVOLTE. LA COMUNITA' LIBANESE: "UN FATTO STORICO".

Battuta la bionda anti-immigrati.

La famiglia Rima Fakih ha lasciato il Libano a 4 anni.

Rima Fakih giura d' aver capito d' essere la vincitrice dallo sguardo di Donald Trump, il palazzinaro miliardario, patron del concorso. «Mi ha guardata come quando sta per dire a qualcuno "sei assunto" nel suo show televisivo», ha detto la ragazza dopo l' annuncio. Gli americani d' origine araba sono in festa. Ma non è così scontato. Ventiquattro anni, nata in Libano ma portata da bambina negli Stati Uniti e cresciuta nel Queens, mora da schianto, Rima è stata infatti eletta Miss Usa 2010, diventando probabilmente la prima reginetta musulmana nei quasi 60 anni di storia del concorso. In gara col titolo di Miss Michigan, dove i suoi genitori si erano trasferiti nel 2003, Rima ha trionfato sulle 50 partecipanti al Planet Hollywood di Las Vegas, dopo essere sfilata prima in bikini mozzafiato color oro e arancio, poi in abito da sera con le spalle scoperte e infine aver dato una risposta non scontata alla domanda se le assicurazioni sulla salute debbano coprire anche gli anticoncezionali: «Credo di sì - ha detto - poiché sono costosi e i mezzi per il controllo delle nascite sono una medicina come le altre». La sua vittoria è stata salutata con entusiasmo dalla comunità libanese degli Usa e da alcuni leader delle organizzazioni arabo-americane: «È un fatto storico - ha detto Imad Hamad, direttore dell' American-Arab Anti-Discrimination Committee - questo dimostra la grandezza dell' America, dove ognuno ha una possibilità di farcela». Pur tra le riserve di molti arabo-americani tradizionalisti, il comitato di Hamad ha anche aiutato finanziariamente Fakih, per affrontare le spese legate alla partecipazione al concorso: «L' esempio di Rima può aiutare a contrastare lo stereotipo prevalente sulle donne musulmane. Ci sono volute passione, coraggio e fiducia in se stessi per gareggiare in una competizione del genere». Anche la famiglia della ragazza ha fatto la sua parte. Educata in una scuola cattolica, quindi esposta anche a altre influenze culturali, Rima è stata sostenuta e incoraggiata dal padre, dalla madre e dai fratelli. «Questo mostrerà il lato buono degli arabo-americani», ha detto Rabih Fakih, 37 anni, il fratello maggiore. Nel ballottaggio finale, Rima ha sconfitto Miss Oklahoma Usa, Morgan Elizabeth Woolard. Ed è stato anche un duello ideologico, tra una liberal e una conservatrice. Alla domanda su cosa pensasse della nuova legge dell' Arizona contro gli immigrati clandestini, che autorizza la polizia a controllare i documenti di chiunque sulla base di un semplice sospetto visivo, Woolard si è detta favorevole. (Fonte: Corriere della Sera , 18/5) Leggi tutto ...

IL MAROCCO SULLA STRADA PER ABOLIRE IL VELO INTEGRALE

"E' tempo di abolire il niqab" , su Al Ahdath Al Maghrebiya (quotidiano di importanza pari al "Corriere della Sera") N. 4041 del 13 maggio 2010.

Il niqab ha cominciato a invadere i nostri spazi pubblici e a minacciare la nostra identità marocchina: perciò è tempo di prendere una decisione chiara in proposito prima che sia tardi.
Nel vietare il niqab vi è una violazione nei confronti dell’Islam e dei suoi valori? La risposta è: assolutamente no! Il discorso non riguarda il hijab diffuso nella nostra società, ma quel tessuto nero che copre tutto il corpo, incluso il viso, e che fa diventare la donna un essere sconosciuto, senza identità, di modo che nemmeno sua madre e i suoi figli possano riconoscerla per strada.
Indossare il niqab o il burqa è un chiaro simbolo politico di appartenenza ad un gruppo o a una categoria che ha scopi precisi. Anche se la donna che indossa il niqab non ne è a conoscenza e pensa di stare attuando con coscienza i dettami religiosi.
In tal caso lei rappresenta solo la miccia per accendere il fuoco della discordia tra i musulmani. Il velo integrale non è un simbolo religioso: vi sono milioni di donne musulmane nel mondo, e in Marocco specialmente, che non lo indossano, ma questo non significa che ciò affievolisca la loro fede e i loro doveri religiosi.
Questo indumento che oggi è diventato una moda per gli estremisti, non ha alcun legame con l’identità marocchina o con l’appartenenza alla società marocchina, né ha alcuna relazione con il ngab (indumento tradizionale marocchino composto dal jellaba e da una sottile velo trasparente sulla bocca), portato dalle nostre nonne. Non può essere paragonato nemmeno al hayek (indumento simile al saari indiano indossato anche in alcune regioni del deserto marocchino).
Il velo integrale invece rappresenta un marchio talebano, simbolo di estremismo, fanatismo e appartenenza a gruppi vicini alle matrici terroristiche.
La donna marocchina che lo indossa vivrà nel suo Paese priva di identità perché tutte le amministrazioni pubbliche e le istituzioni necessitano di riconoscere l’identità del cittadino con cui entrano in contatto. La donna dovrebbe dunque abbandonare la propria identità e rinunciare ai propri documenti: soprattutto la carta d’identità che contiene la fotografia a volto scoperto del suo titolare…
La donna dovrà rinunciare alla propria appartenenza sociale
: sarà costretta ad entrare invece in quella società in cui non le relazioni sociali, ma il niqab e il burqa costituiscono l’unico suo legame sociale. Essa dovrà condividere il legame del velo integrale, trasmettendolo alle proprie figlie come valore religioso… Guarderà alle altre donne con occhi superbi dato che esse sono di un livello inferiore al suo.
Nella nostra società sono in aumento le donne che vestono con il burqa e il niqab: di esse la maggior parte subisce una sorte di segregazione da parte del marito. Perciò non dobbiamo dare la colpa solo alla donna, ma sapere che dietro vi è uomo che ha potuto obbligarla e convincerla che il niqab è per lei la rappresentazione del vero Islam e che senza quell’indumento lei perde la sua nobiltà e anche la sua identità religiosa.
La questione del velo integrale non è cosa che riguardi la religione: è politica. E’ simbolo di appartenenza non a una religione definita, ma ad una comunità che ha scopi politici e che sfrutta la religione e la debolezza della gente verso i valori di tale religione. Agisce dunque su diversi fronti contemporaneamente: quello politico, di sicurezza, sociale ed economico, nonché sul fronte internazionale in relazione al processo di globalizzazione delle correnti estremiste che cercano di conquistare fette di potere e di influenza nelle diverse società del mondo.
Il tema ha attirato l’attenzione di diversi Paesi europei, come il Belgio che ha emanato una legge che punisce le donne che indossano il velo integrale e nascondo la propria identità e punisce anche gli uomini che obbligano le donne a portarlo. Nel tempo in cui la Francia sta preparando una legge che va nella stessa direzione, vediamo che la Svizzera e l’Olanda stanno facendo la stessa cosa. Non è cosa inimmaginabile che la tendenza possa estendersi a tutti gli altri Paesi europei in cui vi è una forte presenza musulmana.
La battaglia che deve ingaggiare la nostra società è una battaglia di civiltà le cui armi sono la conoscenza, il libero pensiero e le munizioni sono rappresentate dai valori di un progresso che preservi l’identità marocchina, religiosa, scientifica, sociale, per migliorare la condizione di vita dei cittadini. Ma i colpi a salve che danno luogo alle discordie, non fanno altro che farci tornare molti secoli indietro.
Si tratta di una questione politica che attende un atteggiamento coraggioso.

E ancora Quel panno uccide la bellezza sui volti delle donne , di
ABDEL WAHAB MEDDEB .


Intanto in Francia: PeaceReporter - Francia, l'Assemblea nazionale vota all'unanimità ... .

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lunedì 17 maggio 2010

UNA MUSULMANA CORAGGIOSA E' FAVOREVOLE AL DIVIETO DEL BURQA


«Ho indossato il niqab la prima volta per scappare dal Sudan. Con il volto coperto, nessuno mi ha riconosciuto». Perseguitata dal regime di Omar Bashir perché indossava i pantaloni, Lubna Hussein è riuscita a beffarsi di chi la voleva costringere a vestirsi da «brava musulmana». E ha usato per il suo piano di fuga l’arma del nemico: l’ampio e lungo vestito che si è vista recapitare un giorno nella sua dimora di Khartoum come monito da un islamista. «Ho visto l’abito e mi è venuta l’idea di fare come molte donne cristiane dell’Arabia Saudita e dell’Iran che riescono a entrare illegalmente in Sudan proprio nascondendosi sotto il niqab». Detto, fatto. «Ero terrorizzata, temevo che la polizia mi potesse riconoscere comunque» racconta via Skype dalla sua nuova casa parigina, dove da novembre divide il suo tempo tra la scrittura e l’impegno civile. Un libro già pubblicato («40 coups de fouet pour un pantalon», 40 colpi di frusta per un pantalone) e un altro in uscita sul Corano e i diritti delle donne, è da poco rientrata dal forum internazionale sui diritti umani di Oslo, dove è intervenuta al fianco di noti attivisti come il russo Garry Kasparov e l’ex presidente polacco Lech Walesa.
Fuggita da un Paese che l’ha messa in carcere perché rivendicava il diritto delle donne a vestirsi come vogliono e a scegliere il proprio destino («contro quell’indecenza che è la legge sulla decenza»), si è ritrovata in uno Stato, la Francia, che vuole obbligarle a non coprirsi, vietando il velo integrale nei luoghi pubblici. C’è chi teme che legiferando oggi sul burqa, Parigi possa domani farlo anche sulla barba o, magari, sui pantaloni. Lei no, non ha di questi timori. «Respingo tutte le forme di copertura del viso, sono favorevole al divieto di coprirsi la faccia, ma con qualsiasi indumento, e non soltanto con il burqa o il niqab. E in nome del diritto sacrosanto, che ognuno di noi ha, di guardare in faccia chi gli passa accanto o chi gli sta seduto vicino in metropolitana. Il volto rappresenta l’identità di una persona. Nascondendolo si possono commettere i crimini più nefasti» si accalora Lubna, 36 anni, vedova da cinque (si era appena sposata con un giornalista di 40 anni più vecchio, per sua scelta, dice), dimessasi da addetta stampa della sede sudanese dell’Onu per non godere dell’immunità, attirare l’attenzione del mondo e portare fino in fondo la sua battaglia sui diritti delle donne. Le foto di lei in pantaloni con un foulard sul capo hanno fatto il giro del mondo la scorsa estate. Ora i capelli ondulati sono a vista, sciolti, a volte raccolti sulla nuca. Lubna distingue: «Non è ammissibile invece il divieto di coprirsi la testa: rivendico la libertà individuale di scegliere cosa mettere sul capo — come su qualsiasi altra parte del corpo, a parte il viso —. Sennò oltre che il velo bisognerebbe proibire anche cappelli e cappucci. E poi perché solo alle donne? Sarebbe discriminatorio rispetto agli uomini. Risulterebbe inoltre un divieto assurdo e impossibile da far rispettare. Controllare il modo di vestire delle persone è cosa da stato di polizia».
Il velo (integrale e non, come l’hijab) è proibito nelle scuole francesi dal 2004, in nome della laicità dello Stato. Ora Parigi si appella alla difesa della dignità della donna per il bando totale di burqa e niqab. E a quanti oppongono motivi religiosi, Lubna, di dichiarata fede musulmana, risponde: «Il Corano non prescrive di coprirsi il volto, anzi alla Mecca è obbligatorio scoprirlo». (Fonte: Informazione Corretta , 12/5)

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sabato 15 maggio 2010

DUE COSE IMPORTANTI DALL'IRAN

Sono cose lunghe, ma DEVONO ESSERE LETTE !


UNA FIRMA PER SALVARE KIANA FIROUZ, ATTRICE LESBICA IRANIANA

http://www.giornalettismo.com/archives/62314/firma-salvare-kiana-firouz-attrice/

TEHERAN, LETTERA CHOC DI UNA CONDANNATA: ECCO COME MI UCCIDONO

Lei è Shirin Alam Hooli, 29 anni, impiccata domenica scorsi con altri 5 curdi iraniani.

http://irandemocraticoweb.blogspot.com/2010/05/un-altro-videoclip-per-i-caduti-della.html

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giovedì 13 maggio 2010

GRAN BRETAGNA: PER LA PRIMA VOLTA DUE DONNE MUSULMANE ELETTE IN PARLAMENTO


LONDRA (7 maggio) - Due deputate musulmane siederanno per la prima volta nella Camera dei Comuni. Si tratta di due candidate laburiste, Shabana Mahmood e Yasmin Qureshi. Il parlamento britannico apre dunque le porte a donne di fede musulmana, 13 anni dopo aver fatto lo stesso con gli uomini. Nel 1997 era stato Mohammad Sarwar a fare da apripista, conquistando un seggio a Glasgow Central. Laureata a Oxford e avvocato, Shabana Mahmood è figlia di un leader del partito laburista di Birmingham. La sua candidatura, sostenuta fortemente dai vertici di partito, ha scatenato una dura sfida con la candidata asiatica dei conservatori, Nusrat Ghani. La Mahmood ha commentato così la sua vittoria: «L'immagine delle donne musulmane senza diritto di parola che non possono lasciare le loro case non corrisponde al vero. Il parlamento è per la gente, per tutta la gente, e le minoranze etniche devono rivendicarlo».
«Sono felicissima. Prometto di lavorare molto duramente» sono state, invece, le parole pronunciate da Yasmin Qureshi quando ha saputo di essere stata eletta. 46 anni, originaria del Pakistan, la neodeputata laburista è immigrata in Gran Bretagna quando aveva nove anni. È stata consulente dell'ex sindaco di Londra Ken Livingstone sui diritti umani (ma Ken Livingstone è grande amico di Al-Qaradhawi !!!). La Qureshi lavora come avvocato penalista ed è stata anche impegnata nella sezione legale della missione Onu in Kosovo. Finora, tutti e sei deputati musulmani votati nel Parlamento britannico rappresentano i laburisti. (http://www.ilmessaggero.it/ )

Sayeeda Warsi e' stata invece la prima donna musulmana a sedersi di fronte a un candidato dai conservatori nel 2007, ma come baronessa e non come deputata e l'anno scorso ADEELA SHAFI, UNA MUSULMANA NEL PARTITO DI MARGARET THATCHER .
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mercoledì 12 maggio 2010

PICCOLI PASSI IN ARABIA SAUDITA

foto di re Abdullah e del principe ereditario Sultan Bin Abdul Aziz con un gruppo di donne, in occasione di un seminario sulla sanità svoltosi alcune settimane fa a Najar, nel sud del paese. La foto è stata divulgata in ritardo...

Ahmed Al-Ghamdi, capo della polizia religiosa della Mecca, il quale ha dichiarato che donne uomini possono pregare insieme e incontrarsi liberamente in pubblico.

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domenica 9 maggio 2010

NUMERO VERDE "MAI PIU' SOLA !", CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE IMMIGRATE E NO

800 911 793 Progetto lanciato due anni fa dall'Acmid-donna ONLUS (Associazione delle Comunità delle Donne Marocchine in Italia), e realizzato grazie al contributo della Fondazione Nando Peretti. Si tratta di un centro di ascolto cui le donne possono rivolgersi per denunciare casi di maltrattamenti e ricevere consigli e sostegno psicologico e legale. prevede un percorso completo di assistenza alle vittime di violenza, dal primo soccorso, al sostegno psicologico, alla consulenza legale. Spesso le donne immigrate non sono a conoscenza dei diritti di cui possono godere in Italia. Risponde in quattro lingue: italiano, arabo (compreso il dialetto marocchino), inglese e francese.
Il numero verde si propone proprio questo: informare le donne vittime sulla legge italiana e offrire un servizio di mediazione linguistica con l’assistente legale.
E'inoltre in collegamento diretto con i Centri Antiviolenza e i Centri di Accoglienza di tutto il territorio italiano.
I dati: Oltre cinquemila denunce per violenze e maltrattamenti, nel 34% dei casi per sottrazione del permesso di soggiorno da parte del marito, e nel 32% perché costrette ad accettare la poligamia.
Secondo il bilancio tracciato lo scorso agosto, oltre il 76% di queste sono marocchine, il 61% madri maltrattate, oltre il 73% di età compresa tra i 20 e i 30 anni. Nel 25% dei casi, costrette ad assistere passivamente al rapimento dei loro figli da parte dei mariti. Molte però anche le chiamate di donne italiane, vittime di mariti musulmani (3.500 solo negli ultimi 6 mesi del 2008).

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sabato 8 maggio 2010

AMEL PARLA, MA NON CONVINCE...

In realtà, ho visto ora, qualcuno ha provato anche a sentire il parere della donna tunisina multata a Novara perchè indossava il velo integrale... .

La "sua" (del marito) libertà

"Mi velo per l'islam, ma l'ho scelto io"

Amel, ma alla mamma, su Skype, gliel’ha spiegato che cosa è successo? «No che non gliel’ho detto», dice. E aggiunge: «Non voglio che si preoccupi. E poi che cosa ne capisce, lei a Tunisi, delle multe che si prendono qui a Novara? Io, nel mio Paese, vado vestita come voglio. Qui, invece, non capisco bene come mai se la sono presa proprio con me. Non ho mai dato fastidio a nessuno, io. Esco una volta sola la settimana per andare in moschea. Neanche al supermercato vado, ci pensa mio marito. Mi velo perché lo vuole l’Islam, ma è una scelta tutta mia. Però per strada, il venerdì, ci devo passare per forza. Mi dica, a pregare dovevo andarci in volo?».
Eccola qui la ragazza Amel, 26 anni, «l’araba col burqa» (sbagliato: il suo tecnicamente è un niqab, di quelli neri che avvolgono dalla testa ai piedi, i guanti a coprire le mani e soltanto una feritoia per gli occhi), prima destinataria dell’ordinanza voluta dal sindaco Massimo Giordano che vieta di girare coperte nei luoghi pubblici. A casa sua, nel piccolo appartamento che divide nel quartiere industriale di Sant’Agabio col marito Ben Salah, 36 anni, muratore, attualmente disoccupato, e di fronte a un’altra donna, non ha problemi a mostrarsi in volto. Ed è proprio carina Amel: occhi grandi, belle labbra spesso sorridenti, lineamenti infantili e delicati. I capelli celati da un piccolo foulard nero, un pullover rosso vivo piuttosto civettuolo, gambe coperte, calzini vezzosi. È seduta al computer e si ha la sensazione che sia lì che impieghi quasi tutta la sua giornata: «Parlo con la mamma e con il resto della famiglia, c’è la webcam e ci possiamo vedere negli occhi».
Tutt’intorno, una cucina modesta. Vivande in preparazione, ninnoli, due materassi rivestiti di tessuto distesi sul pavimento, qualche quadretto alle pareti. Il caseggiato dove abita la coppia è punteggiato di padelle satellitari, ma qui di televisione non vi è traccia. L’alloggio si apre, a pianterreno, su un cortile. Dove un anziano vicino, novaresissimo, ci ha indicato di malavoglia dove vivono «quelli là. A multarli han fatto bene. Provi, ma non parlano con nessuno». Aveva torto, per fortuna.
Da quando è arrivata in Italia, due anni fa, Amel si è giocata tutta la vita qui dentro. È lunga la settimana, senza un’amica con cui parlare? «No, la solitudine non mi pesa. Ho la casa a cui pensare. Mio marito». Bambini ancora niente? «No, ma arriveranno quando sarà l’ora». Su Internet, racconta, va a cercarsi i programmi televisivi arabi, ma soprattutto i siti di ricette. «Il mio preferito è italiano, si chiama “giallo zafferano”: soprattutto le torte mi vengono bene». Letture, giornali? «Il Corano, la preghiera alle ore stabilite. Ho anche questo libro di scuola, però», ed è una grammatica italiana con la Torre di Pisa in copertina, dentro tanti segni a matita e molte orecchie. «Ho cominciato a imparare l’italiano in Tunisia, nei due anni di liceo che ho frequentato». Ora lo parla, anche se un po’ stentatamente. Insomma, non le succede di fare molta pratica. Ma ricorre al francese quando deve ricostruire la storia di venerdì, i carabinieri che la fermano, lei che rifiuta di scoprirsi di fronte a uomini che non siano il marito, la vigilessa che l’identifica, l’annuncio dei 500 euro da pagare: «Ma non eravamo vicino alla posta come hanno scritto i giornali, quello non era un luogo pubblico. Camminavo con mio marito lungo la rivière...». Che sarebbe poi il canalone che attraversa Novara.
La guardi e pensi che, globalizzazione o no, rivoluzione digitale o meno, qui si deve sentire un po’ come su Marte. Che cosa pensa, Amel, del Paese che la ospita? Ci sono aspetti che le piacciono, altri che non capisce, multa a parte? Berlusconi? Il Festival di Sanremo? La Lega? Il Grande Fratello? «Non lo so, non so che dirle. Mi pare che tutto vada bene, io non faccio nulla di male, voglio la mia libertà. Mi capisce?» Ben Salah, che fino a questo punto ci aveva lasciate sole, decide che è venuto il momento di dire la sua. Sembra molto giovane anche lui, la barba curatissima, lo sguardo preoccupato. «È un casino, un casino», ripete. «Ho sentito l’avvocato, vedremo che cosa succederà. Non so come li pagherò questi 500 euro. Ma la devono smettere di dire che eravamo in un luogo pubblico». La strada è un luogo pubblico, signor Ben Salah... «Non capisco, non so. Oggi mi è arrivata anche la bolletta del gas. Guardi, sono quasi 300 euro. Ci voleva pure questa». (Fonte: Grotesque, 5/5)
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venerdì 7 maggio 2010

CI RISIAMO...

PICCHIA FIGLI TROPPO "OCCIDENTALI", ARRESTATO MAGHREBINO.

ANDRIA - Non condivideva lo stile di vita 'occidentale' dei suoi figli, da tempo residenti in Italia e per questo li ha picchiati violentemente, quasi ogni giorno, minacciandoli di morte. Vittima delle aggressioni è stata anche la loro madre, che ha avuto la 'colpa' di difendere i figli. Per questo motivo, un 46enne di origine maghrebina, residente ad Andria, è stato arrestato dai carabinieri con l'accusa di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali. La maggiore dei due figli, un ragazzo di 16 anni e una ragazza di 20, ha raccontato ai carabinieri che si era fidanzata con un italiano ma che è stata costretta a interrompere la relazione perché 'non gradita' dal padre. Suo fratello era vittima di continui maltrattamenti, invece, perché portava l'orecchino.
I militari del Nucleo radiomobile sono stati attivati da una richiesta telefonica giunta sul 112. Giunti nei pressi dell'abitazione hanno sentito urla provenienti dall'appartamento e, poiché la porta era già aperta, sono entrati e si sono trovati di fronte ad una devastazione totale, provocata dal danneggiamento di suppellettili e alla rottura di piatti e bicchieri. Il 46/enne poi arrestato in quel momento stava malmenando con schiaffi e calci sua figlia, tenuta ferma per i capelli.
I carabinieri hanno quindi bloccato l'uomo e sottratto la ragazza dalla sua morsa. Alla vista dei militari è entrata nella stanza anche la madre della ragazza che si era rifugiata in camera da letto per paura delle violenze del marito. Ai militari la donna ha riferito che le aggressioni dell'uomo avvenivano quasi ogni giorno, a causa della tendenza dei due figli, residenti in Italia sin da piccoli, ad assumere comportamenti e stili di vita prettamente dei giovani del luogo.
Il ragazzo di 16 anni, per sfuggire all'ira del padre, ieri era scappato di casa, poco prima che arrivassero i carabinieri. Madre e figlia sono state accompagnate al pronto soccorso dell' ospedale dove i sanitari hanno rilevato per entrambe ferite e contusioni guaribili in una settimana. (Fonte: http://www.temporeale.libero.it/ , 6/5)

Islam: Sbai (PDL), Procedere subito contro marito che segrega moglie a Novara Leggi tutto...
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mercoledì 5 maggio 2010

LA FARSA DELL'IRAN NELLA COMMISSIONE ONU PER I DIRITTI DELLE DONNE




Quando impareremo anche noi a rispettare la libertà delle donne come fa la grande repubblica islamica? (una delle ultime è mettere al bando l'abbronzatura e ... questa donna che è stata frustata)
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A NOVARA CON IL BURQA. MULTATA UNA DONNA TUNISINA

IL MARITO: D'ORA IN POI RESTERA' IN CASA

Multata a Novara una tunisina che indossava il burqa: 500 euro. Applicata l' ordinanza del sindaco leghista. La donna andava a pregare e ha dovuto mostrare il volto a una vigilessa. Il marito: rispetto le regole, ma ora non la farò più uscire di casa. (Corsera, 4/5)

Amel Marmouri ha 26 anni... . Il marito, in Italia da dieci, ha detto candidamente al "Corriere" che pensava che, almeno al venerdì, si potesse andare in giro a volto coperto per andare in moschea, unica uscita che concedeva alla moglie. In Tunisia è vietato andare integralmente velate nei luoghi pubblici.

E intanto sappiamo che Il Belgio dice no al velo integrale - Corriere della Sera . Leggi tutto ...

martedì 4 maggio 2010

SANAA, RITO ABBREVIATO IN GIUGNO PER IL PADRE

Il che significa che potrebbe evitare l'ergastolo... .


PORDENONE - El Ketaoui Dafani, il cuoco marocchino che il 15 settembre scorso uccise la figlia Sanaa sarà giudicato con rito abbreviato semplice. Lo ha deciso il Gup del tribunale di Pordenone, Patrizia Botteri dopo circa un'ora di camera di consiglio. La prima udienza del processo è stata fissata al 14 giugno alle 9.00.
Il giudice ha inoltre accolto cinque delle sei richieste di costituzione di parte civile, quelle presentate dal Ministero delle Pari Opportunità, dalla Regione Friuli Venezia Giulia, dalla Provincia di Pordenone, dall'Associazione delle donne musulmane e dal fidanzato della vittima, Massimo De Biasio. Rigettata soltanto quella avanzata dall'Adiconsum. La difesa dell'imputato aveva chiesto in prima istanza di poter accedere al rito abbreviato condizionato all'acquisizione di una perizia psichiatrica di parte, richiesta che non è stata accolta.
Il rito abbreviato, che si svolgerà davanti allo stesso Gup, potrebbe consentire all'uomo, con lo sconto di un terzo della pena, di evitare l'ergastolo. Viene così annullato il rito immediato che era stato fissato dal 27 settembre in Corte d'Assise a Udine. Sanaa venne sgozzata dal padre, 46 anni, che ferì anche il suo fidanzato, Massimo De Biasio (32) che inutilmente cercò di salvarla dalla furia del genitore. Dafani, in carcere a Pordenone, deve rispondere di omicidio volontario aggravato dai vincoli di parentela e di lesioni gravi ai danni del fidanzato di Sanaa. La battaglia legale verterà sul riconoscimento o meno della premeditazione. (Fonte: http://www.ansa.it/ , 3/5)


La rabbia del fidanzato di Sanaa «Ergastolo per il padre omicida» .


Vita.it [Notizie] Sanaa: Carfagna e Sbai parti civili al processo (04/05/2010) . Leggi tutto ...

domenica 2 maggio 2010

PROCEDIAMO: RAGAZZA INGLESE RAPITA DAL PADRE SAUDITA


La ragazza: "Ho detto [alla polizia] che mi stava trattenendo contro la mia volonta' e per tutta risposta mi hanno detto, 'e' tuo padre, se vuole puo' anche ucciderti'."

Invero, la legge tradizionale islamica non prevede punizioni per un padre che uccide i suoi figli. "Non e' soggetto a rappresaglia un padre o una mader (o i loro padri o madri) per l'uccisione di un loro figlio, o di un figlio del figlio." ('Umdat al-Salik o1.1-2).

"Ragazza inglese di 10 anni rapita in Arabia Saudita per 11 anni dal padre", di Sarah Arnold e Boudicca Fox-Leonard per The Mirror, 11 Aprile:

Suzanne lavorava come hostess per Saudi Air quando ha conosciuto Zuhair, un uomo d'affari Saudita.
Si e' convertita all'Islam e l'ha sposato, ma dopo quattro figli e 19 anni assieme il matrimonio e' fallito, e nel 1998 e' cominciata una battaglia legale per la custodia della giovane figlia Hana (foto "prima" e "dopo", ndr), che viveva con il padre.
E due giorni prima dell'udienza e' stata rapita dall'Inghilterra dopo averle detto che sarebbero usciti a comprare delle caramelle.
Dice: "Siamo entrati in macchina, ma invece di fermarsi al negozio siamo andati avanti. Anche se avevo solo 10 anni ho cominciato a sentirmi male, pensando che qualcosa non stava andando per il verso giusto."
"Dopo quasi un ora siamo arrivati all'aeroporto. Papa' ha tirato fuori due valige e quando gli ho chiesto dove stavamo andando mi ha detto 'a casa'."
"Capii istintivamente che intendeva in Arabia. Mi ha sgridata quando ho provato a fare domande ed ero cosi' impaurita che ho cominciato a tremare."
"Gli ho chiesto se avrei rivisto mamma e lui mi ha detto, 'Tua mamma non ti ama piu''. Non potevo nemmeno piangere perche' mi sgridava quando cominciavo.
"Quando siamo arrivati alla capitale saudita la prima cosa che mi ha colpito e' stato il calore e le voci straniere. Non potevo capire nulla. E' stato l'inizio di un incubo."
La madre Suzanne aggiunge: "I rapporti erano molto tesi fra noi, avevo paura di lui, ma non ho mai pensato che avrebbe potuto scappare dal paese e portare via la nostra piccola."
"E' stato solo quando non si e' presentato all'udienza per la custodia che ho capito che l'avevo fatto e che era troppo tardi." [...]
"Mi sentivo distrutta", aggiunge la ragazza. "Era chiaro dal momento in cui sono arrivata che le donne la' erano trattate in maniera molto diversa."
"Quando compii 11 anni mi fu imposto di indossare il velo e non potevo lasciare la casa senza il permesso di papa'. Non avevo amici e non mi era permesso di giocare fuori. Papa' era molto severo - verbalmente offensivo, e mi imponeva di svolgere tutti i lavori domestici. Non voleva nemmeno sentir pronunciare il nome di mamma. Continuava a dirmi che lei non mi amava." [...]
Nel 2002 quando Hana compi' 14 anni era diventata cosi' disperata da andare dalla polizia saudita in cerca di aiuto... ma venne rispedita dal padre.
Dice: "Ho detto loro che venivo trattenuta contro la mia volonta' e per tutta risposta mi hanno detto, 'e' tuo padre, se vuole puo' anche ucciderti'. Quando sono tornata a casa papa' mi ha chiusa in camera, mi ha bloccata a terra e mia ha tagliato i capelli e gli ha dato fuoco. Mi ha lasciata praticamente calva. Mi ha ritirato da scuola e mi sono sentita ancora piu' isolata. Aveva un carattere terribile e avevo molta paura di lui. Mi picchiava se non facevo quello che diceva."
Hana si e' recata tre volte all'Ambasciata Britannica chiedendo aiuto, ma le e' stato detto che, sotto la legge saudita, non c'era nulla da fare... . (Fonte: http://www.italian.faithfreedom.org/ , 18/4)
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