mercoledì 30 settembre 2009

L' INVIATO SOTTO PROTEZIONE PER IL LIBRO SU UNA SCIITA

Roma — «La busta era infilata nel parabrezza della mia macchina, par­cheggiata sotto casa, a Roma. Dentro c’erano due proiettili e questo foglio. Eccolo». Il foglio, scritto e stampato al computer, dice: «Nello Rega sei morto questi sono per te e subbito (sic) lo fac­ciamo. Sei morto e vedrai la fine che fa­rai tu perché Allah e Hezbollah hanno deciso di farti morire. I colpi Nello Re­ga sono per te perché dici bugie fai ma­le a sciiti libanesi e scrivi contro scii­ti... ». «La seconda busta è arrivata a ca­sa di mia madre Antonietta, a Potenza. Due proiettili. Altre minacce, molto si­mili. E la fotocopia della copertina del libro » . Nello Rega, 43 anni Il libro si intitola Diversi e divisi. Dia­rio di una convivenza con l’Islam. Nel­lo Rega, 43 anni, inviato di Televideo, l’ha scritto per raccontare la storia d’amore durata tre anni con una donna sciita, Amira. «Un amore 'diviso', quel­lo che si consuma tra un uomo e una donna 'diversi'. Distanti nel modo di comunicare, di baciare, di fare l’amo­re » è scritto nella quarta di copertina.

Il volume è appena arrivato in libreria, ma da due settimane se ne parla nel blog della casa editrice, Terra del Sole. L’introduzione è firmata da Luca Zaia, ministro dell’Agricoltura e «uomo for­te » della Lega in Veneto, che prende spunto dalla vicenda per concludere che «la violenza, la vendetta, la subordi­nazione della donna non fanno parte della nostra cultura cristiana e non si capisce perché dovremmo accettare inermi tutto ciò...
L’Occidente e l’Orien­te hanno molto da insegnare l’uno al­l’altro, ma credo che all’Occidente vada riconosciuto il primato di diffusione di quei diritti che devono essere da tutti condivisi » . Non era la prima volta che Rega ri­ceveva minacce. (Fonte: Souad Sbai,)

E ancora a proposito di Souad Sbai: La deputata marocchina che non firma la legge Fini Leggi tutto... e Badanti: Sbai (Pdl) a Maroni, proroga per immigrate licenziate Leggi tutto... .
E in Germania: «Insulta il Corano: uccidete la blogger tedesca» .
«Nel gennaio di que­st’anno trovai un foglio infilato sotto la porta di casa. C’era la fotocopia di una mia foto, presa dal libro sul Li­bano che ho pubblicato due anni fa, Sud dopo Sud , e una scritta: 'Mori­rai. Ti colpiremo nel nome di Al­lah, perché hai fatto male agli scii­ti' ». Poi altri messaggi: «Un mese dopo, sotto il parabrezza dell’au­to, nel parcheggio Rai di Saxa Rubra. Quindi a casa di mia madre, con una foto di Nasrallah, il capo di Hezbollah. Di nuovo sul vetro dell’auto, stavolta sotto casa di amici dov’ero andato a ce­na, sulla Prenestina. Capii che conosce­vano i miei spostamenti.
Un giorno che ero stato con una collega a San Lo­r enzo trovai un messaggio a casa: 'Ti abbiamo visto stamattina al Verano con la tua amica...'. Sono andato dai ca­rabinieri. Ma il primo pm ha archiviato il caso, anche se i militari chiedevano un supplemento d’indagine. Poi per fortuna ho trovato un pm, Francesco Polino, che mi ha dato ascol­to ». Il prefetto, vale a dire il Vi­minale, ha predisposto una tu­tela. Il caso è arrivato al pool an­titerrorismo della capitale. Ma è sicuro, Rega, che Hezbollah c’en­tri davvero? «Non lo so. Sono convinto però che ne sia a cono­scenza. Ho scoperto solo dopo che Ami­ra aveva parenti legati all’organizzazio­ne. Non accuso nessuno. Ma ho molta paura per la mia incolumità; perché questa sentenza di morte potrebbe es­sere eseguita anche da altri fondamen­talisti che si ispirano agli stessi princi­pi » .
La storia con Amira era cominciata nel 2005, in Libano, dove Rega seguiva le elezioni. «La sua famiglia aveva un albergo a Naqoura, al Sud, vicino al confine con Israele, dov’è schierata la missione Onu a guida italiana. All’ini­zio mi parve una donna del tutto occi­dentalizzata: a parte la carnagione un po’ più scura, poteva sembrare roma­na. Mi ha seguito in Italia. Ci amava­mo. Parlavamo di matrimonio. Poi me l’hanno portata via. A Roma ha incon­trato persone legate all’ambiente del fondamentalismo, che l’ha attratta a sé. All’improvviso mi ha lasciato. E io ho scritto la nostra storia, senza ranco­ri, per raccontare il mio sentimento e la sofferenza di non poter vivere con lei». E ora? «Sono terrorizzato. Viaggio da solo, non mi sento realmente protet­to. Ma nessun giornale ha raccontato si­nora la mia vicenda.
Ho ricevuto la soli­darietà dell’Usigrai (il sindacato della tv pubblica), dell’Ordine, della parla­mentare marocchina Souad Sbai; e su­bito l’avvocato della sua associazione, Loredana Gemelli, è stata a sua volta minacciata. Ma non voglio tacere. Non voglio darla vinta a loro. Chiedo però allo Stato di non abbandonarmi, di pro­teggere la mia esistenza». Alle forze del­l’ordine e alla magistratura spetta stabi­lire la gravità dell’allarme. Resta il fatto che c’è uno scrittore che riceve proietti­li e minacce di morte da sedicenti fon­damentalisti islamici per un libro, ha ottenuto una protezione per quanto forse insufficiente, eppure nessuno ne parla.
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NO ALLE CORTI ISLAMICHE IN ITALIA. LA PROTESTA DI SOUAD SBAI


Giudici islamici per omicidi commessi da islamici. In Italia. È questa la richiesta provocatoria di una donna italiana, convertita all’Islam, lanciata durante Domenica 5 (non "Buona Domenica", come avevo scritto sotto, mi perdonino la D'Urso e Brachino!, ndr), il programma-contenitore della domenica pomeriggio su Canale 5, dove Claudio Brachino ospitava Daniela Santanchè e Souad Sbai, deputato del Pdl da sempre in prima linea per rivendicare i diritti delle donne islamiche.

Onorevole Sbai, cosa è successo in trasmissione?

«Sono sdegnata. Questa signora italiana convertita da anni all’Islam si è presentata in tv con il velo, copertissima e applauditissima dalle colleghe che ha portata con sé in studio. Si parlava dei terribili fatti di sangue legati all’intolleranza religiosa e lei ha dichiarato con freddezza che servirebbe una corte islamica per tutti i reati che coinvolgono l’Islam».

In Italia?

«Esattamente. A pari di quello che succede in Inghilterra dove le ragazze fino alla terza generazione si trovano a essere giudicare da giudici islamici».

Come sono le sentenze?

«Permissive e maschiliste. La donna vale la metà. Quando ci sono maltrattamenti e violenze, i giudici chiamano il marito e gli consigliano solo di fare più attenzione. È una cosa aberrante. Anche nell’eredità la donna ha diritto a un quarto dei beni».

Lei è sorpresa per la richiesta di un tribunale speciale?

«No, sono molto preoccupata. Questi estremisti piano piano avanzano con le loro richieste e li invitiamo pure nelle trasmissioni. Quella donna ha fatto una precisa proposta con una freddezza e lucidità inquietante. Lo ha fatto apposta. Oggi è toccato a lei, domani lo farà qualcun altro. Diventerà un’abitudine e a molti sembrerà normale istituire corti islamiche anche in Italia».

Ma non pensa che siano solo delle provocazioni?

«No, sono degli esaltati che pensano di avere terreno fertile attorno. Ma devono vergognarsi. Non hanno capito niente dell’Islam. Non ci servono convertiti che ci vengano a insegnare la cultura arabo-islamica e come dobbiamo vestirci. Quella donna e tanti come lei sono caduti nella rete delle sette e possono rimanerci dentro a vita».

Avverte un radicamento delle posizioni estremiste islamiche qui da noi?

«Otto italiani ogni giorno diventano musulmani, si convertono soprattutto all’islam radicale, dove ci sono imam che fanno il lavaggio del cervello ai nuovi arrivati. Le donne che sposano i marocchini diventano degli zerbini, non riescono a pensare, si vestono come nel medioevo. Anche gli uomini italiani che sposano donne arabe finiscono per diventare degli estremisti».

In Italia chi gli dà spazio?

«Li asseconda la solita sinistra buonista. Povera Italia. Noi, in buona fede, parliamo di regolarizzazione, di cittadinanza, e questi vogliono creare delle corti che invece tolgono la libertà della persona. Vanno avanti con le loro richieste mentre noi arretriamo: non abbiamo neppure ottenuto l’abolizione del foulard che vediamo indossare persino alle bambine arabe».

A che punto è la proposta di abolizione del burqa?

«Sarà discussa questa settimana in commissione Affari costituzionali. Spero si eliminato perché rappresenta l'annullamento della persona». (Fonte: Informazione Corretta, 28/9)
A riguardo: Islam: Confederazione Marocchina, no all'integralismo Leggi tutto... .
E a proposito di Inghilterra: link .
Invece in Belgio: link e in Olanda: link .
E una macabra chicca dall'Egitto: link . Poi: link, link . E purtroppo in Giordania: link .
Cosa si può fare per evitare che certe proposte estremiste trovino spazio?

«Io proporrò un disegno di legge in cui venga sancito che una corte islamica in Italia non sarà mai costituita. Non sia mai che qualcuno venga convinto da questi personaggi a mettere in cantiere una cosa così aberrante!».

Ma le corti islamiche valgono anche per gli omicidi?

«Certo. E quella donna ha detto in modo freddo che gli islamici devono essere giudicati da altri islamici. Questi esaltati avanzano. E diventeranno un problema per la società italiana».

Uno scenario inquietante.

«Molti di questi signori che farneticano anche in tv vengono cacciati dal loro paese di origine perché sono filo estremisti e alcuni filoterroristi. Arrivano in Italia e sono accolti a braccia aperte. Qualche amministrazione locale gli offre perfino dei soldi in nome della solidarietà e delle banche li sovvenzionano. Come mai? Da dove arrivano certe ingenti somme di denaro? Io invito qualcuno a indagare su certe situazioni».
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martedì 29 settembre 2009

INTERVISTA A RANIA, UNA RAGAZZA EGIZIANA IN ITALIA

Racconta qualcosa di te… una breve introduzione, insomma.

Mi chiamo Rania, sono nata in Egitto, ad Alessandria. Sono venuta a Reggio Emilia quando avevo 5 anni. Mi sono laureata in lingue e letterature straniere, in particolare in lingua araba perché non la conoscevo nonostante fosse una lingua che parlavo e che tuttora parlo fluentemente; le differenze tra arabo classico e i vari dialetti parlati nei paesi sono davvero molto ampie; la cosa buffa, però, era che ad insegnarmelo era una professoressa italiana che aveva vissuto parte della sua vita in paesi arabi: praticamente il mio contrario. Non ricordo molto della mia infanzia in Egitto e dei miei primi anni qui in Italia: pochissime cose un po’ confuse, ricordi raccontatemi dai miei genitori.

Cosa ti piace dell’Italia che in Egitto non trovi?

Un tempo dell’Italia mi piaceva l’ordine: quello che vedevi per le strade, l’ordine delle persone e un certo ordine tra le faccende burocratiche…in Egitto tutto questo non c’era: le strade erano piene di mondezza e non parliamo poi della burocrazia…

Oggi le cose sono cambiate e dell’Italia non vedo più le stesse cose che vedevo da bambina: il clima nazionale e l’aria che si respira tra la gente è diventata davvero insopportabile. In Egitto invece le cose stanno migliorando e migliorano per fortuna molto rapidamente!
Cosa ti piace dell’Egitto che in Italia non trovi?


In Egitto le persone sorridono e lo fanno anche se non ti conoscono. Sono rimasti tanti valori quali il rispetto per chi è più grande e per i genitori. E’ bellissimo poi sentire parlare e discutere le persone senza che nessuno di loro dica mai una parolaccia o una volgarità. In Egitto penso che le persone sappiano cavarsela con quello che hanno, certo cercano sempre il meglio, ma hanno un forte spirito di adattamento. Noto anche una cosa molto bella tra i giovani, in particolare le ragazze: quando c’è un problema si va seriamente alla ricerca della soluzione, tutte insieme come si fosse una vera famiglia; in Italia i giovani pensano troppo spesso e per troppo tempo a restare giovani.

Ti sei mai sentita “straniera” in Italia o in Egitto?

Mi sono sentita straniera sia in Italia che in Egitto un sacco di volte; il fatto però è che non era un sentimento che provavo io da dentro…mi facevano sentire così le persone. Bastava una domanda di troppo o sguardi troppo curiosi. In Egitto mi chiedevano (e lo fanno tutt’ora) dell’Italia reputandomi più italiana che egiziana; in Italia invece sei la ragazza straniera, mussulmana, con il velo (peggio di così…); qualche signora tira a sé la borsetta se mi percepisce troppo vicina ad esempio sull’autobus piuttosto che alla fermata o in fila per la cassa; negli uffici burocratici ti rinfacciano sempre “i vostri nomi sono così strani per noi!!”. Peggio ancora quando qualcuno durante l’estate, con un caldo cocente ti guarda e ti dice: “ma non hai caldo con quella cosa sulla testa…ma fate così anche a casa vostra o solo qui in occidente?” Sono comunque consapevole che alcune volte è pura curiosità ma delle volte mi piacerebbe essere un puntino, giusto per essere una tra tante!

Credi che la religione sia un mezzo di divisione tra le diverse culture?

Beh, domanda difficile. Se devo essere sincera penso che chi propone la religione come discriminante o come strumento di divisione non ha capito proprio nulla di religione, di fede, di purezza ecc. Spesso le religioni si temono e le grandi potenze politiche, in particolare, ne fanno un uso distruttivo dimostrando ignoranza, regresso e in alcuni cattiveria. Ama il tuo prossimo come te stesso è riproposto come concetto basilare nelle maggiori religioni che conosca (ammetto comunque di avere ancora molti buchi da colmare ). Poi la cultura è un concetto talmente astratto e in continuo mutamento che è impossibile darne una definizione; la cultura è delle persone singole e ognuno si costruisce la propria, diversa da tutte le altre. La religione deve rimanere invece una cosa del tutto personale e intima, il fatto poi che qualcuno la professi portando il velo, piuttosto che la catena del crocefisso o la Kippà* è libertà personale. (Fonte: http://go2.wordpress.com/?id=725X1342&site=1000bolleblog.wordpress.com&url=http%3A%2F%2Fwww.ugei.it%2Fportale%2F , 5/9)

Vedere Porta a Porta, dal divano di Iman e Rai, Sbai (Pdl): Offesa per la linea intrapresa da Porta a Porta .

Intanto: In Palestina, donne e bambini al servizio dei terroristi : permalink .
Credi che le informazioni che i mass media diffondono a proposito della religione islamica siano sufficienti per dare un’idea agli spettatori? Se no, cosa vorresti dire?


Assolutamente no. I mass media non danno affatto informazioni sufficienti, piuttosto cercano di alimentare un senso di paura verso chi è diverso anche nella religione e nel proprio credo. Confrontando i vari canali in lingua italiana con quelli in lingua araba o inglese, devo dire che in Italia non si è affatto informati: nei tg passano i compleanni dei centenari, il gossip sul Berlusca, d’estate la quantità di incendi sulla penisola e d’inverno i danni provocati dal freddo… se ci si pensa un po’ è proprio questo che passano i media oggi. Figurarsi quindi della religione in generale e in particolare di quella islamica…vorrei poter dire che in fondo le cose in cui credono i mussulmani non sono tanto diverse da quelle in cui crede il cattolicesimo o l’ebraismo solo che “l’Occidente” (se così si può chiamare) ha fatto delle scelte di progresso ultra rapido dove la fede e il credo non esistono o meglio sono rari, altri paesi invece hanno deciso di perseverare e mantenersi seriamente attaccati alla fede. Si dovrebbe parlarne maggiormente, informare le persone e dare loro modo di pensare e di confrontare…anche se delle volte mi viene da pensare che le persone stanno bene così, guardandosi cose leggere in tv o leggendo una rivista gossip spaparazzati sul divano senza pensare a troppi problemi…

Siccome l’informazione è poca e si avvicina il Ramadan, vuoi farci capire bene di cosa si tratta?

Il Ramadan è un mese che tutta la comunità islamica aspetta di anno in anno. Questo è l’ anno 1430 dopo l’Hejira (Fuga di Muhammad da Mecca a Medina). E’ il mese in cui Dio ha fatto discendere dal cielo il Corano, testo sacro.
Ha un significato molto bello di purificazione fisica e dell’anima: non si deve mangiare né bere per una parte della giornata e questo aiuta a pulire l’organismo, inoltre non puoi fumare per cui se hai qualche tipo di dipendenza (sigarette, caffè, chewingum, ecc) hai davanti a te una grande sfida.
Durante il mese di Ramadan non si devono neanche fare cattivi pensieri e, in particolare in questo periodo dell’anno, bisogna concentrarsi molto nella lettura del testo sacro, nel fare opere di bene, nel pregare; tutto ciò rinvigorisce l’anima e la fede.
E’ chiaro che tutto questo non è semplice, in particolre quando arriva durante l’ estate: il caldo e l’ afa non aiutano di certo… però è una grande sfida nella quale Dio ti pone sia per dimostrare quanto si è devoti al Divino sia per provare, anche se per poco tempo, a calarsi nei panni di chi per tutto l’anno ha fame e sete e spesso non ha allternative. L’obiettivo è sollecitare l’altruismo, la pazienza, la ricerca della forza interiore, la tenacia e alla fine della giornata, la gioia di avercela fatta.
Chiaramente la ciclica dei mesi islamici fa riferimento al calendario lunare e non quello solare per cui i mesi dell’uno e dell’altro calendario non coincidono mai.
Il Ramadan per esempio arriva ogni anno, rispetto al calendario solare, 11 giorni prima dell’anno precedente. Esempio: Se nel 2009 Ramadan è iniziato il 22 Agosto, nel 2010 inizierà indicativamente l’11 Agosto e nel 2011 il 31 Luglio e così via…questo significa che per ben 11/12 anni Ramdan coinciderà con i mesi estivi dell’anno solare… Sembra difficile ma è più difficile scriverlo che capirlo.

In generale, cosa pensano i mussulmani del crocifisso nelle scuole e nei luoghi pubblici?

Non posso generalizzare ma se torniamo alle origini dei dettami religiosi, devo svelare che anche i mussulmani credono nell’esistenza di Gesù Cristo e del suo sacrificio per l’umanità, nella crocifissione e nel suo ritorno sulla terra. La differenza sta nel vederlo come profeta di Dio e non del figlio di Dio o Dio stesso… solo lì. Però vederlo non ci infastidisce affatto anzi ci ricorda di una grande persona che si è data all’umanità e della quale non bisogna vanificare i sacrifici. Se però volessimo pensare davvero alla laicità dello stato e della sua funzione pubblica allora non dovrebbe esserci nessuna icona religiosa, per rispettare le scelte che anche molti italiani fanno di credere o meno.

Che opinione hanno i gli Italiani degli Egiziani? Ci sono stereotipi o pregiudizi?

La prima cosa che gli italiani rispondono quando dico che di origine sono egiziana è: “Ah che bello l’Egitto, ci sono stato sai….” In quel momento sparisce il tuo essere lì davanti a lui/lei, sparisce il tuo vissuto, la tua esperienza migratoria e rimane solo il mito dei grandi faraoni d’Egitto con tutta la loro millenaria grandezza. Tu resti un granellino di sabbia. Devo dire però che si ha comunque una buona impressione degli egiziani, della cucina e della musica… per tutto questo un grande grazie ai nostri avi egizi ).

Che opinione hanno gli egiziani degli italiani? Ci sono stereotipi o pregiudizi?

Beh qui la cosa cambia un po’. Tanti amici sostengono che gli italiani sono poco acculturati, che sanno solo una lingua, che molti non usano affatto il computer (come negarlo!). Degli italiani non piace il fatto che ad oggi si stia vivendo del riflesso del mega boom economico che ha fatto balzare l’Italia tra i big mondiali. Si critica tanto la continua ricerca della felicità che ti fa perdere l’orientamento e non apprezzare le cose che hai sotto agli occhi, il poco rispetto che oggi i figli hanno per i genitori e per gli adulti in generale, poi sconvolge anche il poco rispetto nelle scuole.

Ci sono differenze tra l’idea della donna egiziana e quella italiana?

La gente vuole credere di sì perché è la strada più facile. In fondo la donna è sempre donna, le sue problematiche, le sue gioie, le sue paure sono date più o meno dagli stessi motivi in tutto il mondo. In Egitto la donna è più libera di quel che non si voglia credere, però ha anche mantenuto un forte legame con la figura che la natura le regala, cioè l’essere madre di famiglia. In Italia lo percepisco meno tanto che i ragazzi non si sposano più o peggio ancora (a mio personale avviso) non danno più alla luce il frutto del loro legame. E’ chiaro che generalizzare non è corretto ma sentendo anche tanti altri egiziani coetanei, l’idea di donna italiana che passa grazie ai media, non è di sicuro positiva, anzi l’idea che passa è che è una donna che è pronta a dare tutto per raggiungere il successo, la fama, i soldi. Io ho la fortuna di conoscere donne molto libere da una parte e molto con i piedi per terra dall’altra, per questo dico che le donne sono uguali in tutto il mondo.
Se della donna invece vogliamo parlare sotto il profilo religioso ti devo dire che nell’islam la donna ha i suoi diritti e le sue libertà di scelta sono assolutamente salvaguardati e tutelati, il problema sta nell’ignoranza di molti mussulmani che applicano erroneamente la fede senza conoscerla pensando che la donna sia solo un oggetto (mi viene in mente in particolare l’Afghanistan e il regime dei talebani piuttosto che in alcune zone rurali del mondo islamico.. ).

* Kippà: La kippà è il copricapo di diversa dimensione e foggia che gli ebrei osservanti indossano in ogni momento del giorno. Esso rappresenta il sentimento di rispetto verso colui che è in cielo, al di sopra. L’utilizzo di questo copricapo è comunque prescritto per ogni atto religioso e durante le preghiere. Storicamente, l’utilizzo del copricapo per gli uomini, non era un uso solamente ebraico. Si pensi ai vari tipi di cappello diffusi in molte civiltà e culture. Tra gli ebrei questa tradizione è rimasta forte e seguita fino ad oggi.
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lunedì 28 settembre 2009

DONNE E ISLAM: AUTOEMANCIPAZIONE O AIUTO ESTERNO?


Diciamolo chiaramente: il ruolo della donna nell’Islam è un problema, nel senso che i musulmani tendono a non riconoscere la parità dei diritti. Tuttavia, le realtà sono molto variegate: in alcuni Paesi le donne sono abbastanza libere, lavorano, hanno una certa indipendenza e non sono costrette a portare il velo integrale, in altri invece sono segregate e costrette a portare il burqa. La questione delle donne islamiche in Italia è tornata recentemente alla ribalta sia per l’omicidio della ragazza di Pordenone, sia per l’episodio che ha visto protagonista Daniela Santanchè domenica a Milano. Non intendo qui riaprire la polemica sulle intenzioni del leader del movimento per l’Italia, se n’è già parlato abbastanza, ma soffermarmi su un altro aspetto. Secondo la Santanché, tocca a noi europei combattere una battaglia per liberare le donne islamiche dalla sottomissione a cui sono sottoposte dai clan maschili. Invoca “una Carta che tuteli i diritti delle islamiche e sancisca il rispetto dei nostri valori” e sostiene che le donne islamiche che vivono in Italia sono talmente terrorizzate da non aver il coraggio di ribellarsi; dunque “dobbiamo farlo noi per loro. Un giorno ci ringrazieranno“. Sia chiaro: la situazione di molte musulmane, soprattutto arabe o pakistane, è davvero angosciante. In passato ne ho incontrate alcune e il quadro che emerge è sconfortante, tuttavia è difficile capire, in mancanza di analisi sociologiche certe, quante siano davvero costrette a vivere nella sottomissione. Infatti, esistono casi di donne musulmane che in Italia sono quasi emancipate, con famiglie integrate, che pur rispettando i precetti dell’Islam non rifiuta la modernità, nè lo stile di vita occidentale. Inoltre, c’è chi pensa che proprio il contatto con la nostra società finirà, nel corso degli anni, per rompere le resistenze e le tradizioni. Daniela Santanchè pensa invece che il problema sia grave, esteso e che possa essere risolto solo se l’Occidente imporrà le proprie regole lanciando “una battaglia per la civiltà“, non per cacciare tutti i musulmani, ma per aiutare le donne islamiche a vivere una vita degna; dunque con finalità che potrebbero essere condivise addirittura dalla sinistra. (Fonte: "Legno Storto", da Kritikon, 22/9)
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L'IMAM DI PADOVA: "IL BURQA? UN'OSTACOLO ALL'INTEGRAZIONE"

«Usare il burqa non fa parte delle prescrizioni della religione musulmana, anzi può danneggiare il processo di integrazione nella società occidentale e provocare problemi anche dal punto di vista della sicurezza». Parole chiare quelle di Issa, imam riconosciuto dalle scuole islamiche da cinque anni e guida spirituale della moschea di Pontevigodarzere (Padova). Dichiarazioni che, in seguito all’aggressione a Daniela Santanchè, leader del Movimento per l’Italia, e soprattutto dopo le ordinanze anti-burqa firmate da alcuni sindaci, appoggiano l’esigenza di una legge chiara e specifica sul tema.
Nei giorni scorsi il dibattito sul burqa si è acceso. A Montegrotto Terme (Padova), il sindaco Luca Claudio ha dato mandato alla polizia locale di identificare chi non fosse riconoscibile. A Fermignano (Pesaro-Urbino), invece, il sindaco leghista Giorgio Cancellieri ha firmato un’ordinanza che vieta di entrare in edifici pubblici con indosso qualsiasi copricapo, anche a carattere religioso, che renda difficile il riconoscimento. Un provvedimento che ha colpito una cittadina marocchina di 20 anni, l’unica nel comune a indossare il velo integrale. O quantomeno l’unica a uscire di casa. Il Viminale ha bocciato l’ordinanza ma il primo cittadino ha già dato disposizione alle forze dell’ordine di richiedere le generalità di ogni donna che indossi il velo integrale in pubblico.
Manca dunque una precisa regolamentazione sul tema specifico. E a tentare di colmare questa lacuna ci ha pensato la deputata del Pdl Souad Sbai che ha presentato una proposta di legge che estende il divieto di usare indumenti che impediscano il riconoscimento della persona in luoghi pubblici anche al burqa e al niqab. (Fonte: Arabiyya )
L’iter del provvedimento, approdato ieri in commissione Affari costituzionali alla Camera, inizierà il prossimo 1° ottobre e prevede la modifica della legge del 22 maggio 1975 sull’ordine pubblico. Si tratta di un solo articolo che, se venisse approvato, sancirebbe l’arresto da uno a due anni e l’ammenda da mille a duemila euro per i trasgressori.
«Indossare indumenti come il burqa e il niqab - scrive la deputata di origine marocchina nella relazione che accompagna la proposta di legge - non ha nulla a che vedere con la cultura della maggioranza delle donne immigrate che vivono in Italia, ma costituisce un obbligo imposto alle donne da estremisti che vengono dall’Afghanistan, dal Pakistan e da altri paesi dove prevalgono la cultura estremista e il retaggio di costumi disumani e violenze familiari inaudite». Una legge appoggiata, come detto, anche da un rappresentante della comunità islamica come Issa, il quale ha però tenuto a precisare la differenza che intercorre tra il burqa e il velo islamico. «Mentre il burqa non è un obbligo religioso, il velo sì.
L’hijab che lascia il viso scoperto - ha dichiarato Issa- è indossato dalle donne e quelle che non lo portano è come se perdessero una parte della loro fede». È ancora presto per prevedere ciò che succederà. Tuttavia, dopo i recenti avvenimenti, appare chiara la necessità di una precisa regolamentazione sul tema.
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BERGAMO: MAROCCHINO FERITO DIFENDE RAGAZZA, DENUNCIATO PERCHE' IRREGOLARE

Un marocchino di 14 anni è stato ferito con una coltellata alla schiena, dopo una lite per i troppi complimenti rivolti da un giovane alla ragazzina italiana che passeggiava con lui. Il marocchino è stato giudicato guaribile in pochi giorni, ma poi dovrà vedersela con la giustizia. I carabinieri lo hanno infatti denunciato in stato di libertà perché irregolare sul territorio italiano. L'aggressore, probabilmente un connazionale, è scappato. E' successo la notte scorsa intorno all'una e mezza in via Foro Boario, nei pressi di un bar. Il ragazzo marocchino stava passeggiando mano nella mano con una coetanea italiana, quando si è avvicinato un altro giovane, probabilmente già maggiorenne ed extracomunitario, che ha cominciato a rivolgere complimenti sempre più pesanti alla ragazzina. Il marocchino quattordicenne lo ha invitato ad andarsene, ma poi è scoppiata una lite. Il ragazzino e la sua compagna hanno cercato di andarsene, ma a quel punto il più grande ha tirato fuori un coltello e ha colpito il quattordicenne alla schiena. (Fonte: http://www.unionesarda.ilsole24ore.com , 27/9)
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domenica 27 settembre 2009

LE ALTRE SANAA SALVATE DAL PADRE PADRONE

Tragedie evitate. Una è stata frustata perchè usciva con le amiche, un'altra scriveva poesie d'amore... . Storie di giovani musulmane di casa nostra. Che hanno avuto il coraggio di denunciare i genitori aguzzini.

Sono state picchiate, umiliate, segregate in casa. Costrette a pregare un dio che non riconoscono. Punite con violenza fisica e psicologica solo per aver desiderato di innamorarsi di un compagno di classe, di indossare jeans aderenti e persino di andare al cinema. Di essere, in poche parole, come le loro coetanee italiane.
C'è un fenomeno in vertiginosa crescita che i tribunali dei minorenni, soprattutto quelli del Nord Italia, si sono trovati ad affrontare negli ultimi cinque anni. Sono i casi di adolescenti islamiche nate o cresciute in Italia che, dopo essere state educate per anni dai familiari a vivere sotto i più rigidi principi del Corano, hanno deciso di ribellarsi, di emanciparsi. Quasi sempre, prima di farlo, hanno dovuto subire anni di pestaggi, ricatti e umiliazioni.
E così le loro storie fatte di lacrime e sangue sono finite sui tavoli dei commissariati e delle procure. Hanno portato a indagine e arresti. Ma per queste ragazze il giorno della denuncia ha segnato l'inizio di una nuova vita.

FATIMA S., 17 ANNI, MAROCCHINA

Fatima S., 17 anni, nata in Marocco ma cresciuta a Milano, e stata frustata con una cinghia di cuoio solo perchè voleva vestirsi alla moda e andare a mangiare la pizza con le amiche. Il 20 giugno, dopo l'ennesimo pestaggio da parte del padre e dei due fratelli, è finita in ospedale. Era svenuta, stremata dal dolore. La sua colpa è stata quella di uscire a cena con le compagne di classe, per festeggiare il giorno del suo compleanno.
Prima ha mentito, raccontando ai medici di essersi fatta male in casa. Poi, davanti alle infermiere che le medicava le ferite alle gambe e alla schiena provocate dalla cinghia di cuoio, ha trovato il coraggio di raccontare la verità: "I miei familiari mi riempiono di botte e mi rinchiudono in camera dal letto per punirmi perchè voglio uscire con le mie amiche. Hanno paura che possa innamorarmi di un italiano".
La procura ha aperto un'inchiesta. E la sua famiglia intera (padre, madre e i due fratelli) è al centro di indagini in corso. Fatima oggi non vive più con loro: è stata affidata a una comunità.

SALIMA B., 16 ANNI, BENGALESE

Il sogno di Salima, 16 anni, bengalese, era diventare attrice. Per questo si era iscritta di nascosto a un corso di arte drammatica. Quando i suoi genitori lo hanno scoperto, l'hanno picchiata e le hanno impedito di uscire per tre mesi. Ogni volta che si rifiutava di pregare Allah erano botte e insulti. (Fonte: "Panorama", prossimo 1 ottobre)

Oggi a "Buona Domenica", Daniela Santanchè ha denunciato TRENTASETTE CASI di donne musulmane uccise nel nostro Paese nel periodo tra Hina e Sanaa, ovvero nei tre anni dal 2006 al 2009.

"Il velo strappato". Nella prima puntata di TV7, integralmente riportata qui, anche un servizio sulle violenze che hanno dovuto subito ragazze e donne musulmane in Italia: http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-5ca0929f-a76e-46a3-b3a5-f743d1b11c55.html .

E Aiutiamo la mamma di Sanaa a dire senza reticenze: "Mio marito è ... .

Sanaa, trovata l'arma del delitto - cronaca -Tgcom - pagina 1 .

Picchia moglie e figlia e le minaccia di morte In carcere pakistano, ma anche Il buio delle donne maltrattate .
Un giorno sua madre ha trovato un quaderno in cui Salima aveva scritto alcune poesie e canzoni d'amore. Anche allora "la sfrontatezza" è stata punita con calci e pugni in viso.

Infine sono arrivate le minacce, sempre più pressanti: "Ti manderemo in Bangladesh e ti faremo sposare un uomo anziano". Il 30 maggio di un anno fa Salima ha trovato il coraggio di confidarsi con l'insegnante di italiano. Lo ha fatto attraverso alcune e-mail in cui spiegava, passo dopo passo, l'atmosfera di terrore in cui era costretta a vivere. Ed è stata la sua professoressa a convincerla a denunciare tutto alla polizia. Ora i suoi genitori, rinviati a giudizio con l'accusa di maltrattamenti, finiranno sotto processo. Di Salima si prendono cura i servizi sociali del Comune di Milano. Continua a studiare recitazione ed è determinata a realizzare il suo sogno.

THERAA ED EMRANA G., SORELLE DI 15 E 17 ANNI, PACHISTANE

Violentate dal padre, picchiate e minacciate di morte perchè volevano vivere all'occidentale e rifiutavano di sottomettersi a un matrimonio islamico combinato. Theraa ed Emrana, sorelle pachistane di 15 e 17 anni, sono riuscite a scampare a una vita di violenze e ricatti grazie all'aiuto delle compagne di classe, che le hanno convinte a raccontare tutto a una suora, la direttrice dell'istituto scolastico di Magnago (Milano) che le due sorelle frequentavano da quando si erano trasferite in Italia.
Non volevano accettare i progetti che il padre, un autotrasportatore di 57 anni, aveva per loro: un matrimonio combinato con due lontani cugini musulmani, che si sarebbe celebrato in Pakistan non appena le due sorelle avessero finito l'anno scolastico.
Ma c'è di più: Theraa ed Emrana, per anni, avevano dovuto subire gli abusi sessuali da parte del padre, che pensava così di sottometterle e di annientare la loro voglia di indipendenza. Dopo la denuncia di Theraa, il 22 marzo 2007, il padre è stato condannato a nove anni di carcere con l'accusa di violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia. Una volta scontata la pena dovrà lasciare l'Italia.

NAIMA C., 17 ANNI, MAROCCHINA

Naima ha 17 anni ed è cittadina italiana. I suoi genitori vengono da Rabat, Marocco, e si sono trasferiti a Brescello, in provincia di Reggio Emilia, quasi vent'anni fa. Il 9 maggio del 2008 i carabinieri l'hanno trovata mentre vagava per strada in stato confusionale, con un occhio nero e i volto tumefatto. Naima era stata punita per essersi rifiutata di portare il velo islamico. "Le tue sorelle lo indossano" le dicevano i genitori "e devi farlo anche tu".
Ma l'altro più grande era stato quando Naima, un anno prima, era scappata di casa con un ragazzo italiano di cui si era innamorata. Una scelta imperdonabile per suo padre, che l'ha sottoposta a violente punizioni corporali.
E'stato un insegnante il primo ad accorgersi che la ragazza andava a scuola piena di lividi sul collo, e a segnalare il caso ai carabinieri e poi alla procura dei minorenni di Bologna. Ma anche dopo l'ennesimo episodio di violenza, quello del 9 maggio di un anno fa, il padre della ragazza ha negato tutto: "Si è fatta male da sola".
Una tesi sostenuta pure dalle sorelle e dalla madre della ragazza, che malgrado i lunghi anni di permanenza a Reggio Emilia ancora non parlano bene l'italiano. Il referto del pronto soccorso ha smentito la loro versione e il padre della ragazza, che lavora come macellaio è stato denunciato. Anche Naima è stata affidata ai servizi sociali. Ora vive in una casa protetta.
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sabato 26 settembre 2009

IN ITALIA CENTINAIA DI BAMBINE SONO VITTIME DELL' INFIBULAZIONE


LA RICERCA. NEL NOSTRO PAESE VIVONO 35 MILA DONNE CHE HANNO SUBITO L'INTERVENTO. OLTRE MILLE HANNO MENO DI 17 ANNI. LA LOMBARDIA IN TESTA TRA LE REGIONI.

Immigrate e mutilazioni femminili. Carfagna: «Basta barbarie» .

ROMA - Non è stato un sondaggio standard. Perché per far dire ad una donna «si è vero, ho subito mutilazioni ai genitali», non bastava certo un esperto di statistica. C' è voluta un' équipe, per ogni donna: psicologi, medici, mediatori culturali, esponenti di associazioni femminili. Ed ecco un numero, alla fine. Il primo ufficiale nel nostro Paese: in Italia vivono 110 mila donne provenienti da paesi dove si praticano le mutilazioni ai genitali e tra queste quelle che i genitali li hanno effettivamente mutilati sono 35 mila. Almeno. Almeno è d' obbligo: all' Istituto Piepoli sono convinti che fin troppe donne abbiano mentito ai sondaggisti. Che questo numero sia soltanto una stima approssimata per difetto. Come del resto l' altro numero: 1.100 di queste donne hanno meno di 17 anni. Bambine, cioè. Ovvero le principali vittime di questa barbarie. Che è destinata ad aumentare, proprio dentro il nostro Paese. C' è un numero dell' Istituto Piepoli, infatti, che più di tutti gela il sangue a leggerlo: sono almeno qualche centinaio l' anno le bambine alle quali vengono mutilati i genitali, in qualche posto del nostro Paese. È illegale oltre che tremendo. Mara Carfagna, ministro per le Pari Opportunità, ne è consapevole: «Vogliamo fermare questa deriva barbara. Per questo stiamo approntando un piano: oltre alla ricostituzione di una commissione di studio per la prevenzione e il contrasto, vogliamo prevedere il finanziamento di progetti di assistenza ai genitori di bambine immigrate che frequentano le scuole». È stato proprio il ministero delle Pari Opportunità a finanziare questo studio dell' Istituto Piepoli, il primo che al di là di stime generiche è andato a prendere ad una ad una le donne che arrivano dai Paesi dove vengono praticate le mutilazioni ai genitali femminili. Ovvero: l' escissione della clitoride, se non addirittura l' infibulazione. Pratiche che soltanto a nominarle vengono i brividi. In tanti paesi (26 soltanto quelli africani) li praticano per lo più alle bambine piccole. Ma anche alle donne che hanno appena partorito o che si sono appena sposate. Parliamo di Paesi come Egitto, Eritrea, Gibuti, Guinea, India, Mali, Sierra Leone, Iraq, Malesia, Israele, Etiopia, Mauritania. Per citarne qualcuno. Questi sono i Paesi che hanno attraversato le nostre frontiere ed hanno portato qui da noi queste abitudini. La regione dove ci sono più donne con i genitali mutilati è la Lombardia: il 35% del totale. (Fonte: Corriere della Sera )


E da Lisistrata : Figlie di un dio minore? NO ! figlie di padri di merda di società di merda Permalink, L’INGHILTERRA STA DIVENTANDO UNO STATO TERRORISTA Permalink, IMMIGRATI BRAVA GENTE: COLPI DI MANNAIA ALLA FIDANZATA Permalink (si tratta di cinesi ndr), HAMAS IMPONE IL VELO ANCHE ALLE RAGAZZE CRISTIANE Permalink . E ricordiamo: Belgio: Claudia è stata uccisa perché rifiutava di portare il velo Permalink .
Ovviamente è la regione dove vivono più donne provenienti dai Paesi che hanno questa tradizione: sono circa 14 mila su quasi 40 mila che ci abitano. Segue il Veneto (14%): 4 mila e 600 mutilate su oltre 15 mila. Poi l' Emilia Romagna (13%, ovvero 4 mila 245 su oltre 14 mila) e il Lazio (10%, ovvero quasi 4 mila su oltre 11 mila). Ultimi il Piemonte (8%, ovvero 2 mila e 600 su oltre 8 mila e 600) e la Toscana (5%, ovvero oltre millecinquecento su 5 mila). In tutte le altre regioni d' Italia se ne contano poco più di 4 mila su quasi 16 mila 500 (ovvero il 15% del totale). «Abbiamo voluto commissionare questo studio perché in Italia sino ad oggi non c' era un' idea chiara delle dimensioni e della rilevanza di questo fenomeno», spiega il ministro Carfagna. Poi commenta: «La verità è che questi risultati sono decisamente superiori alle attese che avevamo. Vuol dire che attraverso l' immigrazione questa pratica barbara e inaccettabile è arrivata fin dentro i nostri quartieri». Dentro i nostri quartieri ci sono arrivate che avevano già subito la barbara mutilazione? Oppure è proprio nel nostro Paese che si sono fatte operare? All' Istituto Piepoli sono convinti che molte tra le intervistate che hanno negato un' operazione in Italia possano aver mentito. Per tradizione, infatti, le mutilazioni genitali vengono praticate su soggetti molto giovani, in media che non abbiano compiuto i 15 anni, preferibilmente però bambine piccoline. Da qui i dubbi: così piccoline sono tornate nel loro paese soltanto per farsi praticare l' infibulazione?
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POLIGAMIA A MILANO? CI SONO DECINE DI CASI E IO ARABA LI DENUNCIO

La poligamia è una realtà ben presente a Milano. Lo ha denunciato ieri la presidente dell’Associazione delle donne arabe in Italia, Dounia Ettaib: «Solo alla mia associazione sono arrivate richieste di aiuto di 15 donne - ha spiegato a margine dell’audizione in commissione Affari sociali - e questo può dare l’idea del fenomeno». «A Milano credo che si arrivi a decine di casi, forse centinaia. Noi ne stiamo seguendo solo una piccolissima parte».

Matrimoni fuori dalla legge, ovviamente clandestini, ma di fatto praticati, e celebrati - secondo la giovane donna di origini marocchine, da molti anni in Italia - nelle «moschee» della città, sebbene per l’Islam il matrimonio non sia un sacramento, ma un semplice contratto fra due persone. La celebrazione di matrimoni islamici monogamici è un fenomeno che i dirigenti delle moschee milanesi ammettono apertamente.
L’imam di Segrate, Ali Shwaima, in passato non ha avuto alcuna difficoltà a riconoscere che nel suo centro sono decine i casi in un anno. Lo stesso Abdullah Tchina, ora imam a Cascina Gobba. Entrambi, come il «collega» di viale Jenner Abu Imad, assicurano che normalmente invitano le coppie a registrare la loro unione in Comune. E garantiscono che, prima di celebrare, verificano anche la libertà dei coniugi da precedenti vincoli matrimoniali. (Fonte: Arabiyya )
Verso la legge che vieta il burqa anche in Italia? Ma Bonino sottolinea: in Italia la legge è chiara Leggi tutto... .
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venerdì 25 settembre 2009

"NON DIMENTICARE LE TUE ORIGINI. NOI MUSULMANE CRESCIUTE IN ITALIA E QUELL'OSSESSIONE DEI NOSTRI PADRI" di Karima Moual

Io come moltissime ragazze musulmane di seconda generazione nate o cresciute in Italia, siamo qui, non per una libera scelta, ma per un destino che i nostri genitori scelsero anche al posto nostro, per migliorare la loro vita e il nostro futuro. Lasciando il loro paese di origine, i loro affetti e tradizioni, per dare inizio ad una nuovo e luminoso cammino, in un paese lontano e diverso, un paese occidentale.
Questo era il loro desiderio e da quando arrivai in Italia all’età di nove anni quello era diventato a mio modo anche il mio: un’esperienza del tutto nuova, una vita migliore, lo studio, il divertimento e i nuovi amici italiani con cui imparare nuovi giochi e una nuova lingua. fin qui Tutto ok. Siamo bambine e l’infanzia è intoccabile.
Le bambine però crescono. E per la prima volta il genitore si trova di fronte ad una nuova creatura, così diversa da quella che si prospettava, diversa dalla madre e dalla moglie, così lontana dalle tradizioni e dalla cultura di origine, diversa da lui. E questo è un grande dispiacere e sofferenza, lui che in tutti gli anni precedenti insieme alla madre hanno cercato in tutti i modi, di sottolineare i valori della famiglia e la sua unità, le differenze culturali e religiose per non dimenticare le origini e portarle avanti con fierezza. Lui adesso aveva perso qualcosa, aveva perso se stesso e la colpa era della nuova creatura.
Quelle differenze culturali e religiose io potevo benissimo portarle avanti perché facevano parte di me, ma inconsciamente acquisivo giorno per giorno, anno dopo anno anche quelle nuove, quelle italiane, quelle che ormai facevano parte di me come musulmana e italiana, quelle che ai suoi occhi mi rendevano quasi un’estranea, nella quale non si riconosceva.
“Raki daimen muslima u-maghribiyya ( sei sempre musulmana e marocchina), queste sono le tue origini, non lo devi dimenticare, ed è per questo che non puoi frequentare i ragazzi italiani che non sono musulmani”- è questa la frase che la maggior parte delle ragazze musulmane marocchine si sentono dire, come fosse un ammonimento per metterle in guardia in età dell’adolescenza sulle loro scelte future.
Frase confessata da molte amiche, con un sorriso amaro, di chi di fronte non ha altre alternative. E’ una frase che si sa, si conosce bene. E’ una frase con la quale probabilmente anche il padre di Sanaa deve aver usato per convincerla a rinunciare alla sua scelta di frequentare un ragazzo più grande, non musulmano ma italiano, e cattolico.
Ma il ragazzo italiano in realtà non è il vero problema è solo il fine. Più in profondità c’è la malattia sociale di un conflitto generazionale intra-etnico che trova il suo sfogo più violento sulle ragazze, più che sui ragazzi, proprio perché queste sono coloro che portano tradizionalmente la bandiera della propria cultura attraverso simboli e usanze a volte misogine.
E allora c’è chi come Hina e Sanaa, ma anche come tante altre ragazze musulmane, cresciute o nate in Italia pensano di essere libere, emancipate, protette, e che possono fare le loro scelte alla luce del sole, magari portando una minigonna senza nascondersi, o frequentando il proprio ragazzo italiano, anche se ci si trova ad abitare in un paese piccolo dove c’è la tua famiglia, la comunità di origine, dove la tua comunità ti può giudicare e tuo padre può sentirsi disonorato, ma coraggiosamente affrontano a testa alta le loro scelte, anche pagandole con la propria vita.
Ma ci sono anche coloro, che più deboli si nascondo, si sottomettono ad un destino già prescritto per il bene della famiglia e della comunità. Ci si accontenta quindi, di sposare il cugino in Marocco o l’amico di Famiglia, ci si fidano di ciò che la famiglia consiglia per il proprio bene perché il legame con la famiglia è quasi sacro intoccabile per una donna araba e tradirlo per una donna può significare l’esilio. E questo mi ricorda la storia di Fatima, 33 anni, una ragazza bella ma timida, arrivata in Italia con il ricongiungimento famigliare all’età di 13 anni. Fatima non riuscì ad integrarsi pienamente con i compagni. Il posto lo trovò nella protezione della propria famiglia. Ma per tale forte legame la personalità d Fatima è stata totalmente annullata. (Fonte: Associazione Genemaghrebina, da "Il Sole 24 Ore", 17/09/09 )


Poi: Malaysia e Malesia, orgia per 48 ore: arrestati. Effetto Lubna: il mufti egiziano dà l'ok alle donne coi pantaloni ... . Afghanistan: milioni di elettrici "fantasma" .
La ragazza non è più riuscita a scegliere per se quello che realmente desiderava per paura di rimanere sola. E alla fine, seguendo il consiglio del padre, ha sposato un cugino in Marocco. Due generazioni a confronto e in conflitto, è questo il problema che la comunità immigrata marocchina musulmana sta vivendo, a discapito del più debole, la donna. È una delle comunità più numerose, che si è insediata più in fretta del previsto, una comunità fatta quindi di intere famiglie con figli nati o cresciuti oramai da anni in Italia. Ma all’interno di questa comunità, tra amici e parenti si parla di questo conflitto, si cerca di affrontarlo, pur non riuscendo ancora ad accettare che le nuove generazioni sono anche italiane, vivono con italiani e pensano anche come gli italiani.
E’ emblematico il racconto di una ragazzina di 14 anni che mi raccontò di aver affrontato suo padre sulla scelta del futuro fidanzato chiedendogli: papà come posso trovare un ragazzo musulmano marocchino se nella mia scuola non ce n’é nemmeno uno e nella nostra città per di più non ce n’é nemmeno uno che mi piaccia? Come posso innamorarmi se so già con chi per forza mi devo innamorare? Questa è una domanda che deve far riflettere sul disagio con cui si trovano a convivere molte ragazze musulmane, che subiscono continuamente violenze psicologiche sulle loro scelte, solo perché si trovano a vivere in un paese occidentale che i loro stesse non hanno scelto per sè.
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L' ISLAM E SANAA, PARLANO 4 PADRI: "MAI CON UN ITALIANO". "NO, LIBERE"

L' INCHIESTA. LA TRAGEDIA DI PORDENONE VISTA DAGLI UOMINI MUSULMANI. UNA CERTEZZA: IL CORANO E I DUBBI SULL' EDUCAZIONE DELLE FIGLIE.

Ahmed Taqwi Marocco. Se mia figlia esce con un ragazzo italiano e si innamora di lui è colpa mia, perché so che alla fine lei starà male Mamadou Diop Senegal Quella tragedia è solo cronaca. Ho paura per le mie figlie, molte cose dell' Italia non mi piacciono. Al tavolo i genitori della prima generazione: l' integrazione ci fa paura. Magdy El Meligi Egitto. C' è la legge del Corano, la convivenza è peccato. Sarebbe un disonore per la famiglia d' origine. Bandaogo Seni Burkina Faso. Io ho fatto la mia vita, mia figlia farà la sua Lei è nata in Italia, giusto che segua le regole di questo Paese.

REGGIO EMILIA - Quattro padri, intorno ad un tavolo. Ahmed, Magdy, Bandaogo, Mamadou. In Italia hanno trovato lavoro, una famiglia. Oggi sono in una sala del centro interculturale Mondinsieme, una bella realtà che raccoglie più di 60 associazioni di immigrati. A parlare di figli, dei loro figli. Nati e cresciuti qui, nell' abbondanza di Reggio Emilia, la più piccola tra le prime dieci città del nostro Paese per densità di cittadini stranieri. Vederli crescere in un mondo «straniero» che li attira ma può anche respingere, sentirli sempre più diversi da se stessi fin quasi a non riconoscerli più: nelle loro parole c' è questo e altro ancora. Sulla tragedia di Sanaa, la vera ragione di questo piccolo Forum, dopo la scontata e condivisa condanna dell' omicidio emerge l' esistenza di un problema vero, declinato in modi diversi. Abbiamo scelto di farli parlare, senza chiose. Per guardare alla tragedia di Pordenone e alle questioni che essa pone da un altro, fondamentale punto di vista. Ecco cosa ci hanno detto. «Peccato mortale» Ahmed Tahqwi, 56 anni. Nato a Casablanca, Marocco. È arrivato in Italia nel 1987. Fino a poco tempo fa ha gestito una rosticceria. Adesso è disoccupato. La moglie, Mina, lavora in una cooperativa di pulizie. Due figli, Wallid e Hajar, maschio e femmina, di 15 e 9 anni. «Se mia figlia esce, conosce un ragazzo italiano e si innamora, la colpa è mia. Anche perché so bene che alla fine, sarà lei a stare male. Tra noi e voi la tradizione, i comportamenti, sono diversi. Per gli italiani è difficile rispettare la nostra cultura. Lo dimostra anche la storia di Sanaa. Il fidanzato avrebbe dovuto chiedere il permesso al padre, alla famiglia. Non lo ha fatto. Ha portato quella ragazza a convivere senza essere sposata, che è peccato mortale». «Io non accetterei mai un legame del genere. Potrei farlo solo se il fidanzato di mia figlia diventasse musulmano, facendo sue le nostre tradizioni. Siamo diversi, inutile fingere che non sia così. A voi non piace il nostro modo di mangiare, con le mani. E io non vorrei mai una moglie che non indossa la jallaba e non sia in grado di cucinarmi il tajin. Ci sono cose che non mi piacciono della vostra società, anche se ci devo vivere. Vedo i vostri ragazzi con la sigaretta in mano, che bevono birra per strada. Io voglio che mi figlia sia vestita bene, alla nostra maniera. Con il velo, certo. Lo dice il Corano. Non voglio che vada in giro mezza nuda come le sue coetanee italiane, che è una cosa schifosa. Chi lo dice che dobbiamo per forza adattarci al vostro stile di vita? I francesi, quando sono arrivati in Marocco, hanno costruito chiese, giravano bevendo vino. I miei figli devono diventare degli ottimi musulmani, capaci di seguire solo il Corano, senza cedere alle tentazioni che gli stanno intorno. E io farò di tutto per aiutarli». «Il Corano si rispetta» Magdy El Meligy, 53 anni, nato ad Alessandria d' Egitto, artigiano. In Italia dal 1979. Si è sposato con Enrica, italiana, casalinga, rimasta cristiana. Hanno 5 figlie. La più grande, Giovanna, ha 21 anni e studia ingegneria civile. La più piccola, Ranja, ne ha due. «Il problema va affrontato prima del matrimonio, come ho fatto io. C' è la legge del Corano da rispettare: i miei figli devono diventare musulmani. In Europa c' è libertà di scelta anche in campo religioso. Per noi non è così, bisogna metterlo in chiaro. Abbiamo delle regole che non possiamo modificare, altrimenti diventiamo peccatori». «Quella ragazza, Sanaa, ha infranto la legge del Corano. La convivenza è peccato. Normale che un padre non accetti una cosa del genere. la legge del Corano. Questione di rispetto: Sanaa ha avuto un comportamento sbagliato verso il Corano e i genitori. Lei non avrebbe mai potuto cambiare religione: sarebbe stato uno disonore per la sua famiglia, come quel Magdi Allam. (Fonte: Corriere della Sera, 22/9)

E ancora: Islam in Italia: «Ha sbagliato Sanaa» , http://tv.repubblica.it/copertina/sanaa-padri-divisi-nella-comunit%C3%A0-marocchina/37022? e http://tv.repubblica.it/copertina/sanaa-padri-divisi-nella-comunit%C3%A0-marocchina/37023? . Puntata di "Porta a Porta": http://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.rai.tv%2Fdl%2FRaiTV%2Fprogrammi%2Fmedia%2FContentItem-29fcfbc1-0654-4ffb-a942-d1935e2be56d.html&h=9881c90e6701bd7f4d6721cd6dd94db4 . Sanaa, l´amica accusa "A casa era un inferno per questo scappò ... .

Poi: Convertiti, Islam in Europa . Convertiti link, Inghilterra: Due cristiani proprietari di un hotel trascinati in tribunale per avere difeso le loro opinioni di fronte ad una cliente musulmana. link, Iran: La polizia esige che i manichini in vetrina portino il hijab link , "Il burqa che indossa mi fa paura via quella donna dal supermarket" link, http://archiviostorico.corriere.it/2009/settembre/23/Iran_bandisce_jeans_con_nome_co_9_090923029.shtml
Arabia Saudita: "Signora, lei non è una donna", ospedale rifiuta parto cesareo permalink, Donne in India: jeans vietati, provocazioni, libri e riviste ... . Infine: #2232 - Liberal Egyptian Author and Al-Azhar Scholar Debate Sex Education in Arab Schools (lo "studioso di Al-Azhar aveva accusato di apostasia Wafa Sultan in tv, ndr).
Non importa se la legge del vostro Paese lo consente. Per noi è peccato. Le mie figlie non mettono il velo, non ancora. Ma sanno che mi piacerebbe. A parte la più piccola, fanno già il Ramadan, dall' età di dieci anni. Non si può avere tutto in una volta. Nell' educare ci vuole pazienza». «Sì alle vostre regole» Bandaogo Seni, 48 anni, in Italia dal 1991. Del Burkina Faso. Metalmeccanico a Scandiano. Sposato, una figlia di 14 anni, Farihda. «Il nostro Islam è diverso da quello di altri Paesi, forse perché da sempre conviviamo con cattolici e animisti. Le preghiere sono uguali, i comportamenti no. Io non voglio impedire che mia figlia cresca all' occidentale, altrimenti non sarei venuto fin qui. Ho scelto la mia vita, lei farà lo stesso con la sua. Vado spesso in moschea, lei quasi mai. Non per questo mi reputo un cattivo musulmano. Non voglio costringerla. È nata qui, deve accettare le regole di questo Paese, sfruttare le occasioni che trova sulla sua strada». «Solo cronaca» Mamadou Diop, 55 anni, è in Italia dal 1989. Senegalese, lavora in una fabbrica di barattoli a Campegine. Sposato, sette figli. «Leopold Sedar Senghor, il primo presidente del Senegal, sulla divisa portava uno stemma con la scritta "radicamento e apertura": noi siamo cresciuti così. Per i nostri ragazzi è più difficile, soprattutto la prima parte». «La tragedia di Sanaa è un semplice fatto di cronaca. Non significa niente. Razzismo e religione non c' entrano, anche se lei teneva comportamenti inimmaginabili per la cultura islamica. Comunque, niente di diverso da quello che accade in tante famiglie italiane, tutto questo scalpore è solo una forma di razzismo. Come padre, ho paura per le mie figlie. Le vedo crescere in un Paese al quale sperano di appartenere, senza sapere che sarà molto difficile essere accettate completamente. Ci sono molte cose che non mi piacciono dell' Italia. Quando vado davanti alla scuola, vedo bambini che "sgridano" i genitori, urlano contro di loro. Da noi era impensabile, mai fatto con mio padre e mio nonno. Ma adesso lo fanno anche i miei figli, con me, a tavola. L' islamizzazione dei nostri figli diventa impossibile non appena escono di casa. Ma in famiglia, abbiamo il dovere di imporre le nostre regole. Dobbiamo provarci, sempre». Leggi tutto ...

giovedì 24 settembre 2009

LE RAGAZZE SOSPESE TRA IL CORANO E LA PAUSINI

L' INCHIESTA, TREVISO. LE FONDATRICI DELL' ASSOCIAZIONE "SECONDA GENERAZIONE" TAHARA E MERYEM: SE METTIAMO IL VELO NON CI SALUTANO PIU'.

TREVISO — «Allora, praticamente, quest’estate ho letto un sacco di Corano. Così due settimane fa decido di mettermi il velo e di prendere l’autobus, il solito 61, quello che da San Pelagio arriva a Ponzano. Tieni presente che in genere quando salgo mi salutano tutti, anche le sedie. Bene, quella volta sembravo invisibile. Eppure la voce e la manina che agitavo per fare ciao era la solita, la mia. Quando mi sono seduta la signora accanto a me, che conosco bene, si è alzata ed è rimasta in piedi. Cosa puoi dirgli? Poareti , sono fatti così». Tahra Essiya ride anche con gli occhi, la sua allegria è contagiosa. Con la carica che si ritrova venderebbe frigoriferi al Polo Nord, figurarsi i vecchi libri di quinta, esposti in precario equilibrio sui gradini del Duca degli Abruzzi, venerabile istituzione scolastica trevigiana. Magari senza volerlo, ma rappresenta una avanguardia.
Un prototipo. «G2», li hanno battezzati, seconda generazione. Un milione di ragazzi e ragazze, queste le stime della Fondazione Agnelli, ogni anno centomila di più. Sospesi tra due mondi e due culture, ne generano una completamente nuova, o almeno vorrebbero. I suoi genitori sono arrivati da Skhirat, Marocco, che aveva tre anni. Adesso che ne ha 19 e cambia più cellulari di Paris Hilton, parole sue, si è messa a studiare l’arabo perché sente che l’italiano e il dialetto veneto non bastano più. Racconta di aver dato il suo cuore a Laura Pausini, quando nell’iPod parte la strofa «i miei occhi sono isole dove non viaggi mai» si commuove sempre. Ma anche Mondo Marcio non è male e i vecchi Articolo 31 la facevano tanto ridere. Il papà è operaio alla Pagnossin, dalla settimana scorsa l’hanno messo in mobilità. La mamma fa le pulizie in giro per la provincia. Quest’anno Tarah si iscrive all’università, va di fretta perché deve studiare, il test per l’ammissione alla facoltà di Servizi sociali è andato male, c’è da preparare l’esame di ripescaggio. «E ci puoi scommettere un milione che lo passo ». Lo dice mettendo su una espressione da ispettore Callaghan, sembra un broncio ma poi arriva un’altra risata. È stata incerta fino all’ultimo, perché il suo sogno era fare la poliziotta, oppure andare all’Accademia militare. (Fonte: Corriere della Sera, 19/9)

Poi: Sanaa e quella frase del padre: «Era una settimana che ci provavo» Leggi tutto... , L' ultimo sms del padre: ti piangerò sulla tomba, «Sono una musulmana innamorata di un italiano», Burqa, aggredita la Santanchè - Interni - ilGiornale.it del 21-09-2009 e Islam: Sbai, Santanchè malmenata ma non faceva nulla di male Leggi tutto... .
«Serietà, sicurezza e giustizia. Io credo in questi valori». L’aspirante poliziotta risulta indigesta allo sceriffo, quel Giancarlo Gentilini ex sindaco e noto autore di battute simpaticissime, come quella sugli immigrati-leprotti da impallinare all’apertura della caccia. Assieme alla sua amica Meryem Fourdaus, 21 anni, studentessa di Economia a Padova e commessa in un negozio del centro, padre operaio cassintegrato, madre addetta alle pulizie in una casa di cura, ha creato il movimento «Seconda generazione». Nel 2008 hanno organizzato la preghiera segreta in un parcheggio della periferia, spiazzando le autorità cittadine. Quest’anno lo hanno rifatto, affittando da un privato una stanza nell’ex Coop di via delle Puglie. L’ingresso è quasi sempre addobbato di bandiere italiane.
La ribellione di Tahra e Meryem non ha motivi religiosi. «È un urlo rivolto alla città e ai nostri padri» dicono. Non sopportano il divieto di moschea e la rassegnazione dei loro vecchi nell’accettarlo. «Noi siamo italiane, ma solo fino a quando cominciamo a parlare. Dopo, torniamo a essere quelle là, emarginate. Cittadini di serie B. Dal punto di vista dei diritti veniamo percepite come fossimo appena sbarcate a Lampedusa». Vittorio Filippi, trevigiano, docente di sociologia a Ca’ Foscari, ha studiato la rabbia della seconda generazione. La sua città, assieme a Vicenza, anche in questo è il laboratorio di un Veneto già laboratorio di suo con i 70.466 alunni stranieri nelle scuole, 26.074 dei quali nati in Italia. «A quelle ragazze viene negata una diversa identità alla quale sentono di avere diritto. Così finiscono per cercarne un’altra nei loro valori, riscoprono la religione e la cultura di provenienza nella quale finiscono per trovare un fattore di ancoraggio. La loro battaglia per la moschea 'segreta' si spiega anche così». Mentre si dirige al vecchio supermercato, Tahra sa che oggi si parla di padri e figlie. Di generazioni troppo diverse e di una ragazza della sua stessa età, Sanaa, alla quale non è stato concesso neppure il tempo per ribellarsi. «Avrò letto 60 mila articoli sulla storia di Pordenone. Ci dev’essere altro, un motivo più grande. E comunque: solo Allah dà la vita e la toglie. Solo lui. Sta scritto nel Corano». Lei non ha problemi con i genitori e neppure le sue sette cugine. Parlano tutte con «Francesco», soprannome del nonno camionista, che a 57 anni è il patriarca della famiglia Essiya. Vivono tutti in una casa del quartiere San Pelagio, a bassa densità di immigrati. Quando Tahra ha raccontato al padre la faccenda del velo e dell’autobus, lui ha risposto con una sola parola: «Toglitelo». Ma il copione del giovane che segue il modello occidentale scontrandosi con la famiglia di origine è di attualità anche a Treviso.
Due anni fa, una ragazza di 17 anni denunciò il padre che l’aveva portata in Marocco per un matrimonio combinato. E tante storie simili non riescono a valicare la mura di casa. «Conosco due genitori molto fedeli alla tradizione, ma con mentalità aperta. Uno dei loro figli frequentava la cosiddetta banda della bandana. Hanno indossato i costumi tipici marocchini e sono andati al McDonald’s dove i ragazzi si davano appuntamento. Il loro ragazzo non è più tornato lì per vergogna». Abdallah Khezraij, mediatore culturale, è il titolare di Hilal, il circolo di viale Monfenera diventato punto d’incontro per tutte le etnie, italiani compresi, a colpi di buona cucina. «La G2, come la chiamate voi, è minata alla base da questo conflitto generazionale. Due visioni diverse e vale anche per me. Mio figlio ha 10 anni e mi diverte vederlo fare mosse di breakdance. Ma se diventasse un fanatico di queste cose, non so come la prenderei».
All’ora della preghiera, la moschea segreta nel supermercato è piena. Da una porta si intravedono i tappeti, una pila di copie del Corano appoggiate su uno scaffale bianco. Molti anziani, cinque donne con il velo. Il sorriso di Tahra si spegne. «Quella ragazza, Sanaa, che adesso piangete come fosse una di voi: era davvero italiana, ma non aveva la cittadinanza. Uguale, ma senza passaporto. Come me, che sono qui da 16 anni. La doppia identità culturale, che a me sembra una ricchezza, viene giudicata un’insidia. E allora molti della seconda generazione, sentendosi rifiutati, si riavvicinano alle loro origini, alla loro religione ». Saluta con un gesto della mano ed entra nella stanza delle preghiere. «Ciao, italiano vero». A pensarci bene, la storiella iniziale, quella sul Corano e sul velo, non fa più così ridere.
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martedì 22 settembre 2009

LA SANTANCHE': "IO AGGREDITA E LE FEMMINISTE TACCIONO"


Il colloquio. L`ex parlamentare e lo scontro alla protesta anti-velo: «La prossima incursione? Ne sto studiando una bella».

MILANO - Come sta? «Ma lo sa che mi fa più male il silenzio delle femministe che il dolore fisico?». Ha dormito? «Se ho dormito? Uff, cosa vuole... Le punture, gli antinfiammatori...
Sono rimasta sveglia tutta notte.
Me ne sono stata lì a pensare, a queste femministe sempre pronte a parlare, accusare, giudicare e stavolta niente, un silenzio assordante, vergognoso.
A loro dico: basta veline, pensate alle velate».
Nonostante le raccomandazioni a «evitare gli sforzi» del medico del Fatebenefratelli che domenica l`ha visitata, Daniela Santanchè ieri ha partecipato a una trasmissione radiofonica, è andata negli studi Rai di corso Sempione per un collegamento con Bruno Vespa, è corsa a Telelombardia per un dibattito su Italia e Islam, e nel mentre rientrava a casa per aggiornare il sito Internet e Facebook, e poi usciva di nuovo «per incontrare colleghi di lavoro, fare il punto», e dunque, immaginiamo, per organizzare nuove puntate, nuovi incursioni. «Dove andrò? Ne sto studiando una. Bella».
Domenica, erano quasi le 9, nella Fabbrica dei Vapore 4mila musulmani celebravano la fine del Ramadan. La Santanché e una trentina di compagni di partito (il Movimento per l`Italia) si sono posizionati fuori dal cancello. Protestavano contro le donne con il burqa. I musulmani tengono a sottolineare che l`indumento tecnicamente non è il burqa bensì il niqab. La comunità musulmana aggiunge:
«Era la nostra festa. Stavamo pregando. Siamo stati provocati».
Sorrisino della Santanchè.
Che sbuffa. Quasi annoiata.
E che dice: «E se sotto il burqa ci fossero state donne con bombe?». Qualcuno obietta e sostiene che lei esagera. «Non vorrei che un giorno succedesse qualcosa di così grave che mi si darà ragione. Perché la polizia non ferma queste donne, le controlla, le identifica?». Domenica la Santanchè a un certo punto è cadi duta per colpa, dice, di «un pugno ricevuto in pancia». (Fonte: Corriere della Sera )

E arriva anche la solidarietà dei rifugiati politici iraniani: http://irandemocraticoweb.blogspot.com/2009/09/solidarieta-con-la-signora-daniela.html .
e DOVE SONO I CORTEI FEMMINISTI DI SINISTRA CONTRO GLI OMICIDI DELLE DONNE ISLAMICHE? .
Chi ha sferrato l`eventuale colpo? «Non lo so, scusi, non ha visto che caos che c`era? Non li ha sentiti gli insulti? Mi hanno dato della poco di buono».
Abbiamo anche sentito suoi compagni di partito offendere a loro volta; gridavano «ti puzza il fiato», «fai schifo».
La Santanchè: «Certo. Replicavano a chi mi insultava.
È giusto». Sempre la comunità musulmana protesta, dice che lei e i suoi avete cercato di strappare i niqab dai volti delle donne. «Non abbiamo toccato nessuno». Abdel Shaari, direttore del centro culturale islamico, di lei ha detto: «Rappresenta lo zero virgola zero per cento. Ci ha mancato di rispetto. Sta facendo un gran rumore per le sue manovre politiche».
Risata. «Ma secondo lei?».
Ieri è arrivata la solidarietà della Prestigiacomo, «e di tante altre. Nessuna donna della sinistra, però. E non si può avere un`impostazione ideologica anche di fronte ad attacchi violentissimi».
Gli attacchi, ci perdoni, sono quelli contro di lei? «No, cercate di capirlo. Io sono in battaglia, non mi ferma niente e nessuno. Qui le vittime sono le donne musulmane sottomesse».
Nel corso del colloquio Daniela Santanché (che vive sotto scorta, anche domenica aveva agenti al suo fianco) non apre parentesi, non frena; va, e va, e va. Una domanda è d`obbligo:
non pensa che la sua azione e le sue parole potrebbero, diciamo, alzare i toni, le tensioni? «Se domenica a manifestare fosse andato uno di voi, un uomo, e l`avessero aggredito, perché è chiaro, evidente e certo che c`è stata un`aggressione, la polizia lo dimostrerà, le dicevo, se ci fosse stato un uomo sarebbe diventato un eroe. È andata la Santanchè e allora, capirai ...
La cosa vera è che non dovevo essere sola: ci dovevano essere le femministe, al mio fianco. Ma poverette, oggi se si mobilitano è ormai puramente per vicende di sesso. Che noia».
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E DOPO ALESSANDRO, BENVENUTA FRANCESCA!




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lunedì 21 settembre 2009

AMAL E LE ISLAMICHE ALLA CONQUISTA DEL BIKINI

L' INCHIESTA. QUATTRO RAGAZZE E L' INTEGRAZIONE NELLA NOSTRA CULTURA: "CI SENTIAMO ITALIANE, DAI TACCHI A DE ANDRE' ".

MILANO — Amal (http://video.corriere.it/?vxSiteId=404a0ad6-6216-4e10-abfe-f4f6959487fd&vxChannel=Dall%20Italia&vxClipId=2524_607d30e8-a551-11de-8486-00144f02aabc&vxBitrate=300) ha gli occhi di Cleopa­tra, labbra carnose, capelli lunghi. È maroc­china. «Ma mi sento italiana, vivo qui da 16 anni». È seconda di cinque figli che non ve­de più. «Mio padre mi ha ripudiata. Aveva combinato per me un matrimonio che non desideravo. Mi aveva proibito di uscire di casa. È stata la goccia, sono scappata». Quella sera di novembre la ricorda come un sogno. «Neanche avevo paura. Mi sem­brava impossibile di riuscire a farlo». La li­bertà di Amal costa. Le unghie rosa, i tacchi alti, gli abiti stretti che indossa, hanno il prezzo di una vita da sola. «La mia famiglia è ritornata in Marocco. Qui è rimasta mia sorella, sposata con due figli. Non ci possia­mo sentire. Il marito è contrario, non vole­va che andassi a trovarli senza il velo in te­sta, temeva condizionassi le figlie: perché zia sì e mamma no? E io alla fine non ho più voluto portarlo, quel velo: mi sembra­va ipocrita. Non seguo il digiuno nel Rama­dan. Metto le minigonne, al mare i due pez­zi: che bello quando ho comprato il primo, per la Toscana. Ho visto sette volte Il diavo­lo veste Prada ! Io penso che se decidi di ve­nire in Italia devi accettare la nuova cultura e integrarti. E chi non ci riesce deve tornare nel suo Paese».
La parola «integrazione» non piace a Sa­ra Amzil (http://video.corriere.it/?vxSiteId=404a0ad6-6216-4e10-abfe-f4f6959487fd&vxChannel=Dall%20Italia&vxClipId=2524_738502f6-a551-11de-8486-00144f02aabc&vxBitrate=300) , 22 anni, nata in Marocco, ma a Torino da quando aveva due anni. Da tre si è trasferita a Milano, dove ha sposato Omar, italo-egiziano, musulmano come lei. «Lui è un vero 'polentone', con questo mito della città. Durante le feste litighiamo sempre se stare a Milano dai suoi o a Tori­no dai miei». Preferisce definirsi «inseri­ta ». «Integrata mi fa pensare che ho dovuto cambiare qualcosa. Mi piace credere di aver arricchito la comunità in cui sono cre­sciuta ». Sara indossa il velo. «E sono con­tenta, mi fa sentire più vicina a Dio». Non ha ancora la nostra cittadinanza. «Avevo fatto domanda un anno prima di sposarmi e ormai l’iter da seguire è quello. Omar è italiano, con le nozze avrei potuto fare più in fretta. Ecco, questo non ha senso per me. Sono cresciuta qui, parlo l’italiano, ho studiato nelle scuole pubbliche, conosco De André a memoria, cucino solo italiano: pennette con panna e funghi, gamberetti e zucchine, lasagne; i miei quasi se ne rattri­stano. Però non ho il diritto di voto. A un’al­tra straniera basta venire qui e sposarsi ed è tutto fatto». Sara studia Giurisprudenza alla Cattolica. «L’ho scelta perché è seria. Sì, ti chiedono il certificato di battesimo. Ma poi basta un nullaosta del centro pasto­rale ». Vorrebbe fare l’avvocato, magari pe­nalista. «Però poi quando sento storie co­me quella del padre di Sanaa mi vengono i brividi. Non so se ce la farei a difenderlo». La meglio gioventù islamica si impegna, lavora, studia, cerca il proprio posto nel mondo, ha imparato ad amare la pizza, il calcio, la musica dei cantautori. Le tradizio­ni per alcune sono catene. Per altre sono pa­trimonio, radici alle quali ancorarsi per sop­portare la pioggia e il vento. (Fonte: Corriere della Sera, 20/9)

A proposito di disintegrazione: La Sharia dilagante permalink, La Sharia? No Grazie permalink, Manifestazione dei non digiunanti del Ramadan in Marocco link, Olanda: per la dirigente dei verdi, l'islam costituisce "naturalmente un problema" link, Convertiti link, Belgio: ritiro di affidamento ad una governante moglie di un imam estremista link e ancora Convertiti link .
«Sono musulmana, ma anche occidenta­le. Non porto il velo, come accade ormai so­lo ad alcuni miei parenti in Egitto. A scuola i compagni mi chiedevano: se sei musulma­na perché non lo indossi? Rispondevo sem­pre: mi sento italiana. Però in questi giorni ho rispettato il Ramadan: una scelta cultu­rale, più che religiosa. Al di là di quello che dice il Corano, per me il digiuno è un mo­mento di spiritualità e di autodisciplina. In questo trovo che l’islamismo non sia poi co­sì diverso dal cristianesimo» dice Randa Ghazy, 23 anni, nata in Italia da genitori pa­lestinesi, tre romanzi già pubblicati, l’ulti­mo, con Rizzoli, Oggi forse non ammazzo nessuno . Dell’Occidente ha interiorizzato la letteratura. «Sepúlveda, Benni, Tabucchi». La curiosità la spinge all’apertura. «Fre­quento Scienze politiche alla Statale di Mila­no. Il mio sogno è andare all’estero e occu­parmi di relazioni internazionali». Siham Azennar ha 19 anni, fa la parruc­chiera a Varese, convive con il fidanzato e non nasconde le sue forme da pin-up. «So­no figlia di una ragazza madre. Fino a cin­que anni fa abitavo a Rabat con i nonni, mi hanno cresciuta leggendo il Corano». Una vita piena di amore, ma troppo stretta. «Co­sì ho raggiunto mia madre a Varese. All’ini­zio non era d’accordo. Era spaventata, for­se. Abbiamo avuto dei contrasti». Qualche mese fa, la scelta di trasferirsi dal fidanza­to. «Quest’estate sono tornata in Marocco e l’ho presentato ai nonni. 'Se sei felice, va’ per la tua strada». Una risposta spiazzante. Qual è allora la verità vera? Chi è l’islami­co giusto e quello sbagliato? Un padre che uccide la figlia che gli procura vergogna è un integralista o un pazzo? «Con i fonda­mentalisti non puoi ragionare. Non si vo­gliono mostrare deboli davanti a parenti e amici, non possono agire diversamente dal loro credo. E le donne abbozzano, sotto­messe. Ho sentito che la mamma di Sanaa ha perdonato il marito: non ci credo, secon­do me è arrabbiata, lo odierà per sempre» si sfoga Amal sul divano di casa. Ma Sara non ci sta. «Nel Corano chi uccide una per­sona è come se uccidesse la comunità inte­ra. Quell’uomo non c’entra nulla con l’Islam».
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