martedì 29 aprile 2008

"TOGLITI IL VELO!" (Ikhla’i al-hijab!) DI ELHAM MANEA

Il testo che vi propongo è un invito alle correligionarie musulmane da parte della scrittrice e giornalista svizzero-yemenita Elham Manea. Un'esortazione a togliersi quello che erroneamente viene troppo spesso considerato un obbligo religioso, anche dai non-musulmani. E' un articolo molto lungo, ma merita!

"Questo è un invito rivolto a te, sorella musulmana, un invito a toglierti il velo. E’ un invito sincero. Non è un atto di cattiveria. E’ un invito puro. Non cerca di profanare una parte di te. Così come non vuole spronarti alla perversione. Anzi ti invita ad adoperare la tua mente, a utilizzarla, da sola. Tu e la tua mente, bastate da sole. Senza dovere cercare nei libri e nella storia. Senza dovere esplorare nei quaderni le opinioni dei commentatori. Per questo te lo chiedo, senza paura. Ti chiedo di accogliere con benevolenza e ponderare le mie parole senza dubitare del mio intento. Dopotutto tu sei libera. Libera di decidere. Libera di scegliere il tuo destino. Di fare quel che vuoi. Sei padrona di te stessa. Solo tu. Solo tu ti puoi proteggere. Nessun altro. Puoi indossare il velo oppure toglierlo. Rispetterò qualsiasi tua decisione. Alla fine la decisione deve essere la tua. Lascia quindi che ti illustri il motivo del mio invito.
Ho detto in un precedente scritto che l’uso del velo è iniziato di fatto nel mondo islamico con la rivoluzione islamica in Iran, che ha reso obbligatorio il velo per le donne dopo che i religiosi erano riusciti a convincere il ceto medio e le fazioni di sinistra a spargere il proprio sangue per cacciare lo scià Muhammad Reza Pahlevi. Siccome questa rivoluzione ha rappresentato la prima vera rivolta nella regione è diventata per molti un esempio da imitare, così come l’abbigliamento delle donne iraniane (naturalmente, i mezzi di comunicazione hanno taciuto tutte le manifestazioni femminili contro l’imposizione del velo, ma questa è un’altra storia).
A questo si aggiunge un altro fatto, ovvero il boom petrolifero cui ha assistito il Regno saudita in seguito al quale alcune persone facoltose hanno iniziato a investire il proprio denaro per pubblicare la cultura della propaganda islamica wahhabita, e per avviare una enorme macchina mediatica che afferma da mattina a sera che il velo è obbligatorio. Queste tradizioni della propaganda islamica si sono unite al pensiero dei Fratelli musulmani e delle fazioni politiche arabe e islamiche a loro ispirate, per diffondere nella società un pensiero nuovo, un pensiero strano, che ha cambiato molti comportamenti e modi di pensare. Quindi l’ambito in cui è nata la questione del velo è politico. Due nazioni, in cui il regime politico governa in nome della religione, attraverso la quale cercano di diffondere il loro modello e al tempo stesso affermare la legittimità del loro potere. Entrambe impongono alle donne il velo, affermando che si tratta di un simbolo religioso, a prescindere dalla loro volontà. A prescindere dalla volontà delle donne! Il pensiero dei Fratelli musulmani mira unicamente a raggiungere il potere politico. Tuttavia, poiché usano la religione per giustificare il loro fine, devono anche fornirci un modello "comportamentale islamico" e l’"abbigliamento" risulta esserne una parte centrale. Quindi, torno a ripetere la questione del velo è del tutto politica. Politica e basta. Ma la sua giustificazione, la convinzione da parte della donna che sia un obbligo, ha assunto tre aspetti: i primi due umani, il terzo religioso. La prima giustificazione si basa sul fatto che la donna, indossando il velo, copre la sua femminilità e protegge quindi l’uomo dalla trasgressione. La seconda vuole che comportandosi così la donna contribuisca a fondare una società virtuosa. La terza sostiene che di fatto sia nella sua essenza un dovere religioso.
La prima giustificazione presuppone che l’uomo arabo sia un animale voluttuoso che non riesce a dominare i propri istinti, poiché il sesso domina la sua mente per cui è inaffidabile e la donna deve quindi coprire le parti del suo corpo che possono sedurlo per proteggerlo dal diavolo che ha dentro di sé. Questa premessa è dannosa e ingiusta nei confronti dell’uomo arabo, che conosciamo come fratello, padre e marito, che conosciamo come essere umano. Perché è capace di trattare la donna come un essere umano, e non come un mero oggetto di piacere. Perché è in grado di dominare i propri istinti, nonostante li abbia e ne sia consapevole, così come fa la donna. Perché io come donna quando ho a che fare con lui parto dal presupposto che è un essere umano. Un essere umano che mi rispetta. Allo stesso modo, la prima giustificazione rappresenta la donna niente meno che come un oggetto sessuale, l’organo genitale, non come un essere umano, non come una persona nella sua interezza, o un essere razionale, ma come un oggetto che risveglia gli istinti, con la voce, con i capelli, con il corpo, tutto in lei provoca e sconvolge l’uomo. Dimenticando che la donna può benissimo farsi rispettare dall’uomo e da chi la circonda con il suo comportamento, con il suo modo di rapportarsi agli altri, non coprendosi il capo, indossando un mantello o una tunica. Con il comportamento. Con il modo di rapportarsi agli altri. Facendosi rispettare.
La seconda giustificazione si fonda sulla premessa che esista una connessione tra l’indossare il velo e l’istituzione di una società virtuosa. In base a questa logica la società virtuosa è quella in cui non esistono rapporti sentimentali tra le persone al di fuori del matrimonio. Tuttavia questa giustificazione è come minimo errata. Poiché le società in cui il velo è obbligatorio e in cui si ha la segregazione dei sessi non sono certo quelle in cui i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio sono inferiori. Anzi è vero il contrario. La segregazione forzata ha portato alla diffusione dei rapporti omosessuali, così come è dimostrato da studi e rapporti pubblicati che il velo non ha evitato che alcune ragazze nel mondo arabo e islamico avessero relazioni amorose al di fuori del matrimonio. Dopodiché, come è d’uso, sono ricorse alla chirurgia per la ricostruzione dell’imene.
La terza giustificazione si fonda sulla premessa che la religione ha una posizione precisa sulla questione del velo, mentre di fatto ci sono testi religiosi diversi tra loro a riguardo, da sempre. E tu donna puoi leggere questi brani da sola, non hai bisogno di un intermediario. Noterai che non solo esistono numerosi testi, ma che questi hanno anche diverse interpretazioni. Tuttavia abbiamo deciso di limitarci e interpretarli in base a idee che risalgono al Medio Evo. Se vuoi la verità, la terza giustificazione che dice a te e a me che la religione impone alla donna il velo è la più debole delle tre, perché abbiamo sentito questo discorso solo verso la fine degli anni Settanta, e l’abbiamo visto applicare solo dopo che l’interpretazione ortodossa dell’islam ha iniziato a dominare il mondo arabo e musulmano.
Questa è la logica sulla quale si fonda il mio invito. Ti supplico di prendere in considerazione le mie parole, la mia richiesta. Non ti chiedo di smettere di pregare. Non ti chiedo di smettere di digiunare. Non ti chiedo di smettere di credere in Dio. Ti chiedo di togliere il velo. I tuoi capelli sono come i miei. Non sono un simbolo sessuale di cui vergognarsi. Il tuo corpo è come il mio. Non è un oggetto di brame sessuali. Il tuo corpo è come il mio. Va rispettato e lodato. Sei come me. Una persona completa. Dotata di capelli e corpo. Sei come me, sei in grado di essere "virtuosa" nei modi e nel comportamento, senza un velo che ti copra. E’ il mio comportamento che mi definisce, non un pezzo di stoffa. Sii come vuoi essere. Rispetterò la tua decisione. Ma alla fine devi essere te stessa. Una donna. Non un oggetto sessuale."
http://www.metransparent.com/texts/elham_manea/elham_manea_take_off_the_veil.htm
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lunedì 28 aprile 2008

MONA MOHANNA @ CROSSMODE


Crossmode è un concorso dedicato ai nuovi italiani, che rappresentano l'incontro tra chi è italiano, con idee al di fuori dei confini, e chi è immigrato in Italia, ponte verso il mondo.
Crossmode nasce per giocare con le contaminazioni attraverso un concorso di creatività: "un modo originale, partecipato e ludico per costruire e decostruire i confini nazionali, etnici e religiosi e, in una certa misura, anche per (s)cambiarli.
Attaccarsi un bottone, simbolo del progetto, significa unirsi a crossmode e diffondere una zona interculturale creativa, uno spazio di scambio, incontro e condivisione in vista di una nuova italianità".

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Nel 2007 vi ha partecipato anche Mona Mohanna, stilista di origine libanese ma italiana creativamente, musulmana di fede e imprenditrice di se stessa. Nata nel Libano nel 1970, arrivata nel 1989 in Italia per studiare, prima in una scuola a Reggio Emilia e poi frequentando il prestigioso master in Fashion design di Domus Academy a Milano. "Sarta, stilista, facchino, pierre, trovarobe, segretaria, postino e imprenditrice". Queste le peculiarità di una donna estremamente femminile che porta con disinvoltura l’Hijab e che ama far conoscere la propria cultura.
Figura contemporanea e perfettamente integrata in uno spirito cosmopolita, in grado di donare seduzioni controllate alle donne occidentali che vogliono avvicinarsi o assaporare territori ancora sconosciuti. La filosofia di Mona Mohanna si basa sulla fusione tra cultura araba e occidentale.
Grande spazio viene dato alla valorizzazione della manualità delle ricamatrici arabe, che lavorano per lei.
Così viene presentata Mona sul suo sito personale www.monamohanna.com e qui sotto ci sono due sue creazioni.




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PROVERBIO ARABO

Rompi una costola a una ragazza e ne ricresceranno dieci
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RAND COME HINA: UN DELITTO D'ONORE IN IRAQ

(Roma) A 17 anni non pensava mai di morire per mano di suo padre. La sua colpa? Quella di essersi innamorata di un soldato britannico, cattolico. Un’onta da lavare con il sangue, e nel sangue è finita la vicenda di Rand Abdel-Qader, un'adolescente che di era innamorata di un ragazzo inglese poco più grande di lei, in Iraq per distribuire aiuti agli sfollati.
La tragica fine di Rand, giovane studentessa di inglese all'Università di Bassora, morta il 16 marzo scorso – uccisa a coltellate dal padre – l’ha raccontata ieri l’Observer: la ragazza aveva confidato alle amiche di essersi innamorata subito di Paul, poco più di un’infatuazione innocente, fatta di semplici conversazioni con il 22enne britannico: ma sufficienti al padre per soffocarla e accoltellarla per "ripulire il suo onore". Un destino comune a133 donne solo lo scorso anno e nella sola Bassora. Di queste 47 per i cosiddetti 'delitti d'onore' e solo in tre casi i responsabili sono stati condannati per omicidio. Da gennaio le donne assassinate sono state 36.
Anche per questo caso, c’è la forte probabilità che l’assassino possa farla franca. Infatti, il padre di Rand è stato rilasciato dalla polizia poche ore dopo l’assassinio, perché, spiegano fonti della polizia locale,“non c'e' molto da fare quando ci troviamo di fonte a un 'delitto d'onore'. In una società musulmana le donne dovrebbero vivere secondo le regole religiose".
Parole che lasciano l’amaro in bocca, perché così Rand è morta tre volte: Per una sepoltura senza cerimonia, perché ritenuta impura, per gli sputi con cui gli zii hanno sfregiato la tomba per punirla della vergogna gettata sulla famiglia, perché non avrà mai giustizia.
Troppe affinità con la tragica vicenda di Hiina, e il dolore riaffiora.
Informato da un amico, il padre di Rand - racconta al domenicale britannico Observer la madre della ragazza, Leila Hussein – si è precipitato in casa aveva gli occhi iniettati di sangue e fremeva. Non è servito a nulla cercare di farlo ragionare. "Lui l'ha afferrata per i capelli e ha cominciato a picchiarla. Io ho urlato e ho chiamato i suoi due fratelli perché intervenissero per fermare il padre, ma quando hanno saputo il motivo, invece di salvarle la vita lo hanno aiutato a ucciderla".
Due settimane dopo la morte della figlia, Leila ha lasciato il marito e ha presentato richiesta di divorzio. "Sono stata picchiata e mi ha rotto un braccio" - ha raccontato - nessun uomo può accettare di essere abbandonato da una donna in Iraq. Ma preferisco morire piuttosto che dormire nello stesso letto di un uomo che è stato capace di fare quello che ha fatto a sua figlia, che per anni lo ha amato in maniera incondizionata". Oggi, Leila collabora con un'organizzazione di donne che si batte contro i delitti di onore.

Fonte Delt@ Anno VI, N. 98 del 28 Aprile 2008.

Ricordo di una ragazzina curda di 14 anni lapidata dal padre e da alcuni maschi della famiglia.
Leila Hussein, la madre di Rand, è un esempio di coraggio per le donne arabe e/o musulmane ancora prigioniere della paura. Un monito per coloro che,complici del maschilismo, dell'estremismo religioso degli uomini e asservite a regole tribali, credono che le vittime dei delitti d'onore se la siano "cercata", anche se si tratta delle loro stesse figlie. Chissà se Bushra Saleem, la madre di Hina, è venuta a conoscenza della vicenda! Lei che, come è ormai noto, non ha trovato niente di meglio da dire se non che sua figlia, una ventenne pachistana di Sarezzo (BS),non era una buona musulmana, mentre, al contrario, suo marito era un uomo buono,che Hina provocava. Lei che quando la giustizia italiana ha condannato il padre della ragazza e due suoi generi a trent'anni di galera per l'omicidio (sperando che rimangano dentro),ha fatto il diavolo a quattro. Certo, Bushra ha denunciato anche lei il marito, ma viste le sue dichiarazioni... .
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domenica 27 aprile 2008

"L’ AMORE UCCISO. UN DELITTO D’ONORE NELLA GIORDANIA DI OGGI" di Norma Khouri

Avevo accennato a questo romanzo pubblicato in Italia da Mondadori nel 2003 sui “delitti d’onore”, molto frequenti nella “moderata” Giordania. La vittima in questo caso è Dalia, una ragazza musulmana amica del cuore dell’autrice (cristiana), uccisa dal padre perchè innamorata di Michael, un giovane cattolico arruolato nella Guardia Reale. Pur evitando falsi buonismi, da queste pagine si evince come i delitti d’onore abbiano ben poco a che fare con l’islam, ma possano essere giustificati anche da cristiani vittime di una società tribale, nella quale la religione islamica ha attecchito senza per altro porre fine a queste pratiche arcaiche. “Forbidden love” (“L’amore ucciso” nell’edizione italiana)ha contribuito a portare alla ribalta una grave e reale piaga della Giordania e non solo.
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giovedì 24 aprile 2008

IL CENTRO CULTURALE AVERROE' INVITA

Gent.mi,

il Centro Culturale Averroè e il Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini" sono lieti di invitarvi, nell'ambito del progetto Saperci Fare, educazione e comunicazione interculturale al museo, all'evento che si terrà domenica 27 aprile alle ore 12.00, presso la sede del Museo Pigorini: Scene da un matrimonio marocchino. Abbigliamento cerimoniale, musica, forme di ospitalità. A cura di S. Mounia, N. Hadi, F. Ermili, F. Kishk.
La performance sarà preceduta, alle ore 10.00, dal Laboratorio: Il salotto di Fatima, durante il quale verrà effettuata una dimostrazione della decorazione corporale con l’Henné.
Vi aspettiamo numerosi!

Centro Culturale Averroè




Sede del Museo: Piazzale G. Marconi 14 (Via Cristoforo Colombo) - 00144 Roma EUR, 100 metri dalla fermata Eur Fermi, Metro B
Contatti: RSPV - Tel. 06.54952269; fax 06.54952310; www.pigorini.arti.beniculturali.it; smn-pe.comunicazione@beniculturali.it
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CONTRASTI



(Fonte: Forum di Deborah Fait, foto scattata a Nablus in Cisgiordania).

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mercoledì 23 aprile 2008

DONNE IN CONFLITTO E LA COSTRUZIONE DELLA PACE



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ASSIWAR - MOVIMENTO ARABO FEMMINISTA

"Per il sostegno delle vittime della violenza.




Al Siwar, movimento femminista arabo, combatte le varie forme di repressione nei confronti delle donne.


Al Siwar, crede che il femminismo, sia un movimento-socio-politico-rivoluzionario, il cui obiettivo è quello di modificare le relazioni di prepotenza prevalenti nella società, denunciando le varie forme di violenza, sia contro le donne che contro i bambini
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Al Siwar si presenta così. Ho conosciuto questo movimento femminista palestinese, semplicemente aggiungendomi come membro di un gruppo di sostenitori e, con tanto stupore, ho notato che praticamente il 50% dei sostenitori membri erano ragazzi. Questo significa una grande cosa, perchè sono proprio gli uomini che devono essere sensibilizzati riguardo a tale problema, che esiste per via delle azioni incivili degli aggressori, in molti casi uomini.



Al Siwar è in crescita, ma ancora poche donne conoscono l'esistenza di questa organizzazione. Per questo che sono in cerca di sostenitori e volontari.


Noi, nel nostro piccolo, abbiamo contribuito.




Il sito internet è disponibile in due lingue, inglese e arabo.








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martedì 22 aprile 2008

MILANO, MEDIATORE MAROCCHINO DIFENDE LAICITA' E DISTRIBUISCE UN NUMERO ANTI-VIOLENZA. ALCUNI GENITORI INTEGRALISTI ISLAMICI: "TROPPO LAICO!"

Desidero parlare di lui per gli attacchi che ha subito, perchè contribuisce alla difesa di future donne dalla violenza e perchè, giustamente, anche Souad Sbai l'ha difeso.

"Solidarietà a Bendaoud Mohceni, non accettiamo il veto posto su di lui da un gruppo di estremisti islamici". Così il presidente della Confederazione dei marocchini in Italia, Yassin Belkassem, è intervenuto oggi in difesa del mediatore culturale di una scuola elementare di Milano accusato da un gruppo di genitori musulmani di essere "troppo laico". L'istituto sta nel quartiere del Giambellino e ha accolto una sessantina di alunni della ex scuola islamica di Via Quaranta, dopo mesi di polemiche. Ma il compromesso non è evidentemente piaciuto ai parenti dei bambini, soprattutto per il mediatore marocchino: "Mette la Costituzione davanti alla Sharìa (la legge islamica ndr.)e distribuisce tra le ragazze il telefono di un centro anti-violenze".
Ieri sera (è)scesa in campo anche la neodeputata Souad Sbai (Pdl), chiedendo al tribunale dei minori di Milano di difendere quel gruppo di bambini "dall'atteggiamento estremista dei genitori, vittime a loro volta della propaganda di un imam oscurantista della periferia di Milano".
(Fonte: Anteprima del di domani del Corsera).
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lunedì 21 aprile 2008

NOUR DI GIORDANIA, I RICAMI E I TAPPETI DELLE DONNE DI BANI HAMIDA

Bani Hamida, "figli di Hamida", tribù giordana beduina situata nell omonimo monte affacciato sul Mare Morto, a 35 km dalla città di Madaba e a 80 da Amman.
La regina Nour di Giordania, poco dopo il suo matrimonio con re Hussein, divenne presidente onoraria di due importanti organizazioni non governative femminili. Ha così potuto osservare da vicino le condizioni delle donne e notare che la maggior parte degli aiuti che ricevevano erano di origine caritatevole, e ciò non favoriva nè il ruolo delle donne nello sviluppo economico delle proprie famiglie nè incoraggiava l'autosufficienza. Da qui è nata l'idea di proporre alle signore anziane di trasmettere le antiche tradizioni del ricamo geometrico floreale e della tessitura dei tappeti, in modo da poter vendere questi prodotti e incentivare il ruolo di tutte le donne nel contributo economico delle proprie famiglie.
Succesivamente Bani Hamida è stato inglobato nel progetto Jordan River Foundation fondato dalla Regina Rania nel 1995.
Grazie alle donne di 13 paesini della zona, che conservano antichi usi, costumi e la tradizione di tessere tappeti con lana vergine al ricamo, oggi "Bani Hamida" è sinonimo di prodotto artigianale tradizionale di altissima qualità. Il centro del progetto si trova nella zona di Mukawir, conosciuto come il sito della fortezza de Herode dove avvenne l'esecuzione di Giovanni Battista, si può visitare lo show room e ammirare il lavoro delle donne di Bani Hamida. Per chi non avesse la possibilità immediata di visitre il centro a Mukawir. Esiste anche il sito internet:

Artigianato Bani Hamida

Alice
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LA STILISTA RICAMA NEL DESERTO



Come dare lavoro alle 300 donne dell'oasi di egiziana di Siwa? Laila Neamatallah ha avuto un'idea. Ben accolta dalla comunità berbera. E dalle boutique di mezzo mondo. Riporto quasi integralmente un interessante articolo comparso sull'ultimo numero di "IO DONNA", settimanale del "Corriere della Sera". Protagonista è Laila Neamatallah, stilista che è nata e vive al Cairo con la famiglia e i figli. In questi giorni è in giro per l'Europa e ha fatto tappa anche a Milano e a Roma. ...Egiziana copta ("i discendenti diretti dei faraoni" dice "senza sangue ottomano o arabo") abituata a esprimersi in quattro lingue, parla anche l'italiano, con un leggero accento esotico ma un ricco vocabolario, coltivato nelle frequenti visite per incontrare amici e clienti da quando, nel 2001, ha cominciato a occuparsi del Siwa women's nature artisanship development project. Un'iniziativa che è una sfida e, insieme, la testimonianza della forza profonda della tradizione, espressa soprattutto nel ricamo di una sapienza impareggiabile. "Ma alla fine degli anni Novanta se n'erano quasi perse le tracce. Soltanto le donne più anziane avevano conservato questa manualità" racconta Laila Neamatallah "ma erano sempre meno, mentre le giovani non si sentivano coinvolte".
Anche in un luogo sperduto come Siwa, al souk si trovavano soltanto capi dozzinali, ricamati a macchina. Fino a quindici anni fa, non esistevano nemmeno le strade verso quest'oasi, una delle più grandi dell'Egitto, una meraviglia di palme, ombra e acqua, a una settantina di chilometri dal confine con la Libia. L'ultimo ristoro per le carovane beduine prima di accingersi alla traversata del Sahara. Nell'antichità era sede del tempio di Ammone, che ospitava il più rispettato degli oracoli al cui vaticinio ricorse anche Alessandro il Grande, chiedendogli "se gli concedeva di diventare il signore di tutti gli uomini e il dio rispose che questo gli era concesso... e si diffuse poi la voce che il dio stesso l'aveva chiamato figlio di Zeus" (Plutarco, "Vite parallele", Bur). In quel luogo perduto nel tempo, che dista nove ore di auto dal Cairo, la natura ha creato un armonioso equilibrio tra la terra, l'acqua che qui scorre da 230 sorgenti e dà vita anche a un lago, e la cultura che non avrebbe resistito all'impatto di un turismo incontrollato, unica risorsa possibile di benessere. E'in questo momento cruciale che la storia cambia perchè undici anni fa Mounir Neamatallah, fratello di Laila e presidente di Enviromental quality international (Eqi), comincia a dare vita a quello che "è sempre stato il suo sogno e il suo desiderio più profondo: sostenere uno sviluppo compatibile che rilanciasse l'economia locale e valorizzasse un patrimonio culturale unico". Così, mentre Mounir Neamatallah avvia un ecolodge ai piedi dell'Adrère Amellal, che in dialetto berbero significa Montagna Bianca, e lancia con un gruppo di agricoltori un programma di coltivazioni organiche, Laila cerca di coinvolgere le donne. "Sono invisibili, anche se rappresentano il 47 per cento della popolazione. Si sposano a 13, 14 anni e non escono più di casa se non accompagnate dal marito e dai figli. Dunque, serviva un lavoro che, per essere accettato, non rivoluzionasse questa abitudine. Riprendere l'arte del ricamo si è rivelata la scelta migliore perchè ha ridato slancio a una tradizione antica e accresciuto la consapevolezza dei propri valori". Oggi sono trecento le artigiane impegnate a realizzare quattro collezioni con l'etichetta Siwa Collections: una rielaborazione delle suggestive galabeya, le lunghe tuniche dritte, di camicie e di scialli. Non solo.
Laila ha lanciato anche una linea-casa di sofisticata naturalezza, che ha un problema soltanto: riuscire a consegnare tutto ciò che le viene ordinato. L'abilità e l'eleganza di queste artiste con l'ago è tale che per alcune stagioni hanno collaborato anche con lo stilista Ermanno Scervino, che era stregato da questi ricami precisi, asciutti, per niente ridondanti. Poi la moda ha rivolto la sua attenzione agli stampati tralasciando le broderies. Ma il gusto etnico ha trasformato gli abiti di Siwa in vere collezioni di moda, con la loro eco di terre lontane. (Fonte: IO DONNA)

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IL MAROCCO HA FATTO ENORMI PROGRESSI IN MATERIA DI DIRITTI DELLA DONNA (DEPUTATA ITALIANA)

Bruxelles, 17 apr - Il Marocco ha fatto degli enormi progressi in materia di diritti della donna e costituisce ormai un esempio nel mondo, ha sottolineato giovedì l’Onorevole Souad Sbai, deputata italiana di origine marocchina.La Sbai, la quale ha appena ottenuto un seggio presso il Parlamento italiano, è soddisfatta dell’impegno profuso dal Marocco per promuovere la partecipazione della donna nella vita politica, economica e sociale del paese.In una dichiarazione alla MAP, in occasione della sua partecipazione a una conferenza organizzata al Parlamento Europeo a Bruxelles, sulla situazione delle donne musulmane, Souad Sbai ha esposto un piano piuttosto oggettivo della posizione che occupa la donna marocchina nella società, sottolineando che quest’ultima esercita allo stesso titolo dell’uomo i suoi diritti e prerogative senza alcuna restrizione, col favore delle garanzie giuridiche, specificate nel codice della famiglia, tratte dalla religione musulmana e di una presa di coscienza generale sulla necessità di accordare loro un posto d’onore come quello prescritto nel Sacro Corano.“Il governo marocchino conta più sulle donne rispetto a quello italiano”, spiega con ilarità, soddisfatta della volontà espressa ad un alto livello di associare la donna marocchina alle decisioni e alla gestione degli affari pubblici.
La Sbai ha messo in guardia contro le correnti estremiste in Europa che diffondono una deviata interpretazione della religione, utilizzandola per cattivi scopi, cosa che ha pericolosamente nuociuto all’immagine dei musulmani in occidente.« Gli adepti delle correnti estremiste impongono alle donne, soprattutto alle marocchine in Italia, un modo di vivere che non ha niente a che vedere con l’Islam, né con le tradizioni ancestrali del nostro paese », ha sottolineato.Questo modo di vivere, ha spiegato, va dall’abbigliamento (burka) fino al divieto di partecipare alle attività sociali, educative ed economiche.La deputata italiana ha protestato a tale riguardo contro pratiche insegnate e preconizzate in alcune piccole moschee in Italia da imam oscurantisti che non conoscono l’Islam e che incitano all’odio, all’esclusione e all’emarginazione delle donne.Queste piccole moschee, ha rivelato, conoscono purtroppo un certo successo in seguito alla diaspora maghrebina in Italia, chiamando i paesi d’origine, soprattutto il Marocco, a prendere coscienza di questa realtà, « perchè questi immigrati vogliono tornare in patria e la loro integrazione risulterà difficile nel loro stesso paese ».La Sbai, che è anche Presidente della Confederazione delle Associazioni marocchine d’Italia, ha peraltro espresso il suo impegno nel continuare la sua lotta in seno al Parlamento italiano per la difesa delle donne musulmane e dei loro diritti. Ha allo stesso modo affermato che contribuirà a far conoscere i valori del suo paese d’origine e a favorire il dialogo tra le popolazioni immigrate e i cittadini italiani verso l’obiettivo di una migliore integrazione e reciproca comprensione.Dottoressa in diritto comparato e laureata in filosofia presso l’Università di Roma, Souad Sbai dirige il Centro Culturale Ibn Rochd e un mensile marocchino edito in lingua araba che si occupa delle questioni degli immigrati arabi in Italia. È anche membro dell’assemblea religiosa consultiva. (MAP)
Traduzione dall’articolo di ADIL ZAARI JABIRI, Agence Maghreb Arabe Presse.(Dal sito ACMID-DONNA).


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RANIA DI GIORDANIA SU YOUTUBE: UN VIDEO CONTRO GLI STEREOTIPI SULLE DONNE ARABE E MUSULMANE

Da quasi un mese è attiva su YouTube una piattaforma che ha l’ambizione di cercare di “rompere a uno a uno” gli stereotipi sul mondo arabo e islamico. A lanciare l’iniziativa è stata nientemeno che Sua Maestà Rania Al-Abdullah, regina di Giordania. Più di un milione di visitatori, molti dei quali giovani, appartenenti a Paesi, culture e religioni differenti, si stanno confrontando – fino al 12 agosto, Giornata Internazionale della Gioventù – su temi come estremismo e terrorismo islamici, conflitto arabo-israeliano e condizione delle donne arabe e musulmane. Soprattutto “Send me your stereotype” – questo è il titolo della pagina – è un invito rivolto dalla sovrana hashemita, moglie di Abdallah e quindi nuora del compianto “piccolo grande re” Hussein, a “inviarle” proprio gli stereotipi e i pregiudizi sul mondo arabo e musulmano. Che impediscono troppo spesso all’Occidente di apprezzare l’ “universo di meraviglie” di quello che Rania chiama “casa”. Ma essendo ovviamente molto impegnata, la regina chiede l’aiuto degli stessi visitatori per rispondere alle molte domande.
Già tre volte la sovrana hashemita è intervenuta in video e la terza, il 16 aprile, è dedicata proprio agli stereotipi sulle donne arabe e musulmane: sottomissione, violenza, “delitti d’onore”. Questo fenomeno interessa in particolare, ma non solo, i Paesi islamici. “Including Jordan”, ricorda Rania: “inclusa” la Giordania. Anzi, bisognerebbe precisare, è uno degli Stati in cui è più diffuso.
La famiglia reale, svelando il tabù, si è più volta espressa contro questa pratica, in particolare le regine Nour, vedova di re Hussein, e Rania. Purtroppo nel “moderato” Paese, il Fronte di Azione Islamica (IAF), emanazione dei Fratelli Musulmani, si sta imponendo sempre di più e, complice il sistema tribale, i numerosi tentativi di emendare o almeno modificare gli articoli 98 e 340 del codice penale giordano, che garantiscono le attenuanti ai colpevoli di questi crimini, sono finora falliti. Come spiega Norma Khouri, autrice del libro "L'amore ucciso. Un delitto d'onore nella Giordania di oggi" (Ed. Modadori, prima edizione marzo 2003), "l'articolo 340 solleva da qualunque pena coloro che uccidono congiunti di sesso femminile scoperti in flagrante adulterio, e riduce la pena per quanti uccidono congiunti di sesso femminile trovati in situazione di adulterio, come per esempio parlare con uno sconosciuto. Mentre "l'articolo 98 riduce la pena se chi commette un simile delitto ha agito in un impeto di rabbia in risposta a un atto grave e ingiusto da parte della vittima (sono considerati tali voci o sospetti che una donna abbia agito in modo immorale)". Perciò le pene inflitte ai colpevoli sono molto basse e poi può sempre capitare quel giudice corrotto… . Molte donne, loro sì, finiscono in carcere, ufficialmente per essere protette dalla furia maschilista. Da una pratica “orribile e inscusabile”, nella quale, come giustamente sottolineato da Rania di Giordania, “non c’è assolutamente nessun onore”. Tuttavia la più giovane regina del mondo, da molti ammirata non solo per bellezza, eleganza e fascino, ma anche per il suo impegno in difesa soprattutto di donne e minori, assieme ai tentativi di dialogo con l’Occidente, avverte che il delitto d’onore “non è una pratica culturale prevalente. Non ha niente a che fare con l’islam. Non è assolutamente indicativo dello status e della condizione delle donne nella nostra cultura. E va combattuto”.
Basti pensare – questa nota è mia – che in Italia solo dal 1981 (leggesi “millenovecentottantuno”!) non vengono più considerate le attenuanti per i crimini d’onore.
Inoltre Sua Maestà ricorda che la violenza contro le donne “non è un’esclusiva del mondo arabo”, ma una “vergogna mondiale”: 1/3 delle donne è infatti vittima di maltrattamenti e abusi! Non solo, ricorda che i Paesi arabi non sono uguali e che in essi, come la stessa Giordania, la questione femminile sta facendo progressi in più campi: settore pubblico e privato, economico, politico e dell’istruzione.
Rania è accusata dagli estremisti islamici di non rappresentare il mondo arabo – e insultata anche su YouTube!” – perché non porta solitamente il velo, ama la moda occidentale e non sta un passo dietro al marito (re Abdullah in persona ha dichiarato, all’inizio del loro regno, che Rania non avrebbe avuto un ruolo subordinato al suo). D’altra parte l’Occidente considera “occidentalizzata” l’affascinante sovrana. Ma certo che non “rappresenta” l’universo arabo – islamico, spiega lei stessa agli “youtubers”: nessuna donna può farlo! Perché questo non è un tutto monolitico, come non lo donne le donne che ne fanno parte.


Ho parlato troppo! Ecco il link della pagina web di Rania per chi desiderasse visitarla e questo e guardare anche i precedenti video YouTube-Queen Rania's Channel .

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IL CASO. SI CONVERTI' PER SPOSARE UNA INDONESIANA

Argentario, nuovo corso. Sindaco di centrodestra musulmano per amore. PORTO SANTO STEFANO - Gli hanno già affibbiato un soprannome, i suoi concittadini: "Mohamed Arturo I, l' islamico", unico sindaco musulmano d' Italia. Lui, in realtà, di nome di battesimo ce n'ha soltanto uno, il cristianissimo Arturo. Di cognome fa Cerulli, è nato a Porto Santo Stefano 53 anni fa, professione ingegnere nucleare (con una tesi a Pisa sul fotovoltaico), e per amore della moglie indonesiana ha deciso di cambiare religione, giurando sul Corano e facendosi pure circoncidere "da medici italiani all'Ospedale di Orbetello", precisa lui. "Ma sono un laico convinto, non frequento la moschea e sono dell'opinione che religione e politica devono correre su binari diversi", avverte. Il nuovo sindaco, eletto con il 45,42% dei consensi, nel raggruppamento Voci della libertà, coalizione formata da Pdl, Udc, Destra e due liste civiche, ha anche un secondo primato: è il primo amministratore di centrodestra di Monte Argentario, il promontorio dei vip e del jet-set internazionale.
"Un grande onore - dice - perchè sulla poltrona di primo cittadino si è seduta Susanna Agnelli, fu grandissima e a lei voglio ispirarmi. Anche perchè ci terrei ad essere ricordato per aver fatto buona politica e non perchè musulmano". L'inizio è il contrario delle speranze del sindaco e la prima ribalta mediatica per "Mohamed Arturo I" è tutta rivolta all'atipica scelta religiosa. "Che decisi nel 1988 quando lavoravo in una centrale nucleare vicino a Giacarta - ricorda - e mi innamorai di mia moglie Sri Semiarti, per parenti e amici Nunù. I genitori erano contrari, non volevano uno straniero in casa, per giunta non musulmano. E allora decisi di convertirmi". Conversione per amore, precisa il sindaco, senza particolari attaccamenti o frequentazioni. Niente moschea, niente preghiera verso la Mecca, niente Ramadan. Anzi, in campagna elettorale, Cerulli ha persino organizzato un banchetto pubblico un po' blasfemo a base di vino e porchetta. E lui fu il primo a mangiare e bere. "Fu la risposta - ricorda - a chi andava a raccontare che una volta eletto avrei tolto i crocifissi dalle scuole ed eretto moschee". Felicemente sposato ("Potrei avere tre mogli ma ho deciso di soprassedere", scherza), "Mohamed il sindaco" ha due figli di 12 e 17 anni "nè cristiani, nè musulmani. Decideranno loro che cosa vorranno..." e un sogno. "Trasformare l'Argentario in un'isola felice come fece negli anni Ottanta Susanna Agnelli. Aprirlo ancora di più al turismo che conta, abbellirlo, trasformarlo in un salotto di èlite, tollerante e libero. Terra d'Oriente e di Occidente". (Fonte: Corriere della Sera)
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SOUAD SBAI, RAPPRESENTERA’ 4 MILIONI DI NEO-CITTADINI.

Marco Angelelli (Partito Immigrati): gli immigrati, ignorati dal PD e dalla Sinistra, hanno appoggiato in massa la candidatura della Sbai. Oggi vengono proclamati gli eletti del neo-Parlamento, ed ecco il dato eclatante, i 4 milioni di residenti stranieri del nostro Paese, saranno rappresentati al Governo da Souad Sbai (PDL) e all’opposizione da Jean Leonard Touadi (IDV), un esponente in meno rispetto alla scorsa legislatura. “Abbiamo puntato tutto sulla candidatura della nostra amica Souad Sbai, - dichiara il vice-presidente Marco Angelelli – e ci sentiamo vincitori un po’ anche noi. Veltroni e la Sinistra hanno pagato cara aver ignorato le questioni legate all’immigrazione e l’uso strumentale degli stessi, rivelatosi palese con il coinvolgimento alle primarie dei cittadini stranieri, per poi scaricali al momento di ridistribuire i frutti. Ciò ha portato ad avere meno rappresentanti in Parlamento, rispetto alla scorsa legislatura, di esponenti d’origine straniera, ma sicuramente ne abbiamo beneficiato in qualità. Souad Sbai rappresenta buona parte della società civile, mentre i vecchi parlamentari della Sinistra rappresentavano solo se stessi.” “La Sbai avrà l’onore ma anche l’onere di rappresentare i 4 milioni di onesti residenti stranieri del nostro Paese, – aggiunge il presidente Mustapha Mansouri – tutti noi daremo il pieno appoggio alla nostra amica Parlamentare, sperando sopratutto in una apertura di dialogo costruttivo con la Lega.” Dal sito del Partito Immigrati http://www.partitoimmigrati.it .

Per chi ancora non la conoscesse, Souad Sbai è la Presidente dell'Associazione della Comunità Marocchina delle Donne in Italia (ACMID-DONNA ONLUS). Questa è formata da donne marocchine e italiane che collaborano da diversi anni per favorire l'incontro tra le culture del Mediterraneo, far conoscere la cultura marocchina e aiutare le donne arabe immigrate a uscire dal diffuso analfabetismo che ne impedisce l'integrazione nel nostro Paese e l'emancipazione, le informa sui loro diritti e doveri. Il tutto senza la pedita delle tradizioni d'origine. Per chi fosse interessato a saperne di più, il sito è http://www.acmid-donna.it . C'è davvero da augurarsi che le speranze di Souad, di poter fornire maggior sostegno alle donne arabe e musulmane con il suo ingresso in politica, non vengano deluse! COMPLIMENTI per la vittoria, Souad e IN BOCCA AL LUPO!
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