giovedì 31 dicembre 2009

BUON ANNO A TUTTI CON LE "DONNE DELL' ANNO" SECONDO IL SETTIMANALE "IO DONNA"

Diverse le donne arabe o musulmane, tra cui:


- Neda Soltan. E' morta il 20 giugno, alle 18.30, in Kargar Avenue a Teheran, filmata dai telefonini dei compagni di protesta. Ed è diventata il simbolo della rivoluzione verde. I sostenitori di Ahmadinejad hanno rimosso la sua pietra tombale. Ma il pellegrinaggio al suo sepolcro non si ferma, come non si fermano le proteste contro il regime dei mullaah. Uno speciale augurio di successo ai manifestanti e che l'Occidente, America di Obama in testa, li sostenga !!!!!


- Diana Saqeb. Afghana, leader di un movimento femminile, punta di diamante della campagna internazionale contro la legge scandalo di Karzai che condonava lo stupro coniugale agli sciiti. Modificata anche grazie a lei.

- Rama Yade. Nata in Senegal, 32 anni, musulmana, bellissima Segretario di Stato agli Esteri, supera in popolarità Nicolas Sarkozy.

- Taslima Nasreen. Medico, attivista per i diritti umani. Sulla testa dell'intellettuale bengalese insignita dal premio Sakharov pende una taglia di 500 mia rupie per la decapitazione, offerta dai fondamentalisti islamici.

- Elif Shafak. Scrittrice turca, processata in patria (e poi assolta) per aver denunciato il genocidio degli armeni in La bastarda di Istanbul. Con il nuovo libro Le quaranta porte, ha già venduto mezzo milione di copie.


- Roxana Saberi, irano-americana quattro mesi di carcere a Teheran, 15 giorni di sciopero della fame, l'ospedale. La giovane giornalista iraniano-americana, condannata a 8 anni per spionaggio, diventa un caso diplomatico. Finchè con il processo d'appello esce finalmente di prigione. Sempre in Iran è stata detenuta Clotide Reiss, giovane ricercatrice francese che è finita in carcere per aver voluto documentare le proteste post-elettorali. Solita infame e ridicola accusa: spionaggio. Ora aspetta la sentenza chiusa nell'ambasciata francese e il regime la vorrebbe usare come arma di ricatto contro la Francia, come aveva voluto usare Roxana contro gli USA.
- Ghada Abdel Aal. Farmacista egiziana, trentenne, single, affida a un blog la sua roccambolesca ricerca di un uomo da sposare e pubblica un bestseller, Che il velo sia da sposa (Epochè). Per tutti ormai è la Bridget Jones del mondo arabo.

- Aziza Mustafa Zadeh, ha cominciato a cominciato a vincere premi a 17 anni; oggi, a 40, la "principessa del jazz", pianista, cantante e compositrice dell'Azerbaijan da 15 milioni di copie, è uno dei migliori talenti musicali al mondo.

Tra loro anche l'immancabile Rania di Giordania, Lalla Salma del Marocco e, dall'altra parte della barricata Aminatou Haidar.

AUGURI A TUTTI !!! Leggi tutto ...

martedì 29 dicembre 2009

ISLAM, ECCOLI QUA I VERI MUSULANI MODERATI! FINALMENTE NON HANNO PIU' PAURA!

ISLAM, NASCE MUSULMANI IN ITALIA, MANIFESTO CONTRO L' ODIO.

AGGIUNGO QUALCHE N.B. :

1) IL NOME COMPLETO E' "MOVIMENTO MUSULMANI MODERATI ITALIA-EUROPA".

2) GLI ADERENTI, GIA' IN QUESTI PRIMI GIORNI, SONO MUSULMANI E NON CHE VIVONO IN ITALIA, MA ANCHE IN EUROPA, IN OCCIDENTE E NEL MONDO ARABO (SOPRATTUTTO IN MAROCCO)

3) COME ORA AVRETE VISTO, SONO IN COSTRUZIONE ANCHE LE PAGINE CON LA TRADUZIONE IN INGLESE E IN FRANCESE

4) PLURALISMO: APERTURA E CITTADINANZA SENZA INDUGI A COLORO, COME APPUNTO VIENE CHIARITO , "VIVONO NEL RISPETTO E NELLA CONDIVISIONE DEI VALORI COMUNI".

5) NIQAB: SUL SITO C' E' LA CARTA DEI VALORI, DELLA CITTADINANZA E DELL' INTEGRAZIONE. PARTE RIGUARDANTE LA LAICITA' E LA LIBERTA' RELIGIOSA, ART. 26 : "IN ITALIA NON SI PONGONO RESTRIZIONI ALL' ABBIGLIAMENTO DELLA PERSONA, PURCHE' LIBERAMENTE SCELTO, E NON LESIVO DELLA SUA DIGNITA'. NON SONO ACCETTABILI FORME DI VESTIARIO CHE COPRONO IL VOLTO PERCHE' CIO' IMPEDISCE IL RICONOSCIMENTO DELLA PERSONA E LA OSTACOLA NELL' ENTRARE IN RAPPORTO CON GLI ALTRI".


"Combattiamo le tenebre figlie del terrore"

Adesso basta! Siamo tanti, tantissimi.
Il numero dei nostri membri cresce di ora in ora e ricomprende politici, intellettuali e rappresentanti della società civile accorsi anche dagli altri Paesi Europei. Ora siamo pronti a dare battaglia alle tenebre e all'inciviltà. Siamo stanchi di dover sopportare questo attacco di odio e di violenza che non si limita ad esportare il terrore nel mondo ma che causa enormi problemi all'interno delle nostre comunità". E' con queste parole che Gamal Bouchaib e Giergij Bouchaj, in qualità di portavoce, presentano il Movimento dei musulmani moderati e liberali in Italia.
All'indomani del fallito attentato sul volo Amsterdam-Detroit i Musulmani moderati escono alla scoperto e condannano senza alcuna remora "la vile guerra del terrore messa in campo dalle organizzazioni terroristiche di matrice islamica". "Condanniamo con orrore la catena di attentati e di tentati attacchi che ha insanguinato anche i più remoti angoli del nostro pianeta e che ha tracciato una lunga scia di sangue giunta fino a noi - si legge in una nota -. Intendiamo combattere e contrastare l'avanzata di queste tenebre figlie del terrore e del degrado.
Opponiamo con convinzione la comprensione all'omicidio; la conoscenza all'ignoranza; il pensiero positivo al nichilismo intellettuale, umano e spirituale; la costruzione alla distruzione; la dialettica al dogma". "Invitiamo dunque tutti coloro che fossero interessati a visitare il nostro sito http://www.musulmanimoderati.com/
a leggere e sottoscrivere il nostro manifesto", concludono Gamal Bouchaib e Giergij Bouchaj.

Presto nascerà anche un'Associazione di Giovani Marocchini in Italia, anche loro stufi marci di organizzazioni islamiche che istigano all'odio, giustificano il terrorismo contro la sacralità della vita, sono contro la parità della donna con l'uomo vorrebbero ostacolare l'integrazione delle musulmane e dei musulmani che invece amano il nostro Paese e sono la maggioranza. Musulmani che amano e sono portatori di PACE, quella vera!

DA ADESSO I FANATICI ISLAMICI DI CASA NOSTRA, I POVERI DI SPIRITO CHE FANNO TANTA PENA AGLI AUTENTICI MUSULMANI MODERATI, POTRANNO FARE CIO' CHE SANNO FARE MEGLIO: TREMARE !!!! SI CROGIOLINO PURE NEL LORO ODIO E NELLA LORO PAURA, PERCHE' TROVERANNO I MUSULMANI AMANTI DELLA VERITA', DELLA PACE, DELL' AMORE E DELLA LIBERTA' A SBARRARE LORO LA STRADA, QUELLI STESSI MUSULMANI CHE LORO HANNO MINACCIATO E PROVATO AD INTIMORIRE!

Naturalmente parlo anche per il titolare del blog Pacifico NON pacifista , che si è augurato (e l'ha pure ripetuto!) che Souad Sbai non arrivasse a Capodanno!!!!!

INVITO CALOROSISSIMAMENTE QUANTI VISITANO IL MIO BLOG A VISITARE, RIVISITARE, PUBBLICIZZARE E RIPUBBLICIZZARE IL NEONATO SITO DEI MUSULMANI MODERATI IN ITALIA, CHE E' UNA SORTA DI REGALO DI NATALE POSTICIPATO, UNA SPERANZA PER L' ANNO NUOVO E PER IL FUTURO !!!! Leggi tutto ...

I CONIUGI SERGIO E FILOMEN CICALA NELLE MANI DI AL-QAEDA E L' ISLAM APPARENTEMENTE RASSICURANTE DI SUMAYA ABDEL QADER

Il volto di Filomen Kabouree, rapita da Al-Qaeda in Mauritania col marito Sergio Cicala, è oscurato "in ossequio ai precetti islamici"

A questo proposito, a pagg. 2-3 del Corsera di oggi, Sumaya Abdel Qader (foto), che è stata una dei fondatori , Segretario Generale Vice Presidente dei Giovani Musulmani d'Italia (GMI), sezione giovanile dell' UCOII, dice: "E' una provocazione che non ha nessun senso e fondamento dal punto di vista religioso. E' un atto estremo, mi ha colpito molto". Alla domanda su quale sia l'obiettivo di questa provocazione risponde: "Irritare, far arrabbiare questo Occidente, visto come aggressore. ... Ma chi compie questi atti svuota la religione del suo senso profondo". Naturalmente poi dice che "la donna musulmana si copre il capo in segno di fede e devozione a Dio, non di sottomissione all'uomo. E - cosa importante - la sua è una scelta libera e volontaria". Talmente libera e volontaria che la Abdel Qader afferma: "Il Corano prescrive il velo e non la copertura del viso. Non si può accettare l'obbligo di coprirsi completamente il volto con il niqab, ma neppure quello di togliersi il velo". Ah, ecco !!! L'intervista completa: «Cancellare un viso di donna non corrisponde al vero Islam» : http://archiviostorico.corriere.it/2009/dicembre/29/Cancellare_viso_donna_non_corrisponde_co_9_091229049.shtml .

E sempre riguardo Sumaya Abdel Qader e il velo, ringrazio Alberto per http://www.youtube.com/watch?v=oKXWXz6CFe4, http://www.youtube.com/watch?v=gHkmdTOgdBc e
BENVENUTA SUMAYA, su "Otto e Mezzo".

Poi un breve documentario di una puntata della trasmissione "Crash" di un paio di mesi fa sull' ipocrisia di pseudo-moderati islamici e il velo: http://www.youtube.com/watch?v=2TsuQswO7HE . In studio Souad Sbai e Susanna Camusso, segretario confederale della CGIL di Milano, favorevole a una legge che vieti il niqab.

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IRAN/TEHERAN ARRESTATA SORELLA DEL PREMIO NOBEL SHIRIN EBADI

Shirin: autorità vogliono fermare le mie attività.

Roma, 29 dic. (Apcom) - Le autorità iraniane hanno arrestato Noushin Ebadi, sorella del premio Nobel per la Pace ed attivista per i diritti umani Shirin: lo ha dichiarato la stessa Shirin Ebadi al sito internet Raesabz, vicino all'opposizione iraniana. Secondo Ebadi le autorità di Teheran avrebbero inteso in questo modo cercare di fermare le sue attività: "L'hanno arrestata per colpire me: lei non stava facendo nulla di male, non è coinvolta nella lotta per i diritti umani né ha mai partecipato ad alcuna protesta", si legge nel comunicato diffuso dal sito.

E Iran-Francia: per Clotilde Reiss no a scambio prigionieri - Nel ... . Leggi tutto ...

domenica 27 dicembre 2009

DRAMMA DELLA POVERTA': VENDE LA FIGLIA PER 84 EURO, ORA LA RIVUOLE CON SE'

Anjuman Ara Begum, già madre di due bambine, ha subito pressioni e minacce dal marito perché partorisse un maschio. Una coppia del villaggio d’origine, senza figli, ha comprato la terzogenita. Pentita e tra le lacrime, la donna confessa di volersi riprendere la figlia. In Bangladesh continua la pratica di aborti selettivi e omicidi di neonate.


Dhaka (AsiaNews) – “Ho venduto mia figlia, di soli quindici giorni, per 8mila taka” (poco più di 84 euro, ndr). È quanto racconta ad AsiaNews, tra lacrime, Anjuman Ara Begum, una donna musulmana di umili condizioni originaria dell’Upazila di Kaliganj, nel distretto sud-occidentale di Jhenaidah, in Bangladesh. Le condizioni di estrema povertà e le minacce del marito, che non voleva un’altra figlia, sono le ragioni che hanno spinto la donna a vendere la terzogenita. Oggi, attanagliata dal rimorso, la rivorrebbe con sé.
Anjuman Ara Begum è sposata da nove anni con Mohammed Mahabub, un lavoratore a giornata, e ha già due figlie: Tania di sette anni e Marina di cinque. La donna ha subito pressioni e minacce dal marito per non aver concepito un figlio maschio, indispensabile per contribuire – in futuro – al sostentamento della famiglia.
Nei mesi scorsi è rimasta incinta per la terza volta e, durante la gravidanza, ha subito continue pressioni dal marito perché partorisse un bambino. Abbandonato il tetto coniugale, la donna ha lavorato come domestica per mantenere le due figlie e, il 20 novembre scorso, ha dato alla luce la terzogenita.
“Dopo il parto – racconta Anjuman Ara Begum – ero sconvolta: se fossi tornata da mio marito con un’altra bambina, avrebbe ucciso me e la piccola”. I parenti della donna le hanno riferito di una coppia del villaggio d’origine, Nazrul e la moglie, che in 14 anni di matrimonio non hanno avuto figli ed erano disponibili a “comprare la neonata”. “Per questo – ammette tra le lacrime – ho venduto mia figlia per 8mila taka e adesso è ancora con la famiglia Nazrul”. “Ho commesso un peccato gravissimo – confida – ad aver venduto mia figlia. Ma ora la rivoglio indietro. Non posso vivere senza mia figlia”.
Il 30 settembre di ogni anno, in Bangladesh, si celebra “La giornata nazionale delle figlie femmine”. Nonostante gli sforzi culturali ed educativi promossi dal governo e dalle Ong, la pratica dell’aborto selettivo e degli omicidi mirati contro le femmine resta una pratica assai diffusa. (Fonte: AsiaNews, 9/12)

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"LE SULTANE DIMENTICATE" di FATIMA MERNISSI (Ed. Marietti)

Benazir Bhutto, il cui terzo anniversario della morte ricorre in questi giorni (OGGI ! E' stata uccisa il 27 dicembre 2007 in un attentato suicida a Rawalpindi), è stata la prima donna a capo di un paese a maggioranza islamica: premier del Pakistan. Due mandati – dal 1988 al 1990 e dal 1993 al 1996 – che fecero di lei un personaggio miliare nella storia della Umma, la comunità di fedeli musulmani sparsi per il mondo. Benazir Bhutto è stata l’apripista dell’era moderna, eppure non è il primo esempio in assoluto nella millenaria storia dell’islam. Ne è convinta Fatima Mernissi (foto), sociologa e femminista marocchina di Fez tra le più importanti del panorama musulmano e tra le più note in Occidente, dato che i suoi testi li scrive in francese, essendosi laureata in Scienze politiche alla Sorbona di Parigi. La storia “non ufficiale”, scrive l’autrice nel sottotitolo, è piena di “donne capi di Stato nell’islam”. La prima precisazione di Mernissi riguarda due termini spesso confusi: califfo e sultano. Al califfato possono accedere soltanto gli uomini, perché sostituti del profeta Maometto. Al sultanato chiunque, donne comprese. Il califfo incarna il potere spirituale, il suo territorio è la fede. Per contro, il sultano gode del potere terreno, il suo raggio d’azione sono i confini geografici. Per questo – scavando nella storia dell’islam – troviamo donne-sultane ma mai donne-califfe. Scopriamo così dei personaggi quasi dimenticati. “Un’altra regina che porta il titolo di sultana – si legge – è Sagarat al-Durr. La regina d’Egitto prese il potere al Cairo nell’anno 648 dell’egira (1250), come ogni capo militare che si imponga con il proprio senso della strategia, perché aveva fatto riportare ai musulmani, allora in piena crociata, una vittoria di cui i francesi si ricordano molto bene, poiché la regina mise in rotta la loro armata e fece prigioniero il re Luigi IX”. Le donne musulmane con incarichi politici di comando sono molte di più di quelle spesso citate dalla “storia ufficiale”. Figure femminili talmente influenti da dare origine a delle dinastie, come Fatima, la figlia di Maometto, capostipite dei Fatimidi. A loro, eretici in quanto sciiti, si deve la fondazione della città del Cairo. Analizzando nel profondo la storia dell’islam di sultane ce ne sono talmente tante che bisogna restringere il campo, con criteri ben precisi. Mernissi cita il lavoro svolto dalla storica turca Badriyye Usok Un, che come termine di paragone ha preso in considerazione due elementi: sultana era colei che veniva nominata durante la preghiera di mezzogiorno del venerdì e colei che godeva del privilegio della sua effige coniata sulla moneta.

Tante le donne-capi di Stato nell’islam, tanti i modi di classificarle, magari separando quelle arabe dalle turche, persiane, indiane, mongole, indonesiane, malesi, o pachistane, come Benazir Bhutto. Mernissi non manca di sottolineare come la prima donna leader di un paese musulmano moderno non fosse araba bensì pachistana; non parlasse la lingua sacra del Corano, bensì l’urdu. Il lavoro della sociologa marocchina merita di essere letto anche per la prefazione di Biancamaria Scarcia Amoretti, la più grande islamista italiana. Lei individua il valore dell’opera di Mernissi: analizzare il rapporto donna-potere nella politica dei paesi musulmani. (Fonte: http://www.ilfoglio.it/ , 26/12)
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giovedì 24 dicembre 2009

BUON NATALE A TUTTI !


EGITTO

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mercoledì 23 dicembre 2009

AZAR KARIMI E E L' ASSOCIAZIONE DEI GIOVANI IRANIANI IN ITALIA DAVANTI ALL' UDC



Intervento di Azar Karimi, 23 anni, Presidente dell'Associazione dei Giovani Iraniani, figlia di Davood Karimi e Shahrazad Sholeh, rispettivamente Presidente dell'Associazione dei Rifugiati Politici Iraniani in Italia e Presidente dell'Associazione delle Donne Democratiche in Italia.Ecco i loro blog: Iran Democratico e Donne Democratiche Iraniane in Italia .
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ISLAM: PALLAVICINI (COREIS), PARITA' SESSI NON E' GARANTITA DA POLIGAMIA

Roma, 17 dic. - (Adnkronos) - "E' un'assurdita': la parita' uomo-donna non e' garantita dal numero di mariti o mogli, ma e' una conquista per la quale bisogna lavorare seriamente perche', secondo il Sacro Corano, l'uomo e la donna sono uguali davanti a Dio". (peccato che per gli uomini non sia così assurdo e si sa!) A dirlo all'ADNKRONOS e' l'imam della Moschea di Milano Yahya Pallavicini, vicepresidente della Coreis (Comunita' religiosa islamica), commentando l'articolo della scrittrice e giornalista saudita Nadin al-Badir, che ha chiesto la parita' tra i sessi nell'istituto della poligamia, con la possibilita' per le donne islamiche di avere 4 mariti. (Vedi Quotidiano Net - Caffè - 'Io e i miei 4 mariti': una donna ... )
"La giornalista e' libera di fare questa proposta per l'Arabia Saudita - aggiunge Pallavicini - ma a noi in Italia non interessa, perche' abbiamo l'esigenza di tutelare la nostra dignita' in maniera piu' seria e indipendente da qualsiasi situazione specifica che riguardi un Paese diverso dal nostro. L'islam italiano e tutti i musulmani presenti in Italia devono essere rispettati e avere pari dignita' sia dal punto di vista della cultura islamica che di quella italiana". "Qualsiasi strumentalizzazione dell'islam o mancanza di rispetto relativamente alla pari dignita' dell'uomo e della donna e' negativa - dice ancora il vicepresidente della Coreis - la poligamia e' un istituto che in Italia non ha ragione di esistere o di essere praticata clandestinamente (ma così accade ed in modo diffuso!!!), ne' tantomeno di essere rivendicata giuridicamente, visto che non c'e' legittimita' ne' da parte islamica ne' della legge italiana. E' qualcosa che non ci interessa neanche perseguire (EH?!) ".
Ma come si puo' tutelare la parita' tra uomini e donne islamici? "Rendendo partecipi gli uomini e le donne musulmane della gestione e testimonianza delle esigenze religiose dell'Islam italiano - spiega Pallavicini - cio' che normalmente noi facciamo arginando qualsiasi tipo di isolamento o discriminazione e permettendo l'attiva partecipazione di tutto alla vita del Paese e allo sviluppo spirituale e culturale anche come cittadini musulmani, nella normalita' di cio' che succede gia' per i concittadini cristiani e ebrei". LIBERONEWS.IT (Fonte: Arabiyya, 17/12)


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CONVERTITE

«Concordo con il potere gestito da Ahmadinejad, quindi non posso fare altrettanto con i dissidenti che tentano in ogni modo di oltraggiare la SHARI’A (perchè di questo si tratta)». qui
(Fonte: Unpoliticallycorrect , 15/12)

E qui un video-ricordo di quella sciagurata di Neda e delle proteste contro il regime iraniano "che hanno cercato in ogni modo di oltragiare la Shar'ìa: Neda Agha-Soltan - Looking For 'NEDA' , Looking For Freedom e la notizia dell'arresto di Somayeh Rashidi Iran: arrestata femminista a Teheran - Nel Mondo - L'Unione Sarda . Leggi tutto ...

martedì 22 dicembre 2009

domenica 20 dicembre 2009

LA MOGLIE DI AL-ZAWAHIRI INVITA AL MARTIRIO LE "SORELLE D'OCCIDENTE"

Per la prima volta in rete un appello della consorte del vice leader di al Qaida.

LONDRA - Per la prima volta l'organizzazione di al Qaida manda in rete un appello della moglie del medico egiziano Aymen al Zawahiri, che chiede alle «sorelle» musulmane in occidente di compiere azioni kamikaze, raccogliere soldi per i Mujahiddin, educare i propri figli ad amare la Jihad islamica. La signora al Zawahiri mette anche in guardia dal rinunciare al velo musulmano.
Il messaggio diffuso in rete e prodotto da al Sehab, - organo mediatico ufficiale dell'organizzazione che fa capo ad Osama Bin Laden - è firmato da Omaimah Hassan Ahmed Mohammed Hassan» che si presenta come «la moglie del vostro fratello Ayemen al Zawahiri». Per prima cosa, la donna, invia un saluto nostalgico alla famiglia: «ai cari nell'amata Patria - scrive la moglie dell'egiziano - dico: non preoccupatevi per noi che stiamo bene ed i nostri cuori, anche se lontani, sono vicini a voi».
Quindi, si rivolge alle «generose sorelle nella nostra nazione islamica», nella «terra della Jihad»: «Resistere, resistere», è l'accorato appello alle sorelle in «Palestina, Iraq, Cecenia, Afghanistan e Somalia» alle quale chiede «pazienza, resistenza fino alla morte; fino alla vittoria oppure il martirio». E dopo avere citato il coraggio delle donne nella storia dell'islam soffermandosi sulla figura della «Signora Khadijah», la prima moglie del profeta Mohammed, passa alle «musulmane prigioniere nelle carceri della tirannia», per ricordarle di stare loro vicine.
Ma è la seconda parte del sua lettera, lunga cinque pagine diffusa sul sito muslm.net, che si dedica alle «sorelle musulmane in occidente». Guai a chi rinuncia all'Hijab, perchè gli occidentali definiti «blasfemi criminali», iniziano con «toglierti il velo come primo passo» per «cancellare la tua sembianza musulmana» e «trasformarti poi in una merce di scambio». La preoccupazione della consorte del numero due di al Qaida, va inoltre alla nuova generazione di immigrati in occidente: «educate i vostri figli ad amare la Jihad», scrive alle immigrate riservando la chiusura del suo messaggio alla Jihad islamica.
Alla donna che i dettami della Shariya (legge islamica) non impone di contribuire operativamente alla Jihad, suggerisce altre forme di lotta per: aiutare «con la preghiera e con il danaro», i mujahiddin che «hanno estremo bisogno»; sfruttare «la rete internet» che «qualcuno vi ascolterà», scrive la donna dimostrando di stare a fianco del marito anche operativamente.
Il «ruolo delle sorelle immigrate», insomma «è fondamentale» e anche «se la nostra fede impone» che la donna non vada in giro sola «ma accompagnata da un familiare, il momento richiede che svolgiamo il nostro ruolo e di metterci a disposizione dei mujahiddin in tutto quello che ci chiedono di fare: dal sostegno finanziario a quello di passare informazioni oppure dare un contributo alla lotta anche con un azione di martirio». (Fonte: Arabiyya )

Intanto: Faith Freedom International Italia • Leggi argomento - Donne Cristiane Egiziane costrette a sposarsi .

Ci vediamo dopodomani sera!
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UN GRUPPO DI EX MUSULMANI PROVOCA POLEMICHE IN EUROPA

In una mossa senza precedenti all'inizio di questo mese, due islamicche immigrate tedesche hanno annunciato la costituzione del Comitato Centrale per gli ex-musulmani. Arzu Toker e Mitra Azinal hanno due cose in comune - entrambe sono immigrate in Germania e le due vogliono prendere le distanze dall' essere considerate musulmane. In caso contrario, le loro storie sono diverse.
Toker emigrata in Germania, da Istanbul da quasi 30 anni fa, sperando di lasciare il passato alle spalle e ad assimilare la cultura tedesca. Zainal emigrata in Germania da parte dell'Iran poco più di due anni fa, sperando di sfuggire alle restrizioni dal lidear iraniano dei musulmani nel suo aese. Entrambe le donne rapidamente scoprono che, malgrado la loro volontà di lasciare il loro passato dietro di sè, il governo tedesco ha rifiutato di vederle come qualcosa di più: sono ben 3,5 milioni i musulmani che vivono in Germania.
La loro volontà di assimilare nella loro nuova cultura europea e di smettere di vivere secondo le leggi e le credenze del maschio "musulmano autoritario" si è rivelata inutili. Si sono stancate del presupposto secondo cui la voce del leader dei musulmani in Germania fosse, per un preconcetto, la loro voce. Come non-musulmane praticanti, non sono sole. Le statistiche sono scarse, ma si può presumere che almeno il 10% dei musulmani immigrati rientrano in questa categoria. Frustrate, le due donne formano un'organizzazione chiamata Il Comitato Centrale per gli ex-musulmani - una mossa coraggiosa visto che respingere l'Islam è un reato punibile con la morte. L'organizzazione che ha iniziato con due donne sta crescendo in modo esponenziale e ora riguarda tutta Europa. Le reazioni da parte dei governi occidentali e la leadership islamica si sono fatte sentire e sono state diverse. Soprattutto ci sono i musulmani infuriati, mentre i più moderati seguaci dell'Islam sono disposti ad accettare a malincuore, almeno come idea, il concetto di riconoscere i loro fratelli e sorelle non-praticanti.
Intellettuali occidentali e gli organismi di governo stanno discutendo su come affrontare e gestire la questione degli immigrati musulmani - chiedere piena assimilazione di tutti i nuovi immigrati, chiedere loro di respingere completamente la loro religione o di prendere una posizione che rispetti la moderazione e la condanna solo del fondamentalismo? . L'aggiunta del Comitato Centrale per gli ex-musulmani offre un altro elemento a questo dibattito. Come la polemica si allarga, Toker e Zainal non può non sentirsi orgogliosi del fatto che per la prima volta nella storia, una seconda voce è stata considerata come una voce legittima per gli immigrati provenienti da paesi islamici. Questo da solo è un risultato incredibile. Zainal dice: "Ora che mi trovo in Germania, non è necessario avere una religione, ma la gente che parla per me cosa sono? Sono autorità musulmane. " Si può tranquillamente ritenere che non vi molti altri immigrati musulmani in tutto il mondo che sentono la stessa frustrazione e la delusione di non essere ascoltati, ma grazie a queste due donne, qualcosa sta per cambiare. (Fonte: Arabiyya ) Leggi tutto ...

UNA DONNA TURCHESE. SERRA YLMAZ E TANTE ALTRE DONNE IN TURCHIA


Della regista e documentarista Andreina Switch e di Serra Ylmaz.

Da qualche anno la Turchia ha avviato i negoziati per l'ingresso in Europa e questo ha fatto sì che finalmente informazioni su questo Paese cominciassero a circolare. Tuttavia, il campo non è ancora sgombro da grandi pregiudizi fortemente radicati, perché quasi sempre l'approccio passa attraverso la connotazione della fede: la Turchia è un Paese musulmano e questa sembra essere costantemente la chiave di lettura anche per capire l'universo femminile. Con Serra Yilmaz (in copertina, ndr), attrice e intellettuale amata nel suo Paese e da molti anni anche in Italia grazie ai film di Ozpetek, l'autrice cerca di capovolgere questa logica. Le donne in Turchia, infatti, non sono figlie dell'Islam, o meglio non sono solo fìglie dell'Islam, e non sono tutte figlie dell'Islam: sono semplicemente e prima di tutto "donne", al di là di ogni connotazione di carattere religioso.
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ARABIA, "EROINA" E FUORILEGGE. SFIDA IL DIVIETO DI GUIDA E SALVA MOLTI


Una ragazzina ha sfidato il divieto di guida per le donne in Arabia Saudita, ha preso il fuoristrada del padre e con l'ausilio di una corda ha salvato i suoi familiari e diverse altre persone intrappolate dall'acqua per le alluvioni che hanno colpito a fine novembre il Paese del Golfo. Lo riferisce la stampa saudita, che fa risalire l'episodio al 25 novembre, quando Malak Al-Mutairy, guidando il suv di papà, è diventata una vera eroina.
Nella regione pianeggiante della Qous Valley, vicino a Gedda, la ragazzina, secondo quanto scrive il sito online del quotidiano in lingua inglese "Arab News", si è munita di una corda, è salita alla guida del suv Gmc del padre, l'ha parcheggiato in un punto elevato e, con l'acqua fino alla vita, si è avvicinata il più possibile al padre e al fratello che, in piedi sul tettuccio della loro auto, stavano per essere sommersi dall'acqua. E' riuscita quindi a gettare loro un capo della fune, di cui ha poi legato l'altro capo al verricello della jeep, e ha trainato l'auto fuori dall'acqua. "Ho dovuto sfidare la terrificante alluvione e la pioggia per salvare mio padre perché nessuno rispondeva alle sue grida di aiuto", ha detto la ragazzina. Ma sulla stessa strada c'erano altre automobili sommerse con altra gente che chiedeva aiuto e Malak, senza ascoltare il padre che la supplicava di non rischiare, ha compiuto la stessa operazione diverse volte, trainando fuori dall'acqua alta altre otto automobili. Una donna ha raccontato che se non fosse stato per l'intrepida ragazza sarebbe annegata con il marito e le figlie. (Fonte: http://www.tgcom.mediaset.it/ )
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sabato 19 dicembre 2009

FUORI HAREM

Un giorno di otto anni fa, Ghada Jamshir camminava per i corridoi di un tribunale di Al Manama, capitale del Bahrein, quando una giovane donna la bloccò. Era disperata. Piangeva e colpiva il muro con la fronte. Ghada si avvicinò e la aiutò a calmarsi. Più tardi, la convinse a parlare. Chiese cosa fosse successo. La risposta che ricevette avrebbero cambiato la sua vita. Quella ragazza aveva appena divorziato dal marito e il giudice, applicando la Sharia, in vigore nel piccolo Stato del Golfo Persico, le aveva negato la custodia della figlia. “Anch’io sono una divorziata, ma almeno ho mia figlia”, ci spiega oggi Ghada, seduta sul grande divano rosso, nel salotto di casa. “ Le parole di quella donna disperata mi rimasero impresse, non riuscivo a dormire pensando a lei. Poi, una mattina, decisi che era arrivato il momento di prendere una decisione: qualcuno doveva iniziare a occuparsi dei diritti delle donne nel mio paese”. Così, Ghada fondò il Women’s petition committee, associazione che si batte contro il sistema legislativo basato sulla sharia in Bahrein e applicato in tutti gli Stati del Golfo, rivendicando maggiore rispetto per la condizione femminile. Ma fu una scommessa: i suoi studi universitari in economia non le garantivano una preparazione legale o religiosa così specifica, né aveva i fondi per condurre quella battaglia. Che però si è andata affermando, anno dopo anno, grazie al supporto delle donne che vi hanno lentamente aderito. “ Ho cominciato andando in giro per il Paese e raccogliendo le storie delle donne che ritenevano di non aver ricevuto una sentenza equa. Ho scritto le loro testimonianze, le ho rese pubbliche. E ho chiesto al governo di cambiare l’approccio del sistema giudiziario nei confronti delle sue cittadine”. Nello sconcerto generale dei suoi concittadini uomini, Ghada ha portato in piazza, nelle aule dei tribunali e sui media arabi e internazionali le sofferenze cui sono sottoposte ogni giorno le donne nella società del Bahrein. Ha denunciato i continui pregiudizi nei confronti delle mogli in tutti i casi di divorzio e delle madri nei casi di affidamento di minori, l’uso legale dei matrimoni temporanei a tutto favore degli uomini e l’indulgenza del diritto nei matrimoni forzati e negli abusi sessuali sulle minori. La sua battaglia, sistematica e senza timori, ha fatto tremare la famiglia regnante degli al Khalifa, mettendone in discussione il potere assoluto. Il regime ha deciso di fermarla e le ha provate tutte. L’ha accusata di diffamazione del sistema giudiziario islamico.
L’ha processata. Condannata e poi scagionata. Le ha messo dietro i servizi segreti, che da anni sorvegliano ogni suo movimento e ne controllano i telefoni, la posta, le visite che riceve e i viaggi che fa. Molti uomini del governo si sono avvicinati a lei. Alcuni per minacciarla, altri per corromperla. Unico obiettivo: farla tacere. Ma Ghada non ha mollato. Anzi. Nel 2006, la rivista americana Forbes l’ha inserita tra le dieci donne più potenti del mondo arabo, riconoscendo il valore fondamentale della sua lotta per i diritti delle donne e accendendo su di lei i riflettori della stampa internazionale. Allora il governo, nel tentativo di bloccare questa voce critica, ha costretto i media nazionali a non diffondere più alcuna notizia che la riguardasse. Ma Ghada Jamshir è ostinata e continua a evidenziare le storture della legge islamica, chiedendo la sostituzione dei tribunali religiosi con quelli civili nei casi di diritto di famiglia. (Fonte: Arabiyya )

Leggete tutto il pezzo, perchè è interessantissimo!
L’organizzazione internazionale Human Rights Watch ha appoggiato la sua lotta, affermando che “la natura non codificata di queste leggi permette all’autorità giudiziaria di valutare secondo la propria lettura la giurisprudenza islamica”. Secondo Jamshir, le donne in Bahrein sono “prigioniere nelle proprie case, per tutta la vita. Non possono lavorare né studiare lontano dai familiari. Pochissime di loro hanno avuto la possibilità di frequentare università all’estero. Devono stare a casa a cucinare, pulire e crescere i figli. Così, senza educazione e senza coscienza di sé, non potranno mai affrancarsi”. Ma c’è dell’altro. “Quel che l’applicazione della sharia significa per lo status della donna nel mio Paese è gravissimo. Ormai, quando ci presentiamo davanti a un tribunale, lo facciamo sapendo già che saremo trattate ingiustamente”. Esempi, ricordi e battaglie: Ghada attacca. “ Gli sciiti in Bahrein contraggono matrimoni che sono basati sul piacere. Questa istituzione si chiama mut’ah. È accettato che un uomo abbia una serie di mogli a tutti gli effetti, che godono di diritti “ di prima classe” e che poi sposi altre donne per relazioni basate sul piacere. Ma per chi è questo piacere? Per la donna o per l’uomo?”. Ghada accompagna le parole con ampi gesti delle mani. Si interroga e si risponde. “E durante questi matrimoni, cosa succede? Nasce una moltitudine di bambini, figli illegittimi crescono per le strade, senza accesso all’educazione. E volete farmi credere che il Corano determini tutto questo? È tempo di far capire alla gente l’importanza della pianificazione familiare. Ma i tribunali islamici consentono all’uomo di avere Harem di donne, solo per potersi divertire”. L’istituzione della mut’ah insidia anche i diritti dei minori. “La legge prevede che da questi matrimoni temporanei si possa “provare piacere dal contatto sessuale con una piccola ragazza”. Sapete cosa significa tutto questo? Che si può offrire attenzioni sessuali a una bambina. E fare sesso con un minore può essere concepibile secondo una religione?”. Per fermarla, hanno cercato di colpirla in molti modi. Lei attaccava la mut’ah, tradizione sciiti, e quelli dicevano che parlava così perché sunnita. Cercavano di farla cadere nella trappola della divisione settaria del Bahrein, dove la maggioranza della popolazione è composta da musulmani sciiti, mentre l’élite al potere è sunnita. Ma Ghada non si tira indietro.
“Il governo e la famiglia reale hanno sempre cospirato per marginalizzare la maggioranza sciiti, e ora vogliono usare quest’arma contro di me? Il regime gioca con le parole e con le politiche. Tutte le compagne di riforme messe in atto sinora dalla dinastia al Khalifa sono artificiali e di nessuna importanza. La legge di famiglia è un espediente per distrarre l’opinione pubblica e contrattare con l’opposizione islamica in crescita”. Ghada Jamshir afferra un libro di giurisprudenza islamica. Lo sfoglia a lungo, poi riprende a parlare. Risponde alla polemica, parla di istituzioni matrimoniali in vigore tra i sunniti. Come il Misyar, un’unione che, nell’Islam, permette una relazione tra un uomo e una donna di grado minore rispetto allo Zawaj, il normale matrimonio. “Il misyar è una relazione legale, per cui le due persone non vivono insieme e l’uomo non ha responsabilità economiche nei confronti di lei”, ci spiega. “Ovvero, lui ha una vita normale, figli e mogli ufficiali. E in più una serie di amanti, che continuano a vivere con i genitori e che va a trovare quando vuole. Ci sono casi in cui l’uomo fa visita alla sua partner di misyar una volta all’anno. La chiama moglie, ma non è altro che una concubina. Questo legame sminuisce l’onore della donna, la riduce al rango di essere umano di second’ordine”. Ghada passa le dita tra i capelli. Lunghi, curati, sciolti. E non coperti dal velo. Per le sue parole e per i suoi comportamenti, l’hanno spesso accusata di eresia. Ma lei non si spaventa. “Non mi interessa quel che dicono di me nelle moschee. Allah deciderà se devo andare all’inferno o in paradiso. Certo non questa gente. Perché poi chi darebbe loro il diritto di attaccarmi? Sanno se sto facendo il Ramadan oppure no? Sono a conoscenza di quanto e come prego? Si preoccupano forse e soltanto perché non uso il velo ? Non mi interessa”. Ma non ha paura di finire in prigione?No, perché noi donne viviamo già in questa grande prigione. Finchè non ci riprenderemo quel che è nostro e avremo gli stessi diritti degli uomini in tutto il mondo arabo, continuerò a battermi per denunciare la situazione. Continuerò a parlare”.
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venerdì 18 dicembre 2009

IN FUGA DAL VELO, E DALLA FAMIGLIA

Prato, il caso di Amina denunciato dal preside del Cicognini: dava segni di disagio. La minaccia: ti riporto in Marocco, sposerai un 60enne.


PRATO — Il padre Mohamed la obbligava a indossare il velo islamico, le impediva di uscire con le amiche e di guardare la tv. La accusava di essere una «catti­va musulmana» e, in caso di di­sobbedienza, minacciava di ri­portarla in Marocco, dove le avrebbe fatto sposare un sessan­tenne. Ma Amina (il nome è di fantasia), nata e cresciuta a Prato assieme ai suoi tre fratelli, vole­va vivere e vestire come le com­pagne di classe. Così, agli inizi del 2008, di fronte all’ennesima sfuriata del genitore, che aveva scoperto sul suo telefonino una foto senza il velo islamico, ha de­ciso di scappare di casa e rifugiar­si da un’amica. Aveva sedici an­ni, oggi è maggiorenne ma ha an­cora paura del padre, che è finito sotto processo con l’accusa di maltrattamenti. Secondo il rac­conto della giovane, il genitore sarebbe andato su tutte le furie e l’avrebbe picchiata dopo aver vi­sto una sua foto col viso scoper­to e i capelli sciolti.
IL PROCESSO - A denunciare Mohamed, il 12 febbraio 2008, pochi giorni dopo la fuga di Ami­na, è stato Luigi Nespoli, preside del liceo classico Cicognini, che martedì è stato chiamato a testi­moniare davanti al giudice Ales­sandro Moneti. Nespoli aveva già presentato un esposto alla magistratura nel 2007, dopo che la ragazza aveva chiesto di essere esonerata tem­poraneamente dalle lezioni di educazione fisica per problemi respiratori, in quanto il fratellino le aveva dato un forte colpo al petto. Una giustificazione alla quale il preside del Cicognini non aveva creduto. «Ho immagi­nato — racconta — che l’alunna potesse essere stata picchiata dal padre e mi sono attivato presso la procura affinché fosse verifica­ta la situazione familiare. Sapevo che il genitore la obbligava ad an­dare a pregare in moschea e le proibiva ogni svago, me lo disse lei stessa il primo anno di ginna­sio, comunicandomi di non po­ter partecipare alla gita scolasti­ca perché il padre non la autoriz­zava. Così decisi di scrivere alla famiglia per spiegare che la gita faceva parte del programma di­dattico». «Se mi fossi reso conto che la ragazza tollerava il velo imposto dal padre — aggiunge Nespoli— non sarei intervenuto. Ma lei da­va crescenti segni di disagio. Quando potevo e se rientrava nel mio ruolo educativo, cercavo di intercedere con la famiglia». In prima liceo Amina è riusci­ta ad ottenere dal padre l’esone­ro dalla preghiera in moschea, perché ne avrebbe risentito il suo rendimento scolastico.
LA FUGA - Ma le piccole conquiste si sono infran­te davanti a quell’immagine che la ritraeva senza il velo, assieme alle compagne di classe, come una di loro. Dinanzi al pericolo di tornare in Marocco ed essere data in moglie ad un musulma­no di 60 anni, ha preferito scap­pare. Per alcune settimane è sta­ta ospitata da un’amica, poi, quando Nespoli ha avvertito i ser­vizi sociali, Amina ha raccontato la sua storia di vessazioni e divie­ti, la paura del padre violento e, più di tutti, il terrore di un matri­monio imposto come punizione per «rieducarla» alla religione musulmana.
E per lei si sono aperte le porte di una casa protet­ta dell’Istituto Santa Rita, che a Prato ospita circa 120 ragazzi con situazioni di disagio familia­re. Adesso Amina è più serena, può uscire con le amiche e vede­re le fiction in tv, un’assistente sociale la accompagna a scuola e quando lo desidera va a trovare la sua famiglia. Ma di tornare a casa non ha affatto voglia. Le mancano i suoi fratelli, soprattut­to i due più piccoli che accudiva regolarmente, ma non si fida del padre, non crede che lui sia cam­biato come dice. Mohamed, che a gennaio sarà sentito dal giudi­ce Moneti, avrebbe assicurato al­la figlia che non la costringerà a portare il velo se torna a casa. Ma Amina ha paura, adesso pensa so­lo agli esami di maturità, vuole tenere lontano l’incubo di un ma­trimonio indesiderato. (Fonte: Arabiyya, 17/12)

Siamo alle solite... .
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martedì 15 dicembre 2009

SAHARA OCC./VICENDA HAIDAR, "UN COMPLOTTO SISTEMATICO" (MAROCCO)

Rabat, 14 dic. (Apcom) - La vicenda della militante saharawi, Amintatou Haidar, che da 29 giorni è in sciopero della fame a Lanzarote, nelle Isole Canarie, è "un complotto sistematico, metodico, ordito dall'Algeria". Lo ha dichiarato il ministro della Comunicazione del Marocco, Khalid Naciri. "Il timing è significativo", ha aggiunto Naciri, in un colloquio telefonico. "L'Algeria è in posizione di debolezza rispetto al piano di autonomia messo in opera dal Marocco per il Sahara Occidentale e che è stato ben accolto dalla comunità internazionale". Il caso di Haidar è una "strumentalizzazione odiosa", ha proseguito Naciri, che è anche portavoce del governo marocchino. "L'Algeria crede di aver trovato un filone per attirarsi la simpatia dell'opionione pubblica internazionale", sulla frontiera algero-marocchina. (Fonte: "Il Cittadino di Monza e Brianza", 14/12)

E poi: MAROCCO: RICOVERATA IN SPAGNA L'ATTIVISTA SAHARAWI HAIDAR .

Sahara: Aminatu Haidar torna a casa - The Instablog .

Quell'Islam che terrorizza l'Islam è il vero nemico dell'Occidente ... .
"Non possiamo assumere la responsabilità di un dossier, di un complotto sistematico, metodico, ordito dall'Algeria. Quando è troppo, è troppo", ha affermato Naciri in risposta a una domanda sull'atteggiamento che Rabat intende assumere sulla vicenda Haidar. "Il Marocco e la Spagna sono vittime di un piano machiavellico e noi siamo rattristati, desolati, di constatare che hanno cercato di manipolare l'opinione pubblica internazionale su questo affare", ha detto. Haidar è stata espulsa il 14 novembre dal Sahara occidentale dalle autorità marocchine, che accusa di averle ritirato il suo passaporto marocchino, e ha iniziato lo sciopero della fame due giorni dopo all'aeroporto di Lanzarote. Secondo Rabat, si è rifiutata di "compiere le formalità abituali di polizia e ha disconosciuto la sua nazionalità marocchina" al suo arrivo il 13 novembre a Laayoune, principale città del Sahara occidentale.
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GIOVANE MAROCCHINA CURERA' IMMAGINE COMUNE LEGHISTA BERGAMASCO

Bergamo, 13 dic. - Una marocchina responsabile dell’immagine di un Comune leghista, una festa in Municipio per conferire la cittadinanza italiana a sei immigrati: segni di svolta nel difficile rapporto tra amministratori leghisti del Bergamasco e immigrati. La prima storia e’ andata in scena a Brignano Gera d’Adda, Comune a guida leghista che solo pochi giorni fa si era visto annullare tre delibere dal tribunale perche’ giudicate “discriminatorie” nei confronti degli immigrati. Il sindaco Valerio Moro ha deciso di chiamare Loubna El Yaqout, ventitreenne marocchina residente in paese da quando ne aveva 4, laureanda in Economia, a far parte di un nuovo organismo che organizzera’ manifestazioni culturali. “Vogliamo organizzare”, ha spiegato il sindaco, “iniziative che riescano sempre piu’ a coinvolgere anche gli extracomunitari. Loubna ci aiutera’ a raggiungere questo obiettivo. Noi non siamo contro gli extracomunitari ma contro i clandestini”. Tra le prime iniziative, una cena etnica e un dibattito su diritti e doveri degli immigrati. Loubna ha in corso la pratica per ottenere la cittadinanza italiana, la stessa che a Pedrengo (Giunta Pdl-Lega) e’ stata conferita, con una grande festa in Municipio tra discorsi, applausi, fotografie e bandiere, all’egiziano Ali’ Elanany, 41 anni, da 15 in Italia, due figli, magazziniere; a Shefa Moghames, palestinese, e a Sing Binear, indiana, nati in Italia e diventati italiani al compimento dei 18 anni, e alle peruviane Fiorella Marroquin e Angelica Soledad Prieto e alla marocchina Fatima Bakkali che hanno sposato italiani. Ognuno ha ricevuto un tricolore e una copia della Costituzione con il tricolore in copertina (bilingue italiano-arabo per l’egiziano). “Questo e’ un esempio di integrazione fra italiani e stranieri nel rispetto delle regole”, ha detto il sindaco, “Vogliamo rimarcare che si e’ parte del popolo italiano con gli stessi diritti e gli stessi doveri”. (Fonte: http://www.maroc.it )
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EGITTO, ANNULLATO IL DIVIETO DI PORTARE IL NIQAB NELLE UNIVERSITA'


La sentenza del tribunale del Cairo ribalta la decisione del ministro

La decisione del ministro per l'Insegnamento egiziano, Hani Hilal, di vietare il niqab nelle università è stata annullata dal tribunale amministrativo del Cairo. Il provvedimento del ministro è stato giudicato anticostituzionale, in quanto la legge egiziana tutela la libertà personale e di fede religiosa. Inoltre, già in passato il Consiglio di Stato si era pronunciato negativamente in situazioni simili. Durante il processo, come riporta il quotidiano al Gomhoreya, le studentesse interpellate hanno testimoniato la difficoltà di dover scegliere tra lo studio e la fede religiosa. Ora però si dicono pronte a facilitare ogni procedura di identificazione all'ingresso degli edifici universitari. (Fonte: INFORMAZIONE LIBERA )
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lunedì 14 dicembre 2009

FRANCIA: NIENTE NAZIONALITA' PER MARITI DONNE IN BURQA

PARIGI - La nazionalità francese potrebbe essere rifiutata agli uomini con la moglie in burqa. È destinata a fare scalpore la proposta lanciata oggi dalla ministra della Giustizia francese, Michèle Alliot-Marie.
La ministra ha parlato di valori inconciliabili con quelli della République: "Un uomo che ha una moglie con il velo integrale è una persona che non condivide i valori del nostro paese. In questo caso bisogna rifiutarlo".
Si inasprisce così in Francia il dibattito sulla questione del velo integrale, aperto dal presidente Nicolas Sarkozy l'estate scorsa, quando aveva sentenziato: "qui il burqa non è benvenuto".
Uno studio aveva rivelato pochi mesi dopo che a portare il burqa o il niqab (lascia scoperti gli occhi) in Francia è solo una infima minoranza di donne musulmane.
Ma intanto a luglio stesso era stata riunita una commissione parlamentare che da allora sta lavorando sul tema. "Stiamo aspettando le sue conclusioni", ha aggiunto la Alliot-Marie. (Fonte: Arabiyya )

Poi CdT.ch - Niente burqa allo sportello .

E non dimenticate di visitare Per la pace e l'amicizia tra i popoli . Leggi tutto ...

SBAI, IO MUSULMANA ITALIANA, DICO NO AL BURQA. LE DONNE DEVONO MOSTRARE I LORO VOLTI

ROMA - è un no quasi unanime quello della Consulta islamica nei confronti del niqab. Il velo che copre il viso lasciando aperta una fessura per gli occhi «è il contrario di ciò che prescrive l' Islam», sostiene Souad Sbai, presidentessa dell' associazione delle donne marocchine in Italia. «Perché la nostra religione ci chiede di vestire modestamente per non attirare l' attenzione. Ma in un contesto come quello italiano, cosa crea più allarme di una donna con il viso coperto?».

Il tema del velo integrale si è presentato più volte nelle discussioni della Consulta.

«Sul rifiuto siamo tutti d' accordo, fatta salva la posizione ambigua dell' Ucoii, l' Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia».

Lei ha modo di parlare con donne che non oserebbero mai uscire allo scoperto con una denuncia. Cosa le raccontano?

«Di mariti che impongono loro di indossare il niqab, che le segregano in casa e in alcuni casi arrivano a sequestrare i loro documenti. Si tratta soprattutto di donne sposate, sopra i 35 anni, concentrate nelle regioni del nord. è qui, in piccoli centri e nelle grandi città, che si sono radicate le moschee più estremiste. Da Bologna in giù è difficile ascoltare prediche violente o incontrare donne con il niqab: ci si limita a vedere i capelli coperti con foulard colorati. Ma questo fa parte della fede e della tradizione di molte donne, sia ragazze che adulte. C' è grande differenza tra un foulard indossato spontaneamente e il niqab imposto con la forza: e in questo caso è assai probabile che dietro il velo si nasconda una storia di violenza».

Perché un uomo in Italia sente il bisogno d' imporre il velo integrale alla moglie?

«Perché un uomo che proviene dalla Tunisia o dal Marocco in molti casi ha il terrore dei costumi italiani, ed europei in genere. (Fonte: http://www.repubblica.it/ , 8/10)
Teme che la donna lo abbandoni, fugga con una persona del posto. Quello stesso marito - in gran parte dei casi - nel suo paese non si era mai sognato di imporre il niqab alla moglie. In Italia invece è spaventato, ascolta dagli amici storie di donne che hanno abbandonato il tetto coniugale. E allora reagisce segregando la moglie».


Che difese hanno queste donne?

«In Italia nessuna, di fatto sono prigioniere. Nel paese d' origine c' è la rete dei parenti a difenderle. Se il marito osasse trattar male la moglie interverrebbero subito il padre o il fratello. In Italia la situazione di analfabetismo in cui versano molte immigrate non migliora certo la situazione. Il lavoro della mia associazione, e di altre simili, è ascoltare storie e raccogliere denunce che altrimenti rimarrebbero sepolte nel silenzio. Ma molte donne fanno fatica ad aprirsi».

Nei paesi arabi si sente dire che il velo è in realtà uno strumento di emancipazione. Con i capelli coperti le donne possono uscire di casa, studiare, incontrarsi. In Italia non vale lo stesso?

«Non direi. Nel Maghreb il niqab è addirittura sconosciuto; si tratta di un costume più saudita e afgano. E in Iran le donne si stanno mostrando molto intelligenti: anche se il potere impone regole dure, obbediscono solo in parte. Spesso basta un colpo leggero di vento per scoprir loro le ciocche. In Italia non si può certo dire che il niqab sia uno strumento di libertà. Le storie delle donne che lo indossano parlano di segregazione, mancanza di rapporti sociali e controlli medici: penso alla prevenzione del cancro al seno. Magari si tratta di madri che escono solo per andare a prendere il figlio a scuola. Ma ci pensate al trauma per quel bambino, preso in giro dai compagni di classe?». -
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ISLAM, SBAI (PDL): STRAGE MOGADISCIO CONFERMA PAURE SU USO BURQA

Roma, 03 Dicembre (Velino) - "La strage avvenuta oggi a Mogadiscio dimostra quanto sostengo da tempo. Si tratta di una triste conferma dei pericoli che si possono celare sotto un burqa. Ecco perche' urge fare approvare la mia proposta contro l'uso del burqa e del niqab, le cui audizioni si sono concluse lo scorso 1 dicembre". Lo afferma Souad Sbai, deputata del Pdl, commentando il massacro perpetrato in Somalia durante la festa di laurea di un gruppo di giovani somali."Il fatto che un kamikaze, introdottosi nella sala dell'hotel Shamu, si celasse sotto mentite spoglie di una donna con in dosso il burqa - aggiunge Sbai -, sottolinea come oggi il burqa, che non ha nulla di religioso, rappresenti un serio pericolo per la sicurezza nazionale e internazionale. Nell'attentato sono stati uccisi quattro ministri, due reporter e molti studenti. Oltre dunque a rappresentare un odioso strumento di sottomissione della donna, il burqa e il niqab vengono sempre maggiormente usati come avveniva per i caschi e i passamontagna negli anni di piombo in Italia. Dobbiamo assolutamente fermare quest'avanzata estremista che sfrutta qualsiasi elemento per creare e diffondere terrore. Dobbiamo impedire che il burqa diventi un indumento del terrore". Leggi tutto ...

domenica 13 dicembre 2009

PICCHIO' LA MOGLIE E LA FECE ABORTIRE: CONDANNATO

Un impresario bergamasco di 44 anni è stato condannato ieri dal tribunale di Bergamo a quattro anni di reclusione perchè riconosciuto colpevole di procurato aborto, lesioni aggravate, maltrattamenti in famiglia e minacce aggravate nei confronti della moglie marocchina. Le violenze si sarebbero protratte per quattro anni, dal 2005 al 2009. Gli episodi più violenti, secondo l'accusa, sarebbero stati commessi nel 2006, quando la donna era incinta di pochi mesi. Il marito, stando a quanto è stato ricostruito, l'avrebbe picchiata con un pugno in pancia, causandole così la perdita del bimbo. La donna aveva presentato una prima denuncia nell'ottobre del 2006, cui ne seguirono altre due nel giro di pochi mesi. Dopodichè l'uomo si allontanò dall'abitazione in cui viveva insieme alla donna. Ieri è arrivata la sentenza del gup di Bergamo, che lo ha processato con rito abbreviato e condannato a quattro anni. Il giudice ha riconosciuto l'uomo colpevole di tutti i reati contestati, respingendo le richieste del suo legale di assoluzione per il procurato aborto e di derubricazione dei maltrattamenti in ingiurie. (Fonte: http://www.leggo.it/ ) Leggi tutto ...

sabato 12 dicembre 2009

CASO HAIDAR

Ban si interessa al caso. Segretario generale dell'Onu ha incontrato ministro del Marocco

N. B. LEGGETE L' IMPORTANTE COMMENTO CHIARIFICATORE DI YASSINE BELKASSEM !!!



(ANSA) - NEW YORK, 12 DIC - Il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon e' intervenuto per risolvere il caso dell'attivista saharawi Aminatu Haidar. Da un mese la donna fa lo sciopero della fame nell'aeroporto spagnolo di Lanzarote, alle Canarie, dopo che le autorita' marocchine le hanno impedito di rientrare in patria. Ban ha incontrato a New York il ministro degli Esteri del Marocco, esprimendo profonda preoccupazione per la salute della Haidar.

E poi guardate questa video intervista alla leader uigura Rabiya Qader, che dice: "E' possibile che il Governo cinese mandi gli uiguri a far parte di Al-Qaeda per rappresentarci come terroristi": http://www.memritv.org/clip/en/2272.htm . Leggi tutto ...

venerdì 11 dicembre 2009

"VELO SI', VELO NO", di Dounia Ettaib

Negli ultimi anni, in Italia va avanti un dibattito sulla questione del “velo sì velo no”. Simbolo religioso islamico, tradizione o cultura?

Io sono musulmana, marocchina d’origine, nata in Marocco da una famiglia musulmana, mio nonno andava in moschea il venerdì a pregare, le mie nonne pregavano in casa, durante il Ramadan tutta la famiglia digiuna e condivide la sua colazione di rottura del digiuno con i vicini o con i bisognosi.

Le mie zie si sono sposate giovanissime, due di loro addirittura in età adolescenziale, una zia si era sposata all’età di quindici anni e continuava a studiare, ha dovuto interrompere quando era rimasta incinta, l’altra si era sposata all’età di diciassette anni, i miei zii si erano sposati in età adulta dopo la loro laurea e con l’inizio della loro carriera lavorativa, tutti i miei zii si sono sposati con le loro compagne di università, con il loro primo amore, tutti i miei parenti sono ancora sposati e tutti monogami.

La mia famiglia è una famiglia musulmana, le mie nonne coprono i capelli con il foulard per nascondere i capelli bianchi, ma il foulard viene lasciato nell’armadio quando si recano a delle feste o a dei matrimoni, le mie nonne sono state entrambe alla Mecca per il pellegrinaggio, anche mio nonno era stato alla Mecca.

L’unica donna in famiglia che porta il velo è mia zia Maria, suo marito glielo impose dopo il suo primo viaggio alla Mecca, lì incontrò degli sciiti iraniani che lo convertirono all’islam radicale, una volta rientrato in Marocco impose a mia zia il velo, mio nonno non c’era più, mio zio era certo che mio nonno non glielo avrebbe mai permesso, i miei zii erano troppo giovani per difendere mia zia da quel marito padrone, in famiglia tutti soffrivamo per la sua condizione, mia nonna un giorno chiamò suo genero per parlargli e chiedergli di rivedere le sue posizioni, ma lui l’accusò di non essere una buona musulmana e che non dava il buon esempio alle sue figlie e ai suoi figli, allora mia nonna gli chiese di lasciare quella casa, lui di pronta risposta le disse che non sarebbe stata accolta in casa loro. Da quel giorno tutti noi soffrimmo per la zia Maria, alle feste ci mancava, i venerdì quando ci recavamo a mangiare il cous cous dalla nonna il suo posto a tavola era vuoto, a me personalmente mi mancava tantissimo perché era anche la mia madrina, mi mancava anche mia cugina. Dopo un anno si separazione forzata, mia madre decise che saremmo andati a trovarli, ero felicissima di rivedere finalmente mia zia e i miei cugini, entrammo in casa, c’erano i miei cugini, mio zio era al lavoro, mia zia era bellissima e indossava un abito rosa con le spalline ricamate a fiori, mia zia assomigliava moltissimo alla mia bisnonna cretese, era bianchissima, con le guancie sempre rosse, capelli mossi ondulati fino alle spalle castani e gli occhi viola, in famiglia era soprannominata Lizzy ( come la Taylor), in casa i miei cugini ascoltavano gli Wham!, mia cugina faceva i compiti, furono tutti contenti della nostra visita, mio cugino maggiore disse a mia mamma che voleva stare un po’ all’inferno prima che arrivasse suo padre e lo riportasse in paradiso, lo zio diceva ai figli che la musica pop, disco, insomma la musica in genere conduce gli ascoltatori all’inferno e che in casa bisognava solo ascoltare le audiocassette del Corano, mia madre si mise a ridere, io chiesi a mia zia di prendermi in braccio, la abbracciai forte, volevo rinchiuderla tra le mie braccia e portarla via in un mondo lontano dove mio zio non l’avrebbe trovata, ad un tratto le chiesi se il velo le faceva caldo, mi sorrise e mi disse che si era abituata, mentre mia cugina urlò che lo odiava! Lì capii quanta sofferenza provavano, quanto si sentivano emarginate, lo zio impedì loro di frequentare la nostra famiglia, lo zio obbligò mia cugina di soli dodici anni a ritirarsi da scuola, mio zio obbligò la zia a non uscire più di casa sola a fare la spesa, poteva uscire o in sua compagnia o in compagnia dei figli. Lo zio impediva ai figli di ascoltare la loro musica preferita, impediva loro di andare in piscina, li obbligava a pregare e a leggere il Corano.

Noi per fortuna continuammo a frequentare mia zia, un giorno in Marocco Pesach cadeva con la festa di fine Ramadan, e noi eravamo da mia zia a festeggiare la fine di Ramadan, nella strada sotto la casa di mia zia c’erano tantissimi rami di palma, io ero affascinata da quello spettacolo, chiesi a mia zia perché c’erano quei rami di palma, mia zia mi disse che era Pesach, una ricorrenza molto importante per il popolo di Dio, mio zio aggiunse che non erano più il popolo di Dio perché avevano disobbedito a Dio, allora io gli chiesi in quale versetto del Corano si evince ciò, mi rispose che non era scritto da nessuna parte, allora io aggiunsi, mamma e mia zia dicono sempre che gli ebrei sono il popolo di Dio, un musulmano se smentisce la parola divina commette peccato! Mi guardò a lungo con uno sguardo cattivo e aggiunse che lui ne sapeva più di me, io gli risposi che si sbagliava, se si considerava un buon musulmano non doveva cambiare la parola divina, mia zia mi disse di andare in sala che tra un po’ si serviva a tavola. Andai a cercare mia cugina in camera sua, la trovai in lacrime, le chiesi perché piangeva, mi disse che odiava il suo abito di festa perché era troppo lungo, lei voleva mettersi una gonna al ginocchio, ma portando il velo non poteva permetterselo.

Soffrivo per lei tantissimo, nel suo velo vedevo le sue lacrime, le sue rinunzie allo studio, le rinunzie alle sue amiche, ai suoi sogni e alle sue speranze.

Mia zia aveva accettato la sua condizione, ma soffriva per sua figlia, i miei cugini non potevano sopportare quelle oppressioni e un giorno partirono per gli Stati Uniti per non ritornare più, cercarono invano di portare via con loro mia cugina, ma non ci riuscirono perché era minorenne.

Quando decidemmo di partire per l’Italia, mia cugina mi salutò in lacrime, dicendomi :“non credere mai che una donna è felice di velarsi, ogni donna privata della scelta è una donna non libera”.

Non dimenticherò mai il giorno in cui chiesi a mia zia se era vero che nel Corano Dio ordinava alle donne di velarsi, mi rispose che la moglie di Maometto, la più giovane Aicha, era una donna che lo seguiva ovunque ed era presente nei campi di battaglia per curare i feriti, non mi disse mai che era velata e vestita di nero, da allora all’età di sei anni capii che non era un precetto islamico, ma una imposizione degli uomini per sottomettere le donne.

Io musulmana figlia di una famiglia musulmana soffriii per anni con la mia famiglia la sottomissione al velo di mia zia e di mia cugina, per anni mia nonna soffriva in silenzio per mia cugina, per anni mia nonna riteneva che il velo per mia cugina sarebbe stato un ostacolo ad un suo matrimonio, mia cugina si è sposata l’anno scorso all’età di 36 anni con un amico di suo padre.
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giovedì 10 dicembre 2009

IL FUTURO DELL' EUROPA: SHARIA IN SPAGNA


DONNA ADULTERA RISCHIAVA LA LAPIDAZIONE PER MANO DI UN TRIBUNALE ISLAMICO ILLEGALE.

Sorpresa: la sharia, la legge islamica, condanna a morte le donne maomettane adultere anche in Europa. E c’è pure una «polizia religiosa», la Hisba, che si incarica di eseguire le sentenze. Nella Spagna del premier socialista Zapatero, dove ci sono 800 moschee e 14 minareti (e dove il governo ha invitato i Comuni a destinare terreni per edificare i luoghi di culto di Allah), il Corano si insegna a scuola in quattro regioni dal 2005 e ci sono persino corsi pubblici online per imam.Il caso che ha fatto scoppiare lo scandalo è quello di Boshra, marocchina di 30 anni, immigrata illegale rimasta incinta, che stava per essere messa a morte da 20 «taleban». È avvenuto a Valls (Tarragona), in una Catalogna che registra il più alto tasso di immigrati (15,9%, in maggioranza marocchini) del Paese, con 190 moschee e 360 mila fedeli del Profeta. Boshra, accusata di aver avuto una relazione col marito della sorella, è stata sequestrata il 14 marzo scorso con un’azione da commando studiata a tavolino. Secondo il racconto della vittima ai Mossos d’Esquadra, la polizia regionale, il marito Hassan, marocchino pure lui, l’aveva precedentemente avvertita di non mettere al mondo la creatura che portava in grembo perché era frutto dell’infedeltà. Ma la coraggiosa mamma l’aveva denunciato per minacce e maltrattamenti. Allora i «taleban» sono passati all’azione. Boshra era al supermercato quando le si è avvicinata una connazionale chiedendole di aiutarla a caricare su un’auto le borse della spesa. A quel punto uno degli uomini della «polizia religiosa» le ha piazzato un coltello alle spalle e l’ha fatta salire su di un Suv. Boshra è stata portata in una casa di campagna isolata, dove era già stato approntato il tribunale salafista (una corrente islamica fondamentalista). Dopo ore di processo, la sentenza: condanna a morte sia per lei che per il «frutto del peccato».Il giorno dopo Boshra viene affidata a una coppia, Mohamed e Habiba. La moglie viene a sapere della condanna dalla voce di Mohamed: «Hanno già emesso il verdetto, devo uccidere lei e il feto». Habida minaccia di lasciarlo e Boshra approfitta della lite per scappare in un bar nei pressi e chiamare la polizia. I Mossos, dopo indagini durate mesi, alle quali ha partecipato anche l’antiterrorismo, hanno identificato tutti i venti «talebani» della Hisba, anche se ne hanno arrestati solo sette, con l’accusa di sequestro, associazione per delinquere e tentato omicidio. Boshra, che ha partorito suo figlio in ottobre, deve adesso riconoscere i sequestratori. Ma è irreperibile. Le associazioni maomettane catalane hanno preso subito le distanze. «Nella nostra comunità ci sono credenti più ortodossi di altri, ma la fede deve essere professata rispettando lo Stato di Diritto e qualsiasi atto che lo oltrepassi è un reato e deve essere trattato come tale», tuona Halhaud, portavoce del Consell Islàmic de Catalunya. Ma il caso non è isolato. «Sono tre anni che denunciamo questi estremisti che usano la forza per imporre le loro idee religiose. E molte vittime non hanno il coraggio di andare dalla polizia», chiosa Alami, presidente della Associazione Amici del Popolo Marocchino. Finora però era una sharia «a bassa intensità»: ragazze picchiate per non portare il velo. Ora i «taleban» hanno alzato il tiro. (Fonte: Informazione Corretta, 10/12)
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lunedì 7 dicembre 2009

LA CASA, I VESTITI, IL METRO'. L' OSPEDALE ADOTTA LA PEDIATRA COL VELO

LA STORIA VIENE DAL SUDAN. RIMARRA' UN ANNO. L' AFFETTO DEI BAMBINI MALATI. "NESSUNO MI FA PESARE CHE SONO STRANIERA".

L' Istituto dei tumori in aiuto alla ricercatrice Amel. «La borsa di studio? Pochissimi soldi».

Lei che cura i bambini, è stata adottata dall'Istituto dei Tumori. Amel, 35 anni, pediatra oncologo sudanese, è arrivata a Milano con una piccola borsa di studio. L'ospedale e gli assistenti sociali hanno fatto squadra per aiutarla.

Adesso che, giurano le colleghe, va meglio, Amel ha ancora un po' di paura. Paura della paura dei bambini, che all' inizio esitava a toccare, chissà come la guardavano, cosa pensavano, se la giudicavano male: c' era il velo, che si chiama Hegab e porta con eleganza, anche se mai sarà uguale all' eleganza delle sue mani, e poi c' erano la pelle, la lingua, con quell' italiano che ha bisogno di tempo... Ecco, il tempo. Ne servirebbe di più. O forse è già troppo. «Più rimango, più imparo e potrò aiutarli. Meno sono là, e meno bambini aiuto» dice. Aiutare: verbo che torna, nella vita di Amel Ahmed Elobied Ali, 35 anni, sudanese, unico pediatra oncologo del suo Paese. È arrivata a Milano un mese fa, al settimo piano dell' Istituto dei tumori, il piano dove gli adulti sono o medici o visitatori. Non è venuta da sola, Amel. L' ha inviata il suo Governo per studiare, capire, poter a sua volta insegnare. Ci sarebbe una borsa di studio: è di pochissime centinaia di euro. Così all' Istituto, dottoresse e dottori, infermiere, assistenti sociali come Michela e Giovanna, impiegate, amiche delle colleghe, hanno trovato una casa, i mobili, le sedie; hanno allacciato i contratti di luce, acqua e gas; hanno mostrato come funzionano i metrò, hanno dato i primi biglietti dei bus, e le hanno parlato di Milano e soprattutto dei milanesi, questi milanesi che, hanno aggiunto, nonostante certi loro politici che urlano se ti guardano male in metrò, magari, di solito, è soltanto perché sono stanchi. Amel ha quattro sorelle e tre fratelli; mamma casalinga e papà impegnato in un' azienda tra contabilità e gestione del personale. Viene dalle parti di Khartoum, la capitale. Quando Amel tornerà nel Sudan, andrà, con un ruolo di guida, al National Cancer Institute, il maggiore ospedale che cura i tumori. Dice Amel che, in Sudan, su dieci tumori, uno è di un bambino. Cifra maledettamente in difetto. I tumori, in Africa, non si vedono e diagnosticano. Mancano gli strumenti e le specializzazioni. C' è un cancro che colpisce più degli altri, e non si può non vedere: avvolge l' occhio di una massa che sembra un mostro dei videogiochi. Maura Massimino dirige la Pediatria dell' Istituto dei tumori, è la capa anche di Amel. Tipo tosto, la Massimino, raccontano. Sta visionando delle radiografie. Lungo il corridoio degli uffici ci sono fascicoli con una etichetta, che dice: «Persi». Davanti alle radiografie c' è anche Amel. Come maestra d' italiano le hanno dato una maestra in pensione che insegna ai bambini malati di cancro. Alcuni saltano mesi interi di lezione. A inizio novembre Amel è scesa all' aeroporto, sono venuti a prenderla, l' hanno accompagnata in Istituto. Tramite un connazionale, le hanno trovato una casa a Pavia. Troppo lontano. Un' assistente sociale ha contattato un condomino, a Milano, sapeva che aveva un appartamento libero. Gli ha raccontato la storia di Amel, ha raccontato della borsa di studio che più che una borsa è un piccolo, leggero sacchetto. Il condomino, italiano, le ha affittato l' appartamento. A 350 euro. Appena. Incontriamo Amel, traduce dall' arabo una signora marocchina, si chiama Soraya. Amel racconta che la sua vita in Italia ha avuto e ha problemi e problemini, esitazioni, pensieri non sempre belli. «Eppure», dice, «sono qui per altre persone. Per i bambini». Altro non le interessa.
La signora Soraya indossa anche lei il velo. «Un giorno ero lì, in corsia. Mi avvicinano una mamma e un papà. Mi domandano se è il caso di girare con il velo». Amel e Soraya si sono conosciute quando la prima ha visitato il nipotino della seconda , malato di cancro. Al settimo piano gira la storia di una bimbetta, tosta, dicono, come la mamma. Una mattina aveva 39 di febbre e la mamma, medico, stava lo stesso uscendo per andare al lavoro. La bimba: «Perché non resti a casa? Questa volta sono proprio malata». L' altra le rispose: «Non è vero». La bambina: «Vorrà dire che mi comprerò la medicina che fa cadere i capelli». (Fonte: Corriere della Sera, 6/12)

6% Il tasso di mortalità infantile nel Sudan. Nel Paese africano le speranze di vita sono di 56 anni per gli uomini e di 59 per le donne.

Purtroppo non ho trovato su internet le foto di Amel che c'erano sul Corsera... .
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